E ti rivissi, vita,con un sentire lieve e tanto amato che in ogni fatto lieto o meno lieto,ma scampato, vidi un superbo dono
martedì 30 novembre 2021
lunedì 29 novembre 2021
MARIA RIZZI A GIUSY FRISINA: "PER LA MORTE DEL PADRE"
Maria Rizzi, collaboratrice di Lèucade |
Giusy adorata, ti sono
accanto nel dare l'arrivederci al tuo 'padre speciale', che per tua definizione
'è nell'infinito con la sua poesia'. Il caro Giosofatte ha compiuto cento anni
da poco, gli eri accanto, ho visto la foto, e si è congedato dal suo sempre per
entrare in una dimensione che gli fosse più congeniale. Non preoccuparti ,
tesoro, potrai dire con il mio caro Sant'agostino 'che la gioia di averlo avuto
è più grande del dolore di averlo perduto', ma soprattutto appurerai, sempre
con lo stesso santo che il tuo papà si è semplicemente spostato 'nella stanza
accanto'. L'uomo speciale, che in modo geniale hai definito così egocentrico e
così santo, così ateo e così credente, è come la gardenia di un celebre
racconto, ti vive accanto in altra dimensione e ogni volta che avrai un crollo
sentirai la stretta indimenticata della sua mano. Giosofatte, calabrese come
te, e dedito ad attività professionali come l'avvocatura, ha sempre avuto come
valore di base la Filosofia, su cui ha fondato la sua ampia produzione poetica.
Ha pubblicato nel 2004 "il filo magico della ricerca" (Il Filo
editore); nel 2005 "Verità Riflesse" (Il Filo); nel 2006
"L'eterno vivere nel relativo assoluto"(Il Filo); nel 2016
"L'importanza dell'uomo nel rapporto col dio (AUGH!) e nel 2019 "Nel
sogno della vita" (Leonida Edizioni). Quest'ultima Silloge ho avuto la
gioia e l'onore di leggerla e recensirla, scoprendo un Artista di novantotto
anni di rara apertura mentale, che viaggiava dalla poesia classica a quella
d'avanguardia e, come te, seminava perle filosofiche sul cammino. Ti chiedeva
di diffondere il suo pensiero... e quanto ho ricordato il mio papà
nell'apprenderlo! Siamo state attente a esaudire questi desideri e ha
rispettare la linfa, di diverso genere, che hanno instillato nelle nostre
storie. Giosofatte asseriva di comporre 'filosofia in versi' , in realtà
scriveva poesia filosofica, ma era modesto, dote che ti ha trasmesso in forma
smisurata. Lui chiedeva la diffusione per non perdere il lavoro di una vita,
non per ambizione. Dei suoi versi ricordo con un tuffo al cuore, che nell'anno
della mia nascita, il 1957, asseriva che era ora di fare strada a una poesia
meno desueta, più sperimentale, che aprisse nuovi sentieri di pensiero.
"Il sogno di una vita" l'ha realizzato, amica antica, ed è giusto che
tu lo veda nella foto sbiadita che lo ritrae in bicicletta scapigliato e
felice. Sta correndo a perdifiato sui prati dell'infinito per tornare 'alla sua
prima casa', con la sua bici inossidabile: "l'Infinito senza mura /E la
libertà di chi non ha più/Preoccupazioni di sorta
Il gioco eterno e ridente dei volti amati /La
conversazione interminabile /Con l'Intelligenza che ti ha creato /La Luce che
finalmente non si annuvola." Giosofatte è un uomo di fede, come tutti
coloro che alimentano il dubbio e affermano che "credere /O non credere/è
la stessa cosa". Ti chiedo perdono Giusy mia, se volgo al presente i tuoi
versi. Io non so concepire questo saluto come un addio. La vita me l'ha
insegnato.
