XXIII Premio Nazionale MIMESIS di poesia anno 2020
VERBALE DI GIURIA
La segreteria
del Premio comunica che la giuria composta da:
•Presidente
Prof. Nazario Pardini (ordinario
di letteratura, poeta, saggista, critico letterario, blogger);
•Vice
Pres. Dr. Nicola Maggiarra (Pres.
Ass. Mimesis);
•Prof.ssa
Ada Boubara (docente
di Storia della Letteratura Italiana Università
Aristotele di Salonicco);
•Dr.
Antonio Colandrea (funzionario del Ministero della Giustizia, poeta
vincitore del Mimesis 2019);
•Prof.
Claudio Giovanardi (scrittore,
poeta, ordinario di linguistica italiana all'Università degli Studi Roma 3);
•Dr.
Mimmo Martinucci (poeta,
saggista, scrittore);
•Prof.ssa
Daniela Quieti (docente di Lingua e Letteratura Inglese, poetessa, giornalista pubblicista);
-Segretario Giovanni Martone
in data 19 agosto ha
completato l’esame delle 518 poesie per la sezione A e 315
per la B. Le poesie in graduatoria risultanti vincitrici nella
sezione A sono state poste a verifica di ammissibilità e, secondo le regole del
bando di concorso, sono state escluse quelle risultanti pubblicate. Se in seguito alla notifica della
seguente graduatoria dovessero emergere segnalazioni per altre liriche
indebitamente iscritte alla sezione A, la segreteria adotterà i provvedimenti
necessari.
Dopo
attenta verifica della regolarità delle votazioni, il presidente di giuria Prof.
Nazario Pardini ha approvato la seguente graduatoria di merito:
POESIE VINCITRICI
SEZIONE A (inedita)
Poesia prima classificata In un germoglio solo, la bellezza
di Monia Casadei (FC) voto 27,625
Poesia seconda classificata Al suono delle campane e delle
sirene di Vincenzo Screti (LT)
voto 26,375
Poesia
terza classificata Frattali di Marcello
Remia (RM) voto 26,25
Poesia
quarta classificata Diplomazia di Ana Maria Andrino
Bothelo (Svizzera) voto 26,125
Poesia
quinta classificata Risuona il canto delle stelle di Giulio Rocco Castello (SA) voto 26,1
Poesia
sesta classificata In bilico si resta di Stefano
Peressini (NA) voto 25,875
Poesia
settima classificata Della precarietà di Sonia Cosco (SV) voto 25,625
Poesia
ottava classificata Il vento silenzioso della morte di Vittorio Di Ruocco (SA)
voto
25,5
Poesia
nona classificata Lettera di primavera di Victorina Maria Dos Santos (RC) voto 24,937
Poesia
decima classificata Isola verde di Emilia Fragomeni (GE) voto 24,875
Poesia
undicesima classificata A inizio estate di Federico Cinti (BO) voto 24,75
Poesia
dodicesima classificata Senza di noi di Caterina De Martino (CT) voto 24,625
Per la sezione B Poesia edita hanno espresso
la propria valutazione:
Presidente Prof. Nazario Pardini, Vice Pres. Dr.
Nicola Maggiarra, Prof.ssa Ada Boubara , Dr. Antonio Colandrea; Dr.
Mimmo Martinucci, Prof.ssa Daniela Quieti.
POESIE
VINCITRICI SEZIONE B (edita)
Poesia
prima classificata Canto d’amore di Rosanna
Minei (NA) voto 28,5
Poesia
seconda classificata I tulipani di Lisse di Dario Marelli (MB) voto 28,166
Poesia
terza classificata Megale Hellas di Rosa
Chiricosta (FI) voto 28
Poesia
quarta classificata Ricamo in versi per una madre di Rosanna Spina (LI) voto 27,583
Poesia
quinta classificata Utopia* – 17 marzo 1891
di Maria Teresa Infante (FG) voto 27,5
Poesia
sesta classificata Ti terrò di Emanuela
Dalla Libera (LI) voto 27,45
Poesia
settima classificata Pensieri al plenilunio di Primavera di
Marisa Cossu (TA) voto 27,266
Poesia
ottava classificata Ὀδύσσεια
di Giulio Bernini (RM) voto 27
Poesia
nona classificata urti gentili di Annamaria
Ferramosca (RM) voto 26,833
Poesia
decima classificata Elegia di un precario di
Elisabetta Liberatore (L’Aquila)
voto 26,75
Poesia
undicesima classificata Gli alberi del sud di Laura Barone (MI) voto 26,666
Poesia
undicesima classificata ex-aequo La bambina con la valigia di Serenella Menichetti (PI) voto 26,666
Le poesie vincitrici saranno raccolte in un’antologia,
senza oneri per i poeti, con prefazione di
Nazario Pardini. Il volume conterrà
due poesie per ogni autore.
