domenica 26 luglio 2020

GIOVANNA DE LUCA: "PIANURA DI NOTTE"


PIANURA DI NOTTE

Accompagnami ai campi, stasera.
Non ho voglia di andarci da sola.
Senti forte l'odore del fieno?
Trema ancora un sentore di luce
ma gli uccelli ormai tacciono ai nidi
e una stella si vanta nel cielo.

Accompagnami ai campi, stasera.
Tu lo sai che ho perduto la strada,
quella giusta che va verso il fiume
dove andavo una volta e ascoltavo
il tranquillo stormire dell'acqua:
si specchiava il filare dei pioppi,
ondeggianti vedevo i contorni.

La campagna dintorno e il suo fieno.
Qualche attrezzo lasciato al domani.
C'era un sasso, pareva un sedile.
Lì restavo e aspettavo le stelle.
La pianura giaceva all'intorno,
calda e umida notte nel grembo.

Accompagnami ai campi, stasera.
Siedi  e ascolta:  su tutto si leva
dominante il frinire dei grilli.
Tu lo sai che ho perduto la strada
che dai grilli mi stacchi al ritorno-
tu lo sai che il gran fiume mi aspetta.

© GdL
15 luglio 2020

sabato 25 luglio 2020

CINZIA BALDAZZI LEGGE: "BOATI DAL PROFONDO" DI PASQUALINO CINNIRELLA



Cinzia Baldazzi legge “Boati dal profondo” di Pasqualino Cinnirella

Cinzia Baldazzi,
collaboratrice di Lèucade
Pasqualino Cinnirella
Boati dal profondo
The Writer Edizioni, Marano Principato (CS), 2018
pp. 60, € 12,00

L’aratro e la penna
Pasqualino Cinnirella e la traccia arcana dei versi

di Cinzia Baldazzi

   Molto spesso, nel leggere un’opera letteraria, accade di attribuirle la fiducia di poter sollecitare la propensione rivelatoria della verità implicita nella scelta delle parole, valutando, di conseguenza, lo strumento della poesia all’altezza di intrecciare la storia nell’assoluto, l’individuo con il collettivo, il particolare e l’universale. Per citare il leitmotiv del celebre film di Martin Scorsese New York, New York (1977), sceneggiato dal romanziere Earl MacRauch e da Mardik Martin, il “magico accordo” può scaturire ovunque e, nella silloge di Pasqualino Cinnirella, il suo “boato”, il forte rumore cupo, sotterraneo, proviene «dal profondo»: in un «lungo gioco della vita» [Morale], popolato da «pietre spinte dalla china». Quasi svincolati dall’urlo, dal sobbalzo della paura, pensieri, progetti e desideri sono mantenuti attivi da un’energia tesa, sostenuta dall’amara pena, e al contempo dall’orgoglio di restare vivi.
   Ogni poetica, realizzata tramite una serie di segni gestiti da leggi combinatorie interne, si basa perlopiù su un sistema di attese tra significante-significato: ebbene, in Boati dal profondo esse vengono eluse, aggirate, pagina dopo pagina, in un input eversivo del loro rapporto immediato: «Le spighe […] Moriranno di sole a giugno / quando nelle sacche i chicchi / son già turgidi di vita» [Ma più non canta il cuore]. Questa volontà nel disattendere le premesse, così estesa nella ποίησις generale del nostro scrittore, alimenta l’incipit di Contemporaneità:

I tempi da tempo sono già maturi
per cogliere a iosa, come dovuto,
da ogni albero il mio frutto.
Ma da sempre -altri- hanno scritto per me
dove e quando il punto d’inizio,
come e perché l’ora del compimento.