Tu hai accompagnato 'il tuo padre speciale' con la
musica verso il sonno e lui ti sorrideva e sorride ancora, mentre ti racconta
che "cè sempre l io
come ogni cosa. /Pure la rosa /ma non quella
rosa." Siete per sempre uniti, anche se i gesti non sono gli stessi di
ieri, se lo guardi sulla foto ingiallita e cominci a dimenticare la voce, che
per prima, vorresti trattenere. La sua ricerca del vero, i suoi valori,
l'energia, la sua Arte, l'amore... Nulla si perde, anima mia, tutto si
trasforma, ma Giosofatte ha vinto il mistero del tempo, ha steso
inconsapevolmente il tappeto della sua immortalità. Io sono accanto a te, ti
accarezzo, ti invito a non piangere perchè lo deluderesti, e desidererei che ,
insieme, gli riservassimo il 'benvenuto' che i cileni sanno donare ai loro
amori. Nazario e gli amici che ti amano e che hanno conosciuto il tuo 'padre
speciale' tramite le sue Opere e quelle che gli hai dedicato, si uniscono a noi
... ed è rinascita! Pedala veloce Giosofatte!
domenica 28 novembre 2021
UN PADRE SPECIALE: " GIOSOFATTE FRISINA"
Il messaggio divino
Nel tuo corpo mortale
Tu per cui credere
O non credere
Era la stessa cosa
Come un pensiero di misericordia
Tu che avevi la ricerca nel sangue
E l'infinito negli occhi
E il cuore nella ragione
Segno di fede o speranza
nell'Uomo-dio
Malgrado tutto.
GIUSY FRISINA
ANNODARE I FILI
Il dolore chiede di annodare
I fili strappati nel disastro
Mentre tu ritorni alla tua prima casa...
Dicevi di avere tre case
La terza al cimitero
Ma hai dimenticato che la prima
Era l'Infinito senza mura
E la libertà di chi non ha più
Preoccupazioni di sorta
Il gioco eterno e ridente dei volti amati
La conversazione interminabile
Con l'Intelligenza che ti ha creato
La Luce che finalmente non si annuvola.
Ed è con questo pensiero
Che posso riannodare i fili
Di questo scorcio di vita terrena
Dove mi lasci
A svernare da sola.
GIUSY FRISINA
Seguono le poesie di Giosofatte Frisina, uomo di cultura, poeta filosofo, che sapeva connettere pensiero e azione in uno stupendo connubio di pathos e logos; un grande uomo che reificava i suoi pensamenti nel cuore dell'arte poetica:
manco l’ eterno .
Ma tutto E’
all’ infinito !
GIOSOFATTE FRISINA, "dalla raccolta “Nel sogno della vita, ed. Leonida, 2019”
VITALITA’
Se ami la vita
lo stesso sentimento
va alla morte
che n’è parte integrante.
In ogni istante
Fin che dura la vita.
IL CROLLO PERMANENTE
Ciò che vive
nell’ animo decade
all’ infinito:
perciò
solo è parvenza.
La sostanza
è l’essenza
che ci sfugge.
Dalla ricerca strenua
inseguita
nel crollo permanente
della vita.
L’ IO E LA ROSA
La morte
tutto cancella
ma c’è sempre l’ io
come ogni cosa.
Pure la rosa
ma non quella rosa.
Ben altra cosa:
l’ eternità
ché senza l’io
neppure Dio
TEMPO VIRTUALE
L’ infinito non c’è
manco l’ eterno .
Ma tutto E’
all’ infinito !
IL MEGLIO ALL’
INFINITO
Niente ci ha dato il Dio
se non per tutto la capacità.
Tanto abbiam fatto ancor
di bello e brutto
ma il più ci resta
e se sappiamo fare
raggiungeremo ciò che non finisce
pur nel mutare : l’ immortalità
qual tiene il bello
e il mal non trova sito
neppur nella memoria
traboccante del meglio all’ infinito.
L’ ESSENZA UMANA
L’ uomo mira
all’ ultimo mistero
che presuppone il primo:
da dove siam venuti.
