giovedì 30 aprile 2015

MARGUTTE NON RIVISTA DI LETTERATURA... "INTERVISTA A N. PARDINI"

MARGUTTE NON RIVISTA DI LETTERATURA, 
ARTE ED ALTRO



Nazario Pardini
intervista su Margutte

http://www.margutte.com/?p=10345
 Ogg: poesia arte poésie art poetry art

 Margutte, non rivista di letteratura, arte ed altro
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NONA PUBBLICAZIONE DI CLAUDIO FIORENTINI: "GRIDO"



E’ uscito “GRIDO”, il nono libro di Claudio Fiorentini. 
Claudio Fiorentini
collaboratore di Lèucade
Si tratta di una raccolta di poesie. Se ne volete sapere di più vi trasmettiamo la postfazione di Franco Campegiani, e il link alla prefazione di Nazario Pardini.

Lo potete ordinare in libreria, o nelle varie librerie online, come: IBS: http://www.ibs.it/code/9788865914755/fiorentini-claudio/grido.html



Franco Campegiani
collaboratore di Lèucade


"Di giorno dorme"

"Grande poesia. Sento i brividi leggendola. E' l'apoteosi dell'amore e della fede, quelli veri". Queste scarne e sentite parole inviai a Claudio, dopo aver letto la poesia che compare all'inizio di questa silloge, scritta da lui la sera prima, a caldo, dopo un incontro al Polmone Pulsante sui temi dell'autocentrismo, termine da me coniato nel 2001 in un trattato pubblicato da Armando. Aggiunsi poi al telefono: "Avrei voluto scrivere io questi versi". Così mi posi di buon animo alla lettura del testo che lui mi dette in visione qualche giorno dopo.
Qual'è la tipologia umana che affiora da queste poesie? quella di un essere sartrianamente gettato nel mondo, con la sensazione tuttavia di essersi smarrito da chissà quale patria cosmica. Un esilio che il poeta tenta di superare per tornare, come lui dice, all'"altro Me finché con lui / ritornerò completo, e sarò Uomo". E sta qui la nota che distanzia questa visione del mondo dalle filosofie esistenzialiste. Un eloquio  fortemente metaforico, con una musicalità tutta propria e atmosfere dolci-amare inconfondibili, parla di una distanza incolmabile fra sogno e realtà. Pur tuttavia in questa weltanschauung il sogno è considerato aspetto della realtà caduto in oblio: "altra coscienza che di giorno dorme".
Il grido di Fiorentini pertanto non è un urlo disperato, terrorizzato, ma il grido di un uomo smarrito che sa di potere e dovere tornare a se stesso, al proprio personale ovile: "Giuro di portare in me questa pena / intera tutta / per trasformarla in gioia";  perché "è un frutto fecondato dal dolore / la gioia". Questo grido, allora, non è che un'invocazione dolcissima rivolta all'arcana maestà di se stesso, vedendosi  finito chissà come in una realtà ridotta e meschina, esiliato dalla propria patria interiore, o comunque gettato nella periferia di se stesso: "io guardo su / dove la luce è vera", anche se nascosta e persa nell'immenso.
Claudio Fiorentini sembra avere percezione di una vita duale: microcosmo e macrocosmo, separati ma attratti irresistibilmente tra di loro. Una vita parallela ci scorre a fianco, ed è un conflitto, una scissione che tende alla riunificazione. E' di notte che avviene l'incontro, come quello degli amanti, in note rigeneratrici e catartiche di avvilimento e di perdono. Di giorno le due realtà si dividono, presi nell'infernale ingranaggio delle incombenze quotidiane, ma di notte torniamo in noi stessi e siamo indotti a guardarci dentro: "Io l'osservo da fuori, ma è dentro che succede / ... / Fuori / c'è solo distanza".
Di giorno il tempo ci domina e la vita ci sfugge, ma di notte, mentre si accende la luna e l'anima viaggia "a luce spenta" liberandosi, "in tormentate lotte", del proprio fardello di azioni meschine, diveniamo noi i padroni della nostra vita e del nostro tempo. In tal modo l'uomo migliora e si avvicina a Dio: "al suo Dio", si premura di sottolineare Fiorentini, rinviando al divino interiore che sommessamente opera nel cuore dell'uomo e costituisce il polo più elevato della propria humanitas, della propria essenza, della propria scintilla divina.
Più che metafisico definirei misterico l'impianto di questa silloge, aggrumata intorno al mistero dell'armonia dei contrari, che è poi il mistero dell'amore, il mistero della dualità dell'Essere. Il mistero della relazionalità, che prima di tutto è relazione dell'individuo con se stesso. I due amanti sono specchio l'uno dell'altra, ma specchiandosi non perdono la propria identità: "Io resto io, tu resti tu, / non conosco il tuo mondo, / lo immagino riflesso del mio / ma è altro". Amare non è perdere la propria identità, ma è attraversare il mondo rischiando di perdersi, per ritrovarsi al termine del viaggio nella sola luce di sé.
L'importante, in vita, è comunque consumarsi per amore, logorarsi come lo stoppino e la cera per dare luce a sé e agli altri, senza nulla chiedere in cambio. Anche se, giunti al capolinea, ci renderemo conto che "il tempo non è bastato a farci capire / che matti si è savi e savi si è stolti". E "ci ritroveremo allora / per un attimo / eterno, vero, solido / ... a pentirci".

