Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
La locandina dell'evento che si é tenuto
ieri all'Enoteca di via Quattro Fontane e che ha ricevuto gli interventi
critici di Franco Campegiani, Andrea Mariotti, Sandro Angelucci, Francesco Paolo
Tanzj, Silvio Parello e del fotografo Giorgio Rossi, con i suoi illuminanti contributi
su Ostia dal 1968 al 1974...
Il millenarismo di Pier
Paolo Pasolini
(riflessione
sul film L'operaio dei sogni, di Pio
Ciuffarella)
Il Neorealismo artistico e letterario nato
nel secondo dopoguerra, entro il solco di una Ricostruzione civile dominata da
modelli americani e sovietici a un tempo, prettamente materialistici, ha
offerto una testimonianza preziosa della fine della civiltà contadina in nome
di un'emancipazione disincantata e senz'anima, incapace
di mantenere vivo ogni umanesimo ed ogni autentico senso del vivere comune. Non si può capire la rabbia pasoliniana
contro l'omologazione e l'imborghesimento, contro il consumismo e il
materialismo dei nostri tempi, se non si tiene a mente questo sacrificio della
cultura popolare sull'altare della società di massa dei tempi attuali.
Questo
lungometraggio, L'operaio dei sogni
di Pio Ciuffarella, non vuole avere e non ha le valenze di un documentario
sulla vita di Pasolini, ma di un racconto immaginario teso ad esaltare, nella
prima parte la potenza imprescindibile del sogno (un sogno capace di riportare
in vita un fantasma), e nella seconda parte, con le scene del Battesimo, la
valenza della sacralità della vita e dell'essere. Questo è il realismo di Pier
Paolo: un realismo intriso di mistero. Egli parla di un'umanità legata agli
elementi, alle radici tradite, alla terra tradita. Le plebi rurali inurbate, le
baraccopoli: un'umanità espulsa dall'Eden e imbizzarrita, ma ancora saggia per
diritto di nascita e non per cultura acquisita. Un'umanità che viene dal fiume
profondo del sacro, dal primordiale
amore per la materia, per la mater, tradito
purtroppo dal materialismo brutale e balordo che sappiamo.
Nella
piazzetta di Chia, il borgo della Tuscia Viterbese dove Pasolini girò le famose
scene del Battesimo di Cristo, rievocate in questo filmato, troviamo oggi un
busto bronzeo del notissimo intellettuale, accanto al quale è stata incisa una
sua poesia. Ho colto l'informazione sfogliando le pagine del blog letterario di
Andrea Mariotti (www.andreamariotti.it), poeta e scrittore presente nel filmato,
con un ruolo fondamentale, dove interpreta se stesso. La poesia, Ciants di un muàrt, tradotta in italiano
dal friulano e tratta dalla raccolta "La nuova gioventù, suona così:
"Contadini
di Chia! / Centinaia di anni o un momento fa, / io ero in voi. / Ma
oggi che la terra / è abbandonata dal tempo, / voi non siete in me. /
Qualcuno / sente un calore nel suo corpo / una forza nel ginocchio… / Chi è? / I giovani sono
lontani / e voi non parlate… /
Quelli che vanno a Viterbo / o negli Appennini dov’è sempre Estate,
/ i vecchi, mi assomigliano: / ma quelli che voltano le
spalle, / Dio, /e
vanno verso un altro luogo…Dio, / lasciano la casa agli uccelli, / lasciano il campo ai vermi, lasciano
seccare la vasca del letame, / lasciano i tetti alla
tempesta, / lasciano l’acciottolato
all’erba, / e vanno via / e là dov’erano / non
resta neanche il loro silenzio…".