Forse dal nulla
semantica avventura
che dir si voglia
che noi non conosciamo
così coinvolti
nel dono di natura.
Per cui dobbiamo attingere
di là dell’ energia equivale a massa.
E l’essere sapiente
staccandosene conserva
Il singolare io
al par del detto Dio.
GIRO DI BOA
Se senti tanto caldo
e più senti quel caldo
tanto lo senti
che non lo senti più.
Se senti tanto freddo
e più senti quel freddo
tanto lo senti
che non lo senti più.
Così
l’ eccesso è nulla
come l’ assoluto
mentre viviamo
solo per difetto
giro di boa :
l’eternità.
FILOSOFIA DELL’ ENERGIA
Tutto è energia:
gli uomini, le cose
gli animali …
Anzi non proprio tanto
diverse le energie .
Ma c’ è una speciale:
la consapevolezza
inver trascendentale.
La qual se ne sei degno
ti porta all’ atro regno
ove la luce effetto non è più dell’ energia.
Non c’ è spazio
né tempo
né bianco né nero
nel massimo mistero
dell’ eternità.
TRASCENDENZA UMANA
Senza principio e fine
forte è l’ essere umano
pur rivolto ai confini della nostra realtà
con l’ eterno s’ addice
a cotale natura
per ben altra ventura:
vi si attinge alla causa
dell’intero universo
per un mondo migliore.
FILOSOFIA DELLA VITA
“ …Che
è mai la mia vita?
E’ l’ombra di un sogno fuggente…”
G. Carducci
L’ attimo fuggente
Tanto fuggente che non funge
Che non esiste più
Resta solo illusione.
E l’illusione cos’è
Senza percezione!
Così non rimane
Che l’infinito
Senza principio e fine
Che per l’appunto non c’è.
Ma se ipotizziamo
Come sogno la vita
“ne parliamo” al risveglio
In dimensione celeste.
sabato 27 novembre 2021
NAZARIO PARDINI: "VAGHEZZA"
Vaghezza
Una
vaghezza, mentre sulla soglia
miravo tracimare
il sole sull’orto, mi assalì
con tutto
il suo sopore. Mi gustavo
le stille
dei rubini che dal vetro
pungevano
occidente. Il cinabro,
sortito dal
bicchiere trasparente,
somigliava
al rossore in lontananza.
Incantamento.
Mi perdevo
confuso tra i colori
di pesca e
di susina nella scia
che in
fondo lievitava.
Il pensiero
parlante partoriva
un’imbarcazione
avvolta nella porpora.
Tu eri là.
Nascesti dalle zagare.
Dai tuoi
serici veli mi apparivano
forme rosee
di ninfa come petali.
Li
germinava il cielo generoso
con le dita
iridee. Sorridevi.
Io ti
raggiunsi celere e parlammo
tra il
disfarsi totale della sera
nel
carminio che esplode quando serri
le palpebre
alla luce. Era il viaggio
che sempre
ti promisi sopra un’arca
veleggiata
dal vento dei sospiri.
Parvenze
tutt’attorno. Le più belle,
le più
pure, quelle magiche. Ed il blu
che ci
veniva incontro dall’oriente
le vestiva
profondo. - Non temete. -
Noi
restavamo avvinti. - Non temete.
Si accenderanno stelle e dalla luna
gocciolerà su voi nettare vago
avvezzo a far sognare. Basta amare
e tutto sarà d’oro, e azzurro il cielo. -
Rutilavano
i sogni sul velluto
dell’arca
al ritmo lieve degli stormi
tremuli. Al
giogo del tuo carro i frulli
profumati
di sepali di rosa.
Raggi tardi
e restii si staccarono
dal sole e
differirono la notte.
Era il
viaggio di un’intera vita;
una storia,
una morte, quella vita
portata
sempre in anima. Volare
sopra la
terra bigia, oltre la notte,
avanti che
l’oscuro partorisse
staticità
massicce alle memorie,
avanti che
l’oscuro senza stelle
continuasse
nero il suo silenzio.
