Silvana
Serafin, PENSIERI NOMADI. La poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin, STUDIO
LT2, Venezia 2011. Pp 226. Euro 16
A cura di Nazario Pardini
Così
il pensiero più ritorto
in
petrosi nodi, cela dentro
misteri-fantasie
d’acqua
sorgive
all’anima per parole nuove
petali-profumo di poesia.
Cara
Maria Luisa,
ho
ricevuto la tua opera con grande gradimento. Opera organica, zeppa di firme
eccellenti, bella e curata nella veste grafica, nell’impaginatura,
nell’attenzione al particolare, veramente importante come edizione a fine di
studi universitari. Tutto ciò ci dice del livello a cui è assurta la tua
produzione (lo merita). Al gradimento sincero che mi deriva dal palpare il tuo
morbido testo e soprattutto dalla lettura attenta e meditata delle sue pagine,
va aggiunto un mio personale e non indifferente orgoglio nel constatare che
tante mie riflessioni sul tuo percorso siano state confermate dai critici delle
esegesi. E penso proprio che gran parte di quello che è stato scritto, lo si
trovi nelle pagine che con grande passione ho stilato sulle tue estensioni
etico-estetiche, sulle tue “romanze” liriche di grande intensità umana ed
artistica: l’io e la natura; il verbo e la sua iperbole; le configurazioni
finalizzate ad un distacco da un terreno riduttivo, per uno slancio che vada
oltre la parola; la fusione, rara nella poesia contemporanea, fra il termine e
la coscienza di esistere; e la coscienza dei limiti umani come cruccio e stimolo
all’avventura, alla scoperta di un mondo il cui epicentro è l’essere umani.
Ma quello che più mi ha convinto è la
tua nuova fatica letteraria che tu inserisci come appendice, e che io avrei
collocato come momento più importante ed incipiente del testo.
Qui
l’autrice Toffanin si conferma rinnovandosi, o si rinnova confermandosi. Da traghetto a traghetto per non morire.
E’ qui l’anima di tutta la produzione dell’artista. Spaziare, osservare,
appuntare, segnare, immaginare e correre, fuggire, dopo il nutrimento di
esperienze visive e emotive; fuggire alla ricerca di quelle verità che diano
all’artista una convalida della sua esistenza, della sua arte, del suo mondo
fragilmente immenso nella caducità umana. Creare, dire di sé, essere viva per
non morire. Ed è qui che la natura si immola all’anima per reinventarsi nuova,
pregna delle emozioni esistenziali della poetessa. E la natura è disposta a
collaborare, è amica, è confidente, e l’autrice la sfiora, la tocca, l’annusa,
la inventa per ridarla al foglio impreziosita di una sensibilità e di una
commozione universalmente ed oggettivamente valide. Le metafore, le figure
stilistiche, le combinazioni metrico-foniche si susseguono con ritmo incalzante
tanto che: “E l’anima occlusa nell’oblò / disancorata dall’evento / si sperde
si cerca in quel liquido falò / rinata visione del vivere metafora.”. E da
NELLO SPAZIO-TEMPO DEL MARE E DELL’ISOLA a INCONTRI, da QUESITI DI MARE a
CONTATTI DI ORA IN ORA IN VOLI E CANTI VESPERALI è tutto un volo crescente, un
volo che l’autrice intraprende, partendo dalla concretezza della tormentata
bellezza terrena, per elevarsi, cosciente della fragilità delle vita, allo
stadio dell’arte pura, al pensiero dell’arte come categoria principale dello
spirito, dove, e solo dove l’umano stesso può tradire il fatto di essere umani:
“Ma tu, mia minuta crisalide / dei miei voli più vergini / tu non arresa al
tempo ansante d’acqua / a lusinghe del continente / tu qui nella tua cala
ambra-turchese / eletta a interiore rifugio / tu quasi indifesa / sui sedimenti
della tua storia / scivoli tra alghe-memorie / cuscino a verde riposo /
nutrimento all’anima / a creare mutando nuova tua forma / sempre fedele al tuo
bozzolo.”. La parola fa di tutto slargandosi, ampliandosi, raggruppandosi,
frantumandosi per ritrovare la sua unità sintagmatica e aderire così alle
necessità di un’anima in cerca di un valido aiuto per assurgere alla sua più completa
plenitudine.
Il poeta direbbe: “Nel cuore della
terra, negli urli dei suoi profumi, nei canti dei suoi colori, nelle tristezze
dei suoi abbandoni il poeta trova sempre la via dell’ascensione”.
P.S.
Alla pagina 101 il critico, Graziella
Corsinovi, riporta: “A proposito del rapporto dell’autrice con la natura, il
prefatore Nazario Pardini, parla di panismo; il panismo implica la dispersione
dell’io nella natura…” . Ma io parlo non
di panismo, ma di panismo esistenziale
che è completamente diverso dal semplice panismo. Quest’ultimo implica, sì, la dispersione
dell’io nella natura, ma nella mia accezione significa, come ben chiaro nel
prosieguo della presentazione, impossessarsene per farla corpo di stati
d’animo. Ridare al foglio “oggettivazioni” nutrite di esperienze vitali e
memoriali. E quindi non dispersione dell’io. Ma azione di un io che si fa
attore primo nell’acquisire, rielaborare e tradurre dati naturali in trasfigurazioni
emotivo-esistenziali.
12/01/2012
Nazario Pardini