PREMI Sezione A
1° PREMIO: € 500 offerti dal Comune di Itri, targa,
motivazione e 5 copie dell’antologia;
2° PREMIO: € 200, targa, motivazione e 5 copie
dell’antologia;
3° PREMIO: € 100, targa, motivazione e 5 copie
dell’antologia.
DAL 4° AL 12° PREMIO
Targa, 5 copie dell’antologia, vini pregiati.
PREMI Sezione B
1° PREMIO: Contratto editoriale con Caramanica
Editore che prevede la pubblicazione gratuita di una silloge di 64 pagine, in
100 copie per l’autore, targa, motivazione e 5 copie dell’antologia;
2° PREMIO: € 200, targa, motivazione e 5 copie
dell’antologia;
3° PREMIO: € 100, targa, motivazione e 5 copie
dell’antologia.
DAL
4° AL 12° PREMIO
Targa, 5 copie dell’antologia, vini pregiati.
PREMIO SPECIALE “PROVINCIA
DI LATINA”
TROFEO alla poesia
Torre B vista canale
parte II di Sheiba Cantarano voto 25,16
MENZIONE SPECIALE DI MERITO
Ci scrivevamo di
Alessandro Izzi voto 24,83
MENZIONE D’ONORE
Gli anni addosso di Giovanni
Aniello voto 23,5
L’Alzheimer di Sara
D’Aniello voto 23,33
Navigante ammore di Alfredo Scotti voto 23,33
Cecilia 2020 di Carmelo Salvaggio voto 22,75
Il tuo nome di Luca
Agostini voto 22
Il tuffatore di Antonio
Damiano voto 22
Durante la premiazione sarà assegnato il
PREMIO SPECIALE STAMPA
Trofeo conferito alla poesia (tra le 24 vincitrici) di maggiore impatto
comunicativo.
GIURIA
Presidente - Dott. Orazio La Rocca (Gruppo L’Espresso), Alfredo Saccoccio, Orazio
Ruggieri, Franco Cairo.
La data della
premiazione sarà comunicata dalla segreteria del Premio in tempo utile. Per i
premi in denaro e il contratto editoriale è richiesta la presenza dei
vincitori. A spese della segreteria saranno spedite: targa e antologia.
Nel caso in cui, per motivi sanitari relativi all’emergenza Covid-19,
l’Associazione Culturale Teatrale Mimesis dovesse rinunciare allo svolgimento
della cerimonia di premiazione, i premi
saranno consegnati ugualmente.
Le liriche saranno
lette al pubblico e i poeti saranno presentati in un’intervista a cura dei
giurati e di TV LAZIO.
GRAZIE A TUTTI I POETI CHE CI HANNO ONORATO
CON LA LORO PARTECIPAZIONE E ALLE GIURIE
La
direttrice artistica
Dott.ssa
Patrizia Stefanelli
Totale
poesie edite n. 315
28,5
PRIMA
CANTO D’AMORE 290 A ROSANNA MINEI
Lui
Colomba mia, il mio calice trabocca
del frutto della vite bianco e fino
ma troppo schiva sei, amica, amante,
e mentre mi nascondi il tuo sembiante
te ne vai via giocando a nascondino
fra le pie fenditure della rocca.
Baciami con i baci della bocca
fluenti e rifluenti più del vino
dolci di miele da favo stillante
e duri il bacio tuo solo un istante
ché su di noi sta avanzando il mattino
e il giorno ci carezza, già ci tocca.
Lei
Amato mio, se fossi mio fratello
- sangue di sangue mio, carne di carne -
potrei baciarti per la notte intera
e all’alba e nel meriggio e fino a sera
continuare potrei senza saziarne
la brama tua. Ed inebriante e bello
sarebbe lacerare per te il vello
di vita mia, il segreto dipanarne
e regalarti fluida la mia cera
che scorrerebbe dove più non c'era
ed effonderne ancora, e sprigionarne
quale sigillo al nostro amore. Anello.
Insieme
Andiamocene oltre, oltre fuggiamo
via dal tempo danzando con le ore.
Insieme a noi stagioni non restate,
non serva primavera non l'estate
per celebrare finalmente amore.
Dentro il momento che non passa, stiamo.
Come alpestri cerbiatti, oltre corriamo
via dallo spazio chiuso, divisore
dei corpi e delle anime legate
da vincolo invisibile. Cercate,
cime dei monti impervi, in quest’albòre,
un luogo in cui potersi dire t'amo.
(schema:
ABCCBA - ABCCBA / DEFFED - DEFFED /
GHIIHG - GHIIHG)
28,16667
SECONDA
I TULIPANI DI LISSE 57 B
DARIO MARELLI
Occhieggiano al sole,
sgargianti,
sotto il cielo
striato di maggio
i tulipani di Lisse.
Non sanno delle
memorie sgualcite
nei sottotetti di
Amsterdam,
dei turbamenti di
Anne,
delle speranze
recise.
Accarezzano ignari il
sospiro del vento,
distesi nel prato,
infondendo quiete.
Hanno l’incanto della
giovinezza,
di chi non si è
annullato,
di chi non ha perduto
tutto.
