giovedì 29 agosto 2013

N. DI S. BUSA': ARTICOLO SU "LA SITUAZIONE DELLA CHIESA CRISTIANA"


A CHE PUNTO STA LA SVOLTA DELLA CHIESA CATTOLICA SUL PIANO ECUMENICO E STORICO

                                                di Ninnj Di Stefano Busà




La situazione della Chiesa cristiana sul piano liturgico, ecumenico è cambiata con l’avvento degli ultimi due Pontefici, ma il suo messaggio ancora oggi resta ancorato alla profonda crisi di fede che sembra attraversare in lungo e in largo tutto l’Occidente.
Cinquant’anni fa si apriva il Concilio Vaticano II, che avrebbe dovuto imprimere una svolta nel panorama della civiltà ecumenica.
Lo storico inglese N. Ferguson nel suo volume dal titolo Occidente: Ascesa e crisi di una civiltà (Mondadori, Mi, 2012) si pone l’interrogativo sul come una civiltà avanzata come la nostra sia riuscita a produrre un capitale enorme in fatto di ricchezza economica, politica, tecnologica, socioculturale, di come ciò abbia potuto contaminare con il vento della libertà e l’arbitrio del mercato azionario la forza produttiva del lavoro e dell’utile anche nel resto del mondo, cambiandone forse per sempre il profilo fisiognomico e strutturale.
La risposta sta nelle mosse o per meglio dire negli strumenti con cui l’Occidente si è fatto strada.
Esso lungo il corso della storia si è saputo organizzare per altre direzioni prospettiche allo sviluppo della società industriale tecnicamente più avanzata, per afferrare e competere in strategie monetarie e speculazioni finanziarie e intervenire nelle trasformazioni etico/socio/culturali del secolo che sempre più si sono allontanate dalla morale e dalla liturgia chiesistica.
Un reale sviluppo ha caratterizzato e improntato il cambiamento epocale andandosi a scontrare con la tradizione e il culto ecumenico sul piano liturgico. Impressionante e rapido è stato il cambiamento di rotta: la realtà si è andata sempre più orientando sui parametri dell’utilitarismo materialistico tralasciando altri valori insieme al culto della bellezza e della verità.
Oggi da più parti si leva un interrogativo sulle nuove problematiche che attendono l’umanità e la storia. Sapremo uscire dall’empasse? ritrovare valori e significati? L’accelerazione è stata repentina. In un trentennio o poco più si è passati dalla devastazione dell’ultima guerra al clima sfrenato e ineludibile del <tutto è concesso> senza remore, senza reticenze, un libertarismo sfrenato e senza regole si è insediato nelle coscienze facendo proprio il diritto di felicità, di utile, di pienezza, “illimiti” di una classe sociale che aveva assistito alla caduta delle speranza in un clima d’impoverimento delle risorse mondiali.
Oggi a cinquant’anni dal Concilio (11 ottobre,1962) le prospettive del mondo vivono una crisi profonda e ineludibile per la storia e per gli uomini i quali  subiscono le conseguenze di un disastro finanziario senza precedenti.
Il mondo è pervaso di ansie e di paure, il mutamento percorre strade inquietanti di guerre, fame e tribolazioni, il medioriente è un focolaio di sangue, le primavere arabe ne hanno versato molto.
Il postmoderno assume il volto tumefatto di un malfunzionamento epocale che sintetizza solo un pragmatismo e una tecnocrazia aberranti, poichè viene a scontrarsi con una totale sfiducia nel mondo e nelle parole e negli atti della Chiesa. La società disincantata non risponde più con la fede in Dio, ma con la perdita sempre più ampia di consensi verso la parola di Dio, nel rifiuto della condivisione dei suoi valori ecumenici e nella comunione degli insegnamenti liturgici. Lo scontro è tra civiltà, soprattutto oggi che la postmodernità viaggia sull’etere con messaggi di guerra e minacce nucleari. La paralisi è alle porte in ogni momento. La crisi antropologica va di pari passo con la crisi evangelica, si ripudiano i dogmi della verità liturgica per abbracciare fantomatiche insidie e la totale sfiducia nella Chiesa di Dio ne è un esempio.

Manca la volontà della fede, la teologia delle capacità di rapportarvisi, manca la vita volta al cristianesimo come stimolo verso l’offuscamento delle possibili cause di morte spirituale. Vi è in atto un ateismo teocratico che è stato per tanto tempo la base distintiva del Concilio Vaticano II in fatto di secolarizzazione. Il Dio biblico è andato scomparendo per dar vita ad una eredità di declino irreversibile che le lacerazioni in atto non potranno che aumentare.  

Ninnj Di Stefano Busà

mercoledì 28 agosto 2013

MEMORIAL PABLO NERUDA





MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE

Il reading poetico a tema libero è intitolato “Memorial Pablo Neruda” perché a distanza da quaranta anni dalla sua morte, vogliamo ricordarlo in una serata all’insegna della poesia.
L’evento è organizzato dall’Associazione Culturale TraccePerLaMeta assieme alla rivista di letteratura “Euterpe” e “Deliri Progressivi” ed è patrocinato dal Consejo Nacional de la Cultura y de las Artes del Gobierno de Chile.
Il reading poetico si terrà a FIRENZE nel pomeriggio di sabato 21 settembre a partire dalle ore 17:30 presso Libreria Nardini Bookstore sita in Via delle vecchie carceri (all’interno del Complesso delle “Murate”).

Ogni partecipante potrà leggere un massimo di sue tre liriche a tema libero che dovranno:
- essere di sua completa produzione;
- non superare i 30 versi ciascuna;

Si potranno leggere anche poesie in lingua spagnola.
Gli organizzatori provvederanno a intervallare le letture poetiche con liriche di Pablo Neruda, tanto in italiano quanto in lingua originale.

