In occasione dei dieci anni dalla scomparsa di
PASQUALE MARTINIELLO, è doveroso e bello
ricordarlo anche sul nostro blog. Il Comune di Mirabella è indeciso tra
intitolargli una piazza o il Liceo da lui fondato. Questo ricordo che la figlia
Luisa ci ha mandato in parte è stato pubblicato nel 2012 sulla Rivista Gradiva
negli USA, rivista che oggi non è più attiva. E noi commossi ci uniamo a tutti
coloro che ricordano questo grande uomo che tanto ha dato alla cultura e all’arte
della scrittura.
-A
dieci anni dalla scomparsa-Commemorazione del poeta Pasquale Martiniello-
“un
ricordo” da parte della figlia Luisa
Pasquale
Martiniello è nato il 20 gennaio 1928 a Mirabella Eclano, ove è morto il 24
febbraio 2010 trascorse la giovinezza fra lavoro nei campi e studio. Ha
frequentato il liceo classico. Si è laureato in lettere presso l'Università di
Napoli con una tesi su Giuliano d’Eclano, vescovo pelagiano e Agostino. È stato
Preside nella scuola media di Taurasi e di Morra de Sanctis. Ha insegnato negli
istituti magistrali di Lacedonia e di Benevento, nei due i licei classici e
scientifici di Pietradefusi e Passo di Mirabella è stato preside nei licei di
Vallata, Mirabella Eclano e Pietradefusi (AV). Ha organizzato nel 1967 un
“Movimento Giovanile”, inteso alla protesta e proposta per la soluzione di
vitali problemi per il paese. Ha promosso e realizzato nel 1969 l'istituzione
del locale Liceo Scientifico; nel 1970 l'introduzione nella scuola media
statale “Raimondo Guarini” dello studio della lingua inglese; nel 1973
l'istituzione del Liceo Ginnasio e di tre scuole materne e di un asilo nido;
nel 1974 ha realizzato l'autonomia del Liceo Scientifico; nel 1982 ha istituito
il premio nazionale di poesia Aeclanum. Ha partecipato alla vita amministrativa
sino a ricoprire la carica di Sindaco negli anni ‘ 70, sotto la cui gestione
furono realizzate varie opere pubbliche nel settore scolastico. Ha precorso i
tempi delle riforme e promosso con l'Associazione “Linea Eclanese”, a cui ha
dato vita, l'incontro annuale di un poeta premiato all’ Aeclanum con
gli alunni del locale liceo classico, i quali ne hanno studiato un'opera a livello
di analisi testuale sotto la guida della figlia Luisa. Da tale esperienza sono
stati pubblicati volumetti sulla poesia di Coppola, Luongo Bartolini, Crecchia,
Andolfi,ecc. Ha organizzato nel 1983 un Convegno su Giuliano d’Eclano con gli
interventi dei Chiar. mi Proff. Giovanni Polara, Antonio Vincenzo Nazzaro ,
Arturo De Vivo, Giorgio Jackson dell’Università di Napoli e della Calabria; una
giornata culturale nel 1986, “La disputa
fra Giuliano d’Eclano e Agostino” con l'intervento di A.V. Nazzaro, E Maria
Luisa Annecchino dell'Università di Napoli; la presentazione del libro
“Giuliano d’Eclano “di Marandino con l'intervento dell'On Prof. Gerardo Bianco;
nel 1995 la presentazione della mostra fotografica e del testo “Aeclanum” tra
archeologia e storia di Luisa Martiniello con interventi di Padre A. Salvatore,
Gianpiero Galasso, di Mons. N. Gambino e la dott.ssa Gabriella Colucci
Pescatore. È stato l'ispiratore e assertore del convegno internazionale,
celebrato nei giorni 4-6 giugno 2003 a Mirabella su Giuliano e l'Irpinia
cristiana. La pubblicazione degli atti è stata curata dal Chiar. mo Prof.
Antonio Vincenzo Nazzaro dell'Università Federico II di Napoli, oggi Accademico
dei Lincei. Ha fatto parte di giurie di concorsi poetici quale componente o
presidente. È stato socio di accademie e associazioni culturali: Accademia
Tiberina; Unione della Legion d'Onore; Associazione Nazionale “Poeti di
Cristo”; Accademia Internazionale Federico II; Centro Letterario-Artistico
Martin Luther King; Accademia Int. le di Pontzen; Accademia di Paestum;
Accademia Int. le di San Marco;
Accademia Int. le Lucia Mazzocco Angelone; Accademia di Scienze Lettere e Arti;
Accademia Parnaso; Accademia Culturale d’Europa; Accademia Partenopea;
Associazione Liberi Scrittori Italiani.
Numerosissimi i premi, nonché quelli alla carriera e cultura. Inserito
in antologie nazionali e internazionali, in Dizionari, è presente in Storie
della Letteratura Italiana e la sua poesia ha trovato spazio accanto a quella
di Sandro Penna, Ignazio Butitta, Vittorio Sereni, Franco Fortini, Andrea
Zanzotto. Si sono interessati alla sua poesia con prefazioni e recensioni nomi
noti della critica contemporanea.
Ha
pubblicato di poesia:
1976 Testimonianze Irpine, Editore Calabrese,
Lioni (AV).
1977 Verso il Giudizio, Editrice Ferraro,
Napoli.
1979 Esodo, Editrice Ferraro, Napoli.
1980 Il passo del sole, Premio editoriale, Edizioni
Presenza, Napoli.
1982 Lacrime sulla soglia, Editrice Ferraro,
Napoli.
1986 Vipere nello stivale, Editrice Ferraro,
Napoli.
1989 Il lamento di Gea, premio
editoriale–Monferrato ’89 – M.S.A., Vercelli.
1993 L’ora della iena, Editrice Ferraro, Napoli.
1995 I canti della memoria, premio editoriale-
G. Gronchi-Ed. Ibiskos, Empoli (FI).
1995 Le piste del tempo, Editrice Ferraro, Napoli.
1997 L’orlo del bicchiere, Editrice Ferraro, Napoli.
1998 Memoria e Tempo, Editrice Ferraro, Napoli.
1999 I lunatici, Editrice Ferraro, Napoli.
2000 Radici, Editrice Ferraro, Napoli.
2001 La vetrina, Editrice Ferraro, Napoli.
2002 Ossimori, Editrice Ferraro, Napoli.
2003 Il picchio, Editrice Ferraro, Napoli.
2004 La zanzara, Editrice Ferraro, Napoli.
2005 I ragni, Editrice Ferraro, Napoli.
2005 No munno spierso, Editrice Ferraro, Napoli.
2006 Occhio di civetta, Editrice Ferraro, Napoli.
2007 Le faine, Editrice Ferraro, Napoli.
2008 Il formichiere, Editrice Ferraro, Napoli
2009 Le cavallette, Editrice Ferraro, Napoli
2009 Aktίs, Editrice Ferraro, Napoli
Ha
pubblicato di saggistica:
1997,
Nicolò Franco beneventano, Ipotesi di teatro di Giuseppina Luongo Bartolini, Editrice Ferraro, Napoli.