   Norma Malacrida vi rintraccia, «nella sua complessità e nel suo pessimismo lirico, un’interpretazione del dramma dell’uomo moderno, nel suo male di vivere, travolto da inumane sollecitazioni che gli negano la possibilità di discernimento tra bene e male e lo confinano in una sfera di alienazione che si connota e si colloca ad un livello di universalità».
   In Passaggi, il poeta confessa la propria estraniazione dal mondo oggettuale: «Mi faccio alieno ad ogni cosa», al punto di non saper più «proprio cosa dire»; alle estreme conseguenze giunge Contemporaneità, ipotizzando una «data certa / quando ogni cosa sarà alienata / al mio volere di uomo»; in Porta dai fogliami il vento, arriva a investire il mondo della natura: «Ottobre, è una tristezza alienata». Ma nei successivi componimenti il tema assume altri significati, di strumento utile in qualche modo a vivere o a sopravvivere: come quando Cinnirella, in Oltre i confini della sera, sa che nulla potrà cancellare i «ricordi inalienabili e rimpianti» di una vita; oppure in Ma più non canta il cuore, testo centrale della raccolta, nel ricordo del genitore nei campi: «con la schiena curva sulla vanga / cantando ai muli all’aratro / alienava la stanchezza e la rabbia»; mentre egli stesso, molti anni dopo, consumato il rito di passaggio dall’agricoltura al mondo urbano e cittadino, non trova conforto nella rievocazione di quel mondo: «una penna, un tavolo, dei fogli e pensieri / tanti pensieri non bastano ad alienarmi / dalla noia del giorno sempre uguale».
   La ricerca pensosa e insieme operativa di Cinnirella prosegue: le sfumature di vero trapelano molteplici, frutto di un «vivere piegato al grigio degli eventi» [Nell’afa della sera]. In un solo asse significativo allinea contenuti diversi e intercalati, a volte volutamente contraddittori:

Ottobre, è una tristezza alienata
ora che dal bosco viene
questo muoversi celere alla vita
nell’erba e nelle fronde,
ora che già quella gemma divarica la scorza
e pigola di nidi il ramo rifiorito.
[Porta dai fogliami il vento]

   Le istituzioni letterarie di anceschiana memoria diventano strumento essenziale in questo andare e venire tra elementi oppositivi: Approdo è una lunga, insistita metafora marinara; Storia è scandita dall’immagine di una porta di duchampiana memoria, una sorta di battente con due stipiti pronto a chiudersi e a lasciare fuori l’amante, eppure l’altra entrata è lì, aperta; Deserti accoglie la classica iconografia della distesa di sabbia assimilata all’esistenza; infine, Così i dividendi non bastano installa la figura retorica nella terminologia del bilancio d’azienda (preceduta da Estro d’autore con i suoi diagrammi, ascisse, ordinate).
   L’orizzonte di un siffatto linguaggio simbolico risulta descritto con efficacia da Franco Campegiani: una «scrittura sorprendente, dove la base ritmica, sensibile alle regole metriche, si concede salutari eversioni ipermetriche, a sottolineare forse, nel voluto sgarro estetico, l’intenzione di aderire maggiormente alla spiazzante realtà della vita. L’eleganza del verso è comunque assodata, con giri metaforici mai stucchevoli e sempre misurati».
   L’autore procede attraverso un lessico pienamente novecentesco, dalla natura concreta e cosale, di sorprendente modernità, con intenzionali riferimenti montaliani («Non dirmi parole / che non lacerino, / con alito odoroso, / il chiuso dei pensieri / in dissonanze di vita» [Non dirmi parole]) e affettuose citazioni ungarettiane («Racimolo le quattro suppellettili dell’anima» [Congedo]).
   In assonanza a varie esperienze di ποιητική τέχνη negli ultimi anni, Cinnirella si inoltra nell’ampio territorio del “realismo etico” annesso al verosimile della rappresentazione, all’impronta morale del suo finalismo. Talvolta riconosciamo nella sua poësis l’antica eloquenza incitativa, classicheggiante, in cui si afferma una voce traslata, discorrendo cioè con un mondo evocato in paesaggi ristretti (di tanto in tanto, la terra siciliana). In casi ulteriori ascoltiamo, invece, un intervallo di parola intimo, diretto, alimentato dal gusto di illustrare il mondo delle cose nel modo in cui risultano riflesse sullo specchio della verosimiglianza, e la memoria, eccellente bagaglio da viaggio, avanza disperdendosi nel passato-futuro:

