Vi presentiamo la nuova opera di Maria Vittoria
Fiorelli e Alda Magnani: Racconti e fiabe
di Natale. Una avventura letteraria con cui le due scrittrici ci propongono
dei deliziosi quadri incastonati nei santi giorni di questo Natale: 22 fiabe,
11 di Maria e 11 di Alda: le prime 11 impreziosite da illustrazioni di Maria
Chiara Mossini; le altre dalla creatività vulcanica di Alda Magnani. Tematiche
che, adatte per grandi e piccoli,
ripescano valori e principi un po’ dimenticati in questo mondo convulso.
Fiabe che si sciolgono in un percorso narrativo
avvincente e convincente: una chiama l’altra con personaggi di fantasia ma che
tanto si avvicinano a situazioni reali. Fa veramente bene all’anima la lettura di
questo libro: riposa la mente e invita a pensare, a riflettere sul rapporto tra
fantasia e quotidianità. La piccola
Ester, La collana di semi, Storia di un asinello eccezionale, Natale a Borobò,
Nello angioletto birichino, Il Natale del miracolo, Realtà o sogno?, I piatti
blu, Notte di Natale, Pranzo di Natale, sono le fiabe della Fiorelli.
Natale ieri e oggi,
Dall’Antartide a Betlemme, Il mulino della Vergine, L’incredibile notte di un
povero asinello, Il Natale di trenta orfanelli, La danza della salvezza, Natale
in città, Il treno è arrivato, Villa benedetta, L’ultimo Natale, La pienezza
dei tempi, quelle della Magnani.
Uno stralcio della prefazione di Camillo
Bacchini:
Maria Vittoria Fiorelli e Alda Magnani scrivono
dunque queste pagine per grandi e piccini, e le scrivono a quattro mani, segno
d’un sodalizio di scrittura che proviene da lontano.
Fiabe, eppure in questi racconti la fantasia e
la fede – ma direi più la seconda che la prima – tendono a trasfigurare il
genere, facendogli perdere la bussola e, per così dire, destrutturandolo.
Com’è noto, la fiaba ha un suo funzionamento
intrinseco, i suoi leitmotiv e i suoi luoghi di riconoscimento. Se è facile
perdersi nel bosco, difficile è perdersi, soprattutto allo stato degli studi
attuali, nella struttura del racconto fiabesco, con i suoi schemi ricorrenti, i
suoi percorsi carsici – e pur ben segnati e mappati dagli interpreti –
attraverso e lungo le strade
delle culture popolare e letteraria: gli
strumenti per orientarsi ci sono tutti e così, una fiaba, per quanto rivisitata
o scritta ex novo, è facilmente
riconoscibile in quanto tale. Ebbene, qui,
direi piuttosto che siamo di fronte a un tipo
racconto diverso, che attinge sì ad alcune tradizioni della fiaba – come del
resto attinge alla favola morale – ma che nello stesso tempo
vuol prendere un più autonomo percorso. Certo,
gli animali parlano, c’è il senso del magico, ci sono esseri fantastici, come
l’uccello d’oro, c’è l’allontanamento da casa, l’attraversamento di un luogo
ostile metafora del possibile, e, via via, lungo un certo e assai diffuso cliché fiabesco, sino al lieto
fine. C’è pure l’idea del percorso di edificazione del personaggio. Tuttavia,
qualcosa non torna: il magico lascia posto al miracoloso, i personaggi e le
loro storie sono riconducibili non in piccola parte alle sacre scritture, cui spesso
alludono…
A voi la lettura della prima fiaba
del testo
La piccola Ester
Viveva in Palestina, più di duemila anni fa, un
gruppo di pastori. Ogni tanto questi uomini semplici si radunavano, con famiglie
e greggi, per qualche occasione speciale o importante, ora in un luogo ora in
un altro.
Abdia era uno di loro. Gli fecero una grande
festa quando sposò Debora e anche quando nacque Ester, la loro primogenita.
Presto la gioia per questa nascita si tramutò
purtroppo in lacrime.
Passavano i giorni, i mesi e la piccola mostrava
sempre più evidenti le sue numerose malformazioni. Si sarebbe detto però che le
doti intellettive fossero inversamente proporzionali alle imperfezioni del
corpo. Poiché, in genere, tutti sono più amanti delle apparenze che della
sostanza, coloro che l’avvicinavano erano più colpiti dai suoi difetti che
dalle sue doti.
All’inizio, diversi pastori avevano detto ai due
giovani sposi: “Abbiate pazienza!... Il tempo riuscirà a sistemare molte cose”.
Anche le donne, mogli e madri, sciorinarono
esempi a non finire, pur sapendo in cuor loro che poco o nulla sarebbe potuto
cambiare nel povero corpicino di Ester.
Erano evidenti lo strabismo, l’assenza di denti
nella sua bocca storta, svariate anomalie scheletriche. Le gambette, esili,
arcuate e di diversa lunghezza non riuscivano a sostenere quel corpicino così
ibrido. Tutte le prove compiute al momento opportuno per farle tentare i primi
passi, non produssero l’effetto desiderato.
