OLTRE LA SOGLIA
La
ricerca del bello con sguardi che aliano nel cielo, sul mare, o tornano dentro
per un meditativo riposo
OLTRE
No, a te non basta
appoggiare lo sguardo.
Delle ombre
non ti accontenti.
Il dubbio è sciame
d' api che punge
la carne.
Il mistero tesoro sepolto
da cercare.
Senza rimpianto
attingi alla brocca
del tuo tempo.
Spezzi le catene
dall'apparenza.
Perfori barriere.
Senza timore
T'immergi negli abissi.
Per cercare occhi di luce.
Oltre
la soglia, il titolo della
nuova fatica letteraria di Serenella Menichetti, che, divisa in due sezioni (Oltre e Un’occhiata alla NOE), si distende su uno spartito
contenutistico-formale vario e articolato vòlto a significare la complessità
diacronica di una ricerca stilistica: dalla euritmica sonorità di valenza
lirica della prima si passa alla prosastica descrizione di una realtà non
contaminata da influenze biografico-memoriali della seconda.
Iniziare da questa poesia
eponima significa andare da subito a fondo nella sua poetica; nei meandri del
suo esistere che con tutta la loro energia evocativo-simbolica danno voce ad
un’anima alla ricerca di se stessa; del suo stare in questo mondo tanto
problematico; e soprattutto del suo ambire a un orizzonte che vada oltre i limiti
del suo soggiorno; delle ristrettezze del dove e del quando: inquietudine,
spleenetica angoscia esistenziale, baudelairiani voli compensativi. Le cose si
fanno sempre più collaboratrici in questo percorso epigrammatico: ora
oggettivazioni di sentimenti e sensazioni, ora trame all’apparenza asettiche,
ma in definitiva sempre partecipi di interrelazioni comunicative. L’uomo fa
parte di un gioco inquietante di fronte all’estensione del cielo o del mare. Si
sente piccolo, infinitamente inesistente e i dubbi lo assalgono e lo
tormentano, pur essendo, egli, un tutto di fronte al tutto che lo assedia: “Cos'è
un uomo nella Natura?/ Un nulla davanti all'infinito,/ un tutto davanti al
nulla,/ qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto” (Pascal). È così che (ti immergi) si immerge
negli abissi per occhi di luce vòlti a quel faro che illumini un braccio,
almeno un braccio, di quella immensità. Tanti gli interrogativi che l’autrice
si pone nella speranza di trovare una risposta plausibile, o almeno in parte
soddisfacente, di fronte al mistero del tutto; di fronte al rapporto fra il
nostro essere e l’infinito sguardo del cielo: “... Oltre il tuo mondo/altri inesplorati/ti
attendono”. Per questo il suo stile è in continuo movimento, alla
ricerca forse proprio di quell’isola che resta vietata alla nostra inadeguata
navigazione. È là che mira, e anche se il suo copyright resta
inconfondibile, anche se il timbro del suo dire è sempre riconoscibile, in
questa silloge si presenta con una scalata verso montagne con scarpe ora chiodate,
ora agevoli a seconda dei cammini. Scomodando Eraclito si può affermare che: “L’armonia delle cose sta
proprio nel perenne mutamento generato dal polemos tra gli opposti…” “E nel
mutamento le cose si riposano”. Uno stile in progress
radicale, che da lirico-intimistico si
trasforma in oggettivo-realistico, tipo spersonalizzazione alla NOE (nuova
ontologia estetica):
L’orologio
del campanile segna le dodici e quaranta.
del
26 Maggio 1950.
-Niente
zucchero filato- dice Patty a Jennyfer -è l’ora
di
pranzo-
La
signora con la veletta e le guance incipriate
che
stacchetta sul pavimento della piazza
la
saluta calorosamente.
Emilie
ha la borsa colma di frutta fresca,
acquistata
al piccolo chiosco di Mary.
Carolina
si ferma a guardare i conigli nani.
Un
vociare di bambine con la collana
di
nocciole al collo le passa accanto.
I
cavalli della giostra le scorrono dentro gli occhi.
Pierre
succhia con gusto una menta
dai
colori pastello.
Le
lancette si sono appisolate
sulle
12 e quaranta...
(UN MOTIVETTO),
C'è un vuoto riposante nella mente.
Il fumo delle sigarette sale.
Nemmeno una nuvola.
Le mie scarpe hanno i lacci blu.
Non le avevo mai guardate.
Le unghie devono essere levigate.
Metterò i guanti per pulire i carciofi.
