domenica 30 novembre 2014

PREMIO LETTERARIO: "HO SCRITTO LE PAROLE" gratis

Sono aperte le selezioni per il nuovo talent “Ho scritto le parole”, il primo programma televisivo dedicato agli autori di testi di canzoni. 



Per partecipare alle selezioni bisogna inviare il testo all’indirizzo parole@ilike.tv con le seguenti modalità:
L’oggetto della mail deve essere: “Iscrizione alla selezione di Ho scritto le parole”
Il testo deve essere contenuto in un ­le word rinominato con nome e cognome del partecipante.
Il ­le word, oltre al testo, deve contenere anche: il titolo del testo, breve biografi­a, nome, cognome, eventuale pseudonimo, indirizzo, telefono, mail del partecipante. È possibile partecipare con un solo testo per autore.
La mail di iscrizione deve pervenire entro il 21/12/14
Possono partecipare:
Tutti, uomini e donne, di qualsiasi nazionalità, che abbiano almeno 15 anni compiuti.
Per i minorenni, in caso di selezione, verrà richiesto che tutti i documenti siano ­rmati da entrambi i genitori.
I testi inviati, a tema libero, devono:
Avere un massimo di 50 righe compreso il ritornello.
Essere originali e inediti. A tal proposito, in caso di selezione e prima di confermare la partecipazione del concorrente, verrà richiesto allo stesso di rilasciare una apposita dichiarazione scritta.
Qualora scritto originariamente in lingua diversa dall’italiano, il testo deve essere accompagnato da traduzione italiana a fronte.
Il programma “Ho scritto le parole”:
Offrirà a 50 autori selezionati l’incredibile opportunità di presentare il proprio testo scritto (senza musica) in una clip che verrà mandata in onda su iLIKE.TV; L’autore potrà realizzare e inviare la clip di presentazione già pronta, oppure adare alla redazione la realizzazione di una clip in cui il testo sia letto da un attore professionista.
I 50 autori selezionati, saranno in gara tra loro all’interno del programma tv. Ai primi tre classi­ficati verrà offerto un contratto per l’edizione dei brani, saranno musicati da un musicista professionista di dichiarato successo nazionale o internazionale in linea con la tipologia del genere musicale del brano in oggetto e presentati a concorsi nazionali ed internazionali.
Ai 50 partecipanti verrà richiesto di firmare una liberatoria, il regolamento del format e l’eventuale contratto di edizione (che diventerà effettivo solo in caso di vittoria).
Con l’invio del testo:
- Il partecipante dichiara sin da subito di accettare ogni e qualunque decisione della giuria di esperti di e della redazione del format “Ho scritto le parole”
- Il partecipante garantisce che il testo non è stato precedentemente pubblicato, che è effettivamente realizzato dal medesimo concorrente e che quindi non è di paternità dell’ingegno altrui (tramite copia totale o parziale)
- Il partecipante autorizza iLIKE.TV e il suo editore, ARKIMEDIA Spa, a riprodurre il testo inviato previa semplice citazione dell’autore, nella comunicazione in merito al format “Ho scritto le parole”
- Il partecipante autorizza il trattamento dei dati personali per le fi­nalità delle selezioni, ai sensi della normativa vigente.
Protezione delle opere Si consiglia a tutti i partecipanti di informarsi e di tutelare i propri testi prima di procedere all’iscrizione.
Di seguito alcune informazioni utili: per tutelare le proprie opere è possibile depositare i testi alla SIAE www.siae.it;
oppure tramite iscrizione su www.copyrightservice.co.uk ; in alternativa è possibile auto-spedirsi il materiale a casa e conservare la busta sigillata, o ancora depositare le opere presso un notaio. L’organizzazione del concorso declina ogni responsabilità in merito alla tutela delle opere inviate.
Sono aperte le selezioni per il nuovo talent “Ho scritto le parole”,
il primo programma televisivo dedicato agli autori di testi di canzoni.
Contatti:
Per qualsiasi domanda o informazione è possibile scrivere a parole@ilike.tv

Per essere sempre aggiornato visita il sito www.ilike.tv/parole


venerdì 28 novembre 2014

ALBERTO MORI: "DAVANTI ALLA MANCANTE"



Giovedì 4 dicembre ore 18:30 via Tadino, 20 – Milano
Happy hour & reading
Davanti Alla Mancante di Alberto Mori 
Fotografia:Mina Tomella 
edito da Scrittura Creativa Edizioni
un percorso poetico, con il supporto delle fotografie di Mina Tomella, 
che riflette sull’opera di Francesca Woodman, 
artista fotografa statunitense, scomparsa nel 1981 a soli 22 anni
Sarà presente il filosofo Franco Gallo e l’editore Andrea Rompianesi


