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E ti rivissi, vita,con un sentire lieve e tanto amato che in ogni fatto lieto o meno lieto,ma scampato, vidi un superbo dono
mercoledì 29 luglio 2020
DALLA RIVISTA ONLINE "ACADEMIA"
domenica 26 luglio 2020
GIOVANNA DE LUCA: "PIANURA DI NOTTE"
PIANURA
DI NOTTE
Accompagnami
ai campi, stasera.
Non ho
voglia di andarci da sola.
Senti
forte l'odore del fieno?
Trema
ancora un sentore di luce
ma gli
uccelli ormai tacciono ai nidi
e una
stella si vanta nel cielo.
Accompagnami
ai campi, stasera.
Tu lo
sai che ho perduto la strada,
quella
giusta che va verso il fiume
dove
andavo una volta e ascoltavo
il
tranquillo stormire dell'acqua:
si
specchiava il filare dei pioppi,
ondeggianti
vedevo i contorni.
La
campagna dintorno e il suo fieno.
Qualche
attrezzo lasciato al domani.
C'era
un sasso, pareva un sedile.
Lì
restavo e aspettavo le stelle.
La
pianura giaceva all'intorno,
calda
e umida notte nel grembo.
Accompagnami
ai campi, stasera.
Siedi e ascolta:
su tutto si leva
dominante
il frinire dei grilli.
Tu lo
sai che ho perduto la strada
che
dai grilli mi stacchi al ritorno-
tu lo
sai che il gran fiume mi aspetta.
© GdL
15 luglio 2020
sabato 25 luglio 2020
CINZIA BALDAZZI LEGGE: "BOATI DAL PROFONDO" DI PASQUALINO CINNIRELLA
Pasqualino Cinnirella
Boati
dal profondo
The Writer Edizioni, Marano Principato (CS), 2018
pp. 60, € 12,00
L’aratro e la penna
Pasqualino Cinnirella e la
traccia arcana dei versi
di
Cinzia Baldazzi
Molto spesso, nel leggere un’opera
letteraria, accade di attribuirle la fiducia di poter sollecitare la
propensione rivelatoria della verità implicita nella scelta delle parole, valutando,
di conseguenza, lo strumento della poesia all’altezza di intrecciare la storia
nell’assoluto, l’individuo con il collettivo, il particolare e l’universale. Per
citare il leitmotiv del celebre film
di Martin Scorsese New York, New York
(1977), sceneggiato dal romanziere Earl MacRauch e da Mardik Martin, il “magico
accordo” può scaturire ovunque e, nella silloge di Pasqualino Cinnirella, il suo
“boato”, il forte rumore cupo, sotterraneo, proviene «dal profondo»: in un
«lungo gioco della vita» [Morale], popolato
da «pietre spinte dalla china». Quasi svincolati dall’urlo, dal sobbalzo della
paura, pensieri, progetti e desideri sono mantenuti attivi da un’energia tesa,
sostenuta dall’amara pena, e al contempo dall’orgoglio di restare vivi.
Ogni poetica, realizzata tramite una serie di segni gestiti da leggi
combinatorie interne, si basa perlopiù su un sistema di attese tra
significante-significato: ebbene, in Boati
dal profondo esse vengono eluse, aggirate, pagina dopo pagina, in un input eversivo del loro rapporto
immediato: «Le spighe […] Moriranno di sole a giugno / quando nelle sacche i
chicchi / son già turgidi di vita» [Ma
più non canta il cuore]. Questa volontà nel disattendere le premesse, così
estesa nella ποίησις generale del nostro scrittore, alimenta l’incipit di Contemporaneità:
I tempi da tempo sono già
maturi
per cogliere a iosa, come
dovuto,
da ogni albero il mio frutto.
Ma da sempre -altri- hanno
scritto per me
dove e quando il punto
d’inizio,
come e perché l’ora del
compimento.
Norma Malacrida vi rintraccia, «nella sua
complessità e nel suo pessimismo lirico, un’interpretazione del dramma
dell’uomo moderno, nel suo male di vivere, travolto da inumane sollecitazioni
che gli negano la possibilità di discernimento tra bene e male e lo confinano
in una sfera di alienazione che si connota e si colloca ad un livello di universalità».
In Passaggi,
il poeta confessa la propria estraniazione dal mondo oggettuale: «Mi faccio
alieno ad ogni cosa», al punto di non saper più «proprio cosa dire»; alle
estreme conseguenze giunge Contemporaneità,
ipotizzando una «data certa / quando ogni cosa sarà alienata / al mio volere di
uomo»; in Porta dai fogliami il vento,
arriva a investire il mondo della natura: «Ottobre, è una tristezza alienata».