Ora Ester viveva sdraiata su un vello di pecora
o accoccolata fra le braccia dell’uno o dell’altro dei suoi genitori. Spesso se
la passavano a vicenda come se fosse un oggetto qualsiasi, non per mancanza di
amore, ma perché ormai abituati a un certo automatismo, dal momento che in
famiglia non c’era nessun altro cui affidarla.
Tutto questo avveniva perché era accaduto
qualche cosa di peggio.
Come in tutti i tempi, anche duemila anni fa,
prosperavano le malelingue. I segreti passavano da una bocca all’altra a
velocità supersonica. Uno dei pastori aveva insinuato segretamente a un amico
la probabile causa dei tanti malanni di Ester: “Chissà mai che peccati avranno
fatto quei due perché Dio li abbia castigati mandando loro una figlia così
brutta e ammalata!”, ma aveva dimenticato di sottolineare quanto l’intelligenza
di Ester fosse più sveglia e pronta rispetto a quella di tante sue coetanee.
L’allusione fece presto il giro dei vari clan.
Piano piano, con le motivazioni più disparate, si finì per isolare l’intera
famiglia di Abdia e i tre rimasero praticamente soli ad affrontare ogni giorno
i loro gravi problemi. Ovviamente nessuno voleva contaminarsi a contatto della
loro presunta malvagità.
Quelle povere creature ne soffrirono molto. Non
capivano il comportamento che gli altri tenevano nei loro confronti. Anche se
soli e lontani dai loro simili, continuarono ad amarsi.
Ora Ester aveva compiuto tre anni.
Una notte in cielo non ci furono soltanto la
luna e le stelle. In un batter d’occhio, la volta celeste si riempì di luce e
di caotiche schiere di Angeli osannanti. Con parole, canti e musica,
annunciarono a tutti i pastori, compresi Abdia e Debora, che era nato il
Messia, si trovava a Betlemme e lì avrebbero dovuto recarsi per adorarlo. I due
poveri sposi obbedirono subito e la pace cantata dagli Angeli riempì i loro
cuori.
Abdia, che badava alle pecore, e Debora, che
teneva fra le sue braccia Ester ancora addormentata, dopo un breve cammino
solitario, si ritrovarono con il gruppo. Si accodarono timidamente.
Nessuno osò respingerli o fare commenti. Molti
anzi pensarono che non fossero castigati da Dio, se il messaggero celeste era
apparso anche a loro. Qualcuno cominciò a supporre di avere sbagliato
giudicandoli male.
Nessuno tuttavia avrebbe potuto immaginare i
pensieri di Debora, che, decisa a trarre vantaggio dalla nascita del Salvatore,
diceva tra sé e sé:
“Prenderò fra le mie braccia il
neonato Messia, gli chiederò di donare a queste mie povere braccia tanta forza
per far guarire Ester. Sono certa che mi esaudirà”.
Giunsero presto alla stalla. Era piena di luce e
circondata da Angeli festanti.
Debora, tutta presa dal suo progetto, fece un
gesto che ormai le era abituale, affidò Ester a chi l’affiancava, certa che si
trattasse di Abdia. Era invece la Madre del Messia. Maria, appena ebbe visto la
piccola, fu presa da grande commozione. Lei, obbediente in tutto a Dio, seppe
subito cosa avrebbe dovuto fare. Si sedette su uno sgabello di quelli usati di
solito dai mungitori e mise Ester sulle sue ginocchia. Mentre pregava suo
Figlio, accarezzava la piccola con tanto affetto materno.
Le sue mani scivolarono lievemente dal capo sul
volto, sul collo e su tutte le parti di quel povero corpicino malformato. A
quel passaggio, tutti gli organi della piccina recuperarono la loro armonia.
Ester, ormai sveglia, godeva intensamente di
quelle carezze.
Sentiva che tutte le sue membra diventavano
nuove e forti.
Debora intanto aveva atteso pazientemente il suo
turno per potersi avvicinare alla mangiatoia in cui era adagiato Gesù.
Maria mise in terra la bambina e le prese la
mano per ricondurla dai suoi genitori. Dovettero attendere un attimo.
Dall’altra parte della stalla c’era stranamente
un po’ di trambusto.
Debora, sicura di aver affidato Ester al marito,
era andata da lui per riprenderla. Abdia garantiva di non avere mai ricevuto la
figlia fra le sue braccia e i vicini ne davano conferma.
La disperazione di Debora fu enorme, ma di breve
durata.
Qualcuno le toccò una spalla e l’obbligò a
voltarsi. Allo sconcerto iniziale, poiché non conosceva la donna né la bimba
che teneva per mano, seguì il suo grido di gioiosa meraviglia. Ester, rinata,
anche se ancora un po’ traballante sulle gambette esili, fece una breve corsa
per gettarsi fra le braccia materne.
Alla gioia si unirono le lacrime di liberazione
non solo della madre, ma anche di Abdia e dei presenti alla scena.
La voce forte e sicura di Abdia superò il brusio
delle voci umane e del belato degli animali. Esclamò: “Il Signore è il mio
pastore, non manco di nulla. Gloria, gloria all’Altissimo!”
Un coro unanime rispose: “Amen!”