Le poesie –corredate dei propri dati personali (nome, cognome, mail, tel)-  dovranno essere inviate in formato digitale (doc o pdf) entro e non oltre il 15 settembre 2013 ad entrambi gli indirizzi mail degli organizzatori:
Lorenzo Spurio - lorenzo.spurio@alice.it
Annamaria Pecoraro – dulcinea_981@yahoo.it

E’ richiesto ai poeti di incollare sotto le poesie che presenteranno le seguenti attestazioni:
1.     Attesto che la poesia che presento al suddetto concorso è frutto del mio ingegno, ne dichiaro la paternità e l’autenticità.
2.     Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del D.Lgs. 196/2003 e successive modifiche e acconsento alla pubblicazione di questo testo nell’opera antologica, senza avere nulla a pretendere né ora né mai.

Gli autori delle poesie inviate dovranno presentarsi il giorno del reading, pena l’eliminazione delle poesie in scaletta per la lettura.

Per info:  E’ possibile chiedere informazioni agli stessi indirizzi mail sopraindicati.


Link all’evento in FB:  

https://www.facebook.com/events/176932849159959/

martedì 27 agosto 2013

RAFFAELE PERROTTA SU "IL SENSO DELLA POSSIBILITA'" DI ANTONIO SPAGNUOLO

Antonio Spagnuolo, Il senso della possibilità, Nota introduttiva di Carlo di Lieto, Kairós Edizioni, maggio 2013, 
14 euro.

di Raffaele Perrotta



il páqoj dell’uomo Antonio Spagnuolo


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
(Pavese)

after death.
The undiscoverd country, from where bourn,
No traveller returns
(Shakespeare, Hamlet, Act 3, Scene 1)

Der Tod ist kein Ereignis des Lebens. Der Tod erlebt man nicht.
(Wittgenstein, Tractatus Logisch-Philosophische Abhandlung, 6.4311)

Wovon man nicht sprechen kann, darüber muß man schwelgen
.(Wittgenstein, Tractatus Logisch-Philosophische Abhandlung, 7)

e Spagnuolo, In memoria di Elena, in Il senso della possibilità:
il giglio del tuo cuore cede alle notti
ed il mio canto piange un corpo eroso.
(III)
Adesso devo morire anchio
per sparire nel nulla,
o per scoprire
dove si cela la tua sembianza.
(VII)
Muteranno i colori: il giorno mi riporta
quelle parole tue già nel destino.
Ripetutamente offuscate nel sudario del canto.
(XII)

(un paragrafo, invano a mente fredda, ma che sía, al fine, l’unità sintagmatica che da qualche tempo
mi ossessiona scartabellando l’antico libro chiamato di volta in volta vocabolario œ dizionario da questa parola a quella parola. saggezza ci dice del prepararsi alla morte: saggezza che già ha trovato voce piena e esortatrice in un mastro d’arte; per l’altra faccia della vita.)

della morte non si può dire, ma la si può pensare, e la vive quando a morire è una persona congiunta, intima. medico - uno déi tanti medici e nel contempo validi scrittori (per esempio, penso a Gottfried Benn -, fra i grandi poeti e scrittori della prima metà del Novecento), il poeta Antonio Spagnuolo accade nel morire di Elena - In memoria di Elena, tredici poesie in Il senso della possibilità -.
Antonio Spagnuolo: egli stesso, a ultimo capoverso della sua autobiografia in Autodizionario degli scrittori italiani di Felice Piemontese, Leonardo 1990, pagina 335, cosí si autopresenta quale scrittore poeta: «L’incontro fra psicologia↓ e linguaggio è stato sempre come il substrato di ogni sua esperienza poetica, dentro una lingua reinventata all’uopo per la lapidarietà del verso folgorante, che procede per squarci immediati e subito avanza alla scoperta di nuovi orizzonti.».
ora, la sua psicologia↑ è terribilmente ferita, dolorosa, mortificata, è páqoj, la dipartita di Elena, la compagna del desolato Antonio, l’attesta il poemetto In memoria di Elena  I-XIII posto a explicit del volume.
la scrittura di Spagnuolo è incandescente - il Pablo Neruda dalla Terra del Fuoco -, ma laddove nel volume si è in presenza della morte di Elena il linguaggio, pur rimanendo acceso, per cosí dire si snoda ‘a fuoco lento’,  snodo doloroso da esperienza luttuosa; ‘a fuoco lento’, d’accordo, ma la materia linguistica non si priva dell’infiammarsi, pur nell’addolorarsi.
il lettore ha da immedesimarsi, gli è richiesto il grande sforzo, per cosí dire, ‘ermeneutico’ (… !), dovuto all’irrimediabile, una vita umana, e cara a chi le è stata al fianco, stroncata.
¿‘parlare’ della Morte? ‘parlare’ alla Morte. nelle tredici sezioni del poemetto, Spagnuolo ‘parla’ dell’esperienza che vive - l’esperienza - della morte di Elena in lui, l’uomo Antonio Spagnuolo. il tema, il protagonista è dunque umanamente e dolorosamente vivere dentro di sé la morte della persona amata. la tematizzazione impone un compenetrarsi di reciprocità fra il tema dell’umanamente e dolorosamente vivere dentro di sé la morte della persona amata e il segno-sintagma dell’umanamente e dolorosamente vivere dentro di sé la morte della persona amata.

