Mario Luzi
Se musica è la donna amata
Ma tu continua e
perditi, mia vita,
per le rosse
città dei cani afosi
convessi sopra i
fiumi arsi dal vento.
Le danzatrici
scuotono l'oriente
appassionato,
effondono i metalli
del sole le
veementi baiadere.
Un passero
profondo si dispiuma
sul golfo ov'io
sognai la Georgia:
dal mare (una
viola trafelata
nella memoria
bianca di vestigia)
un vento
desolato s'appoggiava
ai tuoi vetri
con una piuma grigia
e se volevi
accoglierlo una bruna
solitudine
offesa la tua mano
premeva nei suoi
limbi odorosi
d'inattuate rose
di lontano.
Umberto
Saba
La Malinconia
Malinconia
la vita mia
struggi terribilmente;
e non v'è al mondo, non c'è al mondo
niente
che mi divaghi.
Niente, o una sola
casa. Figliola,
quella per me saresti.
S'apre una porta; in tue succinte vesti
entri, e mi smaghi.
Piccola tanto,
fugace incanto
di primavera. I biondi
riccioli molti nel berretto ascondi,
altri ne ostenti.
Ma giovinezza,
torbida ebbrezza,
passa, passa l'amore.
Restan sì tristi nel dolente cuore,
presentimenti.
Malinconia,
la vita mia
amò lieta una cosa,
sempre: la Morte. Or quasi è dolorosa,
ch'altro non spero.
Quando non s'ama
più, non si chiama
lei la liberatrice;
e nel dolore non fa più felice
il suo pensiero.
Io non sapevo
questo; ora bevo
l'ultimo sorso amaro
dell'esperienza. Oh quanto è mai più caro
il pensier della morte,
al giovanetto,
che a un primo affetto
cangia colore e trema.
Non ama il vecchio la tomba: suprema
crudeltà della sorte.
Vincenzo
Cardarelli
Alla
morte
Morire sì,
non essere
aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto
viaggio sia il migliore.
E in quell'ultimo
istante essere allegri
come quando si
contano i minuti
dell'orologio della
stazione
e ognuno vale un
secolo.
Poi che la morte è
la sposa fedele
che subentra
all'amante traditrice,
non vogliamo
riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte
partimmo
senza commiato!
Sul punto di
varcare
in un attimo il
tempo,
quando pur la
memoria
di noi s'involerà,
lasciaci, o Morte,
dire al mondo addio,
concedici ancora un
indugio.
L'immane passo non
sia
precipitoso.
Al pensier della
morte repentina
il sangue mi si
gela.
Morte non mi
ghermire
ma da lontano
annùnciati
e da amica mi
prendi
come l'estrema
delle mie abitudini.
Vittorio Locchi
La
Sagra di Santa Gorizia
Era tutto un arcobaleno
la cupola d'aria del Carso.
Brillavano le petraie
come ossami calcinati;
lontano l'Alpi Giulie
parevano domi incantanti.
Tutti i monti più alti
si levavano il mantello bianco
e si scaldavano al sole,
mentre il vento co' i semi
passava per seminare.
Laggiù, nel piano, distante,
bianco e lucente il mare
era come una lancia
caduta a un lanciere gigante,
come ci son nelle fiabe.
E se il Calvario
non fioriva, se non fioriva
il Carso, sempre in tormento
sotto la furia dei colpi,
ci fiorivano tutti i cuori
seminati dalla speranza.
Si diceva: « Si va:
questa volta si va davvero!
Salteremo l'lsonzo
come caprioli;
chi ci terrà
quando sarà l'ora?
Tutti vogliamo esser primi
a baciare il manto celeste
di Santa Gorizia...
Chi dette il segnale?
Tutti i settori tacevano...
ed ecco sonare lo stormo.
Cominciarono le bombarde
con abbai, con rugli, con schianti.
Sbucavano dappertutto
coll'ali sui torsi pesanti;
traballavano in aria,
e poi giù, strepitando,
a divorar le trincere;
a stritolare i sassi,
a fondere i reticolati.
Uomini e melma,
ferri e pietre,
tutto tritavano, urlando,
tutto rimescolavano,
sfrangendo e pestando
come dentro le madie
gigantesche delle doline
impastassero il pane
della vittoria
per la fame del fante.
E il fante aveva fame:
fame di terra del Carso
più buona della pagnotta,
impastata di sangue,
cotta dalle granate,
benedetta dai fratelli
caduti colla bocca avanti
per baciarla morendo.
Notte del 7 agosto
chi ti dimenticherà?