1998,
Zolle all’ombra (romanzo) di Maria Luigia Cipriano Poligrafica Irpina, Lioni
(AV).
Ha
curato antologie poetiche: 1990, “Il Città di Solofra”, Edizioni G. Guarini, Solofra
(AV) con V. D’Alessio;
2002,
“Il Ventennale dell’Aeclanum”, Editrice Ferraro, Napoli.
2009,
Giuseppe Giacalone, Pane e sale, Editrice Ferraro, Napoli.
E’
presente in antologie scolastiche e storie della letteratura italiana. Si
citano: Lettore / Scrittore, per una didattica modulare della letteratura
italiana ‘900,di E. Magliozzi, C. Attalienti, G. Cotroneo, M. Gallo e E. Massina,
Fratelli Ferraro Editori,Napoli,2003,pp. 558-563. L’identità del testo, Tomo
XII, Le esperienze letterarie contemporanee per una didattica modulare, diretta
da Giuseppe Giacalone, Fratelli Ferraro Editori, Napoli,
2004,p.478;pp.481-483.Spazi e Testi, Novecento,
Tomo B , EdizioneVerde, di E. Magliozzi ed altri, Fratelli Ferraro Editori
,Napoli,2005,pp.1294-1299. Il costume letterario, vol.VI, pp.672-676, Fratelli
Ferraro Editori, Napoli, 2009.E’ nell’Atlante Letterario Italiano, Editrice
Libraria Padovana ,2007 /08, pp.211-217;
in dizionari e antologie. Si citano: Poesia /Non Poesia /Anti-Poesia del ‘9OO
italiano; L'altro Novecento, vol. III, La poesia etico-civile in Italia;
L'altro Novecento, vol. IV, La poesia etico -religiosa in Italia; L'altro
Novecento, vol. V, La poesia centro meridionale e insulare; L’altro Novecento, vol.
VII, La poesia “impura”; L’altro Novecento, voll. VIII e IX, La poesia
“onesta”, di Vittoriano Esposito, Bastogi, Foggia. Antologia della Poesia
Contemporanea, Editore A Lalli, Poggibonsi (Siena). Poeti Irpini nella
letteratura nazionale e regionale, Accademia Partenopea,’93. Scrittori Italiani
del II Dopoguerra, La Poesia Contemporanea,’97 e "Letteratura
Italiana", voll,2,3 e 4, Editore Miano, Milano. Dal pensiero ai segni, di
D. Cerilli, Bastogi, Foggia. Litania del nome azzurro-Poesia religiosa
italiana, di Teodor Capota, Editura Dacia ,1999, Cluj-Napoca, Romania. La
pratica della Letteratura, vol.2, Novecento, di Giuseppe Giacalone, Fratelli
Ferraro, Editori, Napoli,’97.La soglia dell’esilio, di A. Contiliano, Prova
d’Autore, Catania. Poeti in Campania, di G. Battista Nazzaro, Marcus Edizioni,
Napoli 2006; Poeti del Sud, vol.2, di
Paolo Saggese, Editore Elio Sellino
,Avellino. Letteratura Italiana, Poesia e Narrativa del secondo Novecento e
Testi, voll. I e III, di Lia Bronzi, Editrice Bastogi, Foggia; Critica
Letteraria del Nuovo Secolo, di F.M, Maggi ,LatMag Editore,2008.
Si
sono interessati alla sua poesia con prefazioni, recensioni, giudizi :G. Giacalone,
Ugo M. Palanza, G. Sanciro, E. Greco Genesio, G.P. Piccari, L. Pumpo, F. Giordano,
A .Di
Napoli, V. Napolillo, V.Esposito,M.Sovente,A.M.Moriconi,U.Piscopo,G.Raimo,G.Marzoli,A.Popoli,G.Panzani,G.D’Errico,E.Ver-dura,
G. Bàrberi Squarotti, P. Fabrini, F. D’Episcopo, A. La Rocca, M. Sipala, A. Quasimodo, A. Gallotta,
G. Spinelli dé Santelena, A. Ragni, R. Cammarata, R. Carifi, A. Iannaco, G. Di Spirito, S. Salvatore, D. Del Vecchio, V. D’Alessio, G. Giannini,
M. A. Iarrobino, F. Mannoni, A. Scarpa, F.
Di Zenzo, A. Crecchia, A. Iaccarino, S. Moffa,
G. Amodio, F. Bellomo, L. Bruno, A. Montano, M. Pierri, G. Salvemini,
D. Papetti, A. V. Nazzaro, A. Vegliante, M. Sessa, A. Saveriano,
D. Turco, G. Luongo-Bartolini, S.
Silvestri, G. Chiellino, C. Rodia, S. Tietto,
P. Colombani, L. Leon, A. Esposito, F. Rota, A. Finiguerra, F. Alaimo, S. Demarchi, F. Salerno, A. De
Francesco, A. Bonazzi ,G .Iuliano , R. Greco
, B. Andolfi, F. Mandrino, D. Moschella, R.
Rebuzzi, D. Monreale, L. Grita, F. M. Maggi, G. Pampallona, P. Matrone,
N. Di Stefano Busà, R. Tassinari, R. Agnelli, M. Razza, I. Villani, A. Coppola, O. Tanelli, N.
De Maina, N .Pardini, N. Iacobacci,
P. Saggese, P. Losasso, E. Diedo, O. Linguaglossa, G. Bava, M. Mastrangelo,
N. Carosi, G. B. Nazzaro, U. Vicaretti, L. Nanni ,P. Maffeo, P. Perilli, L.
Fontanella, G. Tedeschi, M.T. Epifani Furno, F. Buldrini, G. Ladolfi, S. Tartaglione,
S. Demarchi, R. Cerminara, G. De Rienzo, G. Anziano, C. Manzi, L. Alfieri
Medea, L. D’Ambrosio, V. Pardini, G. Napolitano, L. Selvaggi, E.
Concardi,E.Conti,E.Andriuoli,E.Davolio,L.Bronzi,A.Contiliano,F.Castellani, S. Gros-Pietro.
Antonio
Crecchia ha curato: L’evoluzione poetica spirituale e artistica di Pasquale
Martiniello, Editrice Ferraro, Napoli ,2007, pp. 272.
Antonio
Crecchia: AA.VV, Ricostruzione critica dell’opera poetica di Pasquale
Martiniello, Ed.ac, Termoli, pp.76; 2007.
Luisa
Martiniello ha curato: Pasquale Martiniello-La poesia nella scuola -Gli alunni
del Liceo Classico Aeclanum a confronto con il poeta, E.I.P.pp.100;2009.
Le
indicazioni non esaustive da sole danno un’immagine dello spessore artistico e
culturale di mio padre, che ha dedicato tutta la sua vita alla poesia.
