Si tratta di un
romanzo psicologico questo di Gian Marco Cellini. Non poteva essere altrimenti,
visto che l’autore è proprio di professione, psicologo e psicoterapeuta. È la
storia di un giovane, Giacomo, con problemi psicologici, in cui passato e
presente si snodano parallelamente nel flusso della narrazione, per
ricongiungersi in maniera drammatica nel finale.
Giacomo ha vissuto
una vita piena di traumi, sia fisici che psicologici, indotti da una condizione
difficile già nell’infanzia. Nato da una coppia, fuori dal matrimonio,
rifiutato dal padre naturale, seguito dai nonni, in una convivenza in cui la
madre Marilena, non si sente a suo agio. Usciti lei e il bambino dalla casa
paterna, Giacomo vive solo con la madre che si riaccompagna e poi si sposa con
un amico di gioventù Pietro, che ama il bambino e lo segue con amore anche dopo
la morte di Marilena, uccisa dal padre naturale, ricomparso, nel corso di una
colluttazione.
Il ragazzo seppur
molto bravo a scuola, viene bullizzato dai compagni, fatto che acuisce il suo
disagio psichico. Alla fine fugge dal patrigno per costruirsi la sua vita in
autonomia. I suoi problemi psicologici si aggravano, carattere introverso,
difetti fisici quali problemi di traspirazione e odore sgradevole, che gli
rendono difficile il rapporto con gli altri.
Per mettersi a
riparo dai suoi disturbi nevrotici, scegli di vivere una vita iper organizzata,
salutista, ma questo non fa altro che produrre nuove fobie, il terrore
paranoico dei tuoni, l’insonnia, l’odio del cibo, fino all’odio per il suo
stesso corpo. Di fatto le sue fissazioni, la sua condizione difensiva, messe in
atto per proteggersi, divengono insidie e cause scatenanti dei suoi traumi.
Il testo segue uno
schema che procede negli step classici della narrazione, in cui il passato del
ragazzo costituisce l’antefatto che genera la sua crisi psicotica, che si
acutizza sempre più fino all’acme rappresentato dall’incontro di due donne, una
ragazza e una signora, due figure opposte, sul piano fisico e psicologico. Il
loro incontro causa in lui una drammatica presa d’atto della sua condizione in
sui si confrontano elementi reali e surreali, materiali e onirici, la
riscoperta del corpo e la sessualità. Questa riscoperta non porta purtroppo a
una accettazione dell’esistenza, ma piuttosto a una volontà di auto distruzione
e al conseguente drammatico scioglimento finale.
Una considerazione
sul titolo, grande enigma della narrativa moderna, come ci spiega molto bene
Umberto Eco nella nota in calce al suo romanzo Il nome della rosa. La
staccionata forse vuole indicare una sorta di limite invalicabile, tra la
condizione in superficie dell’esistenza e i demoni interiori che si scatenano,
fino a condizionare profondamente il nostro essere quotidiano, oppure la staccionata come protezione e allo stesso tempo
costrizione, impedimento di vivere la vita, liberare le proprie pulsioni,
realizzare l’espressione compiuta della propria personalità