DOLCEZZA E DELICATEZZA
NELLA POESIA DI GIOVANNI SCRIBANO
Di
Mario Santoro
Il volume Natura Medicatrix
di Giovanni Scribano, edito
Guido Miano nel 2019, con prefazione di Nazario
Pardini, rimanda nell’immediatezza al connubio, in questo caso direi
felice, tra poesia e pittura; infatti le due forme di arte non solo non entrano
in contrasto e non rivendicano pretese di superiorità ma sembrano disporsi a
completamento e ad arricchimento vicendevole.
Operazione impegnativa considerando
che le immagini sono di autori diversi (Ampelio Bonora “Testa, 1971”; Effimero Cassinadri “Branco di cavalli al pascolo, 1972”; Giancarlo Chiabà “Arrotino-olio su tela, 1970 “; Corrado
Dalli “La Camargue, 1974”; Alfred
Pièrre De Nottebeck “Pescatori di Homards”;
Stefano Donati “Effluvi lunari,
acrilici e resine su tela, 2017” e “Bagliori
di festa, acrilici e resina su tela, 2018”; Lucia Malaguzzi “Ascoltando la ‘Toccata per organo’ di Vidor,
olio 1993” e “Capannine, olio, 1984”;
Michelangelo Miano “Ineffabile melodia di
un ruscello, foto 2019” e “Il mare immobile,
foto 2018”; Filippo Pirro “Chiaro di luna,
acrilici, 1996”, e “Madre Puglia,
olio, 1975”; Franco Ruggiero “Nella
risaia, olio su tela, 1969” e “Cavaliere
nel bosco, olio su tela 1991”; Alfio Sabadini “Paesaggio, 1973”; Angelo Tenan “Lidi
veneziani, olio su tela 1995”), ma scelte con cura ed accentuano, grazie
anche all’uso dei colori e al ricorso a tecniche diversificate, le sensazioni e
le emozioni che scaturiscono dai versi delle poesie, tratte da varie raccolte dell’autore.
Pittura in senso lato e linguaggio poetico, a tratti, sembrano davvero
fondersi e, pur conservando specificità proprie, seguono un percorso fortemente
lineare, avvolgente, spesso sognante e realizzano atmosfere quasi al di fuori
del tempo e dello spazio con la sensazione benefica di un appagamento fisico spiritale,
di estraniamento da godere, di dolcezza della visione, di isolamento che
gratifica e rende tutto come ovattato. Il poeta mostra di prediligere un
linguaggio piano, lineare, morbido e coniuga la descrittività puntuale e precisa,
ricca di riferimenti, mai fredda o distaccata, con una sempre fortemente carica
inferenziale e connotativa, centrata sovente su dettagli che sanno caricarsi di
allusioni multiple e aggrumano sensazioni a ripetizione. Si assiste ad una
sorta di scivolamento di situazioni reso bene dalla delicatezza del suono, che
non presenta mai elementi di frantumazione o di rottura, e dall’accostamento
attento di immagini che evocano situazioni di incanto e di sogno generalizzate
nella continuità del riferimento alla bellezza, sovente riposante e godibile,
della natura che certamente risulta medicatrix a tutto tondo.
Ne consegue una lettura piacevole che proietta immediatamente in un’atmosfera
irreale dalla quale si esce, a fatica, solamente a lettura ultimata. La
dolcezza delle situazioni proposte, con lontananze che ritornano ammorbidite o
almeno depurate di certe inevitabili asprezze, mantiene la quiete tranquilla e
la pace interiore, e rimanda a condizioni di vita virgiliane o tibulliane, sottintendendo
relazioni garbate tra uomini e cose, sguardi tendenti ad oltrepassare orizzonti
fisico-spirituali e sempre capaci di “perdersi
nel chiaro / di un’alba ovattata” (Alba domenicale). Effettivamente tutta la
natura, nelle sue manifestazioni diverse, sembra decisamente e miracolosamente
benigna o antileopardiana e mostra la molteplicità delle sue diverse forme in
una sorta di armonia globale e tutti gli elementi, che compongono l’immenso
mosaico, appaiono ben evidenziati anche quando sembrano appena accennati o
addirittura allusi o sottesi, come appare evidente già dall’inizio. E così possiamo
assistere al grano che tremola al leggero soffio di vento che altrove fa
sentire la sua voce, quasi umanizzata, tra le foglie sensibili e leggere dei
pioppi dove una farfalla, con il suo volo apparentemente insicuro, nell’evidente
tremito che l’accompagna, si muove ondeggiando e, al di sopra, una nuvola, non
minacciosa ma quasi vezzosa, “bacia il
cielo / e poi si perde nel chiaro / di un’alba ovattata” (Alba domenicale). Si realizza così una
condizione di quiete assoluta, quasi edeniana prima dell’allontanamento, che fa
bene all’anima e genera l’invito tacito a lasciarsi andare in una situazione
che ha dell’irreale eppure è resa possibile nel richiamo del poeta alla
presenza umana reso al meglio dalle figure del bimbo e del vecchio, nell’allusione
evidente agli estremi che connotano l’esistenza. E non manca, in questa visione
ideale, che tiene a bada le tensioni, le problematiche, le difficoltà, le
contraddizioni della società contemporanea, un chiaro senso di spiritualità,
consegnato all’ “eco dell’ Ave Maria”
che “percorre la piana” (Alba domenicale) e, come per miracolo,
consente alle campane di sciogliere i nostri peccati. E la mente del
lettore è come catapultata indietro nel tempo a certe chiesette di campagna
dove, per ricordare il sempre tenero Luigi Ambrosini, “la gente verso sera /
entra in chiesa umile e pia / per i canti e la preghiera / alla vergine Maria”.