Socievole nei rapporti interpersonali, severo con se stesso e con noi figli,
per la coerenza morale, educatore per scelta, ci ha insegnato a guardare con
spirito critico gli eventi,i mutamenti, ma soprattutto la realtà e a incidere su di essa costruttivamente e a
guardare avanti “con la faccia pulita” ,senza farci invischiare dalle parole
suadenti di personaggi posti a destra o
a sinistra in perenne contraddizione. La sua nascita ufficiale come poeta porta
la data del 1976,con la pubblicazione del primo libro di versi “Testimonianze irpine”, dopo un
anno con “Verso il giudizio” l’aspetto bucolico di questa terra cede il
passo alla ricerca delle cause della povertà endemica e si fa strada la
certezza che lo stato di abbandono e di emarginazione è dovuto a cause storiche
e umane ,alla cultura del menefreghismo e pressapochismo di chi ha il controllo
della cosa pubblica. Il Sud è la terra dove “la parola si falcia sul ciglio della gola” e “il nero delle vesti
soggioga il verde”. In “E siamo soli” è sintetizzato il senso di precarietà
e abbandono delle donne “dall’età
scolorite/con al petto croci e rosari/su una terra cappucciata di verde/avara
di nido/ove pure da vecchi si fatica e si sconta l’esodo, che spegne/ focolari
per approdi, nuovi di vita”. Con “Esodo”
si prepara la stagione delle opere fortemente impegnate negli ambiti
dell’esistenziale e del sociale e il suo linguaggio si fa sempre più aspro,
sferzante, martellante, impietoso. Di fronte ai grandi problemi elusi dal
potere, il suo grido vibra più forte, smaschera drammatiche verità, disagi e
malesseri che attanagliano la gente, fino a diventare nelle sue ultime opere
ribellione aperta contro ogni forma di ambiguità e inautenticità politica. La
sua poesia diventa diaristica registrazione degli eventi quotidiani. Appunta
versi accanto agli articoli del quotidiano, poi trova la parola tagliente, che
pungoli e faccia montare l’indignazione. In un mondo così disumano e alienato
si fa interprete del dramma mondiale in nome dei valori umani e affettivi che
riesce fino alla fine ad esaltare. ”Qui ,madre,
si muore nel freddo silenzio/…tra/una selva di mani senza calore”, esalta
l’amicizia come unico correttivo e valore positivo e dedica a questo tema versi
che hanno il sapore di una religiosità senza tempo e confini: “Amico è chi beve/al tuo bicchiere
rotto,/scola nei ritagli della sera /la fiasca, per te /spaccando l’ultima
goccia./ Si prende il tuo dolore,/mendicando piaghe di sventura”(Il lamento di Gea).La consapevolezza di
navigare in un mare di brutture lo spinge al recupero memoriale con “I canti della Memoria “.Si evince la
consapevolezza amara che indietro non si
torna, che è superata la religione dei padri , l’amore viscerale per la madre
terra, il divinare e quindi la memoria serve solo a dissodare immagini sepolte
nei solchi del tempo ,quando lui faceva col padre “paranza alle fatiche”. Ma più amaro è scoprire quanto siano
effimeri e transeunti i valori “artificiosi” attivati dall’uomo civile. Egli
non castigat ridendo mores ,ma è più propenso a fustigare che a perdonare ne le
liriche de “L’orlo del bicchiere” e dà voce all’intimità della sua coscienza di
uomo di sicura e salda fede quasi a voler cancellare la cruda realtà, dove è
spenta la fiamma spirituale sotto i colpi dell’egoismo, del materialismo
cinico, fautore di affarismi .Considerato un Giano bifronte, perché ha sempre
avuto uno sguardo al passato e uno al presente con “I lunatici” rivolge ancora il suo indice contro le iene, gli
avvoltoi, i lupi della politica ,denuncia il parassitismo intellettuale, le
sbavature della burocrazia, la diffusione sempre più ampia della corruzione,
dei vizi, della criminalità, dei falsi miti del benessere ad ogni costo ,del
piacere fisico. ”L’oro abbaglia e taglia
la radice fragile dell’anima”, ”Le
catastrofi morali sono più/rovinose di
quelle naturali”(Radici).Ne “La vetrina” l’indignazio è per la
miseria spirituale profonda che ha messo da parte i valori morali e culturali
per far spazio ancora una volta all’edonismo, all’arrivismo, al relativismo. I
sacrifici non pagano in quanto “Questa
società è da manicomio/Divista e pallonara s’infatua glorifica/emargina chi non
si lascia divorare /dalla fiamma del successo”. Qui con una versificazione
incalzante e tagliente ironia svela i nodi del degrado sociale politico e
umano: “Siamo un paese di parolieri/ e
fattucchieri appatentati / di innovatori e riformisti / con teorie nel
cassetto”. ”Da bravi atei teniamo la fiala d’acqua / santa sotto il guanciale e
ci segniamo /la fronte con croce quando il cielo allampa….la ruota incide anni
/che vanno al macero col vento e la vita paga i sudori con false /monete”.
Durissimo è con i politici che definisce “giocolieri/che
duettano con armi di pupari”. ”Ossimori” è dedicato “ai discenti di questa terra azzittita” che invita a “
mettere con garbo fuori/dalle aule le cicale monocordi/i non creativi/…/Vi
rendono passivi acritici/abulici e distratti come loro/giocati dalla vita”.
Egli è tormentato dalla sfiducia, analizzando i modelli fuorvianti. “Quanta nuvolaglia di mosconi/vive parassita.
E’ una palude estesa/dura ad ogni spray”. Vi sono denunce a sangue,
tracciati di partecipe umanità, segni di fede, coinvolge il lettore nel creare
un mondo nuovo e diverso, all’insegna del rispetto della vita e toccanti sono i
versi per il tragico 11 settembre ne “Le due torri gemelle” ……….//La ruota bendata
s'incaglia/inattesa e cambia il cuore della terra/il colore del cielo e il
giorno dell'uomo /Mattino dei cipressi /11 settembre 01, ore 8,45, USA /La Storia/cade su se
stessa aperte le macabre cantine/ rosari di massacri sgrana/ Muta occhiali carta inchiostro e penna/
L'antenna segnala il cambio del tempo”.