*

non nascondo l’imbarazzante situazione che mi sono ‘creata’ dopo aver chiesto ad Antonio di poter scrivere - di … scrivere! (sic!) - intorno all’ultima parte della silloge - Il senso della possibilità -, gentilmente accondiscendente Antonio. ‘parlare’ della Morte, e per giunta, della persona cara al mio amico poeta!
rileggo le poche righe di cui sopra, ripensando agli eserghi che ho posto e che mi paiono oltremodo confacenti con la ‘realtà’ e con lo ‘spirito’ del dramma pervadente la poesia. ¿ma potrei mai arenarmi in una sorta di asettica operazione da critica letteraria di fronte all’estremo di esperienza viva di chi vive il páqoj ovvero l’intensione pàtica com’è il morire dell’altro che ci è stato congiunto nella vita di tutti i giorni, da ciascun giorno a ciascun giorno? a questo punto, vale l’uso del verbo all’infinito e non il sostantivo, entrambi nomi, ma ¡quale e quanta differenza di valenza attraverso le selezione e elezione del lessico! -.
ho provato a trascegliere qualche verso dal testuale a mo’ non tanto di costume stucchevolmente citatorio quanto a misura di exempla, di espressività della significazione del segno, del senso come complessione; ma ho desistito nell’abbondare, perché troppi e ancóra troppi i versi che sarei stato costretto riportare causa il valore del complesso sia attinente allo stilema sia attinente al grido del corpo d’anima ferito. … e giammai potersi ‘smemorarsi’ in un grido come l’Ungaretti del Dolore («Tutto ho perduto dell’infanzia / E non potrò mai piú / Smemorarmi in un grido.» [da Tutto ho perduto, il corsivo è mio]), un grido apparentemente liberatorio.

Elena ‒ ciascuno ha la sua Elena, la sua morte di congiunto œ amico, comunque dell’altro, ciascuno con il suo lamento di essere vivente spogliato delle possibili difensive categorie consolatorie a rinforzo del continuarsi a vivere, come se Elena, o chi per lei, non fosse continuamente presente con il suo morire, di morte. ma qui è bene tagliar corto, la Morte è l’altra faccia della Vita; e si ripeta: se la Vita, che pur viviamo, suona enigma alla comprensione della nostra conoscenza, ¿non lo è forse la Morte, sí da esserne noi gl’ignoranti? e dunque valgono, a pezze d’appoggio, lo Shakespeare e i Wittgenstein di questo mondo cólto e da culto affrontato dalla loro saggezza.

Raffaele Perrotta




lunedì 26 agosto 2013

SANDRA EVANGELISTI: APPUNTI SU MARIO LUZI

Appunti su Mario Luzi

In realtà questo mio inciso su Mario Luzi dovrebbe rispondere in modo dettagliato e preciso agli appunti di Ennio Abate pubblicati su questo sito, Moltinpoesia, in due momenti successivi, il 31 luglio 2013, e poi il 1 agosto 2013,e dal titoloRileggendo I poeti del Novecento, di Franco Fortini: Luzi (4), e (4.1)”
Inizio da un brano tratto da “Prima semina”, Mario Luzi, Edizioni Mursia, 1999:
“Nello stampare la serie delle mie liriche è stata commessa un’improprietà tipografica di cui è bene che i lettori si rendano conto.
Nella seconda e nella terza poesia della serie sono stati omessi gli intervalli necessari per distinguere quartina da quartina. L’andamento strofico, che ha conformato di sé quello periodico e ha equilibrato in un certo senso la quantità sonora, è facile ad avvertire tuttavia. Proprio per questo, avendo le strofi un’elaborazione intima e un organismo il quale ha richiesto per sé ed attratto ogni qualità compositiva, non doveva subire quell’amputazione che non è soltanto epigrafica, ma sostanziale addirittura.
Una poesia concepita per strofi intende essere più vasta di quanto il numero secco dei versi le permetterebbe. In ogni strofe, specialmente nella quartina quale io immagino, l’emotività ed il suono dovrebbero coincidere in un acme da cui è impossibile discendere al silenzio in un giro di sillabe così breve. Ed allora avviene che la quantità emotiva e sonora eccedano su quella verbale . Dev’essere l’intervallo, lo spazio bianco a permettere una completa distensione musicale; talvolta una moltiplicazione indefinita di vibrazioni. ( A questo giovano alcune parole scelte tra quelle insufficienti a definire un suono o una suggestione, idonei invece a rifletterli e amplificarli, parole alveari, da porsi alla fine della quartina). Ma non ho alcun diritto di rivelare il mio silenzioso mestiere, le mie esperienze stilistiche non possono avere che il volto attribuito loro dagli altri. Dicevo per quello spazio bianco che mi è stato sottratto.
Per continuare negli emendamenti, dopo il primo verso del Cimitero è stato stampato un esclamativo, tanto più pericoloso quanto più verisimile, in luogo di due punti.”
EMENDAMENTI, da “Il Frontespizio”, giugno 1937,n. 6 , p. 471
Perché iniziare proprio da qui, da queste parole giovanili di correzione ai refusi della prima edizione de “La barca”? Per ribadire, e con le sue stesse parole, che Mario Luzi è ed è stato principalmente un poeta, non un teologo, non un filosofo, non un politico, non un semplice intellettuale, ma soprattutto ed essenzialmente un poeta.



Leggendo lo scritto di Franco Fortini su Luzi, riportato da Ennio Abate, noto definizioni quali “cattolico”, “simbolista”, “crepuscolare”. Secondo Fortini Luzi praticherebbe la letteratura come “isolamento ed esercizio spirituale”, e vivrebbe la propria scrittura artistica in una dimensione deliberatamente distaccata dall’attualità( come cittadino di una Firenze simbolica del Due o Trecento) portando come tema dominante una celebrazione drammatica dell’autobiografia.
Trovo che questa lettura dell’opera di Luzi sia fortemente ideologica e improntata ad una inquadratura categorica dell’autore.  Cattolico, simbolista, spirituale: dunque distaccato dall’attualità. Mi sembra una lettura forzata fatta in chiave ideologica e fortemente materialista che non entra nello spirito dell’opera luziana, ma la inquadra dal di fuori senza penetrarla.
Se mai il momento della risalita e quindi del passaggio dalla poesia drammaticamente storica del ventennio che va da “Dal fondo delle campagne”, 1965 a “Al fuoco della controversia”, 1978, ad una poesia di dimensione più religiosa è quello che ha inizio con “Per il battesimo dei nostri frammenti”, 1985. Anche per questo non riesco a comprendere il giudizio di Fortini, mi sembra formulato ed esplicitato in un momento in cui con “Nel magma”,1963, Mario Luzi ha pronunciato un chiaro noi collettivo e in una dimensione fortemente storica e attuale.