Alberto Mori: Davanti Alla Mancante. 
Scrittura Creativa Edizioni. 2014

MARIA RIZZI: "ONDA ALTA"


Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade


DA: "FRANCESCO CASUSCELLI: "CRIMINALITA' DOMESTICA"": 



ONDA ALTA

Familiare il cigolio delle molle, è diventato quasi un amico il vecchio ascensore.
Giulia è con gli amici, sta salendo al terzo piano per recarsi in biblioteca.
Atmosfera di goliardia. Daniele accanto a lei come sempre. Gianni, Renato, colleghi di studi. Ridono. 
Accade tra una risata e l’altra.
Renato preme il pulsante dell’ ‘alt’ e l’ascensore si ferma. Veloce il giro di sguardi. Daniele sembra sottrarsi, ma cambia velocemente espressione. Ormai è tardi.
Giulia sente l’aria divenire irrespirabile. Intuisce dalla tensione che sono saltati in una diversa situazione. Non ridono, la fissano. Daniele abbassa gli occhi, serra le mascelle. I libri vengono posati per terra tra i mozziconi di sigarette. Non hanno visi da amici quegli uomini brutali.
Renato e Gianni in pochi istanti le sono addosso, la immobilizzano contro la parete di fondo dell’abitacolo
Una mano grande, profumata di sandalo, le copre la bocca. 
Stringeva quella mano nel giardino dell’asilo; la stringeva nei banchi delle elementari e al liceo: la mano di Daniele.
Gli aliti delle nuove persone emanano un odore acre.
Viltà su viltà. Hanno avuto bisogno di fumare erba per sbatterla contro la parete di metallo.
Tenta di dimenarsi… All’odore di marijuana si aggiunge quello, ancora più aspro, di sudore. Ritrova la vista, inciampa nelle iridi chiare di Daniele. Sembra a disagio. Allora perché? Per il branco. L’uomo sa trasformarsi in gruppo, da solo abbassa le difese.
Mani di fuoco frugano il suo corpo, abbassano i jeans, stracciano le mutandine. Saltano i bottoni della camicetta. Il piccolo seno viene morso, graffiato.
Nessuno chiama l’ascensore? 
Giulia perde la nozione del tempo, potrebbe essere passato un minuto, per lei si sta srotolando l’eterno. Il suo fiore di donna asciutto, viene vandalicamente violato da Renato e Gianni. Daniele non partecipa alla barbarie, se non tenendole la mano premuta sulla bocca. 
I pensieri si frammentano. Subisce inerte. Sente che la rivestono con furia. Parole viscide le intimano il silenzio. Appena arrivati al piano-terra Renato si ferma a dare spiegazioni sul guasto: il tasto dell’allarme era bloccato.
La gente va di fretta, non si sofferma sui loro modi agitati. Spesso conviene fermarsi alle apparenze.
La giovane viene spinta verso l’androne dell’Università.
Rimane seduta sulle scale dell’Istituto. Un’onda la folla, va, viene, sale, scende.
Fortissimo il dolore al ventre. Più forte l’altro male. 
Era tutto premeditato. Daniele ‘il palo’ dello scasso alla sua gioventù. Senza violare il suo fiore ha concesso agli altri l’immunità.
Renato le ha ordinato di tacere con taglio di vetro tra i denti.
Non ha paura. Schifo, orrore, non paura. In tre si sono sentiti lupi, dimenticando la legge degli animali: si accoppiano quando la femmina è in calore...
La donna che varca la soglia di casa ha perso la luce dei vent’anni. 
I genitori l’ascoltano raccontare. Le credono subito. La presenza di Daniele non avallo della loro innocenza, aggravante della colpevolezza.
Viene accompagnata in ospedale: dinanzi all’assistente sociale dà un primo resoconto. Ha i brividi, sente l’onda alta tornare, sommergerla. Inizia a gridare con tutto il fiato, a piangere come da piccola, all’asilo... Daniele la doveva consolare.
Daniele… così vile da sacrificare un’amicizia lunga una vita sull’altare del branco; così patetico da assistere allo scempio e da credere di salvare la coscienza evitando di slacciare i pantaloni. 
Giulia si calma, prende fiato, precisa i particolari: l’hanno violentata a turno: Daniele per tre volte!
Stremata si stende sul lettino raggomitolata sul fianco e, conchiglia senz’anima, si assopisce tra echi di dolore. 
Maria Rizzi 

giovedì 27 novembre 2014

LORENA TURRI: "LA FILASTRO' DELLA SCARPIERA"