Franco Campegiani



mercoledì 29 aprile 2015

MAURIZIO DONTE: "CERCHERO' LONTANA TERRA"

Cercherò lontana terra

Quanto m'illusi invano, amica mia
e quanto t'amai, dentro di me dico:
quanto inutile fu seguir la via
che mi condusse al nulla; e m'affatico

per trovare una fine a tal follia.
Tu, a volte penso, mi chiamavi amico,
ma l'amicizia cosa vuoi che sia,
quando ti morde il cuor l'amore antico.

Andrò cercando una lontana terra
là dove mai mi troverà il ricordo:
nell'ombra spegnerò l'insana guerra

che mi danno parole che non scordo
e nel silenzio del mio sentir che erra
alle lusinghe vane farò il sordo.


Maurizio Donte

martedì 28 aprile 2015

CLAUDIO FIORENTINI: "BITTER FRUIT DI ABEL MEEROPOL"

Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade

Abel Meeropol, dopo aver visto la foto del linciaggio di Thomas Shipp e Abram Smith avvenuto nell'Indiana, scrisse la poesia Bitter Fruit che pubblicò con lo pseudonimo di Lewis Allen (nomi dei suoi figli morti bambini). Più tardi la musicò, ma non trovò chi fosse disposto a cantarla, a parte sua moglie. Ci volle Billie Holiday, che ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia, per farla sentire al mondo che ignorava gli orrori, che fino a pochissimi anni fa, i bianchi perpetravano ai danni dei neri nel Sud degli USA. Propongo la canzone, nella struggente interpretazione di Billie Holiday,  e il testo tradotto.   


Gli alberi del sud danno strani frutti
Sangue sulle foglie e sangue sulle radici
Neri corpi oscillano alla brezza del sud
Strani frutti appesi ai pioppi
Scena pastorale del valoroso sud
Gli occhi sporgenti e le bocche contorte
Odore di magnolie, dolce e fresco,
E d’improvviso odore di carne che brucia
Ecco il frutto che piluccheranno i corvi
Che raccoglierà la pioggia, che succhierà il vento,
Che il sole farà imputridire, che l’albero lascerà cadere
Ecco uno strano e amaro raccolto



AMBRA SIMEONE "QUASI POESIE"


mi hanno tradotto un racconto in russo e lo hanno fatto bene
penso che poi tutto sta nel godersi la cosa, che scritto in russo conta,
meglio che se scritto in italiano o anche se fosse scritto in cinese,
che se lo mostri o lo fai leggere potrebbero arrestarti per quel che dici;
mi hanno tradotto un racconto in russo e io ne sono davvero felice,
che non sia finito in vetrina o in sconto speciale sulla bacheca di ibs,
se lo avessi scritto per non esser tradotto in russo, non lo avrei scritto,
voglio uccidere o farmi uccidere per un racconto, non lo voglio in italiano,
e in russo almeno una conseguenza ci sta, invece così no, non lo voglio morto
nessuno che vinca ai concorsi letterari e mai nessuna poesia nel cassetto
che marcire si può fare in due modi diversi o in vetrina o in cassaforte;
voglio una parola pesante come un macigno che schiacci me e tutti gli altri,
che non sia merce in vendita o merda nel tuo cassetto, ecco perché penso
che un racconto tradotto in russo possa far più paura, mi possa far paura,
poi almeno spero che un regista non liberi troppo la trama da trattare male,
ma che la lasci potenziare solo per la galera e mai più in televisione,
basta, niente più libri in promozione o sotto controllo o in discussione
ci saranno solo parole piene e pesanti, scritte con la paura di morire,
questa è l’importanza che io gli darei, questa è l’importanza che vorrei.