Erano solo ieri le
sirene
che ululavano al
buio, le biciclette
abbandonate nel
ghetto,
fiutando la fuga.
Era solo ieri il tuo
sguardo d’amore,
dentro te il mare e
la paura di annegare
nel retro della
casa*.
L’umanità umiliata.
Oggi a Lisse di
maggio,
ammassati nei campi,
si lasciano ammirare
i tulipani.
Indossando la gioia,
inneggiando alla
vita.
Ad Anne Frank
*”Il retro della
Casa” indica l’alloggio segreto ove si nascose Anne Frank
28
TERZA
Megale
Hellas 142 A ROSA CHIRICOSTA
Mitica la mia terra, Megale
Hellas
Approdo antico dei più fieri
ecisti
Guidavano gli Elleni alla
ricerca
Di nuove terre dove rifondare
Templi sacri agli Dei e teatri
immensi.
Son tanti i miti nell’anima
vivi
Di chi vi nasce in quella
terra antica
O l’attraversa e sente giunger
l’onda
Sulla riva deserta e
misteriosa.
Li hanno portati, i miti, con
le navi
Gli antichi eroi dall’Ellade
partiti
Per approdare in una terra
nuova
Che, posta là dove tramonta il
sole,
Chiamata Esperia, terra della
sera:
Ha colline d’argento tra gli
ulivi,
Coste accoglienti su cui si
posa l’onda,
Vallate dove scorrono
torrenti,
Boschi fitti di querce sulle
alture
E cime che biancheggiano di
neve.
Mentre Afrodite rinasce dalle
onde
Che di rosa cosparge Eos
all’alba,
Artemide rincorre bei
cerbiatti,
Fino all’antro di Efesto oltre lo stretto
Là dove ardente brilla la
fornace
Per costruire elmi e scudi
lucenti.
Vagante nella notte, giunge
all’Etna,
Vi accende in ansia fiaccole
Demetra,
Quando, persa la figlia tra le
spighe,
Invoca Zeus che ascolta la
preghiera
E il disperato pianto di una
madre!
Tra le colonne antiche echi di
eventi
Cantati sulle cetre dai poeti
Li hanno affidati al vento in versi
sparsi
Finiti in mezzo ai flutti e
schiuma d’onde
E, persi negli abissi più
profondi,
Affiorano di notte fino a riva
Tra le maree chiamate dalla
luna .
Sono i versi di Nosside,
locrese,
ancella dolce di Saffo sublime
nei suoi versi i riti a
Mitilene.
S’ode Ibico reggino quando
inneggia
Alle bellezza della natura
altera
Di una terra, la nostra, amara
e fiera!
Li senti nei sospiri degli
amanti
Nelle inquiete domande dei
viandanti
Rimaste senza risposte ma
uguali
A quelle vane degli antichi
eroi
Che all’onde confidavano gli
affanni,
Cercavano nei voli degli
uccelli
La direzione e i segni da
seguire,
O negli oracoli i segreti
arcani
Letti dalle Sibille tra le
foglie
Per indicare la via maestra.
E si varcava il limite segnato
Solo dopo aver Cerbero sedato.
Si sono chiuse poi tutte le
porte
Che dal di qua finivano
nell’oltre,
Non resta altro che guardare
in alto
Se s’apre tra le nuvole uno
squarcio
Per illuminare anche un solo
tratto
Di questa terra ormai fatta
deserto,
Perché sembrano perse quelle
tracce
Che prima i Greci e dopo anche
i Latini
Hanno lasciato nelle
tradizioni
Per secoli seguite e rinnovate
Dalle preghiere pie dei
Cristiani .
E si baciava sopra il desco il
pane
Segnato in alto dal segno di
croce
E si faceva anche all’alba
quel segno
Perché s’aprisse il giorno
alla speranza.
Si ripeteva ancora quando a
sera,
Riunita la famiglia accanto al
fuoco
Si ringraziava Iddio per la
giornata
E gli si affidava anche la
nottata.
Erano tempi duri e pure amari
Ma sempre dalla luce
illuminati:
C’era ed era grande la
speranza
Di vedere nei figli realizzati
I sogni che sparivano al
risveglio
Eppure riapparivano e radiosi
Quando si apriva ancora uno
spiraglio
Che lasciava intravedere in
lontananza
Un mondo nuovo, pur di là dal
mare!
E presero a partire speranzosi
Tanti “eroi”, lasciando figli
e spose
Per sognare domani più radiosi
Quando, tornati dalle terre
ignote,
Avrebbero rivisto i figli
grandi,
Le case fatte belle,
rinnovate,
Premio aspettato dalle madri
miti!
Campi di grano biondo, ulivi e
viti
Da coltivare nei campi sognati
Nelle notti di luna, da
lontano,
In terre sconosciute, in
luoghi estranei,
O in cupi sotterranei di
miniere
Oh quante volte si sognava il
sole
Cocente quando fa ardere la
terra
E, nel meriggio, trasparente
l’aria,
Si dipana irreale un gran
silenzio
Che fa sentire un brivido
abissale!