Passo alla lettura della seconda parte degli appunti di Ennio Abate, pubblicati sul blog il 1 agosto 2013. Ennio Abate, riprendendo in parte lo scritto di Fortini, e approfondendo poi fino ai giudizi critici successivi al 2005, aderisce e sostiene la tesi della poesia di Mario Luzi come spiritualista e distaccata dalla storia attuale, anche nelle prove come “Al fuoco della controversia”, in cui l’autore si immerge nel cuore della storia dell’Italia colpita e massacrata dal “terrorismo”(si veda “Muore ignominiosamente la repubblica”).
Anche qui Luzi parlerebbe in modo distaccato da una sua torre eburnea, intravedendo i problemi della classe piccolo borghese, ma rimanendo in posizione altera e superiore. La poesia di Luzi, dunque secondo Ennio Abate sarebbe comunque sempre imprigionata nell’ambito di un discorso ermetico e rivolto solo all’ego, in quanto chiusa al resto del mondo dall’ideologia cattolica di cui il poeta era seguace e portatore.
Le obiezioni, riassumendo sarebbero, comprendendo entrambi gli interventi pubblicati(31 luglio-1 agosto 2013), le seguenti:
1)      Ideologia cattolica che permea la poesia di Luzi, e le impedisce di andare oltre la dimensione dell’io, anche quando parla del mondo e della storia;
2)      Spiritualismo che lo racchiude in una sorta di campana di vetro che impedirebbe l’adesione ai problemi della gente comune, compresa la classe piccolo borghese da cui proviene, e alla quale sembra fare riferimento nella sua opera;
3)      Di conseguenza astoricità di questa poesia che lo condanna alla fissità e alla immobilità della condizione di ideale cittadino di una Firenze o di una Siena del Duecento o Trecento;
4)      Infine, credo, ermetismo del linguaggio poetico da cui Luzi sembra distaccarsi nella seconda fase della sua opera (1960-1978),usando un linguaggio più disteso e parlato, senza che però l’operazione riesca, perché comunque è un parlare dall’alto e non amalgamato alla storia e alla gente.

Rispondo ai punti di cui sopra facendo riferimento in particolare a due saggi “Luzi. Leggere e scrivere”, autori Mario Luzi e Mario Specchio, Edizioni Nardi, Firenze, 1993 e successivamente “La porta del cielo”, Mario Luzi, Edizioni Piemme, 1999, a cura di Stefano Verdino.
Dunque ritornando al passo citato all’inizio del mio intervento deve servire ad esplicitare principalmente che Mario Luzi è un poeta, un grande poeta e come tale difficilmente analizzabile partendo da categorie ideologiche ricamategli sopra quali “ermetismo”, “cattolicesimo”, “spiritualismo”. L’unica vera analisi che si può fare di un poeta parte, secondo me, da una  lettura attenta dei testi, e ,se lo ha fatto, da quello che ci dice della sua poetica e del suo rapporto con la storia. Luzi, per fortuna ci ha lasciato tanti scritti e noi possiamo leggerli.
Parto ora dalla prima obiezione: Luzi è cattolico e la sua opera è permeata dalla ideologia del cattolicesimo.
In realtà Luzi è cristiano non cattolico, e nel suo essere cristiano non c’è nessuna ideologia, ma una ricerca continua della presenza di Cristo, Verbo fattosi carne, nella realtà.
Egli ci dice in entrambi i saggi di cui riporto sopra il titolo che la sua fede nasce dalla frequentazione quotidiana con la figura di sua madre che era donna di fede, e che aveva i suoi momenti di preghiera e della sua fede dava continua testimonianza. Non ci parla di frequentazione di sacerdoti, almeno all’inizio, né di associazioni cattoliche, anzi lamenta come molte di esse siano diventate delle vere e proprie sette, delle associazioni politiche .
Dell’insegnamento della madre riporta come fondamentale il modo di porsi davanti al Sacramento dell’Eucarestia, il Cristo si fa carne e sangue e diventa per noi corpo ad ogni celebrazione. Questa la sua fede, e questo il motivo del cattolicesimo: è l’orientamento cristiano cattolico a porre al centro della celebrazione il mistero della transustanziazione, cosa che gli altri orientamenti non fanno. Luzi , si può dire, è cristico, non cattolico, e per niente ideologico se vede la manifestazione di Dio in una continua rinnovata manifestazione della presenza carnale del Cristo in mezzo a noi. E per questo, credo anche la lettura preferenziale nella patristica di S. Agostino e di S. Paolo. Nella visione di una religione concreta, incarnata, ricercata e riscoperta di giorno in giorno. “Quid est veritas?Vir qui adest.”dice S.Agostino ne “Le confessioni”.
Sì, dunque Mario Luzi ha fede, ma nel Cristo rivelato e fatto uomo, non in una idea.
Alla seconda obiezione e cioè che la spiritualità di Luzi lo racchiuda in una campana di vetro e lo faccia distante dalla classe piccolo borghese da cui proviene e di cui parla nelle sue poesie, io risponderei che non c’è una sola parola attinente all’argomento in una affermazione di questo genere, o forse io ho interpretato male.
Innanzi tutto classe piccolo-borghese è una definizione inesistente nell’opera luziana.
Luzi parla della gente, delle persone che lo circondano, scrive ispirandosi alla realtà e trascrivendola in versi che hanno la giusta pretesa di essere diretti a tutti e quindi universali, non si chiude in nessuna campana, la sua preoccupazione è proprio quella di parlare alla gente e alle generazioni. Inquadrare lui ed il mondo che lo circonda, gli incontri, le persone e i fatti della sua vita, in una definizione di classe piccolo-borghese è ideologico, queste definizioni sono filosofiche e sono evidentemente tratte da Marx, che io stimo e rispetto in quanto filosofo, ma le cui categorie non hanno nulla a che vedere con la poesia e nemmeno con  quella di Luzi.
Luzi, dicevo, descrive la realtà, in un primo periodo (Il giusto della vita, 1935-1960), partendo da un movimento personale del proprio io sempre in rapporto con la realtà storica e con la natura, ma in una dimensione esistenziale, poi a poco a poco a partire da Dal  fondo delle campagne, 1965 il rapporto con la realtà e con la storia diventa sempre più di immedesimazione e drammatico:
“In Il giusto della vita( che raccoglie i tuoi primi vent’anni di poesia) il movimento appare subito come desiderio e come anelito: più spesso c’è una situazione bloccata storicamente(con la guerra e con il fascismo)ma anche esistenzialmente(con le inquietudini della coscienza); il tuo rapportarti alla vita non è immediato né fiducioso, è cauto alla ricerca di una “giustezza” da ritrovare e ricostituire tra le “immagini infrante” di tante esperienze tue e generazionali. Non a caso la “vicissitudine sospesa” è una tua espressione che è stata spesso utilizzata come tua sigla.
-          Poi vi è un tempo mediano di metamorfosi, in altri vent’anni di poesia(da Dal fondo delle campagne a Al fuoco della controversia). E’ mutato il modo di guardare alla vita e al mondo: non vige la prospettiva esistenziale e lirica dell’io ma prende corpo un vario interagire: il mondo è osservato nella sua realtà di organismo vivente e metamorfico e l’io ne è parte. Il poeta coglie allora un vero e proprio principio di metamorfosi che abbraccia la dinamica della natura, ma anche quella delle emozioni e delle idee, magari anche in modo drammatico. E non a caso qui si apre la tua stagione drammatica.”
-          Stefano Verdino da “La porta del cielo”, 1999