C'è un tramonto calmo (MATTINO),
spesso, in narrazioni di ecfrastica valenza che, tramite una
autoptica sequenza descrittiva, traggono dalla dialettica dei contrari
l’alimento primo di una visione etico-estetica della vita. Una
tendenza letteraria distante da ogni propulsione poetica dato che la vera
poesia chiede il mondo, le peripezie, o il passato macerato da tempo in un
animo caldo e generoso. Ma la poetessa non si stacca mai dal suo essere. Non
c’è rottura fra la realtà che la circonda e ciò che ella è, dato che si porta dietro
il palpito che vive e che vivrà. E le cose respirano, hanno il suo
profumo; sono esse che tratteggiano la
sua indifferenza, il suo disincanto o la sua malinconia. Certamente è bene e
proficuo cercare nuove strade, nuovi percorsi; è così che possiamo indagare
meglio sulla profondità del nostro esistere; senza dubbio! Ma non è che
cambiando stile uno possa fuggire da ciò che è. Il suo è un andare umano,
fortemente umano, teso ad un viaggio di concretezza inquietante, ma anche di meravigliose
scoperte che la vita le offre:
Danzo la
morte che scompare.
Danzo la vita che riaffiora.
Danzo per tutte le vite passate.
Danzo per le troppe violate.
Danzo per questi parti
così dolorosi
così contrastati.
così indispensabili.
Dal seme dell'angoscia:
ancora una volta mi partorisco (DANZO LA VITA),
di
contagianti sorprese di fronte alla esplosione della primavera:
Pure il merlo, stamani gode delle
neonate viole.
Occhi festosi e becco semiaperto.
Spettina i capelli del prato con le zampe
e agita le corvine ali.
Schegge di sorriso d’uccello
penetrano l'anima delle foglie.
Sorride l’albero.
Risa trillanti, s’odono in ogni chioma.
Delicato il sapore della felicità,
in sorriso declina.
Tutto è piuma stamani!
E questo cielo attende voli. (LE
VIOLE),
pur sempre volando su orizzonti di oltre misura; con ascese
oltre la vita in seno al tanto che questa nasconde o manifesta, dacché è dalla
natura che trae ossigeno per il suo canto.
Un racconto totale,
plurale, proteiforme che ci tiene dagli inizi alla fine: vita, amore, solitudine:
Sono
chiuse alla via dell'amore
le tue finestre.
Un'altalena vuota cigola
nella solitudine della notte.
Nelle mani:
la sabbia del deserto
(DESERTO),
saudade,
spiritualità, abbrivi di panica contaminazione:
E soffia ancora tra i capelli
il vento.
Lo smeraldo dell' erboso manto
increspa.
Ondeggia la tua vita.
Pur nel supplizio del morbo,
la maestosa palma
ancora oscilla le sue verdi ali.
Fanno da sentinella:
due magnolie di raso (NEL MIO
GIARDINO),
vertigini
allusive, sintagmatiche inclusioni, ritorni onirici, affondi sinestetici di ampia positura lirica
con questioni sul poeta e la poesia: “... In
un percorso piano/ dove i concetti possiedano la semplicità dell’acqua./
E la sincerità dello specchio./ Chissà:/ se possa servire un poeta./
-----------------------------------/ Oppure no”. Tutto questo nella
nuova plaquette di Serenella Menichetti, che si distende su uno spartito di rinnovato
ardore ispirativo. Su di lei ho già avuto occasione di scrivere in altra prefazione
“…poetica plenitudinis vitae. Ci
sono le radici, simbolo del nostro vivere ed esser-ci; simbolo di una storia in
cui ogni ambito, ogni piccolo oggetto ha la sua ragione di essere; c’è il
passato, il presente, ognuno con la propria identità, col proprio sacco di
immagini, con la propria portata di sentimenti; c’è il futuro “complessa
operazione in perpetuo mutamento”. Ma soprattutto c’è il volo, questa voglia di
aprire le ali per un’avventura che ci elevi al di sopra del contingente, spesso
folto di delusioni. E ambire all’oltre è umano, fortemente umano; è dell’uomo
cercar di svincolarsi dal terreno per azzardare sguardi oltre la siepe…” (da Nota Introduttiva a
Serenella Menichetti: Fiore di loto. Gemignani Editrice.
Cascina (PI). 2015). Questo ho
scritto e credo che sia pertinente, prodromico alla lettura di questa nuova avventura;
partire da qui significa rimarcare l’amore che la scrittrice nutre per il
canto. Per
lei la poesia è cosa seria, non si può scherzare su confessioni dirette, su
armoniche sensazioni, che, pescate durante il tragitto dell’esistere, si fanno preziosi
beni da conservare e rinchiudere in robuste casseforti. Ed è ciò di cui ci
illumina la Nostra: il rapporto con il tempo, l’attesa:
L’attesa è un treno in ritardo.
Alla fermata dell’alba salgo
sul primo raggio di sole
che passa.
E’ proprio lei!
La tocco.
Poi furtiva l’assaggio (ALLA FERMATA DELL’ALBA),
le
sue preziose memorie:
Chiamalo ricordo.
E’ il prezioso
lenzuolo in lino del tuo corredo
conservato al
buio di una cassapanca tarlata.
