Patrizia Stefanelli, collaboratrice di Lèucade |
Introduzione a “Policromie” - silloge poetica di Dario Marelli a cura di Patrizia Stefanelli
A carezzare il viso della luna
A chieder cosa sia l’eternità.
Classici
versi, per le cose di sempre cantate da secoli di poesia, le surreali cose che
rassicurano mentre la tensione è tutta rivolta ad attraversare, in fragile
equilibrio, il presente, desiderando un futuro fatto di carne tenera da
allattare, senso di pienezza e, dunque, eternità. È Martina, con
la sua esplosione di colore dal petto ad aprire la raccolta; Martina che
riempie il buio e sfida le possibilità.
Assecondare il proprio tempo vivendo un
eterno presente è quanto più si avvicina al concetto di eternità e poiché tutto
è già inscritto nei possibili accadimenti, ogni cosa è reale. Caos e destino
coesistono poiché ogni evento è previsto dalle infinite possibilità e ogni
decisione porta a conseguenze esistenti in potenza dall’intersecarsi degli
accadimenti stessi. Non è uno scioglilingua, è la vita, ed è facile da
comprendere una volta passato il primo stupore, ed è l’idea che più mi avvicina
all’Eterno: Essenza e Sostanza di ogni cosa.
Ecco sul filo
in equilibrio l’incompiuto; tra cielo e terra, tra i sogni e il fumo dei
carburatori: Maddalena. I piani
dell’esistere fluttuano tra sogno e realtà in armoniose sinestesie: Ha gli occhi scalzi, muti come ombre,
Eleonora, che di notte inforna il pane con mani smaniose di finire. Per Dario
Marelli, che non trascura il cuore, ci sono simboli e similitudini a
relazionare i piani, insieme all’amore. Il cuore è l’ente dal quale tutto nasce
poiché non conta tanto ciò che vi entra ma quel che ne esce, frutto delle
radici, nutrimento di ciò che chiamiamo anima e mai abbiamo visto.
Una sorta di
trait-d'union tra ontologia ed epistemologia crea l’equilibrio utile alla
conoscenza o almeno alla riflessione. Le cose sono quelle che sono eppure
grazie alla lingua poetica significano altro, nutrono il lògos nell’accezione
greca di pensiero.
La gente si prepara nelle case/per affrontar la sorte e
la giornata/quasi fosse un monte da scalare./È un arnese sfibrato, sa di vecchio/la pala che si imbuca
dentro il forno/ e non vede la fine del sentiero. (Eleonora la
fornaia).
Dario Marelli ha l’esperienza e quella
sana curiosità necessarie alla scoperta di nuove cime o traguardi. Non fosse
altro, la vita, che un viaggio al raggiungimento di un’ultima vetta per vedere
l’oltre che non sappiamo, occorre affrontarne la sorte, non senza la
consapevolezza delle proprie capacità. Si avverte il desiderio d’infinito e la
finitezza dell’umana natura che come la pala, sfibrata da tanto lavoro (quasi
fosse di carne), non vede la fine del sentiero: Una frattura nel presente, un vago senso di preghiera sono
versi di speranza viva. (Gina la camionista). Il senso del divino traspare,
come agognata libertà, attraverso l’ausilio del cielo, simbolo per eccellenza e
dimora eterna: E non ci sarà una
ragione a spiegare/perché le somme degli estremi danno zero./Non ci sarà il
graffio di una biro/a disegnare una linea continua,/il limite che tende
all’infinito./Saremo solo io e te/a vivere l’equazione di un ricordo,/tutto
quello che rimane del tratteggio spezzato/che congiunge il Nulla
all’Universo./Io con le cuffie assorto ad ascoltare/il precipitare eterno della
voce,/lassù, divina, in mezzo agli angeli del cielo. (Quando te ne andrai).
Punta al
senso di vuoto, il nostro poeta, allo sguardo fuggito dalla routine di giorni
che vanno al ritmo di un marcatempo nell’alternarsi
assillante di assenze e presenze. Si tocca la Solitudine che cerca nel
sogno una ragione di riscatto, che trucca il volto per vedersi bella. Le donne di Marelli sono le donne
dei colori, a volte intense come il rosso a primavera, simbolo della forza
necessaria ad affrontare una giornata di lavoro, o, forse, come la consolazione
di un papavero che nasce sui terreni dissodati, sui lati dei binari
abbandonati, segno di un sopito orgoglio. Le donne di Marelli hanno una vita custodita da scartare, come
un bacio di cioccolato, nell’intimo delle sere o dei mattini quando il tempo si
concede un poco, il trucco è tolto, le serrande sono chiuse e il camion di Gina
sosta in parcheggio sui fianchi del cielo. È poesia che vibra di realtà percepita, per
frammenti e variazioni costruttiviste in cui, nell’apparente semplicità, la
parola si fa verbo universale e particolare capace di comprendere l’emotività
di ognuno.