Quante volte un profumo
ritrovato
Riportava alla mente una
stradina
O un viottolo in discesa verso
il mare
O lo sciabordare lungo le
fiumare
Dove solo una voce, quella
amata
Si riconosce nel coro tra i
tonfi
Di panni fatti battere sui
sassi
Quasi montagne alte sparse nel
fiume
Dove inebriante olezzo di
ginestre
Si sparge tutt’intorno col
colore
Che giallo brilla come l’oro
al sole
Se giugno fa fiorire di
splendore
Rupi scoscese in ripidi pendii!
Oh quante volte appariva
l’abbaglio,
come un miraggio in sogno, del
ritorno!
Si attraversava col pensiero
il mare
E all’alba si tornava a
disegnare
Nell’anima dai sogni
rinfrancata
Ondulate colline mai scordate
Dove brillano bionde spighe al
sole
Tra papaveri rossi nel
meriggio
Ammirate dall’ombra dell’ulivo
Che al soffio di una brezza
passeggera
Risuona di voci antiche
riaffiorate
Tra profumi smarriti tra i
sentieri
Deserti ora e coperti di roveti.
27,58333
QUARTA
Ricamo in versi per una madre 65B
ROSANNA SPINA
Non sento più
la voce di mia madre
il vento ha spettinato già le siepi
i nidi son caduti e solo il gelo
inchioda le lancette sulle ore
ma io aspetto
il tempo delle gemme
la tregua dopo cui poter contare
le sillabe spezzate nella tara
le spine sottopelle nella mano.
Dicevano che a
tutto c’è un rimedio
per questo attendo l’empatia del sole
quando la luce ha un fremito sottile
mentre la stringo forte al mio pensiero.
Poter saperla
lieta in una danza,
sentirne gli occhi come un focolare,
poter baciarne il bianco della fronte
come se fosse il lino di un altare.
27,5
QUINTA
Utopia* – 17 marzo
1891 189C Maria Teresa Infante
*In memoria di Utopia –
la nave affondata il 17 marzo 1891 presso Gibilterra – e dei 576 italiani
annegati, senza mai raggiungere New York, dopo essersi imbarcati nel porto di
Napoli.
La tragedia si consumò in
venti minuti ma fu dimenticata e riportata alla memoria pochi anni fa grazie a “Utopia- Il naufragio della speranza”
saggio storico del giornalista, scrittore, Duilio Paiano. Anno di pubblicazione
2017. Prefazione prof. Augusto Mastri, University of Louisville. USA
Le botteghe
avevano le madie vuote
e le mani pezzate a
calce dei fornai
erano un lusso
dimenticato ormai
una madre
impastava l’acqua col
coraggio
mentre il sale
scendeva dritto dal
suo pianto
i bastimenti
evocavano mense per
gli audaci
le briciole
lievitavano il sudore del capo.
“Mamma, mamma, dammi cento lire che in America voglio
andare…”
la radio suonava per pochi
e pochi erano sempre troppi da sfamare.
Cento lire sembravano spese a dovere
se oltremare c’era un campo da seminare
tanto un anno passa e magari torna
sempre se la fortuna ti è compagna.
– Un, due, tre, stella!
I bambini giocavano ignari
non sapendo che i padri
avrebbero varcato il mare
per un tozzo da inzuppare,
domani.
– Un, due, tre, stella!
I bastimenti costavano una vita
e quante vite donarono il corpo ai fondali
per quel pezzo di pane amaro
e un figlio che non avesse più fame.
Ho visto sogni spalmati su una crosta di terra
e un paese che lontano aspetta.
– Un, due, tre, stella!
E l’America è solo un ricordo
se un fanciullo addenta felice
una fetta di pane e la vita.
Utopia è un ricordo di pane, annegato
per fame.
27,45
SESTA
Ti terrò
28B Emanuela Dalla Libera
Tu sei la luce di marzo che discopre
nella macchia il primo boccio, e alle api
lo addita con fare di mistero.
E al vento ride, ché l’ebbrezza della vita
ha le mani spoglie di pretese, gode del bianco
immacolato dei viburni a primavera
e alla sera di un volo di rondini nel cielo.
Tu sei il mattino che scuote l’orizzonte
dai silenzi smarriti della notte
e nei tramonti affoga parole stridule
di pena, ché i suoni della mente di cristallo
hanno i pentagrammi e gli affanni
annodano ai rami che la pioggia lava
negli autunni opalescenti.
Sei l’onda placida del mare che sulla riva
scioglie nodi di intemperie e un casto nulla
adagia tra le dita, ché incorruttibile scivola
senza tempo, sulle rive inconsapevoli
dei sogni, la sabbia chiara degli approdi.
E io ti terrò come si tiene stretto al cuore
un giorno raro di festa, o tra le labbra un fiore.