Che numero aveva il reggimento
fra cui passai nella notte
balenante, lungo la strada
bianca di Gorizia?
Tutti cantavano, i fanti,
stesi lungo i due cigli,
come ragazzi presi
da un'indicibile gioia.
Passò uno squadrone
al trotto, colle lance basse
basse, e tutti tra risa
e grida gli cantarono,
facendogli ala,
colle mani per trombe,
la fanfara,
come matti ragazzi
che uscissero da scuola.
E venne l'ordine di avanzare.
L'ombre nere si levarono
dai Iati della strada,
i lampi illuminarono
la selva dei fucili;
e il reggimento si sparse
pei campi come un volo
d'uccelli
verso l'aurora.
Giovanni Titta
Rosa
Amico Inverno
Amico inverno,
l'esile bucaneve e il calicanto stupito
ti rallegrano i giorni nitidi,
le sere crude e belle;
ma tu non hai fretta e gusti il tempo:
i brevi soli, le notti infinite
che s'aprono sulla terra
pavesata di stelle.
Favoloso inverno, son esse,
le stelle che s'alzano a corona sui monti
con cui t'accompagni
e ragioni fino all'alba lontana;
e attendi che, fioco,
tra il lento arrivar della luce,
sull'impoverita natura
risusciti il giorno scialho
un tocco di campana.
Rabeschi di geli, nevi abbaglianti.
tese braccia di querci sui colli
s'addolciscono al sole che lotta col rovaio;
ma cade la notte rapida,
fra lividi guizzi di luce dal cielo.
e appare sul monte brullo
la luna di Gennaio.
Elpidio Jenco
Amor di
silenzio
Nell’intrico più fitto ha posto il nido
un usignolo, amico del cipresso.
Mai nel sereno, da che imbianca l’alba,
un colpo d’ala, un temerario tuffo:
mai sulle reste, ove la luce sfila
a fior di fronda, un favellìo fugace.
L’albero ammanta, fuso d’ombra stretto,
quell’amor di silenzio che s’imbosca.
Solo, quando la notte ode il fruscìo
della luna che transita pei cieli,
poeta malinconico, dal folto,
come un raggio di luna il canto esprime.
Attilio
Bertolucci
Sei stata mia compagna di scuola
Sei stata mia
compagna di scuola
ma hai un anno meno di me
abbiamo un bambino che va a scuola mi
sono innamorato di te...
Fingerò d’essere una tua scolara
che s’è innamorata di te
mi sono fatta una frangetta
per cenare fuori con te...
Cerchiamo una locanda piccina
nella città ma non c’è
inventiamola affacciata sul fiume
che allevò me e te...
Di acqua nel fiume che è nostro
ce n’è e non ce n’è...
Inventerò un nuovo mese
ricco d’acqua per te...
Che si rifletta in me
nei miei occhi
china dalla veranda inverdita
sull'acqua che somiglia la vita
rubandomi e
restituendomi a te.
Sebastiano Satta
Ditirambo di
giovinezza
Date l’acquavite alle mani,
Prendete la tasca e lo schioppo
E andiamo. Ohilà! che galoppo,
Che rombo tra l’urlo dei cani!
Prenderemo i cavalli che a frotte
Corron nitrendo le tanche,
Gli figgerem nel collo le branche,
Li avventeremo contro la notte.
Versatemi il vin di Marreri
Che mi apre le vene del cuore.
O donna, apparecchia i taglieri,
E poi… Hutalabi! col corridore.
Ho un sogno nell’anima torva,
O uccellin mio di primavera!
Vo’ traversar la Costera,
Vo’ entrar nell’aspra Bonorva.
Là nella chiesa, sul coro,
Vi è una santa d’oro, vi è!
Voglio portarti quella Santa d’oro:
Ruberò la Madonna per te!
Ditirambo in
rimembranza degli antichi componimenti bacchici
Alfonso Gatto
L'Estate
sui campi
Splende a distesa il giorno
rosato alla pianura,
la tremula calura
richiama a lungo intorno
dall’alto il visibilio
dei passeri nel sole.
Il grano trema e nere
si schiudono farfalle
all’afa azzurra; d’oro,
riversa a quel ristoro
di luce, nelle gialle
stoppie bisbiglia l’aria...
Così morbido e solo
scorre sul fiume il verde
silenzio che alle valli
odoroso si perde.
Restano i campi gialli,
monotona campagna
dei grilli e della sera...
Vittorio
Sereni
Settembre
Già l'olea fragrante nei giardini
d'amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d'aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate.
Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio,
andremo a lento guado coi cani
nell'onda che rotola minuta.