Da “Il picchio “ in poi si può dire che la sua poesia non assume nessun
valore consolatorio, ma speculativo, urticante, edificatorio, non ammette
repliche, si fa coscienza critica di un’epoca , di una cultura asservita,
impugna la spada della poesia e conduce con più vigore la sua crociata contro
la corruzione, l’egoismo, reclama una palingenesi delle istituzioni, della
natura, dei comportamenti, delle virtù e non a caso è stato posto ad esempio
per i giovani poeti nel Manifesto dei Poeti Irpini del 1997.Per i giovani aveva
creato una sezione nel premio Aeclanum,
per loro ha scritto testi significativi per metterli in guardia contro
l’arroganza ,i soprusi , le occulte manovre politiche, l’involuzione
comportamentale. Per loro auspicava un miglioramento attraverso lo studio ne
“La scuola”: Chi entra in me/con la sera,
/riparte/con lanterna di luce”. Si può dire che si sia dato un mandato
etico contro le devianze di una società rosa alle radici da mali esistenziali e
politici. Il suo risentimento non è contro il sistema politico democratico, ma
contro una casta rapinatrice, che specula, ammalia, fa demagogia. Egli invita a
guardare oltre il proprio recinto, la propria individualità, così la sua poesia
si affianca alla storia e s’accresce la
vis polemica ne “Il formichiere”
23esima raccolta contro i piragne della politica, della mafia, della camorra,
dell’ideologia del divide et impera ,della dialettica del gettare fango addosso
all’avversario, contro le promesse-ciance, le omelie infinocchiatrici, le
promesse accantonate una volta passato il turno elettorale ,giacché la politica
si rivela sempre più arte della menzogna ”la
vergogna va strappata dalle pagine/ della storia altra fogna del sangue/della
verità gridata e crocefissa: la casta degli imbroglioni che guazza in accumulo
di privilegi /d’oro/va appesa e fissa all’uncino dell’asta” o “messa in
pentola”. Lucida è l’analisi con cui rappresenta le bestialità che si
consumano ogni giorno dove è la logica perversa dei “briganti/satrapi drogati dal potere” e “anticristi portatori di
disordine morale/ di illegalità e violenza”. Poeta civile sempre agguerrito
guarda verso ciò che accade oltre la soglia e la storia presenta il conto delle
ruberie, si ruba “il bastone al cieco, al
bimbo il latte/al povero il sogno d’un tetto di paglia/al viandante la certezza
dell’arrivo/l’ala alla rondine postina di primavera”. Tutto va in malora, perché
“malata è questa terra di odi e
veleni/malata è la politica ultraciarlatana…/Malata la famiglia di svincoli e
fughe/Malata la società epicurea e obesa/malata la stessa fede di fumi e ceri/
di cattivo sego e zoppica larga di scarpe senza lacci”(La zanzara).Attuali da “ Il formichiere” le liriche
“Se crolla la borsa” e “Hanno
cilindri”che ho avuto l’occasione di analizzare con gli alunni del liceo
classico “Aeclanum” nell’incontro-dibattito tenutosi il 22 novembre 2008 presso
il teatro comunale di Mirabella Eclano .”Se
crolla la borsa si bruciano/gli averi
dei ricchi E’ loro/il mal di pancia Non
certo tanto/Non si sono mai scorticato il collo/o ferite o sdrucite le mani e
le piante/callose dei piedi Vadano allo
spiedo/le sostanze improprie Il povero
si/dispera al suono della grandine/La sua felicità divampa da un
tozzo/inzuppato in un bicchiere e dal succhio/di un osso spogliato d’un
coniglio/ selvatico Tira la vita rubando al tempo/le spighe dei giorni l’unico
oro contro/gli artigli della storia” - “Hanno cilindri mantelli per tutte/le
feste e canti per ogni stagione/E’ la moda di grilli cicale e quaglie/Una
realtà tessuta di reti e maglie/giostrate da notturni e abili pescatori/ E’
questa la migliore democrazia/fondata di fatto su disparità sociali/gestita da
clan di pupi e pupari genia /insolita e di prospettive avara/per giovani
intristiti di sogni e operai/precari
logorati da batticuori senza/steccati protettivi C’è un mondo dalle/tre facce l’una dei
danarosi e privilegiati/obesa e appollaiata su carrozza d’oro/con le chiavi del
paradiso senza dio/scortata da uno sciame di parassiti/l’altra che si arrangia
con impieghi /e si logora in miniere forni e officine/con paghe da ignobili
elemosine la terza/marcia nel sottobosco della frode con/lavori al nero
artigliata da miseria che/sillaba echi di sirene al sole degli scogli”.
Anche ne “L’ora della iena” possiamo
leggere il dramma dell’Italia delle ultime ore: “ Fiuta /l’ora la iena/Moribondo/giace lo Stivale/dai tarli del danaro
/cancrenato”. La lirica datata 1993
è più attuale che mai. Già ne “ I ragni”
lo spettacolo della cattiva politica aveva reso il ragno il simbolo del
tessitore per eccellenza, ovvero il predatore-manipolatore. ”loro-i grandi ragni - / carichi di mensa e
lievito di privilegi/hanno alta dignità da proteggere/Non conoscono il tormento
dei tarli/economici che rodono il pensiero e il fondo/della borsa della spesa e
fanno dura/e avara la mano dei cristi pensionati”. ”Catturano voti i ragni
rossi/e i miseri devoti restano /nel pantano paperi d’illusioni/acri”. ”Ala di poesia essere/dovrebbe la politica/la
sfida nobile delle idee”. In “Occhio
di civetta” questo uccello diviene metafora della saggezza malintesa, di
chi ha la funzione di assennato messaggero, di chi inneschi un processo di
demistificazione, è in definitiva il poeta- picchio che allarma, crea disagio
con le sue denunce di altre follie, di altre atrocità, di una società regredita
allo stato ferino, insaziabile, guerrafondaia. ”Qui c’è chi depreda/da una vita/succhia ingordo il sudore/degli
operai/toglie puntuale dalla busta/paga il pizzo per se stesso/Ogni domenica va
all’altare/Si genuflette riceve fra le mani/con faccia contrita l’ostia/magari
gli scoppiasse in bocca/come un petardo/Allora crederei al miracolo/Orrore mi
fa questo parassita/che nutrisce il suo gregge su l’erba/altrui Come sei lenta
o Pazienza/con la bilancia giostrata da toghe sonnacchiose”. Anche nel suo
ultimo libro edito nel 2009 “ Aktίϛ”
non
manca di volgere lo sguardo oltre il sé e denuncia la corsa al potere:” Appena possono/Si intanano come
anguille/Appena possono arpionano/il potere e della magra si rifanno/si
predicano onesti ma appena /in sella rubano cavallo e carrozza/Si augura un
osso di traverso nella /strozza”.