DA: "PAOLO BUZZACCONI: "UN CIELO BLU"": 

Io, invece, sono donna e madre di una giovane donna, non scevre, entrambe, da "piccole terribili esperienze".
Lo scorso aprile, il Tribunale di Lucca ha condannato a un anno e 4 mesi di reclusione lo stalker, ex fidanzato della mia ragazza, ammalatasi inoltre di anoressia e per "grazia divina", quasi completamente guarita. 
Tra tanti versi che avrei potuto scrivere, quest'anno ho scritto soltanto una filastrocca, in ottonari, i versi più cantilenanti e facili che anche un bambino riesce a scrivere. L'ho dedicata in cuor mio ad una giovane farfalla - Vanessa, il suo nome - di soli 20 anni, uccisa brutalmente una sera del 2009 dal suo migliore amico. Il fatto accadde nel Comune di Gallicano, limitrofo al mio.

FILASTRO’ DELLA SCARPIERA

Filastrò della scarpiera
con le scarpe allineate:
ci son quelle per la sera,
tacco alto e glitterate.

Per l’estate, lì vicino,
con i lacci alla caviglia,
un leggero sandalino
per calzare madre e figlia.

E se piove che mi metto,
per uscire con Beatrice?
C’è un grazioso stivaletto
con la para e di vernice.

Quante scarpe dentro stanno!
Raffinate o più sportive,
per stagioni o tutto l’anno,
bianche, nere, allegre e vive.

Ma in un angolo, dannate,
ce n’è un paio tutte rosse
con il sangue verniciate
che mai più si sono mosse!

Lorena Turri


FRANCESCO CASUSCELLI: "CRIMINALITA' DOMESTICA"

DA: "PAOLO BUZZACCONI: "UN CIELO BLU"" 

Una poesia che con la leggerezza del verso tocca temi forti e dona armonia ad azioni crudeli che trasformano l'amore in amore criminale. Quanti casi sconosciuti si nascondono negli occhi delle passanti che sfiorano la nostra vita. Per la giornata contro la violenza sulle donne ho preparato una serata con letture ed interventi di donne per parlare di questo triste argomento. Questa preparazione mi ha sussurrato parole e versi che vi propongo:


Criminalità domestica

Il 25 novembre è già passato
le scarpe rosse ritornano nell’armadio del tempo
adesso che attraverso la vita nuda
non ho bisogno d’abiti né di scarpe né del tuo amore
e tanto meno della tua violenza.
Mi hai rubato la vita,
volevi strapparmi l’anima
ma quella non appartiene agli esseri umani.

Ti osservo nel tuo vicolo cieco di rabbia e frustrazione
di sesso mancato e di vessazioni infantili,
hai chiesto di condividere ma con le mani criminali,
dovevi chiederlo col cuore,
ti avrei ascoltato come tutte le mamme.

Io non piango più,
non ho paura dello specchio,
non tremo al suono delle chiavi o dei passi,
in quella stanza l’eco delle grida di dolore
sono depositate nel grigiore delle pareti,
crepe sui muri freddi,
tetri riflessi delle mie rughe.

Ricordi, mi lasciasti tremante accovacciata
in quella non vita di una criminalità domestica
stringevo la mia carne per sparire
e quando tornasti per tagliare quella carne
un ultimo urlo soffocato in gola mi ha salvata
e l’anima è fuggita libera.

Adesso che attraverso la vita nuda
non ho bisogno d’abiti né di scarpe né del tuo amore
troppo sporco di sangue,
perché ora mi sollevo come polvere e vivo nel vento.