27,26667
SETTIMA
Pensieri al plenilunio di Primavera 157B Marisa Cossu
(rondò)
Per
le teorie di certe vuote sere
passano
a volte presi in una danza
vani
pensieri, voli d’ombre nere
segni
di fumo sparsi nella stanza.
Forse
la solitudine è sostanza
simile
a nebbia di nulla vestita
se
non d’attesa, di vana mancanza,
polvere
che trascorre tra le dita
quando
del cielo inizia la salita
la
fragola succosa della luna
perché
la primavera è ormai finita
e
triste se ne va, come nessuna:
depone
i fiori in una verde cuna
e
pensa al freddo gelo dell’Averno.
L’ultimo
plenilunio già s’abbruna
nel
ciclo predisposto dall’eterno
giro
dei corpi e, sul costante perno,
nel
mutamento trovano la quiete;
ma
tutto corre a quel seno materno
dove
si unisce il pianto alle ore liete,
la
vita al suo contrario, all’acqua sete,
l’odio
all’immenso abbraccio, alle chimere
fantasmi
naviganti senza rete
che
svaniscono in pallide riviere.
27
OTTAVA
Ὀδύσσεια 289B Giulio Bernini
Un segno d’inchiostro di tanto tempo fa,
l’impronta di un dito su una pagina di Omero.
Era in quegli anni Ulisse relitto per il mare
dai venti sospinto e dagli dèi
ed io con lui in ricerca.
Itaca con lui mi accolse,
saldo al suo fianco l’arco scoccai.
Vidi Penelope regina e schiava
dolente dell’attesa e della tela,
vidi la giovane ancella
che all’ospite ardito in premio si offriva.
Sulla pagina un respiro si è posato
e non c’è traccia, resiste l’impronta,
saprò soltanto io che m’appartiene
e il forzato esilio ancora dura.
Per altro vento corre la vela
sotto altro cielo e anche il mare è altro,
lo sguardo si apre nel mattino
trepido per l’amara grazia
di una rotta verso l’Itaca pietrosa,
concessa dai numi perché la vita passi
e il sole conosca il suo tramonto.
26,83333
NONA
urti gentili 46A Ferramosca Anna Maria
mi
manca la lingua mi manca
quella
timidezza di vocali aperte
di
zeta dolce nel grazie
un
incurvarsi della voce in gola
come a
piegarla fossero le pietre
salentine
del ricordo o forse
una
malinconia residua della nascita
ingorgo
che resiste
allo
sperpero del vivere
furore
dei cieli di una volta
grida
bianche dei dolmen che insistono
nel
vedere il mattino sorgere
sulle
rovine ogni volta
qualunque
sia l’inclinazione della luce
mi
manca quella strana paura
prima
di ogni viaggio
come
un sottile rifiuto della distanza
come
di albero che impone alle radici
un limite all’espandersi e si concentra
sulla
cura dei frutti
pure
amo
tutto
questo calpestio di genti nella città
l’impasto
lento di animelingue
il
rompersi dei meridiani l’inarcarsi dei
ponti per
urti gentili
questo
annodarci annodando
i
cesti della fiducia con antiche dita
26,75
DECIMA
Elegia di un precario 32A Elisabetta Liberatore
Cambierà questa brulla
incertezza
da funambolo, madre,
il commiato senza suono
e il tuo saluto muto sulla soglia.
Cambierà il mio futuro
sospeso come un fiato
su un tempo mai giunto,
la rata di un debito inesauribile,
l'ingordigia vestita di regole,
Cambierà il conteggio
di un prodotto lordo d'ansia
cucito sull'anima
e la favola bella del merito,
la grigia sembianza di una chimera.
Finirà la misura sgranata
di questa bilancia guasta
che esonda numeri come
lame affilate su vite prescritte.
Finirà il brivido del mio esilio
l'ondeggio indegno
di questo imbroglio
e il mio tassametro saturo d'inverni.
Finirà l'infame sostanza
di questa maschera da precario,
il marchio a fuoco
di un'
indegna ferita
che gronda ingiustizia.
Vedrà un nuovo giorno
quest'alba scura,
il mio sguardo opaco
e questo treno grigio
diretto oltre il confine.
26,66667
UNDICESIMA
GLI
ALBERI DEL SUD 206A Laura Barone
Gli alberi del Sud, hanno
strane foglie,
tondeggianti e pallide, che
ondeggiano
tra raffiche di vento e di
pensieri
e tra le rocce aguzze urlano
inquiete
mentre il mare inghiotte la
risacca.
Gli alberi del Sud hanno
radici fonde
che abitano storie di rimorsi
e dolore
dove l'amore è arso in una
notte,
nel sogno di una danza senza
quiete.
Gli alberi del Sud hanno occhi
scuri
e mani che giocano con pietre
di ricordi
mentre gazze disinvolte
nascondono nei nidi luce
rubata ad un sorriso.
Gli alberi del Sud piangono
solitari
e sulle serre attendono un
domani
come anime in cerca
di ventura.