Nella sua produzione poetica
non c’è libro in cui non si avverta la presenza di Dio, visto non come Entità
astratta, lontana, estranea, che al compimento del ciclo vitale di ogni essere
pesa e valuta la gestione del suo dono per assolvere o condannare ,ma come
padre e madre, che vivono e soffrono, lottano e sperano, gemono, gioiscono,
cooperano per la nutrizione, la crescita, l’educazione delle loro creature. E’
lo stesso Uomo ,che subisce la crudeltà della storia, è la Sofferenza del
povero, il Pianto dei bambini abbandonati, il Sogno dei giovani ,l’Ardimento
operoso degli uomini onesti, la Mano che medica l’asprezza delle ferite
ingiuste, la Voce della pace che travaglia le coscienze sensibili, la Luce che
rimuove nebbia e foschia dalle menti perverse, il Sollievo nella solitudine del
cuore in questa civiltà così carica di
aggressività e falsificazione, la Forza dell’accettazione di ogni disumano
annientamento ed eccidio. Dio è il deportato, il brutalizzato, l’annientato nei
campi degli stermini nazisti. Vedasi la poesia “Auschwitz” in “Memoria e tempo” del 1998 in cui Gesù,
tradito, deportato, fiaccato dalle lunghe fatiche, roso da malattie, uomo
cavia, patì la fame ,il gelo, l’ingiuria delle brache; mostrò più volte agli
aguzzini il torace scarnito dai digiuni, le natiche di cartapecora, le cosce
esili d’un pettirosso e fu reso prima di entrare nella camera a gas incapace di
gridare e soffrire .Fu reso ombra anonima tra miriadi di ombre lacerate,
fotocopie della rovina della specie, ma fu anche la scintilla che sulle costole
della morte accese la vita, la nuova alba, dando all’erba il colore naturale
perso, il profumo ai fiori ,il sapore al vento. Gesù è il bambino nato, che
divide il suo corpo e dona i piedi al bambino mutilato del Kosovo, il cuore al
pastore afgano falciato con il suo gregge, sperso in polvere dalle bombe, gli
occhi alla giovinetta accecata da granate al fosforo, le gote alla donna
ribelle al burqa sfregiata dai talebani, il sangue ai feriti di fede ignota, le
mani alla nonna contadina, spezzate da una mina(Natale ,Ossimori,2002)Il rapporto con Dio e i Santi è un continuo
colloquio, talvolta drammatico ,conflittuale del credente ribelle ai mancati
segni, a punizioni esemplari, correttive. La stessa Madonna è concepita più
umana che divina, più vera madre carnale che un’idea di luce, più sofferente
che lenitrice, che perdona per una rosa al suo cuore trafitto da tanti aghi e
spini santi. Educato e cresciuto nella semplicità dei sentimenti, nella
frugalità, nel rigore etico della civiltà contadina per la quale, come era
solito dire, fare del bene non costa nulla, nel culto della parola data,
nell’osservanza dei precetti religiosi, nella pratica dell’altruismo, nella
condivisione delle privazioni e delle taciute ferite, subite per la violenza
degli elementi atmosferici e sopportate con patita indignazione, mostra
insofferenza contro il predicatorio, la vistosità scenica ,la pastoralità
spettacolare, la morte della fede autentica, il cinismo del cristiano, lo
sgretolamento lento della famiglia, la crisi della scuola, i sacerdoti senza
Vangelo ,le lucerne spente o distorte degli intellettuali, i seminatori che non
curano i germogli per l’oggi, le piante per domani, i semi per un fruttuoso
futuro. In “No munno spierso” anche i danni atmosferici
vengono accettati dalla comunità rurale con serena accettazione e suonano le
massime di un mondo perduto, ripescato nella memoria e fatto rivivere nel
dialetto degli anni ’30.Si benedice il tozzo di pane :”Ràzia a Ddio ca immo fatte sta mmerenna puro/sta mmatina(Grazie a Dio
che ha concesso /di far merenda anche questa mattina) .“Quanta ote immo preato
lo Patatwerno/ca firnisse re chiove ma nu nci àie senduto/Puro Isso tene re
rragione soie/Se troppe t’allamiendi faie puro peccato/A Ddio no s’accommanna
no le lo puoie passà nnanze(“ (Quante volte abbiamo pregato il
Padreterno/perché facesse smettere di piovere ma non ci ha /ascoltati Pure Lui
ha le sue ragioni/Se troppo ti lamenti commetti pure peccato/A Dio non si danno
ordini non puoi contraddire /la sua volontà). Per il suo ultimo Natale
l’editore Luigi Ferraro gli portò in dono la prima copia stampata della neonata
“Storia e Testi della Letteratura Italiana e straniera: Il costume letterario”
a cura di Bonora-D’Alessio-Di Rocco-Sacco. Alla pagina 672 del VI vol. con
Giudici, Volponi, Bertolucci, Betocchi, Giacalone figura papà e a sugellare il
suo ricorso alla fede, all’attesa di un intervento soprannaturale, tanto più
accorato, quanto più la società degli uomini mostra le sue storture, l’omaggio
della poesia “Pane di luce”, che mio fratello Alfonso Roberto ed io abbiamo
scelto anche come dono agli amici nell’immaginetta ricordo. ”Pane di luce Signore/Qui/il provvisorio è
regola di vita/e la parola/ha il succo di cicuta/La ricchezza
improvvisa/accende illusioni da vetrina/e nelle mani spesso insanguinate/si
porta la facile rapina/Manca il timore della Croce/e agli occhi/la bilancia che
ci acquieti/Impauriti/dai ragni della sera/siamo punti d’un secolo malato di
veleni/In questa scurìa da lupi che ci affonda/càlaci corde di sole”.(da Vipere nello stivale,1986)La data della
poesia propone (e giustifica) immagini di una società stretta nella duplice
morsa del terrorismo e della corruzione morale e politica. La poesia, diceva, insegna
a conservare la dignità contro servilismi e baciamani. La sua è una voce
poetica internazionale, feconda, originale, innovatrice delle strutture
stilistiche e linguistiche, coeva, sempre attuale per densità ed eterogeneità
di contenuti: dall’infimo al sublime tragico, dal fisico al metafisico. Ai
giovani che gli chiedevano di parlar loro di poesia così rispondeva….. “Non
può affatto la poesia usare il linguaggio dell'omologazione, del consumismo,
del conformismo; dev' essere fuori dal poetichese e dal politichese. Il
linguaggio dev'essere costruito da ogni poeta ed essere ambiguo e polisemico,
ardito nelle figure. Perciò è poeta chi
sa creare immagini nuove e vive; sa dare alle parole dinamicità, forza e peso e
rendere l'atto poetico una creatura fisica, concreta, che respira, parla e
coinvolge e scoprire relazioni più impensate fra le cose e gli oggetti più
distanti ed estranei . Non si può giocare su rielaborazioni imitative velate o
camuffate. L'originalità è creazione specifica
inimitabile, che può essere data da forte estro, vigore di fantasia,
possesso di mezzi tecnici e capacità di
vista lunga e di ascolto profondo, penetrazione e attraversamento, non
consentendo nel proprio territorio presenze improprie; un consiglio umile è questo: resistere
all'addomesticamento del pensiero poetico in una società del tutto omologata,
che snatura, trucca, falsifica, svende ; essere fuori da ideologie che
imbrigliano l'intelligenza di una diversa lettura o decifrazione delle cose del
mondo e del tempo presente; riportare l'uomo al centro della vita , quell'uomo
cacciato dalla moda dell' "usa e getta", e reso cosa ,oggetto, merce;
non farsi assorbire dalla globalizzazione, affermando con forza il
"particulare" come luogo di identità, di soggettività, di essere
altro come elemento di ricchezza specifica nella comunità; sapere usare la
parola che è il mezzo più potente che
pensa il mondo e si pensa nel mondo e credere nella poesia la sola capace di
libertà e autonomia, la sola che non conosce patti o compromessi per fini di
utilità o di mercato; la sola che non conosce inchini e ossequi, perché essa è
l'uomo senza aggettivi ed è quella che se non modifica la storia, il mondo,
almeno è voce ,sostegno, conforto,
medicina che aiuta a vivere e a scoprire la propria interiorità e a gridare in
silenzio contro ingiustizie e prevaricazioni, essendo il silenzio la paura più
terribile che possa inquietare il potente. “
P.S.
La poesia che mi è più cara è tratta da “Lamento di Gea”, “Monferrato”,1989,perché
sintetizza un secolo vissuto dalle donne
di famiglia, divise tra sacrifici ,lavoro e silenzio, che come tutte le donne
del Sud, trovano negli studi delle nipoti il riscatto.