Francesco Casuscelli

N. DI STEFANO BUSA': "COSCIENZA E NON SENSO"


Ninnj Di Stefano Busà collaboratrice di Lèucade


La coscienza di oggi compromessa dal non senso
                               
di Ninnj Di Stefano Busà



In tutte le società moderne vi sono stati periodi più o meno bui, che hanno caratterizzato il declino della morale e dell'etica, oltre che le capacità dell'individuo di riformularsi in un contesto progressivo di più matura formazione, consapevole delle pericolose conseguenze nel futuro. Ogni civiltà periodicamente subisce il deterioramento delle conquiste fatte a causa di un lento quanto inesorabile sfaldarsi della coscienza, in cui la consapevolezza del danno che si va a creare sembra minore dell'utile egoistico, (a)morale, disinibito e aggressivo, che si viene a formare in un clima politico economico e sociale difficile. Posto questo teorema, andremo ad analizzare ora alla luce dei nostri giorni, la situazione dell'attuale società supertecnologica postmoderna. Essa è il frutto un po' avariato di una tendenza al lassismo, che ogni nuovo periodo storico apporta e dentro il quale, più o meno coscientemente l'uomo investe tutto il suo capitale genetico, il suo livello intellettuale, la sua formazione educativa, il suo grado di giudizio e discernimento, le sue più alte potenzialità, le sue fragilità o debolezze, il diverso grado di rapportarsi alla religione, al progresso, alla Storia.
Una necessità irrinunciabile sembra essere ai nostri giorni l'affrancamento da ogni verità vera o presunta, da ogni riferimento valoriale in relazione al comportamento, al diritto alla vita, alla libertà, alla società. Forse neppure ce ne accorgiamo, ma è difficile credere che le facoltà migliori del soggetto sano di mente oggi siano talmente stravolte da essere giunti sull'orlo dell'abisso. Nel clima culturale in cui si vive, le remore sono bandite, e anche le regole, definite superflue e inadeguate nel clima del post-modernismo nel quale solo la confusione regna sovrana.
Qui, però, entra in ballo il futuro dell'umanità: le conseguenze non sono valutabili, ma danno segno d'inquietudine, avvisano che siamo molto vicini a provocare conseguenze temibili per la gravità dei problemi in gioco. Vi è una debolezza di fondo nel tessuto sociale di questa nuova era che fa pensare ad una insufficiente informazione, che possa risultare idonea a comprendere che la resa dei conti è più prossima di quanto immaginiamo. In parte è aggravato dai
 mass-media che giornalmente ci bombardano di vacuità: il palcoscenico è vasto, si va dalle idiozie, alla prospettiva di un bene vanesio che è occasione di indebolimento delle coscienze, soprattutto dei giovani, che non hanno la visione interamente adeguata della conoscenza e dell'esperienza. Questa confusione di ruoli, di fini, di progetti induce a sovrastare il bene comune a favore di spinte riduttive per l'umanesimo e per l'illuminata visione della vita. Non si fa che giocare al rinvio, quello che non è fatto oggi lo otterremo domani: ma cos' è, dunque, questo gioco al massacro?quale maleficio ci nutre di dentro facendoci perdere le prospettive future? Di fronte a comportamenti così massificati, senza dettami ideologici, senza spinte di legalizzazione, il compromesso porta a promuovere come finalizzazione ultima le remore coscienziali, per essere liberi di agire a proprio piacimento, senza dover rinunciare alle lusinghe della propaganda e delle mobilitazioni opportunistiche. Ma per essere libero veramente l'uomo non può esimersi dal dover educare il pensiero alla verità alla conoscenza e al sacrificio. Difendere il proprio diritto alla scelta non sempre è segno di libertà. Chi nutre passioni discordanti  e criteri di valutazione che esortano all'edonismo e al piacere dell'immediato, difficilmente riflette sulle cattive conseguenze di comportamenti brutali e dissennati, salvo poi doversi trovare a fare i conti con la coscienza...Non bisogna confondere la libertà con il libertarismo, perché è proprio quest’ultimo che ha generato il nichilismo con conseguente imbarbarimento dell'attuale società. La dignità e la responsabilità sono i luoghi da raggiungere per una correzione di rotta, per un'autoreferenzialità del soggetto come individuo <libero>, ma consapevole e degno di questa libertà faticosamente conquistata che darebbe al recupero della dignità, quella rinascita umana, culturale, religiosa di saper distinguere il bene dal male: saper riconoscere la necessità di un risveglio di coscienze è auspicabile per la vera rinascita di una società smarrita e claudicante, che vaga senza criteri di valutazione certa verso gli imponderabili scenari futuri, che non saranno certo rosei, senza una rivisitazione dell'impianto-uomo, senza una revisione e ottimizzazione degli strumenti in suo possesso, che gli sappiano indicare la strada della ragionevolezza e forse pure della salvezza.



U. CERIO SU: "NOTTE" DI E. MAZZUCA

Umberto Cerio collaboratore di Lèucade

Splendidi questi dodici versi di Emma Mazzuca -brevi ed incisivi- con cui vede e vive la notte. Una notte con la volta che chiude le sue tende fitte (o lunghe ed alte murate che serrano e impediscono la visione del mondo?) sul dilagante silenzio dell’oscurità. La notte delle paure. Che poi diventa innocua perché più non può far paura a chi ormai vive un’attesa inutile, perché senza speranza. Momenti di buio negli occhi  nel cuore e nella mente. Una notte che alla fine lascia ogni sensazione ed ogni risposta al lettore, per quel “trascesi i dubbi”. Sembra, così, che in questa  notte il buio si sia fatto più profondo e più dolorosamente duraturo. Ma rimane la silenziosa attesa che la speranza possa tornare con la luce dell’alba. E’ l’attesa e la speranza di tutti, al di là di ogni possibile dubbio. Vero, Emma?