26,66667
UNDICESIMA
EX AEQUO
Pola 6 Giugno 1946
LA BAMBINA CON LA VALIGIA 182B Serenella Menichetti
E’ uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
adesso abbraccia il collo di un titino.
Il pericolo si è introdotto nella mia casa.
Con enormi zampe nere cammina sulle pareti.
Il suo smisurato corpo invade le stanze.
Percepisco il suo fiato alitare sopra le nostre teste.
Allarmi, fughe, rifugi:
falene impazzite che volteggiano nella mente:
Negli occhi dei miei cari la paura.
Soffio gelido che inghiotte ogni mio piccolo sogno.
E’ uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
abbraccia adesso il collo di un titino.
Indosso l’abito nuovo confezionato
con lo scampolo di seta, dalla zia.
Aggrappata alla valigia mi metto in posa,
seduta, sui gradini della mia dimora, per l’ultima volta.
I petali della mia pianta di geranio presagiscono
l’epilogo della cura e la sua conseguenza.
Ancora le mie gambe conservano
la struggente sensazione della pietra accogliente.
Ancora i miei occhi ospitano la sagoma dell’amata casa.
Il mio mare infinito mi abita e nelle vene ancora scorre.
E’ uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
abbraccia adesso il collo di un titino.
Oggi che tra le mie vuote mani, stringo
la foto della bimba con la valigia, che fui
Esule Giuliana n° 30 001.
Penso a mio padre scaraventato nelle viscere della terra.
E neppure il sole riesce a sciogliere il gelo che mi pervade.
Né il tempo, a tamponare il sangue, che sgorga dalle mie lacerate radici.
INEDITE
IN UN GERMOGLIO SOLO, LA BELLEZZA 11B
27,625 Monia Casadei
prima
È dunque in questo prato
- minuzzoli di petali riversi
sopra un sospiro verde di profumi -
che avviene l’improvvisa fioritura.
E’ in questo parallelo di boccioli
che si rinnova ancora la speranza,
forse di fiori o messi,
oppure solamente di polloni
- ma in silenzio.
Erompe la bellezza, disattesa,
dentro un germoglio muto, tra le
fronde,
ch’inaspettatamente s’ammannisce
a ristorare un solo sguardo desto
(ogni prodigio irrompe di sorpresa
spandendo, tra le ciglia - se ospitali
-
uno stupore, come di risveglio).
Le gemme concepiscono promesse
che, in questo panorama dell’indugio
- in cui i rizomi sbocciano segreti
ninnati dal silenzio dell’argilla -
rampollano sospiri nello sterno,
quasi una schiusa d’uova dentro il
nido.
La primavera esplode di sorpresa,
sgranchendo, generosa, le corolle
su un letto di calendule odorose.
Oggi fiorisce il mondo, nuovamente,
in un germoglio solo, accidentale,
e una bellezza fatta di pistilli
- forse imprevista e certo d’improvviso
-
s’effonde, palpitante, tra le foglie.
AL SUONO DELLE CAMPANE E DELLE SIRENE
38A 26,375
Seconda - Vincenzo Screti
Piazza San Pietro, 27 03 2020
Tutto rimane silenzio
anche il grido dove sta il dolore
Ostensorio nitido assorto
oggi ogni sanpietrino
può contenere mille angoli di luna
ogni momento è un giro scalzo della
terra,
la pioggia filigrana del silenzio
lega il cielo all’orizzonte degli
eventi
Questa piazza ha la forma di una pausa
impalato il sagrato
a circumnavigare il globo oculare
impalati gli uomini
nel roveto ardente.
scruto il cielo madido di pioggia
di
riti
di
brividi
di singhiozzi,
la sera preme
fino a divenire assordante sirena,
sferzata dalla pioggia
sotto il campanile
resta la croce difesa da rintocchi
FRATTALI 9B 26,25 Marcello Remia
terza
Chiamo le stelle a benedirmi gli occhi,
stupisco nei misteri voluttuosi della notte,
incontro anime leggere, compagne di cammino.
Assaporo vie di tempo, effimere, come sospiri di rose
tra pieghe sottili di silenzio.
Acquieto sogni tumultuosi,
bramo frattali d’infinita pace.
E vivo, tra luci tremolanti di ricordi,
sperando che il giorno dimentichi il mio volto,
e l’anima di sabbia scivoli tra le dita
e fugga via.
Presagio d’altre vite,
oltre confini d’albe e di certezze.