Donna,
ieri e oggi
Mia
nonna era una cavalla da trotto,
senza
calèsse, con denti schiodati
e
alito d’aglio:
Serva
di cucina e stalla, mai sazia di sonno,
era un
condottiero nei campi
con
vanga senza gloria.
Con
fede e fatiche anche dalle ortiche
cavava
olio e nelle pause, rare di riposo,
balbettava
col rosario.
Non
diverso lo scenario per mia madre,
analfabeta
per stirpe.
Mi
sembrava una serpe vogliosa di sole;
si
cuciva con il lavoro e il sacco del giorno
riempiva
di silenzi e d’amore.
Brillavano
negli occhi le parole
quando
impastava la farina d’oro,
poca
per la fame di noi pulcini vagabondi.
Il suo
sapere era di spiccioli di favole
con
fatine e regine…fioriva il viso
della
loro felicità.
Ancora
giovane lasciò il cuoio della vita
con il
sogno del mare, senza imprimere orme.
Fosco
e crudele, ieri e oggi,
con la
donna, il mondo! Anche le mie sorelle,
battezzate
con scarsi spruzzi di cultura,
sono
tuttora mule di trappeto.
Girano
la macina del giorno con bocca chiusa
e
occhi aperti a cruna d’ago, arsi di calura.
Sulla
lingua il sapore del pane,
che ha
l’amaro del tabacco, nel cuore le ferite
di
bugie dei chiari di luna.
Mia
figlia, uscita dal recinto dei ciechi,
con il
latino e il greco ha rotto le catene.
O
gabbiano di luce, pari sono i piatti della bilancia.
Non
uccidere nella donna la madre, se ora tu voli
per
cieli lunari o acceleri le ali al canto
del
motore sulle lunghe e nere fettucce di lumaca.
Io
godo del sale della sapienza, che tu esprimi
nei
segni che fanno umana la pietra.
Molte
sono le liriche dedicate alla sua terra irpina, ma una, in particolare, apre lo
spaccato di quelle dedicate al terremoto del 1980 e in dialetto.
La jastema
Se
pozza capotà lo munno
sott’en’ncoppa
e
spezzecà li sande
ra re mmure
S’àdda
sterrà sta càsera
ri
pizzienti
e
squaglià sto ciero ‘e rama
S’àdda asseffonnà
sta
terra sembe mberucchiuta
Laùri
còmme na rannata
T’appicci
e scàuri ll’anema
e nnu
nte truove maie
Accussì
fatìe fatìe pe n’annata
pe’lo
reaolo re furmicule e ll’animali
Mo la
orea mo n’ajelama mo na jazzaneta
mo no
cauro ’e furno ca t’abbrucia
Quanno
lo pataterno s’attacca li cauzune
no’
ncare na
stizza manco se la pave
a piso
r’oro E sse no’ ncchiove còmete
‘uoie
arreparà? A ‘la raccoveta
le
caraune te vire sulo mmano
Canda
cecàra inda sta jornata! Sto scuorcio
a cuoddo còmme nu juorno se ne vace
E ttu
nu nzaie còmme sape nu mùzzeco re pane
e
comm’è ncauruta ll’acqua ca te bbivi
Pozza
venì a ttremà na bbona ota Ammeno
quann’à
muort (o) t’accuiete pe’ na vita
Passa
l’angiolo nievero e rice : Ammènne
Se crolla la borsa
Se
crolla la borsa
si bruciano
metaf. del verbo,anastrofe ,sineddoche
gli
averi dei ricchi E’ loro* *enjambement anastrofe
il
mal di pancia Non
certo tanto metafora sinestetica
ellissi del verbo
Non
si sono mai scorticato il
collo ellissi del soggetto sineddoche
o
ferite o sdrucite le mani e le piante* metonimia
callose
dei piedi Vadano
allo spiedo* metafora
le
sostanze improprie Il povero si*
dispera
al suono della grandine
La
sua felicità divampa da un tozzo*
inzuppato
in un bicchiere e dal succhio
di
un osso spogliato d’un coniglio*
selvatico
Tira la vita
rubando al tempo* ellissi del soggetto +metafora
le
spighe dei
giorni ° l’unico oro contro*
° sineddoche
gli artigli della storia umanizzazione
(da Il Formichiere)
componimento
polimetro-versi liberi
parole
tronche verso 7(si)
piane
vv.2,3,4,5,6,9,10,11,12,13
sdrucciole
vv.1,8
rima
interna vv.4,10,11
assonanza
tonica vv.1,10 (bruciano-succhio: rima assonanzata)
assonanza
tonica vv.2,4,9,13,14 (loro-collo-tozzo-contro)
consonanza
vv.3,5,13 (tanto-piante-contro)
consonanza
interna vv.6 (piedi-spiedo)
assonanza
a fine verso vv.4,9,13 (collo-tozzo-contro)
rima
interna vv.5 (ferite-sdrucite)
assonanza
interna vv. 4,10,11 (scorticato-inzuppato-spogliato)
consonanza
interna vv.11,14 (coniglio-artigli)
assonanza
interna vv.12 (tira-vita)
Pronosticando
la crisi finanziaria protagonista di questo periodo, il poeta con tono critico
e realista pone in antitesi le conseguenze per gli azionisti e la gente comune.
La metafora del verbo “si bruciano” nel primo verso, riferita agli averi
accumulati dei ricchi, rende ben chiaro in che modo possono esaurirsi
all’improvviso. Significativa è l’anastrofe “E’ loro il mal di pancia”, accentuata
dall’enjambement, per evidenziare il dolore che in questo caso riguarda solo i
ricchi. Si tratta di una delusione e di una perdita relativa, perché non hanno
guadagnato col proprio lavoro (non si sono mai scorticato il collo o ferite le
mani e le piante callose dei piedi vv.3-5). Ma l’emistichio del v.3 “non certo”
è un forte avvertimento che tale crollo può avere sul piano socio-economico. Il
danno non è solo dei ricchi, ma sarebbe per ricaduta gravissimo per la
stabilità occupazionale e sociale. Il poeta fa trapelare anche la gravità
dell’impatto che ci sarebbe per tutti i lavoratori e per tutto il mercato.
Sarebbe un disastro collettivo, perché ci sarebbero la chiusura delle
fabbriche, il licenziamento degli operai, il costo elevato di tutte le materie
prime, ecc. Trattandosi di “sostanze improprie” i beni dei ricchi vanno allo
spiedo (metafora), conseguenza verificabile per coloro che basano la propria
attività sulla speculazione. Diversa è la disperazione del povero contadino, che
dipende dagli eventi metereologici non prevedibili e controllabili. La sua
felicità si riscontra nel “tozzo inzuppato in un bicchiere e il succhio di un
osso spogliato d’un coniglio selvatico” (vv.9-12). E’ costretto a “tirare la
vita” (metafora) con sacrifici e sofferenze, perché sbarcare il lunario è
faticoso e non sempre possibile. Queste realtà di vita agli antipodi tra loro
sottolineano le ingiustizie che ricadono sulle persone più povere per
meccanismi, di cui loro non sono nemmeno a conoscenza, gestiti dagli artigli
della storia “metonimia”, vittime di coloro che speculano senza faticare.