GIAN PIERO STEFANONI: "FUORI DALLA NOTTE"
FUORI DALLA NOTTE
per Gianmario Lucini
Si
appalesa nel gesto ripetuto
nell'impostura
dell'uomo uguale a se stesso.
Non ha
offerte né adolescenza
la
storia se la memoria non salva.
Eppure
una sera, chiuse le imposte,
il
verso greco le rivelò,
la
stanza spenta, la candela al centro,
il mondo ancora lirico nella misura del senso.
Passata
è la notte che attendevi.
venerdì 26 novembre 2021
CLAUDIA PICCINNO PREMIATA
A te che hai creduto nella mia scrittura
giovedì 25 novembre 2021
ORAZIO
ANTONIO BOLOGNA
OLTRE
LA SIEPE BUIA DEI PENSIERI
di
CARLA
BARONI
Orazio Antonio Bologna,
collaboratore di Lèucade
Se la Poesia, nella sua intima
essenza e vitalità, si ripiega sui problemi e i travagli dell’umana esistenza,
che con spire sempre più strette cercano di soffocare l’anelito dello spirito
umano soprattutto nel suo rapporto col divino, bisogna riconoscere che la
Baroni con questa raccolta ha realizzato ciò che si proponeva. Non senza
amarezza e disorientamento, riflette e invita a meditare:
… se c’è una via
al transito bambino mi riporti
di un’anima macchiata da peccato
non suo …
Ancora una volta è
l’esperienza umana, che, con l’innata dimensione spirituale e spinta al
trascendente, conferisce le più autentiche pulsioni a struggenti considerazioni
sull’essenza e sull’odierna dimensione umana e spirituale dell’Uomo. La Poesia
si rende interprete di tali inquietudini e le trasmette alle anime in grado di
percepire quali fermenti travagliano all’interno l’animo sensibile proteso
verso l’Ente metafisico, fonte e origine del Creato; si piega a scandagliare il
mistero impenetrabile dell’Uomo, della sua creazione, della caduta e della
redenzione; accenna all’insondabile e, per certi aspetti, incomprensibile
presenza del battesimo, il quale
mediante il rituale, antico e sempre nuovo, umile e, al tempo stesso, nobile,
per l’insondabile ricchezza spirituale, che lo impregna, trasmette la vita,
perduta per un gesto antico, insensato e incomprensibile. Un gesto così umile
e, oserei dire, insignificante, veicola una realtà, che solo la mente sublimata
dal divino e serenata dall’illuminazione celeste riesce a percepire e vivere
nella sua esatta ed feconda dimensione.
Interprete acuta e sensibile
di una humanitas in cerca di se
stessa e, soprattutto, del suo futuro ultraterreno, la Poetessa rivela senza
timori o falsi rossori un animo travagliato e disorientato, la titubante
adesione a una fede solida e antica, insidiata e minacciata da un falso e
traviante ‘progresso’, che celato sotto il pregnante lessema ‘civiltà’, diviene
sempre più aggressivo, violento e lacerante. Sull’altare di un fantomatico Leviathan, che con falsi miti alimenta
crescenti speranze e cocenti illusioni in un’edenica era di felicità, si
sacrifica la cultura dello spirito, la dimensione religiosa, il Diritto
naturale nella sua più ampia e autentica espressione.
Il dettato poetico riflette
con sconforto e amarezza sulle strade imboccate da un Uomo cieco; si piega su
una società a brandelli, che capitola giorno dopo giorno davanti a pretese di
assurdo egualitarismo; perde il senso di se stessa e piega a innaturali
riconoscimenti della legge positiva quanto la Natura impone e dispone con le
sue leggi; riflette con dolore sullo smarrimento di Verità prima messe
acriticamente in discussione e poi spazzate via da furia iconoclasta in nome di
un verbo, che attinge nei bassifondi dell’egoismo e del traviamento morale,
contrabbandato con il glorioso nome di ‘libertà’ e assunto come norma e metro di
una palingenesi, attesa da tempo e finalmente realizzata. Questa nuova era
messianica nella sua miopia definisce ‘civile’ la società fondata sull’assurdo
diritto, che appaga l’anarchia morale di coscienze senza remore.