Ma nei successivi componimenti il tema assume altri significati, di strumento
utile in qualche modo a vivere o a sopravvivere: come quando Cinnirella, in Oltre i confini della sera, sa che nulla
potrà cancellare i «ricordi inalienabili e rimpianti» di una vita; oppure in Ma più non canta il cuore, testo
centrale della raccolta, nel ricordo del genitore nei campi: «con la schiena
curva sulla vanga / cantando ai muli all’aratro / alienava la stanchezza e la
rabbia»; mentre egli stesso, molti anni dopo, consumato il rito di passaggio
dall’agricoltura al mondo urbano e cittadino, non trova conforto nella
rievocazione di quel mondo: «una penna, un tavolo, dei fogli e pensieri / tanti
pensieri non bastano ad alienarmi / dalla noia del giorno sempre uguale».
La ricerca pensosa e insieme operativa di
Cinnirella prosegue: le sfumature di vero trapelano molteplici, frutto di un
«vivere piegato al grigio degli eventi» [Nell’afa
della sera]. In un solo asse significativo allinea contenuti diversi e
intercalati, a volte volutamente contraddittori:
Ottobre, è una tristezza
alienata
ora che dal bosco viene
questo muoversi celere alla
vita
nell’erba e nelle fronde,
ora che già quella gemma
divarica la scorza
e pigola di nidi il ramo
rifiorito.
[Porta
dai fogliami il vento]
Le istituzioni letterarie di anceschiana
memoria diventano strumento essenziale in questo andare e venire tra elementi
oppositivi: Approdo è una lunga,
insistita metafora marinara; Storia è
scandita dall’immagine di una porta di duchampiana memoria, una sorta di
battente con due stipiti pronto a chiudersi e a lasciare fuori l’amante, eppure
l’altra entrata è lì, aperta; Deserti
accoglie la classica iconografia della distesa di sabbia assimilata
all’esistenza; infine, Così i dividendi
non bastano installa la figura retorica nella terminologia del bilancio
d’azienda (preceduta da Estro d’autore
con i suoi diagrammi, ascisse, ordinate).
L’orizzonte di un siffatto linguaggio
simbolico risulta descritto con efficacia da Franco Campegiani: una «scrittura
sorprendente, dove la base ritmica, sensibile alle regole metriche, si concede
salutari eversioni ipermetriche, a sottolineare forse, nel voluto sgarro
estetico, l’intenzione di aderire maggiormente alla spiazzante realtà della
vita. L’eleganza del verso è comunque assodata, con giri metaforici mai
stucchevoli e sempre misurati».
L’autore procede attraverso un lessico pienamente
novecentesco, dalla natura concreta e cosale, di sorprendente modernità, con
intenzionali riferimenti montaliani («Non dirmi parole / che non lacerino, / con
alito odoroso, / il chiuso dei pensieri / in dissonanze di vita» [Non dirmi parole]) e affettuose citazioni
ungarettiane («Racimolo le quattro suppellettili dell’anima» [Congedo]).
In assonanza a varie esperienze di ποιητική
τέχνη negli ultimi anni, Cinnirella si inoltra nell’ampio territorio del “realismo
etico” annesso al verosimile della rappresentazione, all’impronta morale del suo
finalismo. Talvolta riconosciamo nella sua poësis
l’antica eloquenza incitativa, classicheggiante, in cui si afferma una voce
traslata, discorrendo cioè con un mondo evocato in paesaggi ristretti (di tanto
in tanto, la terra siciliana). In casi ulteriori ascoltiamo, invece, un
intervallo di parola intimo, diretto, alimentato dal gusto di illustrare il
mondo delle cose nel modo in cui risultano riflesse sullo specchio della verosimiglianza,
e la memoria, eccellente bagaglio da viaggio, avanza disperdendosi nel passato-futuro:
Di profondi lunghi silenzi ho
bisogno
per riprendere me stesso
che arranca ormai da tempo
al fine di rifarmi, nel mio
giorno
al crepuscolo, nuovi gli
assetti.
Volti ai dissesti quei dettami
di ieri
più non danno certezze in
divenire;
furie di marosi hanno divelto
quei cardini profondi nella
roccia.
Tante, le volte in solitudine
a chiedermi il conto che
sbilancia
come stadera starata in
difetto
ché più il debito assomma.