Rotte
le pastoie
Rotte le pastoie di metrica
metafora
e rima
abbonda d’anarchia
anastrofe
la
poesia Un vero
diluvio ellissi del verb allitterazione iperbole
di versi di gente
persa dietro
sogni
di vati e menestrelli
Si
bussa ai cancelli di
editori espressione
sinestetica
che
accendono l’esile speranza sinestesia
fredda degli allori Non disapprovo
a patto che questa marea di voci deittico
sinestesia
sia il vero depuratore di questa
cloaca a cielo aperto Scommetto
il
taglio della lingua se in poesia
anastrofe
nostrana ci sia il coraggio di gridare
contro
pastori di poltrone e gregge metafora
in pascoli abusivi I musivi hanno
per
madre il latte di luna e la cecità metonimia
sul
tragico del giorno La più grande
menzogna
è tradire se stessi curvi
all’ossequio
del giogo intrugliando metafora del
verbo
sciroppi zuccherini fra incensi
muffiti
lungo
la funivia mafiosa diretta alla
rupe del Parnaso Chi ha naso
avverte
da
lontano odore guasto di cantina
Il poeta, nel tentativo di salvare una propria
autonomia, non può inginocchiarsi ai potenti e limitarsi a veicolare messaggi
irrilevanti per la collettività. Essa, invece, deve pretendere l’esercizio
nobile della loro arte. È amara, in questo caso, la constatazione dell’autore:
manca in molti cantori moderni la volontà di dedicarsi al proprio compito,
prevale la scelta, più agevole, di rifugiarsi nell’alveo protettivo dei
potenti, dei “pastori di poltrone”. Le contraddizioni tra poeti nobili e
l’atteggiamento servile emergono chiaramente dalle scelte stilistiche. Nel
termine “musivi”, eredi delle muse, riecheggia una condanna. Le accuse sono di
tradimento e rottura di quegli stretti vincoli, le “pastoie”, che delineavano
con chiarezza l’autonomia della poesia dall’ingerenza dei potenti, provocata
oltrepassando il naturale confine tra rispetto e servilismo. Un’immagine creata
dal poeta, che ben raffigura la situazione, vede schiere di letterati “lungo la
funivia mafiosa diretta alla rupe del Parnaso”. Il poeta nuovo, dunque, adotta
nei suoi versi un carattere encomiastico, al solo fine di ottenere vaghi fumi
di gloria. Al buon lettore: la possibilità di discernimento.
E’ corsa per il
potere
E’ corsa per il potere metafora anastrofe sinonimia
per
il regno dell’ego sum sintagma latino:esaltazione dell’io esistenziale Tutto si svela anche il più metonimia:tutte le ambizioni intimo
vissuto Esplode la anastrofe
+metafora del verbo necessità di uscire dalla metafora:forza
incoercibile
camera oscura e farsi luce sineddochemetafora:labirinto,
espr. ossimorica per
l’occhio sensuale dell’ uomo sineddoche
uomo assatanato Non c’è più
freno né cuore
né amore
(=ostacolo, ..umanità, ..rispetto) né
fede Si stravede per il piacere espressione sinestetica del dominio della scena
per l’
egolatria
che non cede a scanno di
seconda* fila Eva la bella rovinò il
mondo Volle esser prima
e non metonimia
antitesi
seconda* Eppure qui nulla dura *anafora deittico
Siamo
soffio di primavera e malato sinestesia + sineddoche
+antitesi autunno presenze vacue
fumo nuvole climax ascendente giocate e straziate dal vento
Cenci ossimoro metafora: destino di
nebbia scoloriti a svanire in albe
di lampare
(si immagini l’uomo morto fra ceri che palpitano come lampare; dalla brama di potere all’inconsistenza dell’uomo)
Componimento
di 20 versi liberi.
Assenza
di punteggiatura
Parole
tronche vv.2,3,4,7,8,11,13,14
Piane
vv.1,5,6,9,10,12,15,16,18,19,20
Sdrucciole
vv.17
Molti
enjambement
Rima
interna v.9 (cuore-amore), v.10 (vede- stravede)
Rima
assonanzata vv.13,14 (secondo-mondo)
Assonanza
interna v.10 (stravede -piacere), v.15 (nulla-dura)
Tema centrale è l’egocentrismo, la sicurezza
di poter fare tutto da sé. L’espressione latina, nel secondo verso “ego sum”
sottolinea la prepotenza dell’uomo, convinto di essere al centro di tutto.
Numerosi gli enjambements, per dare maggiore importanza alle parole iniziali
nei versi successivi. Ricorre l’asindeto. Nei vv. 8, 9,10 troviamo l’
enumerazione-climax, usata per evidenziare la mancanza dell’amore, della fede, in
un mondo che ricerca solo e soltanto il potere. La metafora nel
sesto verso “dalla camera oscura” fa intendere che un po’ tutti gli uomini
cercano di uscire dal labirinto interiore per cercare la luce, la razionalità
dei propri sentimenti, la disciplina delle istintualità. Al v.7, attraverso un’altra
metafora “occhio sensuale” si evince
l’importanza per l’apparenza, infatti al
v.8 verso, l’uomo è definito
“assatanato”, termine significativo, perché la nostra società è alla ricerca spasmodica della ricchezza e
del potere, vive all’insegna dell’apparire, si fa abbagliare da esempi
sbagliati, anche in TV, su internet, bombardare da programmi che presentano donne-oggetto, che pur di raggiungere un obiettivo, la
fama, “vendono” il loro corpo. Al v.13 l’autore
utilizza l’antonomasia “Eva”, opera un rimando, parlando della prima donna che
è stata generata e che a causa del suo egoismo rovinò il mondo dando vita al
peccato. Fa quest’accenno, proprio perché lei (Eva) non è riuscita a resistere
alle tentazioni, voleva essere la prima e non seconda, come dice il poeta e,
quindi, rappresenta un po’ tutti noi che abbiamo gli stessi difetti. Ai vv.16 e
17 il poeta si serve della sinestesia per dare maggiore rilievo a ciò che
siamo, “soffio di primavera e malato autunno” nonché dell’antitesi, perché trascinati
da ciò che “l’esterno” ci propone, siamo diventati “malati” e non riusciamo a
ribellarci a chi ci sfrutta. Impiega anche la climax ascendente al v.17 per
accentuare l’intensità espressiva e ricordarci che la vita è breve e non
bisogna perdere l’opportunità di viverla al meglio.