mi rendo conto che tutti vogliono fare lo scrittore da grandi e da piccoli,
molto piccoli cresciuti a pane e Chinaski o a Jack London e J. Daniel
con l’idea dei mitici scrittori old ’70, alcolizzati e così tanto speciali,
solo che poi mi sembra che più che scrittore, uno che già scrive,
ma che non ci si sente, allora vuole fare lo scrittore famoso,
fare l’isola dei famosi o masterchef, mi rendo conto che tutti lo vogliono,
far vedere le chiappe in tivù o fare l’opinionista al suon di che bravo!
essere adulati, guadagnare soldi e scrivere proprio quel che gli pare,
sarebbe bello, bello davvero, ma chissà se per qualcuno scrivere sul serio,
è casomai come andare in ufficio, se per quelli che a voler scrivere
si fa solo su commissione, e ci devi campare, come era per Michelangelo,
che al papa gli diceva “sarà finita, quando sarà finita”, non poteva altro,
era il suo capo; mi rendo conto che tutti vogliono essere scrittori,
avere quella marcia in più, avere un superpotere che c’è bisogno di eroi
dicono, ad esempio non cagare gli esordienti, dire di essere come te,
fare cose banali e ottenere tanti che bravo! o di essere clementi
con chi non pubblica; mi rendo conto che tutti vorrebbero farlo,
ma non bisogna aver fretta, se per ognuno si compirà il proprio destino,
mi sembra che lo dicano tutti gli scrittori famosi, e se lo dicono loro…
che sia questo o un altro, chi lo sa? ma se poi è un altro non fa nulla,
vuol dire che scriveremo per un amico, e che per tutto il tempo
tratteremo gli altri come ci è possibile, ma senza far troppo i fighi,
che ci sentiremo esordienti tra gli esordienti, che scriveremo ancora
perché ci piace, ammesso che lo vogliamo ancora, insomma queste cose qui.



le cose stanno così, che io non sono mai riuscita a scrivere un qualcosa
senza prima parlarne con qualcuno, ammetto che se non faccio così
poi non mi riesce bene di scrivere, anche se qualche volta l’ho fatto,
e infatti non mi sono divertita, quel che ho scritto non mi è tanto piaciuto,
e neppure agli altri, ora che ci penso, erano scritti bassi, piani, solitari,
una geografia senza forma, a me invece piacciono le coste alte e frastagliate,
che poi mi hanno detto che non esiste un pubblico vero, e ormai da molto tempo,
siamo tutti isole in mezzo al mare con coste senza forma, lisce e basse,
e penso, io non so neppure se c’è mai stato, un pubblico tutto uguale,
o che le cose che gli leggevano e gli inscenavano le capissero tutti allo stesso modo;
ora invece succede che tutti la capiscono a modo loro, o che tutti se ne fregano,
così mi hanno confermato, e io ci credo per un po’ ma dopo neanche tanto,
che siccome io non riesco a scrivere senza prima parlarne con qualcuno,
ne basterebbe uno, poi figuriamoci se fossero cinque, dieci o anche ventisei,
penso che allora un motivo ci sarà, non so, non lo pensi anche tu?
insomma un tizio che legge in pubblico è come se andasse dallo psicologo,
almeno dopo aver pagato in immagine alla fine si sente un po’ meglio,
certo non si risolve poi molto, anche solo ascoltare può essere d’aiuto
ma io preferisco chi ti risponde anche, che mi viene da scrivere qualcosa,
è più divertente, ma poi possibile che allo psicologo non gli cambia mai niente?



scrivine una e poi chiediti se un’idea si combatte con un’altra idea
come diceva quel film che non mi ricordo mai il titolo
scrivi una poesia che è meglio di ogni trattato anche se devi proprio farlo,
se ti sei messo in testa che un articolo vale più di una nuova estetica
che l’estetica, sai, si combatte con un’altra estetica, mi dicono
dai, scrivi una poesia che almeno quella non ti tradisce mai
e se quando non ti capiranno e ti chiederanno, ma come, ma perché?
tu scrivine un’altra che non ha importanza la sua gravidanza
scrivila come un seme, che si possa piantarla lì senza nessuno a interpretarla,
scrivi una poesia che sia quel che sia e non quel che si vorrebbe
lascia stare la critica che a criticarla ci penseranno gli altri, lo sai,
che nasca di un parto naturale che la gestazione dicono non conta,
e poi la poesia si combatte con un’altra poesia, mi dicono,
come diceva quel film che non mi ricordo mai il titolo, ma
che insomma, può sembrare strano, ma alla fine ci siamo capiti.