A fissarne nuove le basi
metterò ancora mani nude
a incidere, forare, a sfondare
decise il duro del basalto
prima che il chiaro della luna
scemi
all’aurora del nuovo giorno.
[Dissesti]
«È come accedere», puntualizza Patrizia
Stefanelli, «ai luoghi segreti della nostra umanità in cui l’età assume una
configurazione nuova e perde la sua connotazione spazio-temporale». Ne è
testimonianza Debbo capire, con i
suoi «giorni a scalare», con la richiesta del perché «il tempo non frena le
stagioni»; ne costituisce riprova Senilità,
dove al tempo «nemico», alla «clessidra capovolta», il poeta sente il bisogno
di aggiungere la dimensione dello «spazio», incapace tuttavia di impedire la
frantumazione con i suoi «vuoti» e «senza strade possibili di ritorno».
Il veicolo di un’analoga dialettica poetica,
secondo Nazario Pardini, lo troviamo allora «trasmesso con tale comunicabilità
da lasciare di stucco: un messaggio vicino a tutti noi per le questioni
dell’esistere e per tutti quei perché che inquietano e che dal particolare si
traslano agevolmente in sfera universale con slanci lirici di rara fattura»: quasi,
tra una pagina e l’altra di Boati dal
profondo, le pietre iniziassero a muoversi lente, nonché a parlare, e il misterioso
cielo bianco minacciasse di scoppiare in un angosciante e sordo fragore.
Ritorna in campo, attualissimo, il concetto
di lettore-interpretante assai caro
allo statunitense Charles Sanders Peirce, padre della semiologia contemporanea:
in questa figura, lo studioso ottocentesco enfatizzava nel destinatario del
messaggio un soggetto favorito dalla Poesia stessa nel comprendere qualcosa di più; alludeva, cioè, alla possibilità,
implicita tra segni-segnali, di associarsi in chiave emotiva e razionale,
libera e aperta, alle più recondite svolte, a precisazioni testuali o
intertestuali dell’opera. Già dal titolo, dall’associazione inusuale tra
avverbio e predicato verbale, il brano Ora
che c’eri offre esempi di simili “aperture”:
Per qual vezzo già del mio
amore
ti chiamavo - marinaio -
in quel breve tempo d’attesa.
Ma te ne andasti di notte,
prima ancora di esserci tra
noi.
Avevi fretta mostrarti alla
luce
e forata l’ampolla del tuo
mare
in secca sei rimasto sulla
riva
come resti di veliero,
naufrago
dagli oceani, su scogli
d’isola deserta.
Soffocavi nell’aria
fuori dal tuo globo-nido, dai
volteggi
che appena percepiva la tua
genitrice.
Ora che c’eri, t’aspettavamo
tanto sai
per donare anche a te vita,
alimento
e immenso amore; spazio entro
le mura
ad alitare insieme pace e
lietezza
e sogni rosa nel domani.
Addio mio piccolo marinaio
saremmo stati tanto bene
insieme.
Finita l’amorosa attesa
silenzioso un vuoto ora
riempie casa e cuori
e dolce ansia più non morde
nei giorni addivenire.
Per te nel cuore… alto un
grido… ho soffocato.
[Ora
che c’eri]
Tipico nel repertorio di Pasqualino
Cinnirella, lo spazio dell’inconscio procede saldo nel “farsi poesia”. Alcune
correnti dello strutturalismo a base psicoanalitica (in primis ricorderei Jacques Lacan) sostengono come, negli autori, gli
impulsi dell’Es, in genere considerati forze ignote e incontrollabili, misteriosi
bisogni pulsionali, offrano invece codici esegetici in certa misura accessibili.
Dunque l’interrogativo da condividere
potrebbe essere a quale quid lacerante,
a quale messaggio del profondo si riferisca Cinnirella dinanzi a un velo
nostalgico, malinconico, tacito: in una notte d’estate, «canti e risa / intorno
al gioco vivo della fiamma», e «la paura, mai in noi sopita, / per il nero
delle ombre tra le siepi». Con il passare degli anni, la nostalgia «non si
eleverà più in là / di un profondissimo sospiro / con lo sguardo proteso a
quella luna» [Ho sognato fuochi sull’aia].
Forse la risposta è in quel gruppo di
componimenti che più di altri scavano nel flusso temporale personale e privato:
le poesie dedicate alla figura paterna (Ma
più non canta il cuore) e a quella materna (Ho sognato fuochi sull’aia), i versi sulla casa dei sogni (Progetti), le riflessioni sul transito
generazionale (Passaggi).