Di profondi lunghi silenzi ho bisogno
nel mio intorno - al mio interno,
per riprendere me stesso
che arranca ormai da tempo
al fine di rifarmi, nel mio giorno
al crepuscolo, nuovi gli assetti.
Volti ai dissesti quei dettami di ieri
più non danno certezze in divenire;
furie di marosi hanno divelto
quei cardini profondi nella roccia.
Tante, le volte in solitudine
a chiedermi il conto che sbilancia
come stadera starata in difetto
ché più il debito assomma.
A fissarne nuove le basi
metterò ancora mani nude
a incidere, forare, a sfondare
decise il duro del basalto
prima che il chiaro della luna scemi
all’aurora del nuovo giorno.
[Dissesti]

   «È come accedere», puntualizza Patrizia Stefanelli, «ai luoghi segreti della nostra umanità in cui l’età assume una configurazione nuova e perde la sua connotazione spazio-temporale». Ne è testimonianza Debbo capire, con i suoi «giorni a scalare», con la richiesta del perché «il tempo non frena le stagioni»; ne costituisce riprova Senilità, dove al tempo «nemico», alla «clessidra capovolta», il poeta sente il bisogno di aggiungere la dimensione dello «spazio», incapace tuttavia di impedire la frantumazione con i suoi «vuoti» e «senza strade possibili di ritorno».
   Il veicolo di un’analoga dialettica poetica, secondo Nazario Pardini, lo troviamo allora «trasmesso con tale comunicabilità da lasciare di stucco: un messaggio vicino a tutti noi per le questioni dell’esistere e per tutti quei perché che inquietano e che dal particolare si traslano agevolmente in sfera universale con slanci lirici di rara fattura»: quasi, tra una pagina e l’altra di Boati dal profondo, le pietre iniziassero a muoversi lente, nonché a parlare, e il misterioso cielo bianco minacciasse di scoppiare in un angosciante e sordo fragore.
   Ritorna in campo, attualissimo, il concetto di lettore-interpretante assai caro allo statunitense Charles Sanders Peirce, padre della semiologia contemporanea: in questa figura, lo studioso ottocentesco enfatizzava nel destinatario del messaggio un soggetto favorito dalla Poesia stessa nel comprendere qualcosa di più; alludeva, cioè, alla possibilità, implicita tra segni-segnali, di associarsi in chiave emotiva e razionale, libera e aperta, alle più recondite svolte, a precisazioni testuali o intertestuali dell’opera. Già dal titolo, dall’associazione inusuale tra avverbio e predicato verbale, il brano Ora che c’eri offre esempi di simili “aperture”:

Per qual vezzo già del mio amore
ti chiamavo - marinaio -
in quel breve tempo d’attesa.
Ma te ne andasti di notte,
prima ancora di esserci tra noi.
Avevi fretta mostrarti alla luce
e forata l’ampolla del tuo mare
in secca sei rimasto sulla riva
come resti di veliero, naufrago
dagli oceani, su scogli d’isola deserta.
Soffocavi nell’aria
fuori dal tuo globo-nido, dai volteggi
che appena percepiva la tua genitrice.
Ora che c’eri, t’aspettavamo tanto sai
per donare anche a te vita, alimento
e immenso amore; spazio entro le mura
ad alitare insieme pace e lietezza
e sogni rosa nel domani.
Addio mio piccolo marinaio
saremmo stati tanto bene insieme.
Finita l’amorosa attesa
silenzioso un vuoto ora riempie casa e cuori
e dolce ansia più non morde nei giorni addivenire.
Per te nel cuore… alto un grido… ho soffocato.
[Ora che c’eri]