L’Uomo, in questi ultimi
tempi, sta attraversando una profonda e, per i molti risvolti implicati,
insanabile crisi di Valori, ancoraggio e spinta propulsiva di intere
generazioni verso alte e significative conquiste dello spirito, alle quali
seguiva, come necessario e naturale completamento, il benessere materiale.
Questo, sottomesso e dominato dalla vigile presenza dello spirito critico,
aveva un suo decorso specifico nelle conquiste e nelle rivendicazioni della
dignità umana, sancite dalla coscienza retta e ossequiente alle leggi di natura.
In questi ultimi periodi, la società, rapita e trascinata da un vortice di
novità, contrabbandate e propalate sotto la roboante e accattivante dicitura di
‘progresso’ e di ‘civiltà’, ha smarrito se stessa: non riesce più a distinguere
ciò che è conforme alla natura da ciò che è contro; percepisce con molta
difficoltà l’esistenza della legge naturale, cui quella positiva deve
conformarsi, come necessaria emanazione; stravolge con spregiudicata
indifferenza e arroganza il Diritto in nome d’una ‘libertà’, diventata ormai
sinonimo di ‘egoismo’, ‘arroganza’; relega nel mondo di speciosa ‘arretratezza’
e ‘oscurantismo’ i dettami della religione e delle norme morali, che con la
loro inossidabile solidità costituiscono la base della vita civile.
Come nella deportazione ad
opera di Nabucodonosor, gli Ebrei sedevano sui fiumi di Babilonia e, in
lacrime, ricordavano Sion, mentre le loro cetre appese ai salici ricordavano i
tempi della felicità, così l’Uomo di oggi, spiritualmente debellato dal
materialismo strisciante e dalla demagogia di un ingannevole e traviante
progresso di una società incapace di reagire, si affligge nell’amara e cocente
consapevolezza della sconfitta. Perciò la Poetessa non esita a notare:
Ed arpe e cetre
dalle corde rotte
galleggeranno sui palustri fiumi:
solo il mio canto ferirà le stelle.
Le reminiscenze bibliche,
liberamente intese e liricamente trascritte, sottendono un intenso lavorio di
ricerca, di analisi, di critica, di esami interiori, di confronti con i dubbi e
i dissidi. In seguito a tali riflessioni, sostenuta da indiscussa autorità, può
spiegare il suo canto e aprirsi alla speranza:
e saprò infine il
mio destino vero:
se regina degli Inferi al baratto
d’un giorno di gloria in questo vano
mondo
o ritrovata agnella in pura Luce.
Si ritrova in questa sofferta
considerazione quanto il Salmista con accenti accorati si ripromette che non
dimenticherà Gerusalemme, dove innalzava i canti di Sion, perché un giorno,
finita la schiavitù, potrà di nuovo tripudiare nella città santa, che è tutta
la sua gioia, e al di sopra della sua contentezza. È, questo, il proposito di
Carla Baroni, la quale con toni di intenso e sostenuto lirismo invia un
messaggio inequivocabile all’Uomo, considerato e proiettato nella dimensione
metafisica, anche se invischiato nel contingente scorrere della sua storicità.
In questo periodo di
insanabili tensioni e profonde contraddizioni, secondo il pensiero della
Baroni, l’Uomo sembra aver smarrito il senso della propria identità; mostra
segni di decadimento spirituale, mentre è continuamente proteso alla
soddisfazione dei sensi e proietta se stesso nell’edenica caducità del
benessere materiale. Allontanato o, meglio, perduto il senso del divino, mentre
si affanna alla ricerca di se stesso e della sua dignità su questa terra, non
si accorge di precipitare nel baratro dell’annichilimento e di soffocare
insieme con la sua dignità il principio fondamentale del suo essere più
autentico.