Vengo ora ai testi di Luzi, i primi.
La barca non è un luogo racchiuso di protezione spirituale dai venti della storia, ma rappresenta la vita stessa e il suo viaggio, il suo divenire. La dimensione del viaggio è sempre presente in Luzi ed è inteso come percorso di conoscenza, anche attraverso il mistero della fede( si veda “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini” 1994, suo capolavoro, secondo me).

Alla vita

Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s’ inarca
e tocca il mare,
volano creature pazze ad amare
il viso d’Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul bimbo che le chiede senza voce.

Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui la verità che procede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire di aspettare l’avvenire.

Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s’alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.
Mario Luzi da “La barca”, 1935

C’è già tutto in questa poesia. La vita che è viaggio in mezzo alla corrente della storia, la natura, gli amici, le creature, la donna, la terra e la madre. E la Madonna, segno della fede del poeta. La parola è profondamente incisiva, ma sempre in movimento, non fissa e immobile. E l’immedesimazione di Luzi con il mondo creaturale  è perfetta. È’ il “pagus”, il villaggio in cui vivono e risuonano armoniosamente solidarietà e carità e pietas perdute e cristiane che nulla hanno a che vedere con nessuna classe piccolo borghese. “E non sia nostalgia, ma desiderio.”
Più avanti:

Già colgono i neri fiori dell’Ade

Già colgono i neri fiori dell’Ade
i fiori ghiacciati viscidi di brina
le tue mani lente che l’ombra persuade
e il silenzio trascina.

Decade sui fiochi prati d’eliso
sui prati appannati torpidi di bruma
il colchico struggente più che il tuo sorriso
che la febbre consuma.


Nel vento il tuo corpo raggia infingardo
tra vetri squillanti stella solitaria
e il tuo passo roco non è più che il ritardo
delle rose nell’aria.
Mario Luzi da Avvento notturno, 1939

Ecco qui sento tutto il dolore e sento il fiato della morte nell’aria della guerra.
Ho accostato questi versi a un dipinto di Benito Partisani, in arte Mastro Lupo, dello stesso periodo :




Il risultato per me è impressionante, l’accostamento significativo e appropriato.

