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Cinzia Baldazzi, collaboratrice di Lèucade |
Saba, Calvino, la leggerezza
di
Cinzia Baldazzi
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Umberto Saba |
Nel 1920, vale a dire un secolo fa, Umberto
Saba (1883-1957) pubblica la poesia Ritratto
della mia bambina. I tredici endecasillabi sciolti, slegati da rime (non
considerando la riproposta della parola «cielo» alla fine dei versi 2 e 12),
sono dedicati alla figlioletta Linuccia, allora di dieci anni.
La
bambina con la palla in mano,
con
gli occhi grandi color del cielo
e
dell’estiva vesticciola: “Babbo
–
mi disse – voglio uscire oggi con te”.
Ed
io pensavo: Di tante parvenze
che
s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso
la mia bambina assomigliare.
Certo
alla schiuma, alla marina schiuma
che
sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce
azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche
alle nubi, insensibili nubi
che
si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e
ad altre cose leggere e vaganti.
Nel 1921 vede la luce l’edizione originaria del
Canzoniere e, già prima della
versione completa del 1945, è ben evidente, in analogia a questa poesia, una
forte urgenza di sollecitazioni autobiografiche o morali, un bisogno estremo di
confessarsi - tanto attuale nei nostri giorni - non solo nei brani
genericamente di prosa, ma anche nei componimenti lirici.
Qui cogliamo Saba nel ritratto della figlia, con
«gli occhi grandi color del cielo» e una «estiva vesticciola»: l’autore è
solito raccontare momenti, ragioni peculiari della vita personale, nonché di
chi lo circonda. In quale misura? Senz’altro tramite un organismo poetico in fieri, in costruzione, le cui singole unità
prolungano i rispettivi echi trovando il più autentico significato nella
dimensione del tutto. Mentre la fanciulla gioca «con la palla in mano», interviene
qualcosa di imponderabile nella sua psiche, nell’anima, nel prezioso universo dell’infanzia,
e la piccola si rivolge al «babbo» chiedendo di uscire con lui.
Lo apprendiamo con l’enfasi di un tono
volutamente infantile, insito nella coesione logico-intuitiva del messaggio comunicato
per mezzo dell’utilizzo di un discorso diretto, di un parlato familiare che, privo
di esplicito filo di continuità, è interrotto dalle riflessioni appartenenti al
poeta adulto: gli assi della similitudine, introdotti ed evocati dal termine letterario
«parvenza», associano la bimba alla schiuma del mare biancheggiante sulle onde,
al filo azzurro del fumo dei camini, ben presto dissolto dalle folate, o alle nuvole
impalpabili nel chiarore della volta celeste.
Linuccia viene dunque accostata a enti naturali
caratterizzati da una “leggerezza” capace di transitare sotto forma di liete
apparenze attraverso la pesantezza della routine
concreta, quotidiana, privata, storica.
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Italo Calvino |
Alla leggerezza («lightness») è dedicata la
prima delle sei conferenze commissionate a Italo Calvino (1923-1985) dall’Università di Harvard nel Massachusetts per le Charles
Eliot Norton Poetry Lectures. Lo scrittore le prepara nell’estate del 1985, ma
al momento di partire per gli Stati Uniti, nel mese di settembre, muore
improvvisamente (Garzanti le pubblicherà tre anni dopo con il titolo Lezioni americane, a cura della moglie
Esther Judith Singer).
Il paragone tra i ragionamenti di Calvino e lo status elaborato da Saba, specie in Ritratto della mia bambina, è di natura
dialettica, nondimeno convincente, inquietante. Così avrebbe esordito Calvino
di fronte all’uditorio di Harvard:
Dedicherò la prima conferenza all'opposizione
leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire
che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza
penso d'aver più cose da dire.
Saba assimila la bambina all’inconsistenza
aerea di un filo di fumo o delle nuvole, o a qualsiasi altro elemento in grado
di vagare nell’etere, al modo in cui le figure magiche delle fiabe percorrevano
distanze incommensurabili (pur nella convinzione, ormai generalizzata, in base
alla quale nessuno pensa più che la favolistica sia un repertorio esclusivo
dell’infanzia). Nella prolusione sulla leggerezza, Calvino sottolinea come
nella letteratura orale, generatrice dei tales,
il “volo” in un altro mondo vissuto da protagonisti e lettori sia un topos ricorrente. Gli eroi e le eroine
dei racconti, forse amati anche dalla nostra Linuccia, sognano diversi reami;
le principesse e i loro paladini viaggiano attraverso l’aria, come sintetizzava
lo studioso Vladimir Propp: «A dorso di cavallo o d’uccello, in sembianza
d’uccello, su una nave volante, su un tappeto volante, alle spalle d’un gigante
o d’uno spirito, nella carrozza del diavolo, ecc».
