Dalla prefazione di Nazario Pardini:
Iniziare
dalla poesia incipitaria significa andare da subito a fondo nella poetica di
Franco Donatini, dove pathos e logos si caricano a vicenda per dare spazio alla
poesia: natura, intimità, riflessione, amore, esistenza, vita. Una silloge
compatta musicalmente fluente, armonica, dove la filosofia del vivere si
reifica nel dettato poetico, in cui amore e natura convivono per amore del
canto. Una silloge plurale, complessa, polivalente, dove la vita con i suoi
marchingegni si reifica in suoni e voci di profonda eleganza. Il
linguismo si altera, varia a seconda dell’impiego dei lessemi: fonemi, ritmi
linguistici, si accavallano per dare un senso a questa nostra vicenda
esistenziale. Il linguaggio si amplia, si scorcia, si modifica, si fa ora breve
e contratto, ora narrativo, per accompagnare gli input emotivi. La natura segue
con pazienza i dettami della vita e li reifica in sostanza emotiva. A volte il
verso si fa breve, a volte quasi narrativo, per articolare il variare dei nessi
interpretativi, il tutto è immancabilmente armonico e fluente, come un ruscello
alle sue origini.I
lemmi presenti più frequenti: vuoto, vita, esistenza, amore. Il vuoto che
avvolge l’esistenza e caratterizza la condizione esistenziale della società di
oggi, rappresenta una sorta di prigione; il poeta non accetta questa sorte che
lo relega in uno stato emotivamente circoscritto, chiuso, quasi senza scampo.
Il vuoto fa paura, come un’assenza del tutto, da cui l’aspirazione a uscirne
indenne, umanamente più completo, interiormente più ricco, verso una dimensione
più umana in accordo con la natura. Un viaggio in un mare pieno di turbolenze,
dove gli elementi naturali e insieme i demoni interiori ostacolano la
navigazione. Un viaggio che comunque il poeta percorre senza mollare, per
giungere a un porto di pace, di serenità dove recuperare, attraverso il
rapporto con sé stesso, la propria identità. Così le esperienze della vita
contribuiscono a comporre un patrimonio esistenziale, da cui scaturiscono stati
d’animo profondi che si tramutano in poesia.Un
linguaggio ricco di sonorità, assonanze, sinestesie, emistichi, fa da contorno
a una poesia fortemente intimistica e filosofica. Ibi omnia sunt: nostalgia,
ricordi, saudade, verità nascoste, emozioni rivelate e sopite che danno forza e
significante e questa silloge, ai suoi componimenti di rara bellezza
contenutistica e verbale.
Nazario Pardini
Analisi
critica
L’autore,
Franco Donatini, uomo di rigorosa formazione scientifica, ma pur fornito di
vasta cultura umanistica, intende e ama la poesia quale frutto di riflessione
critico-intellettuale e di confronto ideale sistematico con le opere e con la
lezione morale di tanti altri scrittori, soprattutto contemporanei.È
d’altronde da tempo tramontato quel presupposto teorico caro all’estetica del
Romanticismo, secondo il quale l’arte sarebbe sinonimo di immediatezza
sentimentale, di schiettezza psicologica e di spontaneità fantastica e
risulterebbe tanto maggiormente riuscita e stimolante quanto meno complicata e
appesantita da costruzioni intellettualistiche. Pertanto,
l’autore di Sotto il senso del vivere dedica significativamente la terza
sezione del libro all’ascolto “ravvicinato” di alcuni poeti sul fondamento
della comune vocazione testimoniale della solitudine, di quella disposizione
mentale ed etica così intensamente rappresentativa della modernità.I
riferimenti costituiscono altrettante note di commento. Particolarmente
interessanti mi sembrano quelle relative alla sofferenza disperata, al “viaggio
visionario senza uscita” di Dino Campana:“Tu poeta vagabondo/ nel tuo straniero
mondo/ segno di profonda indifferenza/ di poeti e artisti del tuo tempo/
oggetto di violenza dello stato/ e di mancata comprensione del tuo male oscuro/
di chi doveva amarti” (A Dino Campana) e alla amarezza profonda, “coperta” da
superiore, sublimante ironia, di Guido Gozzano, in una rete di stringenti
richiami linguistico-letterari: “E già i capelli si son fatti radi/ e il mal
sottile disegna nei polmoni/ un bosco folto di intricati rami/ e la signora