DIPLOMAZIA 251B 26,125 Ana Andrino Bothelo
QUARTA
due anni di parole
in assemblee diplomatiche
l’urlo
il membro sbranato
le risa dei funzionari
negli uffici umanitari
le cravatte colorate
dei militari in borghese
non ci sono piedi, gambe
occhi, urla, volti addolorati
nelle cravatte colorate
dei militari umanitari
il lago si veste d’autunno
si preparano conferenze
collazioni, incontri
le membra dei disperati
saltano ancora
non invadono le conferenze
le mine fermacarte
sui tavoli, nelle vetrine
gioco maschile
nelle foreste calde
le mine vivono
sotto l’erba lussureggiante
nelle stradine dei villaggi
sorprendono bambini
sventrano donne
che prendono l’acqua
accecano i corpi prostrati
che scavano la terra
nei villaggi
calmati dalle guerre
i massacri persistono
i guerrieri sono partiti
i loro giocatoli dimenticati
creano parole di conferenze
notizie di giornali
gli sminatori sono gli stessi
le membra devastate
le vittime, le stesse
per quando l’urgenza
della fine dell’orrore
le parole azioni?
quando ascolteremo
le urla dei poveri
il dolore del Sud?
i volti delle città bianche
sono quasi tutti bianchi
gli occhi
che le mine sparpagliano
sono neri
quasi tutti neri
RISUONA IL CANTO DELLE STELLE 8C
voto 26,1 Giulio Rocco Castello
quinta
Fu il vento a dare forma all’eco dei
ricordi,
un soffio dolceamaro di giorni ormai
perduti.
E’ vero che scordai l’urlo della terra
quella che tu portavi a sera, o padre
mio,
dai campi con gli occhi del tramonto,
nelle tasche l’odore d’erba amara.
Risuona il canto delle stelle
non lasciano il segno del cammino,
così il mio pensiero ha visto mille
volte
il tuo sorriso, senza ombre, senza
indugi.
Avemmo giorni d’allegria lanciati
dalla forza del mattino
ed era bello il sole, insieme
come uccelli liberi, ci volgemmo
altrove.
I nostri aneliti
avevano il respiro dei petali di
maggio,
giungemmo all’armonia del cosmo
prima che l’autunno sporcasse le sue
mani.
Or m’avanza un mare nero
l’immenso suono di travaglio
un ultimo passaggio del naufragio,
finché l’acqua a terra
si spegne nella notte.
IN
BILICO RESTA 171B 25,875 Stefano Peressini
SESTA
(a mio padre)
Mi manca
il saper ritornare
a quel giorno
girare all’indietro
la chiave del tempo e dire
parole
poco più che scontate
eppure colme
d’essenza.
E gocciano
dalle notti imperfette le ore
che ho usato da allora
in fila come formiche
sui tralci scuri degli anni,
dai fili tesi tra i mondi
di carta fotografica
e i libri buttati in cantina,
non letti.
In bilico resta
una sola parola, appesa
al ramo più spoglio,
sull’indistinta
frontiera
d’un cielo di febbraio,
quando caddero i limoni
e l’istante s’arrese,
codardo.
DELLA PRECARIETÀ 135C 25,625
Sonia Cosco
SETTIMA
Un
tempo era la freccia del tempo.
Zenone
mi raccontò l’illusione, ma non ascoltai, perché
avevo
vent’anni e il marino tra i capelli.
Perfette
le geometrie della barca, dritto l’albero maestro,
aria
d’incanto a gonfiare la vela.
Il
movimento è direzione, prua indica la meta.
E
potrebbe scendere il cielo o salire il mare.
Potrebbe
la pioggia farmi pozzanghera, il sale indurire il cuore.
Nemesi
è ferita, nemesi è pianto.
Ma
è anche la dolcezza dell’arrivo che plana come ali di gabbiano
e
fondali da sfiorare in punta di piedi.
La
scialuppa porta a riva e asciutto il vento impasta il mio corpo.
Granelli
di sabbia si fanno mondi e Febo forgia d’oro la pelle.
Questo
immaginavo aggrappata a un timone, insieme ad altre cose,
come
un lavoro, un figlio e una casa da pitturare gialla.
Un
tempo era la freccia del tempo.
La
tensione della corda guidava al bersaglio.
Inciampata
nell’aut aut non mi sono disperata
e
ho addentato il mare.
Il
sangue pulsava su un ring di tempesta
nel
prendere a pugni creature di abissi.
Illusa
da tracce madreperlacee o stracci di nuvola
ho
mantenuto la rotta,
nascosto
– in cabina – sacchi di desideri e juta,
ho
mantenuto la rotta,
fatto
scalo in porti di gesso e visite in bettole tristi,
ubriaca
di vini cattivi, vendemmie di precarietà.
Questo
ricordavo aggrappata a un timone, insieme ad altre cose,
come
infanzie di abbondante semina, adolescenze di stagioni variabili,
giovinezze
di magri raccolti.
Un
tempo era la freccia del tempo.
Oggi
è la semiretta infinita e ciò che si muove è persistenza di punti.
Sottocoperta
ho intravisto macerie di sogni,
Cariddi
risucchia, Scilla dilania,
il
futuro è soffocato dalla coda di sirena e
la
clessidra sabotata da Calipso.
Mi
manca l’aria, urge la luce e mi scopro naufraga,
non
comandante.
Contro
il tramonto si disfano altre vele e altri sguardi,
come
il mio.
Barche
a vela ondeggiano nel sole, forse cento, forse mille.