Umberto Cerio



Notte 




Nera 
è 
la volta della notte
che
le cortine stringe
sul lacrimare
dell’ombre e del silenzio

ma la notte
non porta più paura
a chi
trascesi i dubbi
senza speranza attende

Emma Mazzuca

mercoledì 26 novembre 2014

PAOLO BUZZACCONI: "UN CIELO BLU"

Stamane (25 novembre), nel leggere le news, ho scoperto che questa giornata è dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne e mi è venuta voglia di scrivere qualcosa su questo argomento. Oltre all'imbarazzo di appartenere alla stessa categoria di certe bestie, mi sono trovato in difficoltà - come uomo - nel cercare di capire fino in fondo il dramma dal punto di vista femminile. Ma poi ho pensato che la violenza, il dolore, la speranza e la disperazione non hanno sesso e che anche l'anima in fondo non ce l'ha. Così ho lasciato andare il cuore ed è nata una piccola creatura che offro con affetto a tutte le donne per ribadire che mai e per nessun motivo si può e si deve accettare la violenza e che il vero amore è solo quello che ci rende liberi.


Amore

Un cielo blu
  
Dietro ogni pugno o calcio che mi hai dato
c’è la paura tua di usare il cuore,
in tutte le minacce che mi hai urlato
la tua incapacità di essere amore.

In ogni sogno mio che hai cancellato
l’invidia per chi supera il dolore
e nella libertà che mi hai negato
la rabbia di non essere il migliore.

Ricordi? Ti piaceva se tremavo,
se rimanevo zitta a faccia in giù,
eppure lo sapevi che ti amavo.

Per me c’eri soltanto e solo tu
e mentre mi colpivi io pensavo
“Domani cambia, non lo farà più…”

Ma adesso, da quassù
tutto mi appare chiaro, finalmente:
io sono un cielo blu, tu non sei niente.

Paolo Buzzacconi



lunedì 24 novembre 2014

LORENA TURRI: "SILENZIO GIALLO"

Lorena Turri, con la solita vis creativa e con la solita equazione fra versi ed abbrivi, si traduce in sinestesie tanto verticali da trovare spazio solo in ossimoriche rese poetiche, dove danza un pensiero nudo di chi ha freddo: “eppure sudo”.


N. Pardini



DA: "ROBERTO BENATTI: "LA NOTTE"": 

SILENZIO GIALLO

Questa notte è un cratere di silenzi
e non ci sono più parole. Solo
d’occhi sbarrati i sogni, alle finestre,
e guardo le ginestre

insieme ai girasoli dentro al vaso
sul tavolo di marmo, senza un prato,
il sole, il vento. Plastica inodore.
Ma giallo è il suo colore.

Come il tintinnio giallo di un pensiero
che scrivere non so. Danza perpetuo
sopra i dischi dei girasoli, e nudo.
Ho freddo, eppure sudo.

Lorena Turri 




ROBERTO BENATTI SU "LA POESIA"