vestita di nulla/ già si appropinqua lesta alla soglia” (A Guido Gozzano). Tuttavia,
il discorso intertestuale non è limitato alla sola parte programmaticamente
designata; altrove la strategia “allusiva” consta di spunti meno dichiarati
eppur palesi, come in una strofa della lirica Incastro perfetto, compresa nella
prima sezione: “Tendono all’oscurità tutte le cose/ lo fanno con estranea
indifferenza/ non chiedono né scusa né permesso/ si limitano a seguire il noto
ignoto/ irresponsabile percorso del destino”. È ovvio il rinvio alla nota
poesia montaliana Portami il girasole di Ossi di seppia (“Tendono alla chiarità
le cose oscure, / si esauriscono i corpi in un fluire / di tinte: queste in
musiche. Svanire / è dunque la ventura delle venture”), con un’implicazione
comparativa e interpretativa invero feconda: la concezione di Donatini appare
più cupa, l’accento si è fatto più duramente pessimistico, anche rispetto alla
sua raccolta poetica precedente, La solitudine del poeta (2021). Ai suoi occhi
la realtà naturale e la vicenda umana, sovente strettamente connesse attraverso
la figura della similitudine, si contraddistinguono per un intimo, incalzante
dinamismo, per un’inarrestabile mobilità, che condanna le esperienze della vita
a rapida consunzione:
“Voglio
coprirti di perle / luccicanti / come gocce di rugiada / scoprire / il tuo
corpo / come il sole del mattino sull’erba / sublima / il gelo della notte /
ascoltare il silenzio / dei nostri pensieri / che parlano / di sogni vissuti /
svaniti al risveglio” (Coprirti di perle);
“C’è
una cosa per ogni stagione / il bisbiglio d’un’umida rosa / lo sguardo fugace
che imprime / l’affanno d’una emozione / Migliaia di sorrisi svaniti / attimi
intensi dissolti / ricordi nel vuoto riposti / rancidi fiori appassiti /
L’ultimo sogno d’amore / svanisce nel tempo tiranno / si perde tra gli altri
l’inganno / d’un’assenza che sa d’impotenza” (L’amore fugge in silenzio).La
tirannide del tempo è nel suo trascorrere inesorabile, obiettivazione
emblematica del principio del πάντα ῥεῖ caro a Eraclito e ai filosofi antichi:
“Eppure eri tu/ quella che rompe il tempo / quella che gioca con me / che si
lascia prendere / solo un momento / e poi fugge / in un’altalena senza fine”
(Ho spento il pc).In
un’altra strofa di un testo già menzionato, Incastro perfetto, si legge
un’ulteriore riflessione di rilievo filosofico, questa volta di matrice moderna
ed esistenzialistica e specificamente heideggeriana:“Ci
perderemo anche restando insieme / non basta esserci per essere presenti/ L’assenza
è la realtà dell’esistenza / la molla del desiderio e del ricordo / è ciò che
resta vivo e non degrada”.Nella
catena indifferente e impietosa del divenire, produttore di incertezza, di
labilità etico-sociale e di grande precarietà sentimentale, ognuno dovrà
cogliere e, se possibile, godere di fuggenti attimalità: “Portami (…) dove il
vento / sussurra messaggi d’amore / e il tempo / rallenta la sua corsa / per
dilatare la nostra attesa / Stasera un raggio di sole / è entrato furtivo nella
mia stanza /…e ti ha cercato” (Portami), di momentanee situazioni positive,
sempre comunque in bilico, costantemente suscettibili dell’erosione e
dell’annullamento indotti da un ordine delle cose in continuo movimento, “in
fuga”: “Col corpo avvolgente / trattiene la donna / il fluire del mare /
Esausta l’onda si placa / Scioglie i corpi / la materia matrigna / perversa e
assente / chiude il sipario / Il mare continua / indifferente / il suo moto
perenne” (Come il mare).
C’è
pertanto di che rivalutare l’errore tragico di Orfeo, del quale lo scrittore
moderno rivisita con intelligente coerenza il mito, considerandone il
significato in forma nuova:
“Ti
sei voltato Orfeo / per un attimo di felicità / solo un attimo / in cambio
d’una vita / Hai colto quel fiore / tornato / di nuovo a sorridere al cielo /
rigenerato / dalla profondità della terra / Solo un attimo / per consumare una
breve illusione / per carpire / il fallace richiamo dei sensi / per fruire / un
istante di avara emozione” (Orfeo. Il senso sotteso del mito).