Al chiasso assordante della
società, che cerca di colmare il vuoto dello spirito, la Poetessa contrappone,
e addita, fiduciosa nel riscatto morale e nella libertà della scelta
coraggiosa, l’eremo, colto e proposto con vibrante speranza, impregnata del
messaggio derivato dalla tradizione scritturistica:
l’anacoreta dalle
braccia bianche
soffre al sole cocente del deserto.
All’Uomo di oggi che ha
smarrito il senso e, in modo particolare, il valore della ‘solitudine’ e del
‘raccoglimento interiore’, la Baroni rivolge un accorato invito a ritornare con
la mente là dove l’Evangelista nella sconfinata solitudine del deserto addita
la via del riscatto e del successo, sperato e atteso. Lì la preghiera / diventa un mormorio troppo sommesso per essere
percepita e avvertita in tutta la sua potenza da una umanità assordata dal
fragore, in evidente contrasto con il silenzio e il raccoglimento.
Non poteva mancare nella
partecipata riflessione sul dono più grande, che appaga anche il cuore più
inquieto, la presenza della Fede, che innalza l’Uomo a Dio e sola riesce a
infondere la serenità, affannosamente cercata, desiderata, inseguita. Sembra di
sentire il Santo Vescovo di Tagaste, il quale nelle Confessiones con animo traboccante di Fede e di Speranza scrive: inquietum est cor nostrum, donec riequiescat
in te. Solo allora, quando
egli ha la Fede,
femmina sincera
che non si dà alle smanie del Maligno
e disseta,
polla nascosta nella grigia sabbia,
l’arsura d’ogni animo indeciso,
finisce il tormento e il cuore si apre alle
chiare e cristalline sfere della luce, che rapiscono e conferiscono senso
profondo e insondabile al contingente grigiore della vita arida, senza
prospettive, quale si dipana davanti all’inerte e fagocitante scorrere del
tempo.
La poesia della Baroni, che
trova plastica incarnazione nell’endecasillabo sciolto, derivato e assimilato
dalla tradizione classica, trabocca di sensazioni e di amore incondizionato per
la vita, di genuini e controllati slanci, che proiettano il lettore al di là
della comune, trita e anodina esistenza quotidiana. In questo fecondo e
stimolante connubio l’anima riesce a scalare, con l’intensa emotività, che
veicola, le balze scoscese della montagna con passi decisi, con lo sguardo
fisso verso la meta. Lì con le braccia aperte attende Cristo, verso il quale
l’Uomo è stato sin dall’inizio destinato.
Allontanato il dubbio e
l’incertezza, la Baroni propone sofferte soluzioni, dopo ricerche scandite da
sconfitte e riprese, cadute e resurrezioni, prostrazioni e momenti di gioiosi
slanci, inglobati tutti in un dettato chiaro, scevro tanto della reticenza
quanto dell’ipotiposi. Ogni verso tende a soddisfare le esigenze dell’anima in
cerca di se stessa e di quanto, sommersa da fragorose e fuorvianti antinomie,
ha smarrito nel tortuoso scorrere dell’esistenza terrena. Addita parola dopo
parola la tappa fondamentale, perché l’Uomo entri nell’unione mistica con
l’Essere, al quale cerca invano di identificarsi, per i limiti insiti
nell’umana contingenza.
Alla fine di questa breve
riflessione, ogni lettore può dire con la Poetessa, ormai avviata sulla via di
Damasco:
dai
anche a me le ali
perché non mi sia troppo faticoso
quell’ultimo mio viaggio all’altra
sponda.
Per poter raggiungere ciò che
anela, l’Uomo deve spogliarsi di quanto lo invischia, liberarsi dalle panie
d’una vita immersa nella materialità e rivolgere la mente alla ricerca al
divino e alla conquista della realtà metafisica, insita all’interno del suo
essere.