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Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade |
La chiameremo
Vita
Il
romanzo di Franco De Luca “La chiameremo Vita” (Tullio Pironti Editore 2016) è
la dimostrazione che occorre avere un nome celebre, magari quello del suo
omonimo scrittore partenopeo, Erri De Luca, per vendere un milione di copie con
“Montedidio”, un libro scritto in vernacolo e non accessibile a tutti.
Con
quest’affermazione non intendo sminuire l’artista napoletano, ma mettere in
risalto le logiche editoriali che governano il nostro paese.
In
America, in Inghilterra, in Svezia, un romanzo di valore può divenire un best
seller grazie al tam tam dei lettori.
In
Italia si vendono i libri dei personaggi televisivi o quelli studiati a
tavolino dai grandi Editori.
Il
talento viene penalizzato in modo mortificante.
Ho
terminato il testo di Franco e mi sono resa conto che per due giorni le
immagini, i protagonisti, i personaggi, continuavano ad affollarmi la testa. Mi
chiedevo come fosse possibile che un uomo umile, poco convinto delle proprie
possibilità narrative, avesse potuto cimentarsi in un secondo romanzo
ancora
più convincente del primo.
“La
chiameremo vita” induce a pensare a un uomo anziano, che ha imparato moltissimo
dagli anni, dalle esperienze, e sa trasmetterle con grazia, purezza, con
l’antico pudore e con squarci di altissima letteratura.
Franco
è giovane, ricorda Massimo Troisi nei modi e nell’apparente timidezza e anche
nel corso di un banale incontro, sa mostrare la profondità di analisi e
l’umanità, che riversa in questo romanzo senza riserve.
L’ha
chiamato vita e, sorridendo, ho pensato che non avrebbe potuto avere altro
nome. E’ un riassunto d’amore dei giorni e delle storie di ognuno. Ogni Autore
nelle proprie opere mette molto di sé, anche se ricorre a storie totalmente
inventate, credo sia fisiologico, ma l’arte di quest’Autore consiste
nell’identificarsi in ogni sua creatura e, soprattutto, nella sua città.
Napoli
è la ‘vita’ di questo romanzo superbo. Franco ci trascina nell’ anima di questa
città particolare e rende
visibili
negozi, case, vie, piazze, ristoranti. Io so come si mangia da “Giggino sopra
lo scoglio”, ‘in pieno centro storico’, nel quale il mare continua a ribollire,
creando gorghi e mulinelli.
Conosco
la bottega di Erminio, barbiere unisex, animato da un teatrino di personaggi
della miglior tradizione
cabarettistica
napoletana. Ho visitato la casa di zia Ester, novella Emily Dickinson, che vive
da reclusa, comprando i generi alimentari tramite il classico ‘panaro’, che a
Napoli in molte zone continuano a calare dai balconi e che conserva in un
‘diario’ la storia della famiglia.
Antonio,
il protagonista, professore di Lettere, si destreggia tra ‘la pazza’, ovvero
Serena, dalla quale è soggiogato; Laura, l’amica di sempre, complice, intuitiva
e, a tratti, misteriosa, come sanno esserlo solo le donne, la zia Ester, nella
sua casa senza tempo e molti altri personaggi, che assurgono tutti al ruolo di
co –protagonisti, in quanto vivi, palpitanti, magnifici…
Magnifico
è Prisco, il ragazzo più asino della classe, che in realtà instaura con Antonio
un rapporto alla pari e tra errori di grammatica e confusione sui classici
della letteratura, ne cattura gli stati d’animo come la goccia d’ambra cattura
gli insetti. Magnifici sono i vicini di casa, con la piccola Noemi, che ogni
volta che incontrano Antonio si sciolgono in scuse infinite per il chiasso
provocato dalla ragazzina… Magnifici i frequentatori del barbiere unisex, Bruno
– Frack Sinatra e Maria Del Giudice. Il primo presume di conoscere meglio di
chiunque altro il repertorio della musica napoletana e, sotto gli occhi
languidi della donna, trasforma la sala del barbiere in localino trash.
Il
protagonista, in apparenza frastornato, attratto dall’ambiguità, a causa di un
passato irrisolto, si rivela nel corso del romanzo, un uomo fuori dal tempo,
che sa attribuire alle situazioni e agli stati d’animo la giusta valenza, e sa
divenire abile minatore degli scavi interiori. Viaggia nei meandri delle anime
di ognuno, dando al Natale la connotazione che ha perso da sempre e regalandola
a noi lettori, attoniti e superficiali.
Franco
possiede il dono di un mondo interiore ricco di sfaccettature: ha la giusta
dose di ‘femminino’, che gli consente di evitare ogni forma di volgarità e di
superficialità; è ricco di senso dell’umorismo autentico; è puro come acqua di
fonte ed è intenso, sempre più in alto rispetto al banale, allo scontato, al
quotidiano.
Vola
altissimo e, tra una battuta e una descrizione dettagliata, si diletta in
quartine, che scrive all’impronta per gli studenti, dà lezioni sulla canzone
napoletana, insegna a cucinare i cibi di Giggino e spiega vini da da esperto
sommelier e rende il diario della zia Ester una sorta di secondo struggente
romanzo, che permette di naufragare nella storia dei suoi nonni, nella guerra,
negli amori che hanno dato origine al suo presente.
Franco
scrive e non vi è tecnica nel suo stile appassionato e lirico. Sembra nato per
elargire sogni, lezioni di integrità, di calore, di autenticità. Le espressioni
in dialetto intarsiano come pietre preziose questo romanzo di sangue e radici.
Lo
ringrazio per avermi concesso di essere talea della vita che ha narrato e gli
sussurro, a fior di cuore, che mi piacerebbe da non dire saper scrivere così…
Maria
Rizzi