Veniamo dunque alla “astoricità” dell’opera luziana, e alla dimensione distaccata e classica del linguaggio.
Luzi ha percorso con la sua vita tutto l’arco della storia del Novecento e si è affacciato sul secondo Millennio(1914-2005). La sua persona e la sua opera hanno dato testimonianza completa e preziosa di un’epoca storica difficile, contraddittoria e soprattutto caratterizzata dal male e dalla guerra. Due grandi guerre hanno attraversato questo secolo a noi vicinissimo e ancora il bagno di sangue continua in paesi a noi vicini.
Luzi ha attraversato con la sua persona e la sua creatività di artista questa epoca e l’ha rappresentata in modo sublime e universale. Mario Luzi è un testimone, vive, vede, trascrive e lascia il segno indelebile della sua arte.
Non c’è nostalgia nel suo canto, ma desiderio di una nuova prospettiva umana in cui la pace e la solidarietà fra gli uomini vincano il male. Non c’è fissità spirituale, ma invece un linguaggio in movimento con l’io del poeta e con il sussulto terribile della storia che avanza. C’è profonda immedesimazione, e sì c’è la fede. Ma la fede non è un vento contrario alla storia se vissuta senza integralismi di sorta, e mediante un rapporto diretto e costante con le persone . Da ultimo la preziosa amicizia con Don Fernando Flori, che Luzi frequentò assiduamente dal 1978, fino alla morte avvenuta nel 1995.
L’integralismo assunto a giudizio e a metro della vita e degli eventi è sempre brutto, anche quello laico. E il giudizio sull’opera di Luzi formulato da Ennio Abate che si rapporta agli scritti di Fortini, mi sembra frutto di un integralismo di pensiero, laico, ma sempre integralismo. Categorie assunte a metro di giudizio e calate dall’alto, dalle quali automaticamente si fanno discendere conseguenze in realtà frutto di una logica delle idee e non dei fatti. Gli eventi, i fatti, gli incontri e le esperienze, la natura, e le persone vive e palpitanti abitano i versi di Luzi e non le idee. Così come la sua poesia è un fare, un produrre, non ragionamento sulla poesia, non poetica.
Dell’ultima poesia dal 1978 ad oggi ci sarebbe moltissimo da dire, ma questo richiederebbe un approfondimento ed una maggiore preparazione di lettura e di studio in proposito che non ho. Posso solo dire che il movimento del linguaggio e del pensiero vanno in levare, questa volta sì verso la spiritualità, ma concreta, non personale ed isolata. E la natura diventa luce cristallina, sempre più luce. Si arriva gradualmente ad un rovesciamento dei criteri di giudizio razionali e tradizionali, per raggiungere il linguaggio paradossale della fede, l’avvicinamento alla Parola, e a Dio. E qui l’insegnamento e la lettura dell’opera di San Paolo e della patristica sono fondamentali. La modernità, o meglio lo spunto verso il futuro che trovo personalmente nell’opera di Luzi è proprio questo sguardo verso la luce. Il viaggio di Simone Martini, non come segno di isolamento spirituale, ma come opera di conoscenza intuitiva attraverso il paradosso della fede e del mistero. Luzi si alza drammaticamente al di sopra del mondo creaturale per una sete di conoscenza.
Sappiamo che è un estremo principiante (Dottrina dell’estremo principiante, 2004). E anche qui un ossimoro nel titolo.


“E’, l’essere. E’
Intero,
inconsumato,
pari a sé .
            Come è
diviene.
                       Senza fine,
infintamente è
e diviene
se stesso
altro da sé .
               Come è
appare.
          Niente
di ciò che è nascosto
lo nasconde.
                    Nessuna
cattività di simbolo
lo tiene
            o altra guaina lo presidia.
                        O vampa!
Tutto senza ombra flagra.
E’ essenza, avvento, apparenza,
tutto trasparentissima sostanza.
E’ forse il paradiso
questo?oppure, luminosa insidia,
un nostro oscuro
ab origine, mai vinto sorriso?”
Mario Luzi da “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”, 1994

Cito per ultima la poesia della luce, ma anche il Viaggio. Simile a quello di Dante nel Paradiso. E’preghiera?E’ teologia? No, è poesia, intesa come forma di conoscenza, conoscenza per paradosso, o per mistero e non per idee e per formule. Non opus oratorio, ma ricerca di significato. Se possibile ultimo. Che si attua attraverso il capovolgimento della visuale e degli statuti umani. La parola ha il suo compito primario che è quello di dire e di proferire, dire per affermare e non per intrattenere o discorrere. La parola viene usata con economia e precisione, senza sprechi che ingenerano confusione anziché conoscenza. Ecco la novità estrema del “principiante” Luzi e la sua apertura verso il futuro. E l’economia di parola non è sicuramente ermetismo, ma il suo contrario.
Mi riservo di continuare, se possibile, i miei appunti, con un secondo capitolo, alla luce della lettura di un testo che non ho a mia disposizione in questo momento, “Conversazioni a Firenze”, Mario Luzi, Franco Fortini, Ferruccio Masini, Giorgio Spini, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2008.

Forlì, 18 agosto 2013   

                                       Sandra Evangelisti

venerdì 23 agosto 2013

N. DI S. BUSA' SU "IL PASSATO E' UN LUOGO LONTANO", DI FRANCO CELENZA

Il passato è un luogo lontano” di Franco Celenza, Ed. Tracce (Pescara), 2013  a cura di Ninnj Di Stefano Busà



Ninnj Di Stefano Busà 


Un libro interessante, tante e pregnanti sono le parole intese come assoluto irrinunciabile dell’essere, ma anche come bottino di chi riesce a trovare nel deserto dei tartari una via che sappia riunificare presente e passato, la formula per significare un più agevole rapporto con l’ego, con quella persistente malinconia che ci rispecchia in presenza della precarietà del tutto.
L’accaduto fisiognomico della poesia vi fa da modello tridimensionale attraverso vaghezze metaforiche che realizzano trasalimenti e suggestioni, ma non scompigliano l’aplomb dell’autore che è sicuro delle sue emozioni, dei suoi ardui camminamenti, delle sue sfide e delle sue tensioni.
Un individuo che raggiunge il punto focale (per così dire, l’apice del contrassegno) in cui sente “che il tempo ha raggiunto lo specchio” e di avvertire “il passato come lontano luogo” è indicativo di un disagio, ma non è un appiattimento esistenziale, ma un superamento coraggioso di un giro di boa che, pur rimanendo nell’alveo di una misura perdente, affronta senza clamore nè dolore la parte più tragica di tutta la sua storia personale, lo fa senza disperante disillusione, senza rimpianto, solo con una nota di amarezza che anticipa una scabra e attenta preghiera, che non è affranta, si mostra quanto meno “virile” e animata dal buon senso, quel “non darmi” reiterato e introspettivo che ipotizza la violenta lotta contro la memoria che si va smarrendo, o come qualcosa da smemorare.
Il tempo non ha più i giorni “biondi” fiammeggianti e furiosi dell’attesa, ora s’incammina verso il tramonto in una scabro arenile, al riparo dalle temperie della vita, ma non per questo deve necessariamente essere greve.
L’anima insonne e ardua del condottiero sa ancora vibrare in controluce, essere protagonista nel rimirarsi allo specchio con più pacatezza e sfidarsi a raggiungere il traguardo della notte, attraversando dimore che misurino “altre” forze in campo, “altri” luoghi a procedere: “aggiunte non farai al tuo destino” dice il poeta, ma almeno non sentirai le rovine, i crolli demolitori dell’impalcatura-uomo farsi fatali.
Tenere a bada la morte è per Franco Celenza indispensabile perchè lo specchio rifletta l’anima e lo spirito la coscienza dell’essere, entrambi vanno difese da ogni contaminazione esterna.
“Ut pictura poesis” espressione oraziana per indicare che ogni modello esistenziale è il riflesso di un’eternità, un’evocazione trasfigurante la cui trasparenza e compostezza si evincono dai ricordi e, semmai, dalla nostalgia con cui l’accento viene posto, con lucidità, ma anche con abbandono alla fede e alla speranza, affinché siano testimonianza anche sul piano letterario di un pensiero qualitativo alto, in una continua tensione verso la luce.
L’opera poetica si realizza quando la sua parola diventa insostituibile e mi pare che Franco Celenza raggiunga il  -clou- della scena, senza ricorrere a trucchi, senza instaurare pantomime; al tempo rapinatore oppone resistenza ma attraverso meditate pagine, fin dove giunge alla pagina più ardua, al dramma inequivocabile, al resoconto senza clangore, senza rumore, quasi in silenzioso stupore si recita l’ultimo dramma sulla scena e poi si svolta.
Un breve epilogo la vita, ma è giusto viverla con dignità, arditamente.