Dunque gli elementi della natura sono dominanti nel loro continuo
alternarsi. E così si può leggere: “Il
sole si impossessa del mare / come la rugiada del prato / e scioglie i suoi cavalli
/ come scozzesi colombe” (Idillio). E tutto sembra accadere con naturalezza leggera nell’idea
quasi di una straordinaria ovvietà tanto nel rimando sole-mare quanto nel richiamo
cavalli-colombe; lo stesso accade per i timidi mirti, quasi mirti divini
di D’Annunziana memoria e per l’attesa trepida degli innamorati sulle panchine.
E si può continuare a sfogliare il volume con la certezza che l’orizzonte di
attesa, non solo non sarà tradito o scompaginato, ma nemmeno graffiato o scalfito
e che quasi non sia presente alcuna linea di demarcazione perché la natura si
offre al poeta e, di conseguenza al lettore, in tutta la sua bellezza, a tratti
zuccherosa ma non mielosa, finanche in certi suoi aspetti lontani: “Da luminose trasparenze / ci sorridono le
stelle / fra sabbia e mare” (Persi in viaggio
fra mare e terra). Non
c’è separazione o distinzione, o almeno non è netta o peggio ancora in
opposizione, tra terra, mare e cielo che sembrano fondersi in un gioco di luci
e colori, per un effetto malioso di incastri, con situazioni cariche di
sorpresa e di mistero, di sospensione fisica e spirituale, nell’ora del
niente e del tutto nella quale l’alleggerimento dell’anima è quasi sospensione
nell’aria e i pensieri, finanche i più gravi e problematici, sembrano sfumare o
meglio “si avvinghiano ai sorrisi, /
germogli di luce” (Parole incantate). Si tratta di una condizione che sa di miracolo che non riguarda
solo il poeta ma coinvolge il genere umano sicché solo qualche volta egli
ricorre alla prima persona: “Non
dimentico / la luminosa / e diafana atmosfera / di un mattino...” (Celesti pascoli) o, come scrive altrove: “Guardo le querce, / possenti giganti ergersi
nel sole.../ Sono felice” (Natura Medicatrix), e ancora: “Stanco,
nella strana notte, / la fatica mi colpisce...” (Risveglio) e infine: “Scendo leggero, vento di vita, / nell’aria candida grido / e le
creature con me” (Per non scordare il tuo viso). E il grido, che è di intensa gioia
se “Il vento effonde smeraldi, /
misteri sussurra” (Per non scordare il tuo viso), non solo è lontano dall’urlo
munchiano con la sua sottesa denuncia, ma è tanto più sorprendente perché si
unisce e si confonde con quello delle altre creature e tende quasi ad allontanare,
se non a nullificare, le inquietudini, che attanagliano l’uomo contemporaneo e
tende sempre ad aprire uno spiraglio e ad indicare una prospettiva futura.
In questo senso la poesia si fa
salvifica, attenua le sofferenze, attutisce il dolore, apre alla speranza,
invita alla comprensione e alla relazione sul piano umano, genera amore, forma
una solida barriera contro la confusione. E tutto questo anche grazie alle
molte immagini presenti e così da un dipinto all’altro il passo è breve nella
piacevolezza e diversità delle riproposizioni. Viene facile lasciarsi
coinvolgere dai “Bagliori di festa” di Stefano Donati e
dalla vivacità dell’insieme in una sorta di scoppiettìo allegro e continuo che
ferma quasi il tempo e fa vibrare l’anima con ripetuti dati di tensione emotiva
che spinge a passare ad una situazione nuova e riposante come la foto che ripropone
Michelangelo Miano dal titolo “Il mare
immobile”.
Si tratta, in questo caso, di
una distesa di acqua quasi del tutto ferma e come in riposo con colori
ammorbiditi e tenui, tali da indurre a sensazioni gradevoli e capaci di
recuperare sognanti lontananze e solitudini non spiacevoli.