   Tipico nel repertorio di Pasqualino Cinnirella, lo spazio dell’inconscio procede saldo nel “farsi poesia”. Alcune correnti dello strutturalismo a base psicoanalitica (in primis ricorderei Jacques Lacan) sostengono come, negli autori, gli impulsi dell’Es, in genere considerati forze ignote e incontrollabili, misteriosi bisogni pulsionali, offrano invece codici esegetici in certa misura accessibili.
   Dunque l’interrogativo da condividere potrebbe essere a quale quid lacerante, a quale messaggio del profondo si riferisca Cinnirella dinanzi a un velo nostalgico, malinconico, tacito: in una notte d’estate, «canti e risa / intorno al gioco vivo della fiamma», e «la paura, mai in noi sopita, / per il nero delle ombre tra le siepi». Con il passare degli anni, la nostalgia «non si eleverà più in là / di un profondissimo sospiro / con lo sguardo proteso a quella luna» [Ho sognato fuochi sull’aia].
   Forse la risposta è in quel gruppo di componimenti che più di altri scavano nel flusso temporale personale e privato: le poesie dedicate alla figura paterna (Ma più non canta il cuore) e a quella materna (Ho sognato fuochi sull’aia), i versi sulla casa dei sogni (Progetti), le riflessioni sul transito generazionale (Passaggi).
   Di sicuro il nostro scrittore, nei segreti del cuore, incrementa un desiderio di lettura non velleitario, bensì effettivo, in virtù di un complesso convenzionale ritenuto capace di contenere ed esibire aspetti peculiari, sentimentali o conoscitivi del “trovarsi”, dell’essere. Gli anni fuggono, sovrapponendosi da una riga all’altra, mentre il cielo, rivestito di «quest’aria chiusa», conta le ore in progress: il giorno sembra giudicare la notte e la notte a sua volta cullare con affetto materno l’alba appena accesa, con «parole nuove come petali» [Se con me rimani] che «coglieremo nella quiete».
   Nella raccolta Boati dal profondo emerge una sorta di traccia arcana dei meccanismi costanti della mente, all’altezza di coinvolgere, nella ricerca del mittente dell’opera, i suoi destinatari, quando sono chiamati da interpreti, anzi da interpretanti, a ristrutturare, a loro volta, il senso ampio della vita, lungo i millenni di donne e uomini, grandi e piccoli, buoni e cattivi:

Sento che non ci sto più dentro le file.
Solo fra gli altri che mi travalicano ai lateri
sto a guardare ormai il mio sentiero che abbandono
irto a questo peso di carne che s’aggrava nei giorni
mentre brilla ancora dalla vetta
la mia chimera impossibile
all’ultimo sole di ponente.
I giorni sono pesi ai miei passi
lenti ora a dispiegarsi
per il troppo tempo perduto
nel riprendere respiro.
Sull’altare dei sogni
su cui ho bruciato, in sacrificio perenne,
la mera conquista dei giorni,
accennano detriti di certezze
dalle cariatidi del tempo.
Racimolo le quattro suppellettili dell’anima:
fagotto leggero per un forestiero
(nomade nel cuore)
che senza rimpianti s’allontana
verso il sole dall’ultimo raggio
ora che ha donato ai figli
i pochi monili del cuore
appuntati… alla sua roccia friabile.
[Congedo]

   Scriveva Giuseppe Ungaretti in Aura: «Dalla grata dei rami / vedo voli nascere».

Cinzia Baldazzi

DALLA RIVISTA ONLINE ACADEMIA



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Forme del prosimetro nella letteratura italiana recente (L'Ulisse, 17)
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Author Photo Lorenzo Marchese
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venerdì 24 luglio 2020

LIDIA GUERRIERI: "CREPUSCOLO"



             Lidia Guerrieri,
      collaboratrice di Lèucade

CREPUSCOLO
“ Si va!”e siamo fuori mentre l'ora
già dissotterra le ombre della sera
sui colli ancora tiepidi di sole.
Non c'è voluto molto per convincerli
i miei cani che trottano eccitati
scuotendosi il caldo di dosso,
le orecchie tese ai crepitii smorzati
della macchia lontana.
S'è levata la brezza sul sentiero;
fresca la ghiaia, senza voce i campi
nell' ultima luce che imbruna
gli alberi e netti ne incide i contorni;
a breve sarà plenilunio:
gravida ad occidente, la luna prende il largo
con l'alta marea delle rondini;
e già veleggia verso i Quattro Pini
che dall'altura di Villamarina
guardano l'Elba con occhi assonnati.
Com'è leggero il passo della quiete
che ci accompagna a casa!
Scivola come un sogno qualche macchina
con un rumore estraneo
che rotola e si spegne alla risacca
del marciapiede vuoto; le luci dei lampioni
sono pianeti in uno spazio scuro,
in cui già batte il cuore della notte.