Ambra Simeone

PER IL X ANNO DALLA FONDAZIONE IPLAC





MARIA RIZZI SU "ATMOSFERE" DI DANIELA QUIETI

Daiela Quieti


Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade



Daniela Quieti: Atmosfere. Dal mito alla storia
Edizioni Tracce. Pescara. 2014. Pg. 56

ATMOSFERE
Dal mito alla Storia

La tradizione, che fa da sfondo all’Opera “Atmosfere” – Edizioni Tracce -, della Poetessa, Scrittrice, Saggista e brillante Critica Letteraria Daniela Quieti, connota il testo di grande valore antropologico, in quanto si rifà alla trasmissione del patrimonio culturale delle generazioni passate attraverso la comunicazione orale e, ovviamente, anche tramite la documentazione scritta, e mette in luce quanto si possa alludere alle tradizioni popolari, ma al tempo stesso al patrimonio religioso, filosofico, letterario.
Basta pensare alla religione ebraica o a quella cristiana e al capitale di verità e di norme rivelate da Dio, trasmesso non dalla Bibbia, ma dall’insegnamento unanime dei Maestri - nell’ebraismo – e degli Apostoli o dei Padri – nel Cristianesimo -.
A livello letterario si può alludere alla trasmissione di un testo fino a noi, come all’insieme dei manoscritti e delle stampe che lo trasmettono: la ‘tradizione’ della Divina Commedia o delle opere di Skakespeare.
Daniela Quieti si sofferma sull’importanza dei proverbi, dei termini e anche di alcune filastrocche entrate nella cultura popolare. Le origini di quelle che possono sembrare tiritere favolistiche, come “La vispa Teresa” , affondano le radici nel cuore della storia della letteratura italiana. “La vispa Teresa”, infatti, nacque nell’’800 ed è ‘squarcio profondo di vita agreste’, come sottolinea l’Autrice, con valore didattico per i bambini e anche per noi adulti.
I proverbi, poi, rappresentano detti popolari, che fissano in forme tradizionalmente codificate delle regole di vita, delle credenze, dei dati dell’esperienza.
Daniela Quieti prende in esame molti di essi, spiegandone le origini e restituendo loro il valore e la dignità che meritano. Nella psicologia analitica di Jung potrebbero essere assimilati agli archetipi, ovvero ai contenuti primordiali e universali presenti nell’inconscio collettivo.
L’Autrice, con la levità e la capacità che la contraddistinguono, crea le sue “Atmosfere”, dando al testo carattere di vademecum, di manuale di conoscenza degli adagi non solo pescaresi o abruzzesi, che sintetizzano le vicende umane.
Per rendere omaggio in modo specifico alla sua terra si sofferma sul termine ‘chiacchiere’, ovvero sui dolci fritti che richiedono pochi ingredienti e che si preparano con la stessa facilità con la quale si fanno ‘molte chiacchiere’.
Ella adotta analogie con cibi tipici di altre regioni e, alludendo alla Campania, fa riferimento alla pizza. In effetti l’equivalente napoletano delle chiacchiere è senz’altro la pizza, che richiede pochi ingredienti e, in passato fungeva da pasto completo ed economico, per cui veniva definito ‘chiuditivo’.
Leggendo l’Opera dell’Autrice pescarese ho rivissuto le atmosfere della mia infanzia.
Ho riascoltato gli infiniti proverbi della nonna partenopea e dell’altra barese.
Una volta di più ho preso atto che esistiamo in virtù del passato, di quel testimone che
viene passato di generazione in generazione e che rappresenta la nostra grande ricchezza. Un libro che arricchisce e crea incanti, quello di Daniela Quieti e che si termina di leggere con un soffio di luce nell’anima e un senso di calda gratitudine…
                       
Maria Rizzi







lunedì 27 aprile 2015

MARIA GRAZIA FERRARIS SU "DANIEL VARUJAN"



Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade

Alla Musa

Come vigoroso il lavoratore afferra
la curva impugnatura dell’aratro,
lacera il fianco delle terre
e sotto  il torrente dei raggi solari
i solchi aridi diventano fertili,

come il grano fulvo nell’aia
si ammassa e i mulini ruggiscono;
come trabocca dalla vasca la pasta lievitata,
e il contadino la cuoce in un forno
che è sempre acceso,

il piacere, il vigore creatore
che diffonde il Pane, il pane consacrato,
tu insegnami, Musa dei miei padri;

insegnami, e incorona di spighe la mia lira,
perché sull’aia, alla fresca ombra del salice,
io mi possa sedere e generare
le mie canzoni.


DANIEL VARUJAN nacque a Perknik, villaggio dell'Anatolia, il 20 aprile 1884. Nel 1886 si recò con la madre a Costantinopoli alla ricerca del padre, scomparso durante le epurazioni volute dal sultano Abdul Hamid: un dramma da cui la sua sensibilità rimase segnata per sempre.
Dotato di ingegno eccezionale, dopo i primi studi nella metropoli turca, proseguì la sua educazione a Venezia, dove pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Fremiti (1906), e successivamente a Gand. Influenzato dalla crisi religiosa europea di fine Ottocento, attraversò una profonda crisi esistenziale, durante la quale si rifugiò nei miti indoeuropei precristiani della sua tradizione.
Di nuovo in Turchia, si sposò e trovò lavoro come precettore nel paese natale.
La sua fama di letterato e poeta crebbe dopo la pubblicazione de Il cuore della stirpe (1909) e Canti pagani (1913). Nel 1912 si trasferì a Costantinopoli, dove ottenne un posto di direttore di scuola e si dedicò con tutte le sue energie alla rinascita della cultura e della lingua armena, diventando l'anima del movimento che faceva capo alla rivista Navasart. È di quel periodo il suo ritorno alla fede, purificata e rafforzata dopo il travaglio spirituale.
Tre anni dopo, arrestato con altri scrittori, intellettuali e uomini politici armeni,Varujan venne deportato verso l'interno ed ucciso il 28 agosto 1915, nel pieno della sua splendida maturità.
Il canto del pane, il suo capolavoro, fu pubblicato postumo nel 1921.
Il libretto è come un messaggio dal regno della morte, carico di significati allusivi e  simbolici.
Un atto di accusa, basato sul legame fortissimo tra la poesia e la terra dei padri, le radici profonde e il pane sacro, l’elemento vitale che la terra produce e di cui viviamo. È giocato sulla sorvegliata ambiguità del racconto poetico e la qualità onirica delle immagini, come se ogni dettaglio fosse pervaso dalla consapevolezza della precarietà del mondo che descrive.
Le traduzioni di Antonia Arslan, Chiara Haïganush Megighian e Levon Zekiyan provengono dall’edizione a cura di Antonia Arslan pubblicata da Guerini & Associati nel 1992.
Sul grande poeta armeno il saggio più completo è ancora quello di Boghos L. Zekiyan, patriarca degli studi sulla storia e la letteratura armene: Daniel Varujan: Dall’epos al sogno, pubblicato a Venezia.
D. Varujan riveste un’importanza particolare nel panorama dei simbolisti europei. Fonde i diversi orizzonti poetici in una sintesi poetica originale che su tonalità e timbri orientali innesta la conoscenza diretta della grande poesia occidentale.
“Simbolista è la sua poesia, ma non decadente”, sottolinea la Arslan; un poeta che non si abbandona ai vaghi sogni della decadente gioventù europea degli anni precedenti la prima guerra mondiale.
Varujan rimane solidamente ancorato alla cultura della terra, alla gestualità contadina, alle messi dell’Anatolia, ai semplici riti di una società arcaica ma profondamente civile.
Fu la Venezia manniana e decadente d’inizio novecento che maturò la sua sensibilità poetica insieme ai simbolisti francesi dei suoi studi universitari in Fiandra.
“Due ambienti hanno influito su di me: Venezia col suo Tiziano e la Fiandra col suo Van Dick.
 I colori del primo e il realismo barbaro del secondo hanno formato il mio pennello..Sento che Venezia ha influito su di me con i suoi cangianti tesori di colori, ombre e luci. È una città nella quale non è possibile pensare senza ricorrere ad immagini…” (lettera a Theodik,1909)
Venezia, patria ideale dei poeti, accolse Varujan come aveva accolto i Padri Mechitaristi donando loro l’isola di San Lazzaro, come una madre benevola per chi, nell’esilio, stava riscoprendo le radici della terra patria, “...proprio nel momento in cui, storicamente, agli armeni come popolo la patria sta per essere definitivamente negata e l’unità psicologica della nazione, infranta”, ci rivela la Arslan.
Ma già nel 1907 è il sangue il motivo che irrompe nella sua poesia, con il poemetto La strage, scritto in memoria delle persecuzioni di Abdul Hamid, il “Sultano Rosso” che aveva anticipato l’efferata violenza dei Giovani Turchi.
Gand, cuore dell’impero europeo e gioiello di Carlo V, Venezia, porta dell’Oriente e culla della libertà, Costantinopoli, avamposto della cristianità travolto dalle orde asiatiche dei turchi, ai quali ha tuttavia trasmesso i germi della cultura europea. Germi avvelenati poi dal nascente nazionalismo razzista che ha trovato in Turchia menti ricettive e cuori impenetrabili alla pietà umana.
“Per tutta la poesia simbolista tardo-ottocentesca la dimensione e la nostalgia dell’Oriente, le voyage en orient, rappresentavano infatti una delle forme principali di ispirazione, come meta e ricerca dell’altro da sé- sognato o realizzato che sia: si tratti del tema del fascino dei paesi lontani, della scoperta dell’esotismo come occasione in sé poetica, coi suoi luoghi deputati, o del viaggio in Oriente come scoperta e appropriazione di una realtà mitica e fantastica, piena di colore, di fantasia, di favole.. Per Varujan la <dimensione orientale> è il punto di partenza.” . Non è un altrove da raggiungere, ma un ritorno alle radici della terra patria.