Il disincanto si volge alla dimensione cosmica partendo dal travaglio e giungendo all’unico destino che lega tutti gli esseri umani al suo infinito, che alla grande poesia ogni tanto è dato di evocare, e questo libro è uno di quei momenti: una cifra che sa individuare le discrepanze con discrezione, senza debordare, pur nella proiezione di scenari inquietanti che sviliscono, ma che sono in definitiva anche la stupefacente intelligenza della vera sostanza lirica, sostanziale autodifesa e non solo della parabola vitalistica dell’essere che diventa metafora viva, candore e fantasia in atmosfere stupefatte, in silenzi insondabili e in linguaggi che contraddistinguono da sempre il vero poeta e la vera poesia. 

Ninnj Di Stefano Busà

PREMIO THESAURUS: PREMIATI E LOCANDINA



PREMIO  INTERNAZIONALE
DI  ARTI  LETTERARIE

THESAURUS
ISOLA  DI ALBARELLA,  21 /22 Settembre 2013

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SABATO  21 SETTEMBRE

ore 10.00 - Conferenza Stampa - Hotel Capo Nord

ore 15.30 - Hotel Capo Nord

CONVEGNO: LE PAROLE DI THESAURUS - 
INCONTRO CON GLI AUTORI

DOMENICA  22 SETTEMBRE

ore 10.00 -  Visita guidata dell’Isola di Albarella  e delle sue strutture sportive e ricettive

ore 12.30  -  Pranzo con Autori e Ospiti d’Onore

ore 15.30 - CA’ TIEPOLO - CERIMONIA  DI   PREMIAZIONE

A seguire,  Le Parole e i Saluti

Patrocini:

Provincia di Rovigo, Regione Veneto, Comune di Rosolina, Comune di Firenze,Provincia di Firenze,Comune di Pontremoli, Comune di Matera, Regione Basilicata.
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Per l’occasione il pernottamento sull’Isola  in prestigioso albergo 4 stelle, comprensivo di pensione completa di pasti e bevande, avrà un costo di  65 euro a persona; 

È previsto servizio navetta gratuito a carico dell’organizzazione per il  prelievo e il riaccompagnamento dei  partecipanti che arrivino col treno o aereo;

Gli autori partecipanti tutti, ed eventuali accompagnatori e/o visitatori,  sono invitati a prescindere dalle graduatorie di merito che verranno rese note al più presto.

Per informazioni e prenotazioni  tel. 0426/332600




PREMIO THESAURUS  seconda edizione 2013


Graduatoria  POESIA  EDITA                                        Sezione  C

BACKGROUND di Francesco SASSETTO                       PRIMO CLASSIFICATO
IL BIANCO DELLE VELE  di Franco  CASADEI              SECONDO CLASSIFICATO
TRILOGIA DI POSSIBILI EVENTI   di Giovanni  CASO  TERZO CLASSIFICATO


QUARTI CLASSIFICATI ex aequo:

DICOTOMIE  di Nazario PARDINI
SOPRA I CIELI DI BERLINO  di Isabella SORDI
IL GIOCO DELLE NUVOLE di Egizia  MALATESTA
EPIFANIA NEGRA  di Vanes  FERLINI
SELECTED POEMS   di Daniela RAIMONDI
MARGINI E RIVE di  Fabio FRANZIN
LA VITA NELL’OSMOSI DEL TEMPO di Lenio VALLATI
FORMATO  A4  di Rita IACOMINO


QUINTI CLASSIFICATI  ex aequo:

PERCORSI ALTERNATIVI di Giuseppe VETROMILE
LE RONDINI DI MANET  di Anna Elisa DE GREGORIO
IL SENSO DEL SEMPRE  di Franca CANAPINI
ARIANNA E IL FILO di Rosanna DI IORIO
IL FALCO DELLA RAGIONE di Antonio  ZAVOLI
IL RESPIRO DEL TEMPO  di Emilia FRAGOMENI
OSTINATO SOGNATORE di Fabio DE MAS
I DOLCI INGANNI di Elisa SALA


Premio Speciale per Opera Poematica

LA BLASFEMA COMMEDIA di Lorenzo ERCOLES

Premio Speciale per Opera Dialettale


T’UN INGANO DE SOL



Graduatoria  POESIA INEDITA                            Sezione  A



CANTO AL VIANDANTE   di Tullio  MARIANI  PRIMO CLASSIFICATO
MANI D’ARGILLA, CAPELLI DI GRANO  di Loriana CAPECCHI  SECONDO CLASSIFICATO
IL SEGRETO di Giorgia SPURIO                           TERZO  CLASSIFICATO
                                                                                                                         