E dal mare si passa al
paesaggio terrestre di un bosco non chiuso ma luminoso, come quello di talune
fiabe della nostra infanzia, grazie ad uno straordinario effetto cromatico e
con la sensazione della libertà, senza condizionamento alcuno, consegnata al
cavaliere a cavallo, come nel dipinto di Franco
Ruggiero, oppure si resta fermi e come sospesi dinanzi alla linearità
dei “Lidi
veneziani” di Angelo Tenan con
mare e cielo separati da una linea appena ed elementi come stilizzati. Di forte
impatto risulta anche la pittura di Filippo Pirro,
noto anche come poeta, con la sua colorazione densa e la presenza forte di
elementi significativi e chiaramente disambiguabili che compongono il dipinto “Madre Puglia”. E
poi ancora scorre la visione di un’alba nella Camargue, del pittore de Nottbeck, un po’ grigia, con il mare a
confondersi con il cielo, oppure ci si intrattiene con il branco dei cavalli di
Cassinadri, che esprimono, nei movimenti
non comandati, il senso pieno della libertà nella serenità del paesaggio e ci
si ritrova finanche nella bottega antica di un arrotino con Gianfranco Chiabà, prima di rientrare nel
paesaggio di Alfio Sabatini con tutto
il peso della solitudine e di chiudere la carrellata con Ampelio Bonora e il ritratto di un viso da non
dimenticare. E sono tutte rappresentazioni a corredo, più o meno fedele, delle
poesie che presentano ricchezza di riferimenti ed elementi ritornanti, con
sempre la linea del sogno che torna con la speranza che l’accompagna e che è
anche dichiarata apertamente: “Qualche
volta si può / ancora sognare” (Una sera) e lo si può fare nella maniera più semplice se il grigiore “del molo / è già tempo / di
bianche vele e se lumache sulla
fontana / aspettano delle lucciole / il volteggiare e infine se nella luce / chiaro / un segreto ritrovo” (La marina). Sembra quasi trattarsi del sogno
per il sogno, della ricerca della fiaba bella, con tanto di magia, che sa
tramutarsi in realtà, nutrendosi dei ricordi buoni che affondano le radici nell’infanzia-fanciullezza
e che sanno riproporsi come nuovi: “Nella
notte antica / parole nuove la mente pregusta / e nuove diafane luci / danzano
senza peso e, ovviamente, finiscono per generare nell’erba presagio di utopia” (Utopia). E proprio il presagio sembra
confermato anche dalle voci del mare “ora
tuono ora canto ora grido / vibrante” (La voce del mare) ma anche dalla presenza ritornante
e confortante della luna capace di guardare “un raggio / riflettersi nel mare e poi rientrare nel guscio” (Quadretto
mattutino) per
il suo carattere di riservatezza e di rispetto. Mare e luna si richiamano
spesso in una sorta di connubio gradevole e non manca la luce del sole che con
i suoi raggi rigenera l’anima.
Altrove domina la campagna col
verde e per lo più alle prime luci del mattino ed appare sempre presente una
sorta di tacito invito a godere di un’atmosfera tranquilla che riserva,
tuttavia, nuove scoperte e meraviglie. Ci sono fiori di ogni tipo: papaveri,
rose, trifoglio, ginestre, glicine, biancospino, viole di campo, e non manca l’aconito
e il botton d’oro. E pare quasi di vederli dinanzi agli occhi nei loro diversi
colori, mescolati insieme e di sentire per l’aria gli svariati profumi. Non
mancano, ovviamente, nemmeno gli alberi: il pino mugo, l’abete, il larice, l’ontano,
il salice, la sassifraga, il tiglio, la betulla, la palma, la quercia. E anche
in questo caso saltano agli occhi le varie caratteristiche. E ci sono gli
animali: allodole lumache, lucciole, meduse, granchi, tritone, colomba,
cavalli, cani, uccelli venuti dal sud, vipere, farfalle, passeri e altro
ancora. E tutto ciò costituisce un mondo caro all’autore che spesso ricorre ad
espressioni cariche di rimandi e connotazioni che meritano la sottolineatura
come, ad esempio, i larici che aggettano sui precipizi, o i papaveri
al vaglio del vento, o ancora le macchie cerulee d’acònito, o
infine, il sorriso che s’impronta di passeri, oltre alla tasca del
tempo, alla lunare falce, o al pentagramma lunare. Si tratta
di felici combinazioni che nascono spontaneamente, senza nessuna ricerca
ossessiva dell’impatto di sorpresa, e contribuiscono a mantenere il senso più
genuino della naturalezza e della spontaneità che caratterizza tutta la poesia
di Giovanni Scribano.
E ci piace chiudere questo
intervento, sempre provvisorio e parziale, facendo riferimento ai versi del
poeta, ad un passaggio strettamente personale, alla rivisitazione di ambienti
cari alla prima infanzia dell’autore: “Sono
nato fra le nebbie / dove nidificano le anatre / ove il cielo si specchia / nei
fiori, ove foglie verde smeraldo / riposan nell’ombra, / ove pallide canne / s’alzano come colombe” (La campagna in
autunno). E come
il volo delle colombe si alza la poesia di Giovanni Scribano nel suo protendere
verso l’alto, salvo, a tratti, a planare verso terra prima di riprendere ancora
il volo.
Mario
Santoro
Giovanni Scribano. NATURA
MEDICATRIX
Guido Miano Editore, 2019
mianoposta@gmail.com