Il
blu è profondo, la riva è miraggio.
Miraggio
è Achille che raggiunge la tartaruga.
IL VENTO SILENZIOSO DELLA MORTE 17B
25,5
Vittorio Di Ruocco
Ottava
È un vento silenzioso quasi astratto
a trascinarci verso l’orizzonte
che appare come l’orlo dell’abisso
a noi viventi all’ombra della morte.
La piazza vuota al colmo del mattino
rende lo sguardo muto e sconsolato
a chi quasi a difendersi dal nulla
s’affaccia appena ai bordi della vita.
Il tempo sembra immobile, è un tormento
come una spada pronta a trapassare,
che fissa ad un centimetro dal cuore
non indietreggia né si lascia andare
al colpo che dilegua l’agonia.
Stammi vicina amica mia speranza
rinuncia ai tuoi propositi di fuga
da questa terra amara e maledetta,
rendimi almeno un palpito di luce.
Fa’ sì ch’io qui non resti a consumarmi
tra pile di ricordi e di rancori
ma possa ancora prendere per mano
la donna mia che attende sulla soglia
avvolta nel vestito dell’amore.
E se grida più forte la tempesta
e la paura annera ogni sorriso
perché il nemico occulto ci divora,
tu non abbandonarci alla deriva
ma guidaci nel tempio dell’aurora,
lontano, via da questa infausta notte.
Insegnaci ad usare le parole
raccolte lungo i viali del silenzio
per colorare di nuova bellezza
il volto sfigurato della vita.
Vedrai ritorneremo a camminare
con gli occhi accesi dalla meraviglia,
e finalmente ancora a respirare
il brivido innocente di un abbraccio.
24,9375 nona Victorina Maria Dos Santos
IN ATTESA DEL TESTO IN WORD
ISOLA VERDE
250A 24,875 Emilia Fragomeni
decima
Irradiata da un sole senza tramonti,
senza limiti di spazi e di tempi, l’isola
verde apparve, tra l’incenso di una pineta
nelle mani della sera e campanule lilla
sulla ringhiera, mentre l’ultima onda
si scioglieva nelle nuvole e il vento
s’avviluppava alle lancette di un prato
senza tempo.
Marinai brindavano
con l’acqua di sole,
anime antiche danzavano lievi le musiche
degli avi. Cantilene di suoni scivolavano
dolci, giochi di libertà, sulle pagine
della fantasia.
Noi intravvedemmo l’isola un mattino,
azzurra, emersa da innocenti acque,
che si offriva alla vista e al desiderio,
certa promessa di felicità.
Le finestre aperte come ali
spalancavano in volo, senza confini,
un dolce effluvio di parole e suoni.
Ad essa volgemmo i nostri sforzi,
navigando con braccia tese ai remi.
Ma fuggiva all’orizzonte, se c’illudevamo
di raggiungerla, e vano era l’affanno
dei nostri petti, accesi dall’evento
che fioriva, nell’urgere dell’ora,
dentro il candido solco della prua.
Questa terra di basse scogliere
sembrava un invito al pentimento,
una preghiera genuflessa al mattino.
L’animo ci rapì per sempre.
Ma restò un miraggio. Il tempo
s’è fermato in un incerto limbo,
ove ogni cosa arresa or si confonde.
Lontano è oggi l’isola, persa in mari
splendenti, forse persi per sempre.
Si fa buia la sera. Ma il sogno dura.
Noi vaghiamo ancora, gli occhi fissi
a una luce viva, fresca, fraterna,
ad addolcire il ritmo dei giorni,
come un tempo, quando solo
la quiete la frequentava assidua
(eco remota di un luminoso regno).
E se gli occhi ne accarezzavano
le coste, parole antiche ci ritornavano
alla mente, eterne...
Ancor oggi ne ritroviamo il senso e
il suono, ammaliante come allora.
Ma, sotto questo cielo senza cielo,
trasparente, sotto tutto questo cielo
senza cielo solo le assenze dicono
del tempo.
I fiori hanno rubato la voce ai pianti.
24,75
undicesima Federico Cinti
A
INIZIO ESTATE
Traslucida
armonia nel cielo il raggio
dell’eterno:
si perde azzurro il limite
tra
mille scaglie d’oro
sull’ultima
vertigine.
Voce
che sa di sale, antiche favole
raccolte
chissà dove sulla sabbia,
all’ombra
della vita
dal
cuore di conchiglia.
Il
tempo corre immoto, muta immagine
ripetutasi
uguale, arcana inerzia
della
clessidra. Tutto
è
e non è dentro l’anima.
Ride
un volto dolcissimo. Per l’aria
il
senso della festa. Si rincorrono
momenti
senza fine,
gioie
d’un desiderio.
S’avvera
il sogno. Scioglie il cuore l’ansia
dell’attesa.
Nell’essere e nell’esserci
cade
il velo, sospiro
d’un
già noto tripudio.
24,625 dodicesima Caterina De Martino
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