QUARTI CLASSIFICATI  ex aequo:

STELLE IN FUGA  di Lida DE POLZER
LA MAGNOLIA NEL BICCHIERE  di Paolo SANGIOVANNI
ULTIMA CHIAMATA DELL’INVERNO di Moreno  MARANI
ECONOMIA DI MERCATO  di Rodolfo  CERNILOGAR
VECCHIO ALBERO  di Pietro  CATALANO
IL GUSTO DI SBANDARE  di Maurizio DI BENEDETTO
ANIME PERSE, ANIME SALVATE di Antonio  DERRO
LE ATTESE  di Bruno  LAZZEROTTI                                                       



QUINTI CLASSIFICATI  ex aequo:

LA PREGHIERA DELL’UOMO SBAGLIATO  di Alfonsina CAMPISANO CANGEMI
SOLE DI MEZZANOTTE  di Laura BORGHESI
PERIGEO   di Celestino  CASALINI
ALLA PERIFERIA  di Maria INTERLANDI
IL BAMBINO E IL CAMPO  di Roberto  RAGAZZI
PRIMA DELL’INVERNO di RITA IMPERATORI
CERCAMI   di Ester  CECERE
VOGLIA D’AMARE   di Lucio  SCHIUMA




Graduatoria  GIOVANI- Poesia e Narrativa inedite -                                  Sezione  E

LA VERITA’ DEL CUORE Racconto di  Micol  PARODI PRIMO CLASSIFICATO
UN MONDO NUOVO  racconto di Rita MINCO             SECONDO CLASSIFICATO
VENT’ANNI  poesia di  Martina  MAROTTA                   TERZO CLASSIFICATO


QUARTI CLASSIFICATI  ex aequo

AQUILONE MIO poesia di Alex MARRANI
PRIMAVERA  poesia di Sofia  SERAFINO
UNA PARTE DI ME   poesia di Miriam DE MICHELE
SOLITUDINE   poesia di Carla  PALMA
L’ORA DI CENA  racconto di Luigi PALMA
L’URLO poesia di Astrid  VILLA
PAGINA DI DIARIO  poesia di Ilaria  PARLANTI

IL SEGRETO DI URBINO  racconto di Alice RIDERELLI BELLI




Graduatoria  NARRATIVA INEDITA                                                Sezione B


DA SOLO, DI NOTTE, D’INVERNO  di Dario  MARELLI   PRIMO CLASSIFICATO
UN MERAVIGLIOSO ACQUISTO  di Bruno  ARRIGHI      SECONDO CLASSIFICATO
BASTANO SEICENTO SECONDI  di Riccardo  LANDINI TERZO CLASSIFICATO


QUARTI CLASSIFICATI ex aequo:

VENTIDUE  di Carlo OSTALLO
DUE AMICI  di Palma CIVELLO
BOBI di Nicoletta e Luigino  VADOR
LE DUE BOTTIGLIE di Eugenia  GRIMANI
E LA MENTE  VA   di  Andrea VANNI
CINQUE METRI  di Fabio PASIAN
SEMEIOTICA E SOPRAVVIVENZA UMANA  di Jacopo GIORGI
PRIMI PASSI di Maurizio  DI BENEDETTO



QUINTI CLASSIFICATI  ex aequo:

LA MUCANA  di Maria Rosaria PERILLI
LA GUERRA DI PIERO  di Alessio MATARANGOLO
ISTRUZIONI PRIMA DELL’USO  di Stefania Donatella PARON
PAROLE  di Francesco VENIER
TRA CIELO E TERRA di Giovanni LEONE
ACONCAGUA   di Fabio DE MAS
VACANZE A CASTRO di Giulia ZANARONE
MANICA LUNGA   di  Maurizio BRESCIA




Graduatoria NARRATIVA EDITA                                      Sezione  D

IL PELLEGRINO SPAGNOLO di Fiorella BORIN  PRIMO CLASSIFICATO
NELLE TERRE BASSE   di Mario PETTOELLO     SECONDO CLASSIFICATO
CILIEGIE E ZAFFERANO   di Milena RENZI         TERZO CLASSIFICATO

QUARTI CLASSIFICATI ex aequo:

DANZADELSE’   di Luciana  VASILE
SOGNANDO MORGANA di Antonio DERRO
LA LAUREA E L’AMORE di Alfredo LUCIFERO
OMBRA BIANCA di Cristiano  GENTILI
AFA- UNA FUGA PER VOCE SOLA di Ermanno  FUGAGNOLI
L’ULTIMA STAZIONE  di Nicoletta e Luigino  VADOR
NAPOLI SI SALVA COSI’  di Ottorino GURGO
I VESSILLI DEL CIELO  di  Elga BATTAGLINI


QUINTI CLASSIFICATI ex aequo:

UN OMBRELLO PER LE ANGUILLE  di Michele MARZIANI
IL MIO PRINCIPE   di Gina CODOVILLI
LA VOLIERA DEI PAPPAGALLI  di Anna Maria BALZANO
VOLEVO UN FANTE DI CUORI  di Fulvia PERILLO
DIARIO DI UN SUICIDA INDECISO  di Eugenio  FELICORI
DOPPIO UMANO  di Fabio IZZO
A BOCCA CHIUSA  di  Ornella FIORENTINI
VIRGINIA   di Claudia RYAN MOLTENI


Premio Speciale Opera Prima

LE REGOLE DI IRINA di Monica PENAZZATO

Premio Speciale Saggio Storico

IL BIENNIO ROSSO  1919-1920

Premio Speciale Saggio Letterario

I 100 PIACERI DI D’ANNUNZIO di Daniela MUSINI