La perifrasi proposta dai versi di Saba innalza
l’ampiezza musicale del suono, introducendo una seconda parte del componimento in
cui tale salto espressivo-contenutistico diventa spia del modo di concepire la ποίησις
(pòiesis) del nostro autore, articolata
com’è in svariate tessere di un mosaico dove i frammenti, o le illuminazioni di
differente matrice ideativa, si incontrano intersecati uno all’altro, legati da
intime assonanze strutturali: che sono poi il segno, a un livello superiore,
della stessa accidentalità, della medesima incostanza della vita, del complesso
rapporto degli uomini fra loro e con le cose.
Replicare alcuni sostantivi («schiuma», «nubi»)
e accostare lessemi consonantici («posso […] assomigliare», «scia […] esce», «fanno
[…] disfanno») potenzia, in questo spazio della lirica, la musicalità dei
segni-segnali scelti ad hoc, e
numerosi enjambement arricchiscono il
continuum colloquiale ottenuto.
Nel 1916, alludendo alla propria poetica “impura”
in totale contrasto con le Scuole del Novecento, il nostro Umberto Saba, sconfortato
eppure sorretto da un timbro anche aggressivo, esclama: «Quanta zavorra nella
mia navicella!».
A distanza di settant’anni, Calvino esporrà la
medesima preoccupazione:
La
mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato
di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città;
soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al
linguaggio.
Ma, in seguito, quella «zavorra», quei fattori discontinui
dell’opera di Saba risulteranno per lo scrittore decisivi, irrinunciabili
tasselli di un’interezza esauriente al massimo. Ritratto della mia bambina viene composto nell’atmosfera gioiosa
successiva alla “pesantezza” e alla tragica gravità della Grande Guerra, quando
Trieste, tornata italiana - lo preciserà l’autore in Storia e cronistoria del Canzoniere - suggerisce la propensione ad
amare «le cose leggere e mutevoli che vagano sopra la pesantezza della vita».
Uno stato d’animo parallelo ha accompagnato,
d’altronde, l’input
sintattico-lessicale del brano, privilegiando moduli essenzialmente pittorici,
dove l’appello sembra rivolto a colori, a fenomeni della natura còlti nel
taglio specifico della loro lucentezza, trasparenza, levità e mutevolezza,
indici polisemici straordinari dell’emblema universale dell’infanzia. Il brano,
in sostanza, è un “racconto” con figure indipendenti, trama, punti di vista
dialettici, cronologia spirituale o veristica, all’altezza di richiedere di
identificarne le voci, di fare i conti con il più inquietante, evasivo, anzi il
più misterioso e assiduo di tutti i personaggi di Saba: la poesia.
Anni dopo, sempre nelle Lezioni americane, Calvino esporrà una schematizzazione sul tema
della leggerezza:
Possiamo dire che due vocazioni opposte si
contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l’una tende a fare
del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube,
o meglio un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo d’impulsi
magnetici; l’altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la
concretezza delle cose, dei corpi, delle sensazioni.
Il tema merita un’ultima riflessione. Una
simile “leggerezza” - le cui radici, come già visto, sono comuni
all’immaginifico letterario, all’etnologia e al folklore - rappresenta un
simbolo a due facce: perché, se appare corretto considerare la “leggerezza” in
grado di togliere il dolore di un peso inibitorio mortale, ritengo anche realistico
che, per desiderarla, acquisirla ed essere riparati o trasportati in un regno
in cui ogni mancanza sarà magicamente risarcita, sia necessario averne sofferto
la necessità.
Umberto Saba, dunque, nell’elogiare in chiave
biografica la qualità infantile della sua figlioletta, per un verso se ne
rallegra, per l’altro è consapevole come la condizione fondamentale per
renderla possibile sia quella di rimanere al
di là delle cose, del “sistema”. Dell’età adulta in generale, dell’infanzia
sofferta e infelice in particolare.
Riferimenti bibliografici
Umberto
Saba, Tutte le poesie, a cura di
Arrigo Stara, Milano, Mondadori 1978
Italo
Calvino, Lezioni americane, Milano,
Garzanti 1988