Il ritmo
dell’endecasillabo cesella, con la scorrevolezza del parlato semplice, il
racconto di figure slegate dall’idea stilnovistica della donna-angelo, vicine
al percorso quotidiano e terreno di donne cariche di esistenza, volte alla
conservazione della speranza.
In apparenza ciò che sembra non è.
Piccole sfumature rischiano di passare inosservate in un giorno
qualsiasi: È un’ombra
lieve che la luce fugge, Bianca la dj; ma l’ombra non può esistere senza la sua
luce e in tutta la nostra esistenza cerchiamo, in fondo, quello stato di grazia
tra il buio e la luce, tra le idee e le cose: Come se vivere non fosse un peso/ma l’occasione per guardarsi dentro/
ed imparare a esistere sul serio mentre Amalia la fioraia si chiede il senso della vita. Davanti al
camposanto dove le vecchie parlano del più e del meno, in un appuntamento tra
la terra e il cielo, si chiede, Amalia, se tutto possa finire col nome inciso
su un marmo e non ha le risposte, così come non le hanno le madri di Plaza de
Mayo, a Buenos Aires, che non hanno neppure quel nome inciso e ancora attendono
i figli, desaparecidos per un ideale di libertà. Attendono e in cerchio vanno,
attorno a una piramide, a dirne il nome, a chiedere verità. Le guerre portano
miseria e lutti, sono giochi di potere esistenti da quando esiste il mondo e
noi non capiamo perché poveri cristi siano
ancora crocefissi col nome di madre sulle labbra.
Chi lo sa cosa hai pensato/quando con le braccia appese a
croce/come dentro un quadro di Mantegna/ti infilzavano il costato/senza
porgerti una spugna?/Forse al volto impietrito di tua madre… (Per Giulio
Regeni).
Non è facile
scrivere del nostro tempo globale; tutto il mondo sta in un click, in un attimo
sappiamo di morti e poi ci giriamo a riempire la bisaccia, lo zainetto con la
merendina, a pulire i vetri che un vento polveroso ha sporcato con la pioggia.
Fosse per noi, non ci sarebbero quei morti (…) non ti so dire, Hassan, amico mio,/che cosa infine rimarrà./Forse
la felicità servita con il tè/su una tavola di ulivo, la sera/alla ricerca di
un linguaggio, una radice,/una stessa appartenenza,/di due occhi che si
cercano/senza chiedersi perché. (Al mercato di Tangeri).
Gli elementi della natura e i suoi
incanti soccorrono spesso il Nostro nell’evento poetico, punto dello
spazio/tempo da cui far scaturire segni, immagini, significati che si
inanellano ad altri per opera dell’uomo che li agisce. Così la felicità è
servita col tè, e la tavola è d’ulivo e il linguaggio cerca l’appartenenza
nella stessa radice: lo sguardo eloquente di chi vuole un richiamo di
fratellanza, identità di pace. I temi
toccati dai versi sono tanti: l’ideale di fede, la solitudine, l’amore in tutte
le sue sfaccettature, le difficoltà del vivere, il lavoro, la ricerca di un
senso per ogni cosa che inizia o che finisce. Muore a sera la luce in fondo al cielo/e un
canto solitario di usignolo/si eclissa fra le frasche
del faggeto./Mi assomiglia il
profilo dei colli/la parvenza nel buio delle case/il pigolare spaurito delle aie./Anche domani celebrerà l’alba/il furtivo risveglio della vita/il
vetrato silenzio dell’assenza. (Tra la luna e i tulipani).
Lo scarto
semantico tesse il dettato poetico non senza l’uso di figure retoriche di suono
e il risultato è una struttura olistica di grande impatto fono-simbolico. I
sentimenti si cristallizzano dalla memoria tra corrispondenze apparentemente
opposte come il volo spensierato di
farfalle sopra i prati/e lo scalpitare dei cavalli bradi nelle piane.
La Poetica di
Dario Marelli, in cui paesaggi e velami si moltiplicano su uno sfondo fino alle
piccolezze di un primo piano in sinfonia di colori, è ingenium et ars insieme, capace di rigenerarsi quale
caleidoscopio di parola. È, la sua, “poetica della nostalgia” scevra da
inutili complicazioni sintattiche, capace di commuoverci con il viaggio più
difficile, attraverso la prova di conoscenza di sé e dell’altro: Abbiamo superato la fatica con il
sorriso sulle labbra/sapendo che ci sarebbe sempre stata una mano ad
aspettarci,/dimenticato il nostro Io per diventare Noi/e sublimarci al servizio
degli altri,/perché condividere gratifica più che trattenere (Patagonia), e
questo è il senso della vita.
Patrizia
Stefanelli