La poesia  Alla musa- poesia-manifesto, si identifica con l’attualità della sua gente, dà la parola a un mondo precario e lo rende un presente infinito. Le bestie dei campi- Il giogo, la vegetazione- Papaveri, raggiungono la sfera della sacralità, gli elementi in comunione tra loro , Pioggia di primavera, in movimento a spirale, che mescola acqua e luna, stelle e pioggia…cielo e terra, corpo e spirito, gli oggetti, gli edifici come i granai, i fienili, i mulini.

Maria Grazia Ferraris

PREMIO LETTERARIO "SANTA MARIA IN CASTELLO" RISULTATI

    PREMIO  INTERNAZIONALE DI POESIA, NARRATIVA, SAGGISTICA E ARTI VISIVE
“SANTA MARIA IN CASTELLO”
CITTA' DI VECCHIANO
 18° Edizione 2015

ELENCO DEI VINCITORI

Sezione “Salvatore Policardo”: Poesia inedita-adulti:

III Premio: Bruno LAZZEROTTI di Milano, con la poesia dal titolo Ancora qui.

II Premio: Luana INNOCENTI LAMI di Pontedera (Pisa), con la poesia dal titolo Talitha Qumi

I Premio: Pietro CATALANO di Roma, con la poesia dal titolo  Il mondo sconosciuto.

Segnalazioni d'onore:

- Giulio Dario GHEZZO di Venezia, con la poesia dal titolo Pensieri di terra
- Giancarlo REMORINI di Bientina (Pisa), con la poesia dal titolo Avevo sette anni..


Sezione Giovani (8-13 anni)

Segnalati:

Lucrezia FAVILLA, Classe IA, Scuola Media “Giacomo Leopardi”, Vecchiano (Pisa), con il racconto dal  titolo “Il vaso di Pandora
Valentina MANTELLASSI, Classe IA, Scuola Media “Giacomo Leopardi”, Vecchiano (Pisa), con la poesia dal titolo “A te Cristian”
Rachele BUCCHIONI, Classe VA, Scuola Primaria “Giuseppe Mazzini”, Pontasserchio (Pisa), con la poesia dal titolo “La neve
Alessia MACELLONI, Classe VA, Scuola Primaria “Giuseppe Mazzini”, Pontasserchio (Pisa), con la poesia dal titolo “Il sole
Sara BONELLI, Classe IC, Scuola Media “Giacomo Leopardi”, Vecchiano (Pisa), con il racconto dal titolo “La fiaba”


Segnalati d'onore:

- Tristan BONINI, Classe IC, Scuola Media “Giacomo Leopardi”, Vecchiano (Pisa), con la poesia dal titolo “Sardegna”
- Lauren MILLIGHAN, Classe VB, Scuola Primaria “Giuseppe Mazzini”, Pontasserchio (Pisa), con la poesia dal titolo “La primavera”


Primi tre classificati:

III Premio: Federica LEONI, Classe VA, Scuola Primaria “Giuseppe Mazzini”,   Pontasserchio (Pisa), con la poesia dal titolo "Girasole"

II  Premio: Anita MORETTI, Classe IA, Scuola Media “Giacomo Leopardi” di  Vecchiano (Pisa,) con il racconto dall'incipit “La nottata non è stata delle migliori...”

I   Premio: Aurora CAVALLINI, Classe IA, Scuola Media “Giacomo Leopardi” di      Vecchiano (Pisa), per la poesia “Il vento
Sezione Giovani (14-18 anni):
I Premio: Ilaria PARLANTI di Chiesina Uzzanese (Pistoia), Classe IV Liceo Classico “Carlo Lorenzini”, Pescia (Pistoia), per la poesia dal titolo “Lo scoglio solitario”

Sezione Saggistica

Segnalazione d'onore: Aldo PERRONE di Taranto, per l'opera “Quattro passi nell'Italia minore. Anzi maggiore”. Edizione Print Me Editore, Taranto, 2014.


I Premio: Nicoletta CORSALINI di Agliana (Pistoia) per l'opera: “Oriana Fallaci”. Edizioni EA  Agemina, Firenze, 2014. Introduzione di Furio Colombo.


Sezione Arti Visive

Tutti i vincitori frequentano la Scuola Media “Luigi Pirandello di Lari (Pisa):

Federico SALVETTI, Classe IA
Giovanni ZUPPARDI, Classe IIC
Chiara NIBI, Classe IIC
Alessio GARZETTI, Classe IIA
Sara GRASSI, Classe IIC
Elena ONOR, Classe I
Saba MASELLI, Classe IIA
Alice LIBARDI, IIIC
Marika PETRI, Classe IA

Segnalazioni d'onore

Giulia BERTINI, IIB
Giada PASQUALETTI, Classe IIA
Dennis CICCARESE, Classe IIA
Lavinia OGRADA, Classe IC
Alisa HU, Classe IIA


Primi tre classificati:

III Premio: Edoardo SALVADORI, Classe IIA

II Premio: Aurora GENNAI, Classe IIA,

I Premio: Alessandro VITOLO, Classe IIC


Poesia Edita in Volume:

Segnalati

- Luca PIZZOLITTO di Torino,  per l'opera UNA DISPERATA TENEREZZA, Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero (Novara), 2014, Prefazione dell'Editore
- Claudio GUARDO di Cles (Trento), per l'opera LA SPOSA BIANCA, Aletti Editore, Villanova di Guidonia (Roma), 2014
- Michele TACCOLA di Uliveto Terme (Pisa) per l'opera UN FIUME SOTTERRANEO CHIAMATO SOLITUDINE, Ibiskos Ulivieri, Empoli,  2014, Prefazione di Maria Antonietta Cruciata

Segnalazioni d'onore

- Armando GIORGI di Genova, per l’opera MI LEGGERO', Ibiskos Ulivieri,  Empoli, 2013, Prefazione di Filippo BAGGIANI
- Colomba DI PASQUALE di Recanati, per l’opera IL MIO DELTA E DINTORNI, Fara Editore, Rimini, 2014, Prefazione di Vivian Lamarque



Primi tre classificati:

III Premio:

Ubaldo de ROBERTIS di Pisa, per l’opera DIOMEDEE, Edizioni Joker, Novi Ligure (Alessandria), 2008, Prefazione di Mauro Ferrari

II Premio:

Isabella HORN di Firenze, per l’opera CODICE BARBARO, Coletti Editore, Villanova di Guidonia (Roma), 2013, Nota di Cristina Morandi.

I Premio:

Ester CECERE di Taranto, per l’opera FRAGILE... MANEGGIARE CON CURA, Kairos Edizioni, Napoli, 2014, Prefazione di Nazario Pardini.


Sonetto alla Madonna di Castello: Piero Giorgio FRIGNANI di Galbiate (Lecco) per il sonetto dal titolo: Preghiera