Fra antichi e nuovi morbi resiste la
speranza di un mondo giusto.
È un macigno gettato nell’immobile e
ammuffita cultura italiana La rivolta dei
demoni ballerini, che raccoglie 53 liriche di Antonio Catalfamo, disposte
cronologicamente, secondo la data di composizione, dal 19 Agosto 2014 al 7
Giugno 2021.
Si può parlare oggi di comunismo, di
sfruttamento, di rivoluzione, di speranza di riscatto? Catalfamo lo fa proprio
nella poesia omonima, senza giri di parole, chiamando le cose col loro nome e
avanzando una proposta concreta su come uscire dalla crisi che attanaglia
soprattutto il mondo occidentale. Ne La
rivolta dei demoni ballerini, infatti, ricorda che i contadini siciliani,
vessati dai padroni attraverso i mafiosi, avevano inserito antichi riti greci
nella religione cristiana. Stanchi di una plurisecolare schiavitù, si
ribellarono “come demoni ballerini,/
leggeri nella danza,/ vennero in paese,/ viaggiando di notte” e aprendo la Camera del Lavoro. Trasformatisi in
Dioniso, “punirono con durezza/ i loro
nemici ” e scatenarono “tutta la loro
carica oppositiva,/ per distruggere il mondo dei ricchi”. Dopo il padre,
che l’ha tramandato ai posteri con una Olivetti
22, il Poeta prolunga il canto “nella
società digitale/ iperconnessa,/ perché i giovani ascoltino/ e imparino”.
In tale ottica Nuova rivolta è una
lirica-manifesto. Ricordando il bisnonno, che ha lottato contro padroni e servi
mafiosi, il Poeta espone il nuovo programma di lotta che affonda le sue radici
nel mito antico dei demoni ballerini,
i quali, dopo aver eroso “le fondamenta
del potere”, si trasformano in satiri, ribellandosi ad esso, e iniziano la “nuova strategia di lotta,/ con i piedi ben
piantati nel mito:/ sottoporre gli istinti irrazionali/ al controllo della
ragione,/ sconfiggere il pensiero debole/ della società liquida che si
scioglie/ nelle mani dei filosofi flebili”. Poesia biologica non solo chiude la Raccolta, ma anche questa trilogia con la riaffermazione che gli
ideali politici dell’Autore affondano le radici “nel profondo della terra,/ fino agli inferi”, come il roseto della
nonna e della mamma, la cui rinascita dopo la distruzione è il simbolo di un antico
modello da tramandare “fino a quando ci
saranno/ cuori puri ed onesti/ e non prevarranno/ per sempre/ lo spirito
belluino e il fascismo”.
La proposta politica, come si intuisce,
è il cuore de La rivolta dei demoni
ballerini: direttamente presente in
una ventina di liriche, essa corre lungo tutto l’opera e collega anche le altre
tematiche, finendo per realizzare la poetica del dentro-fuori propugnata da Officina.
Catalfamo, infatti, parte da un ricordo della sua infanzia, della vita
familiare o della realtà storica siciliana e lo collega alle storture del
presente, per le quali vede un superamento solo attraverso la lotta contro il
capitalismo rampante, che moltiplica le iniquità, confinando ai margini, come
non mai, i più poveri. In tale ottica, come già per Pavese, il mito assume una valenza progressiva:
trasformatosi in razionalità, esso aiuta a penetrare più profondamente nella
realtà e a promuovere il cambiamento della società.
La vigile presenza nei confronti della
realtà del XXI secolo è confermata da un gruppo di sei liriche inerenti
l’epidemia determinata dal Coronavirus,
scritte in tempo reale a partire dal Febbraio 2020.
Oltre alla dura reprimenda (Virus) verso i rigurgiti fascisti,
rinfocolati dall’epidemia, contro i cinesi, i quali, invece, sapranno
sconfiggere il virus con la scienza (Lettera),
l’Autore pone l’accento sulla persistenza di tutti i difetti degli italiani,
con conseguenti discriminazioni, anche in tempi di epidemia (Coronavirus), istituendo un parallelo
con la mitologia, che vede la natura rinascere in Primavera, e con la Storia: come
dopo gli orrori dell’ultima guerra, anche adesso torneremo a una nuova
esistenza, vincendo le paure e le limitazioni dell’epidemia (Vita e morte). Analogamente alle rose
della mamma, egli auspica che rinasca spontaneamente il sentimento d’amicizia, superando
il muro d’incomunicabilità, oggi simboleggiato dalla mascherina (Ancora sulle rose).