Un vincolo
viscerale legava Pasolini alla cultura contadina, ma non si pensi ad un amore
nostalgico o passatista. La cultura contadina non è una memoria storica, ma un
archetipo: quell'archetipo che lega l'umanità alla Terra Madre e che non
appartiene al passato, bensì all'uomo di sempre. Un sentimento di appartenenza
al creato che, a prescindere dai modelli di civiltà, dovrebbe essere sempre
vivo tra gli uomini. Credo fosse consapevole, Pier Paolo, che non esiste -
perché non può esistere - altro tipo di civiltà per gli umani, nati sulla terra
e dalla terra. Per cui la fine di quella civiltà non può che corrispondere alla
fine della civiltà stessa in assoluto. E ci sono altri versi, tratti da Poesia in forma di rosa, che a questo
punto devono essere citati:
"Io sono una forza del Passato. / Solo nella
tradizione è il mio amore. /
Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d'altare, dai borghi / abbandonati sugli Appennini o le
Prealpi, / dove sono
vissuti i fratelli. / Giro
per la Tuscolana come un pazzo, /
per l'Appia come un cane senza padrone. / O guardo i crepuscoli, le mattine / su
Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti della Dopostoria, / cui io assisto, per privilegio
d'anagrafe, / dall'orlo
estremo di qualche età /
sepolta. Mostruoso è chi è nato / dalle viscere di una donna morta. / E io, feto adulto, mi
aggiro / più
moderno di ogni moderno /
a cercare fratelli che non sono più".
Pasolini - è
evidente - in questa poesia parla di "radici". Parla cioè di qualcosa
di vivo, non di morto. La peculiarità delle radici, infatti, è di rinnovarsi in
continuazione, altro che passatismo! Quella del poeta è una ribellione nei
confronti di una Modernità che si è posta fuori dal Passato e dal Futuro nello
stesso tempo. Fuori dalla Vita. Il suo è fondamentalmente un terrestrismo,
un'impostazione culturale ancorata a valori contadini, che sono i valori
dell'uomo di sempre: "mi
aggiro / più moderno di ogni
moderno / a cercare
fratelli che non sono più".
Egli amava questa sorta di cultura primordiale, naturale, non appresa sui
libri, ma succhiata dagli uomini insieme al latte materno. Una cultura
inconscia che viene all'uomo dalla nascita, per il semplice fatto di nascere
uomo.
Emblematica
in tal senso la dichiarazione che in una nota intervista rilasciò al suo
intervistatore. Egli disse: "Il tipo di persone che amo di gran lunga di
più sono quelle che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta
elementare, cioè le persone assolutamente semplici. Ma non ci metta della
retorica in questa mia affermazione: non lo dico per retorica, lo dico perché
la cultura piccolo-borghese... è qualcosa che porta sempre della corruzione,
delle impurezze, mentre un analfabeta, uno che ha fatto solo i primi anni delle
elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la
cultura. Poi la si ritrova ad un altissimo grado di cultura, ma la cultura
media è sempre corruttrice".
Perché questa
predilezione per gli analfabeti? che cosa vedeva Pasolini nell'analfabeta? vedeva
un essere non ancora imbarbarito dalla cultura, ossia un essere autentico,
dotato di una saggezza innata, in grado di renderlo, come Adamo nell'Eden, il
custode del creato. Purtroppo, quando si evocano queste visioni equilibrate del
mondo e della vita, queste culture elementari, una subdola propaganda tenta di
insinuare che si vorrebbe tornare nostalgicamente al passato. E di passatismo è
stato più volte tacciato Pasolini, nonostante egli fosse un progressista. Ma il
vero problema che qui si pone, anche a prescindere dalla consapevolezza che
poteva averne Pasolini, è di riuscire a rinnovare con modalità inedite, adatte
ai tempi nuovi e futuri, il patto di alleanza dell'uomo con l'uomo e con il
creato intero.
E' questo, a
mio parere, il messaggio che, sulla scorta della poetica pasoliniana, si ricava
da L'operaio dei sogni di Pio Ciuffarella.
Al di là della storia c'è una cultura originaria e verace che si lascia
dimenticare affinché possa venire recuperata: "guardo i crepuscoli, le mattine / su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti della Dopostoria, / cui io assisto, per privilegio
d'anagrafe, / dall'orlo
estremo di qualche età /
sepolta. C'è la sensazione di un'apocalisse, ma anche di una palingenesi.
Una visione del mondo che potremmo anche definire millenaristica. Questo aspetto della poetica pasoliniana non va
trascurato, e fa bene Pio Ciuffarella a sottolinearlo, avvalendosi della
professionalità di un cast di collaboratori straordinario. La
passione civile ed etica di Pier Paolo ha tratto forte ispirazione dalla dimensione
elementare e sacrale della vita, ribelle verso ogni tipo di artificio storico e
di falsificazione culturale.