Sulla poesia e sulla tempesta del nostro sé

Orfeo e Euridice


Spesso ci illudiamo di essere dei registi. In realtà siamo coprotagonisti di alcuni spezzoni di un film. Messi insieme, uno di seguito all’altro, fanno rivivere il romanzo della nostra vita. Qualcuno prova a trascriverlo, altri ne distillano poesie, singoli fotogrammi che, se accesi, illuminano tutto il film. Come quando non ricordando di averne visto uno, ci basta guardare una singola scena per rammentarlo. Capita nella vita di ciascuno, di vivere un’avversità, una condizione di disagio o di disturbo che acuisce la percezione del limite, il senso della precarietà della propria esistenza. Momenti in cui tutto sembra crollarti intorno, e ti senti solo in un’isola deserta. Perdi tutte le sicurezze e cerchi un approdo cui aggrapparti,  a qualcuno o a qualcosa che ti dia tranquillità. Da lì inizia una peregrinatio alla ricerca di chi o cosa possa far recuperare fiducia e speranza. Spesso sei deluso da ciò che ti circonda. Chiudiamo gli occhi, ma non è il buio. Avviciniamo l'orecchio all’aria e si ascolta il ronzio di una mosca, o lo sferragliare del treno, lo schiocco di un fulmine, o il rombo di un tuono lontano. Ci si ritrova a camminare nel labirinto dell’immaginazione, del soprappensiero, con stupore, con sorriso, con spavento; a osservare la fragile bellezza della vita, in equilibrio,sospesa sul filo come quella di un funambolo. Ci si può sentire aggrappati alla parete di un burrone, la roccia è scivolosa e le dita non sono più in grado di reggere il peso del corpo.  Ma di colpo, la parete a cui eravamo aggrappati si rivela inconsistente, immateriale, nient'altro che un grumo di timori diventato pietra, montagna. Anche la distanza abissale appare un'allucinazione. E’ il risveglio della fede, il credere ancora in se stessi, il destarsi da un brutto sogno e sentirsi leggeri, felici di vivere. In quei momenti viene quasi naturale esaminarsi, fare un viaggio dentro se stessi in una sorta di verifica di ciò che abbiamo vissuto, di come siamo stati, o se abbiamo lasciato qualcosa in sospeso. Il passato ci appare come un grande viale, fino ad allora percorso quasi con spavalderia, senza rendersi conto della sua ampiezza e di tutte le opportunità che forse sono andate perdute, per la fretta di andare oltre. In tal modo perdendo di vista i particolari, la bellezza dei dettagli, le sfumature, ai quali non abbiamo dato importanza. Mentre il futuro si presenta come una strada che si restringe sempre di più fino a diventare un sentiero, poi un crinale lungo il quale ci si muove a passi incerti, un piede dopo l’altro per non fermarsi, e non rischiare di cadere. Una sorta di equilibrio fra le due identità che convivono in noi: quella materiale e quella spirituale. Un incontro con se stessi al crocevia delle dimensioni orizzontale e verticale dell’esistenza. La pesantezza corporale, col suo carico di malesseri, di rimpianti e di sensi di colpa e la leggerezza, quella dell’anima, forte della sua unicità che rende unico e irripetibile anche il corpo, attraverso i dubbi che aiutano a concepire la verità, a opporre la speranza alla disperazione, la saggezza alla paura, l’infinito alla caducità, quasi in un volo senza ali. Infatti la dimensione corporale non dà una visione nitida di ciò che viene dopo, e la nebbia del dubbio e della paura ci avvolge col suo freddo, per compensare il quale, spesso non basta nemmeno la coperta degli affetti. E ci si ripiega su se stessi, ci si avvolge con le bende della propria solitudine. Si vaga in quella nebbia che riesce quasi a frenare la nostra andatura, infilandosi come una colla fra le suole delle scarpe e la nostra stessa ombra. In quei momenti di disagio e di turbamento, l’unica decisione che si prende è quella di rientrare in se stessi alla ricerca di una luce, di uno squarcio di cielo che dissipi quella coltre spessa, e permetta di districare il groviglio dei dubbi e delle paure. Entrare nella coscienza, tempio di Dio dove si può ascoltare la Sua voce. Il ritrovarsi in contatto con quella misteriosa parte di sé che da sempre è in umile attesa di essere cercata e che forse avevamo lasciato inespressa e imbavagliata. In una sorta di abbandono troppo rapido dell’innocenza, dell’ingenuità dell’infanzia per diventare adulti in fretta e realizzare presto i nostri sogni, conquistare i successi, e toccare con mano i desideri ai quali abbiamo legato i nostri progetti e le nostre aspettative. Ecco che la vita allora appare come una confezione regalo, il cui involucro degenera presto come ogni esteriorità, mentre l’attenzione si concentra sul contenuto. E quando la scatola appare vuota, le lunghe dita della speranza vanno a cercare le briciole rimaste incastrate negli angoli del fondo. Quei frammenti prima senza importanza ma che portano in sé la stessa sostanza del tutto e ne danno testimonianza. Un mistero personale che risale dalle sponde dell’infinito che abita in noi. Basta affacciarsi al davanzale dei giorni per osservarli, dentro e fuori di noi. Infiniti dettagli, piccole sfumature, mai notati prima: occhi della creatività con i quali sono stati decisi e formati. Trasmettono messaggi, secondo una logica materiale e immateriale. Dove niente avviene per caso. Ecco che la poesia allora, diventa, almeno per me …un  camminare sul filo del dire e non dire, è reggersi in equilibrio tra l’alibi dell’interpretazione e la tentazione di raccontarsi. E’ salire sul tetto della casa e guardarsi intorno fin dove lo sguardo si può spingere e ascoltare la voce con cui parlano le immagini. E’ una voce che viene da dentro, come da dietro una maschera, perché la poesia valica le frontiere della coscienza. La poesia è fatta di pensieri notturni scritti su un foglio di luce e dentro ognuna di esse, ci può essere un mondo intero. E’ un bussare alla porta dell’ignoto, di quel mondo parallelo che il silenzio invade come un despota e guida la mano come il pittore colora i sentimenti.  E’ quello di ogni mattina appena aperti gli occhi. Quello in cui si riversa il bisogno di scrivere. E’ il silenzio che appartiene all'ombra più profonda e inesplorata, che spaventa tanto è grande, in equilibrio sul filo dell'ultimo sogno che s'apre ai cori dell’ora blu, in attesa del risveglio che s'incocca nelle balestre dei platani e s'amplifica in megafoni di guazza. Sto seduto ad ascoltare la giostra dei richiami e il frullo chiassoso degli uccelli, dietro i cancelli lucidi e ancora chiusi. L’anima, qui, è una fontana di sospiri sgorgati dal petto e versati nel canto soffocato dalla notte ancora addormentata. Lì, nell'ora in transito sul velluto che scolora, spuntano i germogli del mio inchiostro. E’ lì, che mi vesto di parole, e le amo per togliermi di dosso le bende della solitudine. Squame di tristezza, sabbie di ripostigli in periferie abbandonate, ventri di follia, raspe di rami, cespugli d’aghi, muri imbrattati di noia, e quella “tempesta del sé”  che abbraccia ogni attimo eterno come un niente accoccolato all'incoscienza. E’ lì che lascio crescere le unghie alle parole per scavare nell’anima lunghi tunnel entro i quali infilarmi e avanzare piano, per non perdere i sorsi che possono  sedare l’incessante sete di infinito. 