Il ricordo della madre, scomparsa nel 2018, è l’altro tema
ricorrente della Raccolta,
direttamente presente in una decina di liriche, ma richiamata anche in altre. Alla
memoria di eventi infantili indimenticabili (Presepe, Ciambelle pasquali)
fa da contraltare il dolore per la malattia mortale e per l’insensibilità di
medici e istituzioni (Petrarchesca, La pensione). Sono ricordi teneri, ma
anche densi di insegnamento per la vita, che si completano con quelli avuti dal
padre e dai nonni. In certi momenti vince la tenerezza (Dialogo, Lezioni), mai
però fine a se stessa (A mia madre):
dai familiari, come dall’antica cultura siciliana, il Poeta riceve la spinta
per proporre una poesia militante, pur ammettendo che è difficile dar vita a
una nuova società consapevole e giusta. In Simbologia
della vigna, ad esempio, ricordando le lotte del padre, che sognava una
nuova grecità e l’instaurazione del “comunismo/che
ci rende tutti uguali”, evidenzia che esse cozzarono contro l’egoismo dei
contadini piccoli proprietari. A quel mondo i figli emigrati dei braccianti
preferiscono oggi inseguire “modelli piccolo-borghesi”.
Poiché il progresso li ha aiutati a vivere una vita meno dura, molti contadini
non hanno saputo proseguire nella lotta per l’instaurazione di una società
comunista, che invece deve continuare (Il
neo-umanesimo comunista).
Dal
collegamento costante col passato emerge anche la personalità dell’Autore.
Riandando con la mente ad un intervento di cataratta (Operazione), egli evidenzia che la differenza fra la società
comunista e quella capitalista consiste nel peso diverso che hanno “tre parole”: “madre/ pane/ compagno”. Ne consegue l’orgogliosa rivendicazione della
proficuità del proprio lavoro di critico letterario (Ai miei nemici) e della centralità della poesia. Riandando,
infatti, alle misere condizioni postbelliche della sua famiglia e dei compagni
di scuola del padre, afferma: “La poesia mi serve/ a raccontare/ la vita
degli umili”, usando “il linguaggio
universale/ di uomini, piante, animali/ a ritornare al naturale di Ruzzante” senza
inutili barocchismi o tematiche da poeta renitente o esoterico, incapace di
dire la verità sulla prepotenza dei padroni di terre, che accumulano ricchezze
a danno di contadini e artigiani immiseriti. La sua posizione risulta distante
anche dal “critico strutturalista/,
fascista paludato”, il quale “mesce
liquami di fogna,/ esalta la «belle époque»/ e i figli di sgarro” (La mia poesia). Senza mezzi termini,
perciò, Catalfamo dichiara (Rivoluzione)
che è necessaria l’unione di coloro che credono ancora nella forza della
rivoluzione bolscevica, per pervenire ad un futuro di riscatto socio-politico.
A
scanso di equivoci sull’apparente passatismo della sua proposta, egli sostiene
(Mito e rivoluzione) che bisogna “proiettare il passato nel futuro”,
elevando a mito la rivoluzione, che “ci
rende felici,/ accende e placa i nostri furori”. È una convinzione che
discende anche dalla constatazione che dalle lotte del padre in un tempo di
miseria si è giunti alla falsa sinistra odierna, schierata coi padroni,
rappresentata da “figli di papà”, che
ignorano “cosa significhi/ fame e
dolore,/ morte civile,/ sentirsi braccati/ dai cani da guardia del sistema,/
mancare l’aria per il vuoto/ creato tutt’intorno” (Il comunismo e mio padre). Per il Nostro, quindi, “l’umanesimo è comunismo”, come hanno
imparato le varie generazioni di lavoratori, basandosi sulle parole di Marx e
Lenin (Primo maggio).
All’interno di un linguaggio attuale di
comunicazione e privo di retorica si inserisce anche quello proprio della satira
e dell’invettiva, per denunciare l’esosità delle banche, di cui il Poeta si
augura la fine insieme all’epidemia (Versetti
semiseri), la presenza di spie al servizio del potere (Ruffiani) e la definizione di fascisti
data ai suoi nemici, visto che “non
conoscono la libertà” e lo offendono per le sue idee politiche, ricordando
loro i compagni poeti Hikmet, Ritsos
e Neruda (Nemici).
Nel suo articolato viaggio dal passato
al presente e proiettato al futuro, Catalfamo trova il modo di ricordare Vittorini,
Pavese, Fenoglio, Carlo Levi, Saba, Rodari e altri autori che sente vicini,
dando ulteriore profondità alla sua poesia.
A completare la poliedrica personalità
dell’Autore concorre anche il gruppo di nove poesie, poste soprattutto nella parte
iniziale della Raccolta, che
sviluppano la tematica dell’amore sensuale.
Ciò fa comprendere come la polisemia
della sua poesia sia talmente ampia e
ricca di spunti umani e culturali da non poter essere racchiusa in poche righe:
bisogna leggere con attenzione la Raccolta,
per poter cogliere in maniera inequivocabile il pensiero dell’Autore, che non
fa nessuna concessione al qualunquismo galoppante e alla voluta ignoranza della
Storia, i densi e costanti riferimenti letterari provenienti dal suo lavoro di
critico, respirando, nel contempo, un’aria nuova e piena di speranza,
nonostante la crisi che oggi percorre l’intero pianeta.
Angelo Piemontese.
Antonio Catalfamo La rivolta
dei demoni ballerini, Pendragon, 2021, € 14,00