Auschwitz
Da qui Dio fuggì deittico metafora: luce, vita,
misericordia, pietà
e il criminale sineddoche: metafora
dell’angelo nero
costruì l’alveare
dell’orrore
Qui Gesù /tradito/fu deporta deittico e
anafora metafora: simbolo dell’umanità, dei
deportati
Fiaccato dalle lunghe fatiche/
roso da malattie/ fu uomo cavia
Qui patì la fame/ il gelo/
l’ingiuria climax discendente
delle brache
/Mostrò più volte agli aguzzini sineddoche
il torace / le natiche /le cosce esili climax
e fu brustolato
prima di entrare rotacizzazione
nella camera a gas e reso incapace l’agg. indica la
disumanizzazione
di gridare e soffrire/ Il dolore / scintilla sineddoche:
disanimati, perché il dolore è difesa, simbolo di vita
divina /accende la vita /Il pianto stagnò metafora del verbo
nel nodo della
gola /Solo ricordò come
metafora: indica l’impossibilità di respirare
in nebbia di sogno la scritta luminosa
in alto sul cimitero
dei semi-vivi eufemismo-metafora
ossimorica
“IL LAVORO RENDE LIBERI”! metafora della
morte
Lui capì la metafora e tacque /Altri
si facevano Giuda illusi a tenersi il sole
e tradivano per un sorso
d’acqua / un tozzo/
una
cicca e carriera facevano lungo la scala
del terrore / I perni battevano
dell’angoscia
sul cuore dei
bimbi /delle donne / dei vecchi/ enumerazione
già fotocopie della morte /Qui nel calice
della follia ronzò
la ferocia dei mastini/
Snaturò il colore dell’erba / il suono della
parola/
il sapore del vento / Gesù fu ombra nelle ombre
/
Fu sera cieca / Non
lasciò attese d’albe /non segni iterazione
di ritorno /La sua scheda fu consegnata a
sinistra
e andò con larve di radici / La mano pose
sulla fronte di un cristo /che rattoppava la
sua ultima
camicia ______________Auschwitz_____________
il tuo nome è una rossa
cicatrice di marea nel solco
deviato della storia (di Pasquale Martiniello da Memoria e tempo, Ed. Ferraro,
NA ,1998)
Auschwitz: regno di dolore, odio, depravazione
e più di tutto disperazione. Dopo quasi 50 anni dalla strage dell’olocausto chi
non ha nella mente le scene viste e riviste mille volte in tv di quei corpi
debilitati, gettati come sacchetti vuoti in fosse enormi, comuni, per negare
anche la sepoltura, ultimo tributo all’umanità che non era mai stato rifiutato
nemmeno ai più odiati nemici di guerra. Esseri privati della propria umanità, svuotati
della loro linfa vitale, sradicati da paese, casa, famiglia, traditi da
istituzioni, con fratelli diversi solo per etnia. Questo l’inferno più tetro,
senza nemmeno la luce della speranza di una liberazione. Varcare la soglia dei
cosiddetti “campi di riabilitazione” significa entrare vivi nell’antro della
morte, non fisica, ma spirituale, dell’anima, che è certo più brutale, perché
privazione dell’umanità, in un’attesa dolorosa della morte del corpo, unica via
d’uscita dal carcere, metaforicamente inteso come un alveare, fatto di strette
celle, luogo di reclusione per larve prigioniere in attesa dell’eliminazione.
Le api con il loro lavoro frenetico, derubato dalla mano dell’uomo, possono
essere paragonate ai deportati, anch’essi larve, umane però, in attesa di
liberazione, se non attraverso la morte, dello spirito, per volare via come
unica aspirazione al regno dei cieli, verso quel Dio impotente davanti a tanta
crudeltà e barbarie. Come ultimo gesto per tornare paradossalmente alle
prerogative della vita, perché se i carcerieri potevano privare le proprie
vittime delle caratteristiche dell’esistenza umana, non avevano certo il potere
di vietare loro di riavvicinarsi alla vita nell’ultimo estremo atto di
passaggio dalla sofferenza alla pace eterna, al sonno senza sogni per
l’eternità. “Il lavoro rende liberi”: certo una gran bella espressione, incitamento
alla laboriosità e all’espiazione di una colpa. Ma che colpa avevano commesso
questi uomini, donne, bambini, se non quella di appartenere a un’etnia diversa,
scomoda? A che scopo lavorare per gli aguzzini crudeli, superbi, tracotanti, rispettosi
solo di una razza, privilegio o spunto occidentale grazie al quale esprimere
l’odio, l’incomprensione verso gli altri e in fondo la paura del diverso?
Perché obbedire a dei criminali, certo deviati mentalmente per cui la vita
altrui dipende da una scheda, da un giudizio sommario e l’individualità della
vittima è cancellata da una stella gialla cucita sul petto o da un numero
tatuato su un braccio, un marchio per le bestie? E antisemitico non è solo
questo. Il dolore, il brivido più grande è senz’altro nella consapevolezza dei
tradimenti dei tanti giuda fratelli e falsi amici in pace, ma traditori e
pronti a vendersi per qualche agevolazione, per un momentaneo e parziale
benessere nei momenti di massima aberrazione di ogni sentimento, di
annullamento di ogni valore. Persino la natura perde la sua essenza e non
esiste più una visione della realtà per questi uomini, rinchiusi da altri
esseri umani, che per la loro depravazione non sono più uomini, che nel
tentativo di annullare l’altro, attraverso un continuo e crescente dolore
fisico e soprattutto attraverso un più profondo e indelebile dolore morale, hanno
distrutto anche il proprio essere uomini, degradandosi al livello di cani, semplici
mastini ringhiosi, propensi ad azzannare il “diverso”. Una follia collettiva
sembrò invadere le menti degli uomini, assetati di malvagità, di crimini e di
depravazione illimitata, priva di alcuna pietà, senza rispetto né libertà per coloro che provavano
ad opporsi al MALE ,che aveva conquistato il mondo. Essi venivano messi a
tacere, l’eco della loro protesta veniva cancellato col fuoco dei forni
crematori o con il gas letale. Quello che sconvolge certamente è che nonostante
l’esempio sia stato deplorato da tutti, l’olocausto ebraico non sia l’unico
momento di esasperata perversione, né sia stato un ammonimento per il futuro, ma
solo una fase storica studiata con riprovazione e angoscia, senza però tentare
di abolire il razzismo, inestirpabile dal cuore degli uomini e radicato nella società.
Anni novanta: scoperta di fosse comuni in Kosowo! Più di recente: gas nervino
per i Curdi da parte di Saddam! Dal punto di vista stilistico la poesia
presenta la mancanza di segni di interpunzione che, insieme con gli enjambement
ne accentuano il ritmo, tranne ai versi 11-12 ove il polisindeto rallenta la
speditezza, sottolineando l’angoscia del momento. Numerose sono le metafore
che, nella prima parte del testo, si richiamano alla religione e allo spirito
cristiano per indicarne l’assenza in questi luoghi. Il tono crudo e realistico
viene enfatizzato soprattutto dal ricorrere del suono aspro R e nel tracciare
un quadro d’orrore ha un grandissimi significato la climax “patì la fame /il
gelo /l’ingiuria “che può essere intesa in senso fisico discendente, poiché si
ha il passaggio dalla fame che uccide all’ingiuria che è solo morale, ma in
senso morale ha senz’altro un valore ascendente, perché è l’ingiuria che
distrugge lo spirito. Il fatto che la climax riguardante la sfera fisica sia
discendente e/o ascendente sottolinea l’importanza maggiore della morte
spirituale rispetto a quella fisica. Riscontriamo inoltre una sineddoche
“criminale”, che dovrebbe essere invece plurale e un eufemismo “semi-vivi”, che
attenua il concetto di dolore fisico e sottolinea la morte spirituale.
Luisa
Martiniello