Roberto Benatti


ROBERTO MESTRONE SU: "SI AGGIUNGONO VOCI" DI S. ANGELUCCI



Roberto Mestrone collaboratore di Lèucade


L'AIRONE E L'AVVOLTOIO
Suggestioni da
SI AGGIUNGONO VOCI
di
Sandro Angelucci








Non ho ancora letto l'ultima opera edita da Sandro Angelucci, ma è bastato accostarmi ai versi delle due liriche che iniziano e terminano l'estratto accompagnatorio per individuare la chiave di lettura celata tra le strofe.
E le poesie che congiungono quegli estremi fanno da corollario ad una visione lucida e coscienziosa del Mondo che non riesce a districarsi dalle misere contraddizioni del proprio vivere.
Se Nazario Pardini ci convince senza mezzi termini che ”per Angelucci far poesia significa prima di tutto rovesciarsi sul foglio, ricercare quella verità che si trova fra le pieghe di un mistero che alimenta il poièin”, io aggiungo che qui siamo di fronte all'esternazione di un pensiero filosofico dalle fattezze di un arbusto che affonda le proprie radici nelle buie viscere dell'Umano e protende i rami verso il cielo terso del Divino.
Sul suolo della superbia e dell'invidia le creature dotate di intelletto riescono con sfacciata disinvoltura a percorrere il sentiero della vergogna, mentre gli esseri dalle “traiettorie senza nessuna logica apparente” lanciano nell'etere messaggi d'amore e di speranza, uniche risorse in grado di riscattare l'umanità dal delirio di prepotenza e di protervia.
Le brutture che ci incattiviscono riescono anche ad occultarci quelle
meraviglie del Creato che l'autore passa in rassegna usando la penna come cilicio e le parole accorate come singhiozzi di una preghiera recitata sull'altare del pentimento.
Chi non indossa ali candide per volare accanto allo zeffiro del Grande Respiro trova rifugio precario sulla “terra bruciata” o nella “sabbia dei deserti”!
Ma è il nutrimento della Poesia ad allentare la catena dell'alienazione: dal volo libero dell'airone aggraziato anche il cupo avvoltoio, costretto a percorrere “la linea retta che si perde nella sua stessa, vuota inesistenza”, può imparare a librarsi in aria lontano dal putridume che lo sfama quotidianamente e accontentarsi di ”un grumo di bellezza che si scioglie per rendere più dolce la bevanda”.
Sandro Angelucci, con quest'opera, riesce con maestria a far indossare la veste della dignità anche al nudo verm e che striscia sulla terra.
È un tentativo nobile di donare splendore alle anime degli “abbruttiti”, degli “schizofrenici”, degli “impazienti” mettendo a nudo le loro debolezze.
Come “l’albero torna con le foglie. Come se non le avesse mai perdute.
Come se ancora fosse primavera”.