Franco
Campegiani
Molto interessanti le riflessioni di F. C. che ben si innestano nella complessa problematica pasoliniana, la comprendono nel profondo e facendone tesoro si confrontano con la sua visione filosofica del mondo. Un intervento da meditare, in particolare là dove F.C. affonda la riflessione sul tema “radici”.( “La peculiarità delle radici, infatti, è di rinnovarsi in continuazione, altro che passatismo!”) con la citazione di poesia davvero straordinarie e dimenticate.
RispondiEliminaSe l’Italia contemporanea ha avuto un suo poeta civile, un testimone implacabile della corruzione e dell’alienazione novecentesca, questo è Pier Paolo Pasolini. Può essere considerato un cercatore "religioso" dell’anima arcaica, rurale e incontaminata del popolo, un difensore di ogni diversità e di tutti gli emarginati, un implacabile moralista, un singolare profeta del passato e delle origini….
Come quelle delle poesie friulane raccolte nel volume "La nuova gioventù" dove si accentua il senso religioso del poeta attraverso il confronto con la propria terra, la propria lingua, le proprie lacerate radici friulane: un autentico testamento
M.Grazia Ferraris
Leggere questa nota di Franco Campegiani è quasi come aver visto il film di Pio Ciuffarella. Ce lo racconta con dovizia di immagini e di commenti, con la precisione del pensiero di Pasolini, ancorato alle sue radici, alle sue origini che appartengono ad una cultura contadina, -senza essere retorico o "nostalgico e passatista"-, semplice e nello stesso tempo profondamente legata ad una umanità dolente ma autenticamente originaria, come se la guardasse "dall'orlo estremo di qualche età/ sepolta".Emerge , da questa nota di Campegiani, sentita e vibrante, come la gente, illusa dal desiderio e dal bisogno di inurbamento ("ma quelli che voltano le spalle, / Dio, e vanno verso un altro luogo....Dio, / lasciano la casa agli uccelli, / lasciano il campo ai vermi, lasciano seccare le vasche del letame, / lasciano i tetti ala tempesta, / lasciano l'acciottolato all'erba, / e vanno via / e là dov'erano / non resta neanche il loro silenzio") abbia spesso gettato via la sua anima, pur semplice e affrancata da autentica originarietà, per un sogno poi rivelatosi effimero e fallace, riscattato solo dalla "lezione" di Pier Paolo Pasolini. Bravo Franco e grazie di questo dono.
RispondiEliminaUmberto Cerio
Ho ascoltato Franco personalmente, dopo la proiezione del mediometraggio di Pio e devo dire che il suo commento focalizzato agli aspetti fondanti della poetica pasoliniana é stato uno dei giusti sottofondi a un docufilm, come é stato definito dal Direttore dell'Isola del Cinema Giorgio Ginori, che mette in evidenza la 'levità' di Pasolini, intesa come altissima attitudine al lirismo e al lavoro di cineasta. Franco evidenzia quanto la visione del mondo dell'intellettuale, sia in realtà un continuo recupero delle radici, della Cultura elementare e sacrale dell'esistenza. E adotta la definizione di 'millenaristica' per alludere a qualcosa che non può divenire 'passato', in quanto si recupera di continuo, in un processo di palingenesi. Splendida interpretazione di un film che invito gli ospiti del blog a vedere. Ho provato ancora i brividi mentre scorrevano le scene, eppure non so contare le volte che l'ho visto! Ringrazio franco e tutti gli altri che sono intervenuti il 12 aprile per rendere un evento bello assolutamente indimenticabile!
RispondiEliminaMaria Rizzi
Ho letto con molto piacere questa recensione di Franco Campegiani. Riassume bene sia la poetica pasoliniana che l'intento del film Di Pio Ciuffarella. Ho avuto il piacere di vedere il film e devo dire che l'ho trovato molto incisivo. Realtà, sogno, poesia, utopia si fondono nella trascendenza necessaria al messaggio di Pasolini insieme alle musiche meravigliose con la rievocazione dello spiritual, l'interpretazione di Mariotti e Di Paolo Di Santo che ho trovato puro, nel rispetto di quello che era proprio l'ideale più bello di Pasolini. Non sono certo un critico cinematografico e altro non oso dire. Ricordo di essermi commossa e di ricordare ancora molte scene.
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