Tu sulla soglia seduta
lo osservi mostrarsi in tutte le sue pose (SEQUENZA DI UN RICORDO),
le
considerazioni sul fatto di esistere:
Il viaggio scivola verso quel nulla
senza frontiere.
L’immagine va oltre sé stessa e la memoria
nell'ignoto s’annega (TEMPO INTERNO),
le
quotidiane occasioni che ci capitano vivendo, o il dilemma che tanto ci
riguarda su Eros e Thanatos e sul mistero del vivere e del morire:
Concetti al veleno ti immobilizzano.
Lo sguardo cerca la rosa.
S’aggrappa a gemme
nascoste.
Verità contrastanti
Spingono la morte
un passo più in là (DOLE/AMARO),
Il mistero della morte
prematura mi cinge
con catene di chiodi (MISTERO).
E lo fa con un linguismo
maturo e prezioso; prezioso nel senso di una semplicità che luccica come un
punto luce; alla ricerca di sintagmi e iuncturae che appaghino le esplosioni
meditative. I suoi accorgimenti etimo fonici, o sinestetico-significanti sono
frutto di un animo lontano da ogni
rocambolismo etimologico, da ogni forzatura espressiva, da ogni epigonismo o
ambiguità semantica. “… Un
risveglio senza gabbiani,/ un foglio accartocciato./ Una poesia scabra:/ né
trucchi, né orpelli./ La regina è nuda”. E anche le figure stilistiche
o la contagiante metaforicità del suo percorso fanno parte di una stesura grammaticale
spontanea e netta; della voglia di dare corpo a un sentire che preme, che
scalpita per vedere la luce: “Quando
scrivo apro la porta di un sogno. /Entro in punta di piedi,/ solo dopo inizio a
camminare speditamente./ No, non hai capito non è propriamente un sogno/ Certo,
gli assomiglia./ È una situazione quasi paranormale/Non posso uscire per
accendere il gas. /Lavare l'insalata...”. Tutto scorre liscio, tutto è
leggibile e fluente, come un ruscello che, ritmando, fluisce dalla sorgente al
piano, dal piano alle pinete, dalle pinete al mare, arricchendosi ora con le
ombre delle acacie, ora con i guizzi dei tramonti, ora coi profumi di ragia, ed
ora con i brividi finali di una foce che tutto ingoia. Configurazioni che in lei
si fanno simbologia di una esistenza di suggestioni e meraviglie; di melanconie,
anche, che il fatto di esistere si porta dietro con naturalezza, senza
intercessioni, dacché la vita è piacere, è consapevolezza di un bene
irripetibile, ma anche coscienza di un stato di precarietà, dato di fatto che
ci sfugge giorno dopo giorno. Scrivere della sua poesia significa indagare nel
profondo del suo animo, nella preziosità della sua storia spirituale, dacché
vita e arte si completano: “La
vita è l’arte dell’incontro”, affermava Vinicius De Morales, poeta
brasiliano amico di Ungaretti, “e vita e poesia sono la stressa cosa”. Mentre Thomas Mann sulla creazione artistica: “conoscere in
profondità e rappresentare in bellezza”. Due citazioni che sembrano fatte
apposta per la Micheletti, che, con tutto il suo amore per il canto, vive
osservando, sorprendendosi delle cose belle, emozionandosi davanti ai cromatici
linguaggi di una natura ora esplosiva ora decadente. È da là che trae
l’ispirazione per il suo “Poema”. Ma non
meno dai fatti della vita, da una calda stretta di mano, da un avvenimento che
la scuote e la addolora, dallo sguardo di un bambino che la riporta al valore
della semplicità. Ella conosce in profondità il mondo che la circonda e, con
forza emotiva, lo traduce in bellezza. “Spesso ci sono più cose
naufragate in fondo a un’anima che in fondo al mare” afferma Victor Hugo. E Serenella
ha piena l’anima di cose assorbite durante il suo viaggio. Ne ha fatto cumolo;
le ha mantenute a decantare nella sacca dell’esistenza, finché, pronte e mature
a puntino, chiedono con forza di tornare a vivere. Sensazioni e realtà che si
sono tradotte in immagini, nuove, feconde, desiderose di vedersi in poesia. La
Nostra cambierà pure stile, cercherà nuove strade da percorrere, perché l’uomo
è nato per scoprire, per avventurarsi in mari senza orizzonti, in cerca del suo
esistere in una perpetua corsa verso il sapere, ma nessuna parola, nessun
tramaglio di realistiche aggressioni potrà mai dividerla da se stessa; non si perderà
mai in un oceano estraniante dacché “Ignoranti quem portum petat nullus suus
ventus est” (Seneca) “A colui che ignora il porto a cui è diretto nessun vento
è favorevole”:
(...)
Mentre sogno
di attraversare il ponte
che conduca al di là
di questo vuoto di colori,
di questo immenso gelo:
paziente, attendo la primavera,
riscaldandomi alla fiamma
dell'invidia, per la marmotta e l’orso.
Nazario
Pardini