Roberto Mestrone



ESTRATTO DA:

Sandro Angelucci
SI AGGIUNGONO VOCI
LietoColle


Parte Prima

ICARO

  
Abiezione

Abbrutiti. Schizofrenici. Impazienti.
Ma l’uccello non finisce di cantare,
il vento
prende a respirare con le foglie
e le montagne
(immobili, sicure)
aspettano l’arrivo della luce.
Era già alto il Sole
e intorno
ancora s’ascoltava la preghiera.
Noi,
soltanto noi
(distratti, inebetiti)
a spargere catrame, a bestemmiare.



Saranno i voli

Sono i nidi delle rondini.
Sono le traiettorie
senza nessuna logica apparente
la speranza.
E non la linea retta
che si perde
nella sua stessa, vuota inesistenza.
Non è la strada comoda e sicura
che percorre
chi non conosce cosa voglia dire
picchiare, risalire
e poi planare.
E poi picchiare ancora,
ancora risalire, fino a sera
finché c’è fede
e amore e forza nelle ali.
Saranno i voli
che portano gli insetti dentro i nidi
a dare l’appetito
a chi, da noi,
si aspetta in dote il dono del futuro.



Icaro

Proprio tue erano le ali
che mai permetteranno di volare.
Sulle spalle, invece,
deve gravare il peso di una croce
che non è zavorra
ma polvere di cielo che si sfalda
ed incessante, da secoli,
cade sulla terra.
Proprio quello l’errore: la superbia.
Mentre pioveva amore
non accorgersi
che stavi camminando sulla stella
che più desideravi,
e tu, in volo, a cercarla chissà dove,
in quali mondi,
in quali paradisi inesistenti.
No, io non ti condanno.
Come potrei? A cosa servirebbe?
Ripetere l’errore
per consumare ancora altro sangue
per giungere ad odiarmi.
Meglio ammettere,
una volta per tutte,
che ho le ali, che sono un demone:
solo così posso sentirmi un angelo.



Merlo infinito

Le bacche che pilucchi
merlo infinito
sono le parole che non so ridire,
piccolissimi grani di un rosario
che solo tu conosci.
Mentre ti guardo, mangi.
Mentre tu preghi, ascolto
becco giallo.
Ma dove voli, dove ti rifugi
quante ali possiedi
quanto sei grande?
È questo che mi sfugge.
E non perché non parli.
La vita che tu vivi non inganna.
Quella che vivo io m’insospettisce.
E non perché non taccia.
Se fossero di piombo le tue bacche,
se al posto del becco
avessi una mitraglia
t’inviterei a spararmi addosso
perché nella mia carne
con il tuo cibo
penetri il volo, la libertà,
l’immensità di un merlo.



Da terra verso i rami

In volo.
Tutti insieme.
Da terra verso i rami.
E l’albero
torna con le foglie.
Come se non le avesse
mai perdute.
Come se ancora fosse
primavera.



  
Parte Seconda

IL GRANDE RESPIRO



Il grande respiro

L’inchino dell’erba piegata dal vento:
preghiera e bestemmia.
Parola che sento diversa,
più vera del suo stesso silenzio.
Rimango.
Mi stringo al suo soffio
ma nulla trattiene l’abbraccio.
Non posso legarmi alla fuga
del Grande Respiro,
non posso.
Mi è dato soltanto (soltanto ma è tutto)
d’unirmi al peccato e alla gloria,
genuflesso
di fronte al mistero
e in piedi
di spalle all’altare del vento
per non rinnegarlo
mentre bestemmio.



Salto d’acqua

Solo ieri
erano gialle, erano alte
le corolle delle dalie.
Oggi però
somigliano alla sabbia dei deserti,
sono terra bruciata
sono spente. Effimero,
e tu lo chiami effimero
questo rapido succedersi del tempo.
Eppure
così lento non è stato mai
se nel volgere di un giorno
sento
tutta insieme l’eternità
uscire da se stessa
e riversarsi
come fiume in piena
nella cascata delle perplessità,
nel salto d’acqua
di cui mi bagno e non conosco altezza.


Sul fondo del bicchiere

Una goccia di miele
che cade nel latte bollente,
precipita sul fondo del bicchiere
e si dissolve.
È questo
la parola di un poeta.
Un grumo di bellezza che si scioglie
per rendere più dolce
la bevanda.
Ma la sua forza,
ciò che la distingue
più dello zucchero è quel dissolvimento
quello sparire
per regalare ancora una speranza,
quel velocissimo
battere le ali
che tiene l’ape in stallo
e il cielo in equilibrio sul creato.