Il
linguaggio dell’autore è essenziale e diretto, con una prevalente
organizzazione paratattica:
“Fuggo/
il mistero dei tuoi occhi / hanno il colore del cielo / dei bagliori della neve
/ al sole appena sfiorito / cadono / frammenti di luce sul tuo viso / pallido”
(Il mistero dei tuoi occhi) e la complessiva medietà lessicale, pur in presenza
di un’accurata elaborazione formale-stilistica, come dimostrano, ad esempio, in
una versificazione generalmente caratterizzata dal verso libero, l’uso della
rima:
“Mi
difendo tra le ferite / che l’esistenza ha segnato nel cuore / Da lì oso
sbirciare / percepire il tuo splendore” (Proteso al sole)
“Le ferite ti rendono viva / sono le cicatrici
di un combattente / Sfidano il volto spettinato dal tempo / i raggi del sole
invadente / da cui vorresti nascondere negli occhi / i pezzi del tempo
trascorso/ Occhi ancora capaci di intensi bagliori / di languidi amori / di
sogni negati / di prezzi pagati” (Guardando il cielo),
o
l’impiego dell’anafora:
“Da sempre t’ho sognato…Da sempre t’ho
cercato…Da sempre ho sofferto” (Eri sempre con me),
dell’enjambement:
“Scende la notte sopra la città/ deserta piena d’ombre (…) Forme senza volto e
corpi / esangui / nel buio un bagliore / di lame un tintinnio / sinistro di
catene” (Fuori),
della
metafora:
“Ti
ho immaginato / fragile cristallo di ghiaccio / sul ramo d’un albero / rara
stella cadente / in una notte d’agosto / gemma fluttuante d’estate / in un
campo di grano / fugace favilla / danzante su una candela” (Eri sempre con me,
cit.),
nonché
dell’antitesi: “ Come il sole calante dietro i monti / rallentò il mio passo /
per fermare il tempo solo un momento / di questa vita avida di luce (…) E
mentre la sera si avvicina il cielo / pian piano si scolora / l’anima fugge e
una nuova stella / s’aggiunge schiva alla volta scura (Dolce amara compagna); “E
la sera cala / umida di tiepida rugiada / sul nido che protegge i nostri corpi
(…) Ma il nido si apre / e accoglie / smarriti sensi fiumi di parole (…) apre
cancelli chiusi / e scioglie i petali carnosi / del trepido bocciolo d’una
rosa” (Il nido).
La
correlazione antitetica “chiuso / aperto”, scandita spesso dalla congiunzione
avversativa “ma”, assume nei testi una decisiva funzione strutturante,
idealmente ordinativa, giacché esplicita il tratto contraddittorio peculiare
della vision du monde di Franco Donatini, il quale talvolta manifesta un moto
di reazione al doloroso ripiegamento pessimistico: “Non piegarti agli eventi/
non vivere tra foto ingiallite / Continua a osare / Cammina sull’orlo del
precipizio / senza cadere / Guardando il cielo…” (Guardando il cielo) ;
“Vuoto
il labirinto mentale/ niente trattiene il corpo che sale / Ma l’anima resta giù
nella caverna/ incatenata cerca un punto / da dove ripartire / dalle ombre
fluttuanti / dai simulacri di pietra/ dalla luce accecante che viene da fuori”
(Ricordi);
“Eppure
il tuo sguardo eloquente / mi parla di tenere rose / di voglie segrete
dischiuse / fermate in un tempo già assente / Ma la bellezza non riesce a
svanire / nel corpo che vuole morire / nel liquido vuoto dei sensi / ti porto
in dono il mio niente” (Il mio niente). In
conclusione, prevalgono nello scrittore la coscienza infelice di un
insuperabile, pervadente senso del nulla, la consapevolezza di “muoversi in una
scatola di vetro / che non traspare e non riflette niente / solo la sua non
esistenza”. Sono versi del componimento Son forse un poeta?!, ove la ripresa
del celebre luogo meta poetico del “saltimbanco dell’anima” Aldo Palazzeschi si
risolve nella convinzione sconfortante della sostanziale negatività
dell’esistenza e della poesia, sottolineando il carattere velleitario e sempre
irrealizzato dei propositi, delle aspirazioni, dei desideri, che di questi sono
stati nel tempo ricorrente espressione:
“Il
vuoto è sceso finalmente / a invadere la dimora del poeta / a dimostrar che
esiste veramente / Fugge il poeta tra specchi senza luce / invano sogna di
trovar sé stesso / Ma sui vetri opachi della sua prigione / avverte che fu
inganno…l’illusione”
Floriano Romboli