Di sicuro il nostro scrittore, nei segreti
del cuore, incrementa un desiderio di lettura non velleitario, bensì effettivo,
in virtù di un complesso convenzionale ritenuto capace di contenere ed esibire aspetti
peculiari, sentimentali o conoscitivi del “trovarsi”, dell’essere. Gli anni fuggono, sovrapponendosi da una riga all’altra,
mentre il cielo, rivestito di «quest’aria chiusa», conta le ore in progress: il giorno sembra giudicare la
notte e la notte a sua volta cullare con affetto materno l’alba appena accesa,
con «parole nuove come petali» [Se con me
rimani] che «coglieremo nella quiete».
Nella raccolta Boati dal profondo emerge una sorta di traccia arcana dei
meccanismi costanti della mente, all’altezza di coinvolgere, nella ricerca del
mittente dell’opera, i suoi destinatari, quando sono chiamati da interpreti,
anzi da interpretanti, a
ristrutturare, a loro volta, il senso ampio della vita, lungo i millenni di
donne e uomini, grandi e piccoli, buoni e cattivi:
Sento che non ci sto più
dentro le file.
Solo fra gli altri che mi
travalicano ai lateri
sto a guardare ormai il mio
sentiero che abbandono
irto a questo peso di carne
che s’aggrava nei giorni
mentre brilla ancora dalla
vetta
la mia chimera impossibile
all’ultimo sole di ponente.
I giorni sono pesi ai miei
passi
lenti ora a dispiegarsi
per il troppo tempo perduto
nel riprendere respiro.
Sull’altare dei sogni
su cui ho bruciato, in
sacrificio perenne,
la mera conquista dei giorni,
accennano detriti di certezze
dalle cariatidi del tempo.
Racimolo le quattro
suppellettili dell’anima:
fagotto leggero per un
forestiero
(nomade nel cuore)
che senza rimpianti
s’allontana
verso il sole dall’ultimo
raggio
ora che ha donato ai figli
i pochi monili del cuore
appuntati… alla sua roccia
friabile.
[Congedo]
Scriveva Giuseppe Ungaretti in Aura: «Dalla grata dei rami / vedo voli
nascere».
Cinzia
Baldazzi
DALLA RIVISTA ONLINE ACADEMIA
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venerdì 24 luglio 2020
LIDIA GUERRIERI: "CREPUSCOLO"
CREPUSCOLO
“ Si va!”e siamo fuori mentre l'ora
già dissotterra le ombre della sera
sui colli ancora tiepidi di sole.
Non c'è voluto molto per convincerli
i miei cani che trottano eccitati
scuotendosi il caldo di dosso,
le orecchie tese ai crepitii smorzati
della macchia lontana.
S'è levata la brezza sul sentiero;
fresca la ghiaia, senza voce i campi
nell' ultima luce che imbruna
gli alberi e netti ne incide i contorni;
a breve sarà plenilunio:
gravida ad occidente, la luna prende il largo
con l'alta marea delle rondini;
e già veleggia verso i Quattro Pini
che dall'altura di Villamarina
guardano l'Elba con occhi assonnati.
Com'è leggero il passo della quiete
che ci accompagna a casa!
Scivola come un sogno qualche macchina
con un rumore estraneo
che rotola e si spegne alla risacca
del marciapiede vuoto; le luci dei lampioni
sono pianeti in uno spazio scuro,
in cui già batte il cuore della notte.
già dissotterra le ombre della sera
sui colli ancora tiepidi di sole.
Non c'è voluto molto per convincerli
i miei cani che trottano eccitati
scuotendosi il caldo di dosso,
le orecchie tese ai crepitii smorzati
della macchia lontana.
S'è levata la brezza sul sentiero;
fresca la ghiaia, senza voce i campi
nell' ultima luce che imbruna
gli alberi e netti ne incide i contorni;
a breve sarà plenilunio:
gravida ad occidente, la luna prende il largo
con l'alta marea delle rondini;
e già veleggia verso i Quattro Pini
che dall'altura di Villamarina
guardano l'Elba con occhi assonnati.
Com'è leggero il passo della quiete
che ci accompagna a casa!
Scivola come un sogno qualche macchina
con un rumore estraneo
che rotola e si spegne alla risacca
del marciapiede vuoto; le luci dei lampioni
sono pianeti in uno spazio scuro,
in cui già batte il cuore della notte.
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