"UMANIZZAZIONE" DEL COMUNICARE
2° parte
La "comunicazione" peraltro non
è unidimensionale omogenea, ma attiene a singolarità percettive di uno o più
sensi (cinestesica).
Non è infatti l'oggettività del reale a
creare le sensazioni emozionali, sono bensì le modalità di ricezione e di
filtro delle informazioni rappresentate che si assestano su pluralità
individuali ben codificate e disomogenee.
R. Sommer si esprime così: "quando le
persone partono dal presupposto che gli altri pensino al loro stesso modo, possono
nascere incomprensioni".
E' acclarato che ogni rappresentazione
soggettiva interna produce sensazioni ed emozioni diverse.
Come evidenziare allora il sistema
rappresentativo preferito da ciascuno?
Si può ipotizzare necessaria una specifica
"analitica" che individui tre tipologie di persona: visiva, auditiva,
cinestesica (vive di emozioni con maggiore intensità).
In effetti non è facile rapportarsi al
mondo armoniosamente con persona che si "umanizza" in un
diversificato sistema rappresentazionale.
In questo rapporto è necessario attivare
un processo (calibrazione) che include il riconoscere tutti gli aspetti che
aiutano a comprendere lo stato emotivo della persona (di fronte) creando un rapporto
particolare di circondanza per avviare un sistema comunicante umanisticamente
semplificato.
P. Drucker sintetizza così: "Nella
comunicazione la cosa più importante è sentire ciò che non viene detto".
E' da sottolinearsi che la
comunicazione è un'arte, soprattutto l'arte di ascoltare più che di parlare.
"La gente non ascolta aspetta solo
il suo turno per parlare" (C. Palahntuk).
Perché non ascoltare?
Perché l'ascolto, quando reale, porta
una visione del mondo diversa e talvolta impone il dubbio su convenzioni
consolidate.
Epitteto argutamente osserva: "Abbiamo due
orecchie e una bocca sola per poter ascoltare il doppio di quanto diciamo".
Lao Tzu interpreta: "Parlare è il modo di
esprimere se stesso agli altri. Ascoltare il modo di accogliere gli altri in se
stesso".
Con l'ascolto si soddisfa altresì il bisogno
di importanza, essenziale fonte di umanizzazione spirituale per l'essere
umano ed il suo manifestarsi individuale.
Ancora, l'ascolto sincero consente di
abbattere il muro della diffidenza e di ampliare la dimensione relazionale alle
persone più diverse e distanti (apparentemente) nonchè alla dinamica
dell'oggetto scaturito dalla dialettica razionale del fare e non fare.
Goethe sottolinea: "Parlare è un bisogno
ascoltare è un'arte".
Vi sono vari modi di ascolto: dal finto
al selettivo, dal superficiale all'attivo (empatico) dove si attenziona
non solo il contenuto ma anche la forma.
Qui l'umanizzazione/comunicazione eleva
la sua protezione totale in quanto compendia ogni aspetto della funzione
classica (parole) astretto dal linguaggio del corpo (che approva,
disapprova ecc).
Il linguaggio "totale" si
compone anche nel sintonizzarsi (ricalco) con l'interlocutore tentando
di indicarsi quale strumento di ricerca tematica familiare.
J. Richardson rileva: "Ricalcare significa quindi
andare incontro all'altra persona nel punto in cui lui o lei si trova,
riflettendo quello che lui o lei sa o presuppone sia vero, o accordarsi con
alcune parti dell'esperienza che lui o lei sta vivendo".
Questa riflessione perde valore quando
il "ricalco" attiene le convinzioni di una persona che difficilmente
vengono cambiate in quanto originano delle profondità dell'essere incardinate
nella spiritualità progressiva dei flussi esistenziali complessivi (esseri e
cose).
Tenere presente che è necessaria saldezza
di principio, ma fluidità di opinione,
è sempre una buona "guida" nel sistema relazionale/sociale.
Per scoprire il prevalente canale di
comunicazione dell'interlocutore occorre avvalersi poi della legge di varietà
indispensabile a livello inconscio, considerando due fattori: consapevolezza,
flessibilità.
Ziglar sostiene: "I risultati che
otteniamo dalle persone dipendono dal modo in cui le trattiamo".
Comunque sia, la legge della varietà
indispensabile ritiene che in qualsiasi sistema (umano o tecne) nell'uguaglianza
di tutti gli altri fattori, sarà l'essere con il maggior livello di reazioni a
controllare il sistema stesso (maggiore sintonia possibile con sempre più
persone).
Consideranto più specificatamente
l'interlocutore umanizzabile, si può sostenere come N. Mahfuz: "Potete
giudicare quanto intelligente è un uomo dalle sue risposte. Potete giudicare
quanto è saggio dalle sue domande".
E lo stesso De Saint-Exupery
considera importante l'arricchimento della "diversità" globale, in
quanto unità spirituale costituita da qualcosa di superiore che trova nel
pluralismo il fondamento dell'Essere.
Nella praticità del marketing,
al di là della spiritualità, si evidenziano con chiarezza alcuni aspetti
essenziali alla dialettica permanente del comunicare e cioè l'attenzione,
l'interesse, il desiderio, l'azione.
Tali aspetti si focalizzano su alcuni
importanti stili del comunicare stesso: passivo, aggressivo,
assertivo.
Gli stili passivo e aggressivo hanno
alcune comunicatività da non sottovalutare: evitano il confronto (con l'altro).
Marco Aurelio sintetizza: "Un no
pronunciato con convinzione è meglio di un sì pronunciato unicamente per
compiacere o ancora peggio per evitare problemi".
A differenza del passivo e dell'aggressivo,
l'assertivo non si fa guidare dalle emozioni ma riesce a canalizzare anche
quelle negative.
Gestire le emozioni (cioè imparare a rispondere e non a
reagire) è la "summa" dell'umanizzarsi nel circuito relazionale
e si compendia nella fisiologia, nel focus e nel linguaggio.
Gli stati d'animo si riflettono nella fisiologia
della persona e si trasformano in precise posture e movimenti; ed è anche vero
l'inverso: l'uso che facciamo del nostro corpo condiziona gli stati d'animo.
Poi le nostre emozioni dipendono da ciò
su cui concentriamo la nostra attenzione (focus).
Le parole che usiamo per esprimerci con gli
altri, infine influenzano completamente il nostro circondo (emozioni, reazioni,
ecc.).
P. Krause si esprime così: "Sembra così
banale, ma nelle relazioni si deve comunicare".
Fine 2° parte
Marco
dei Ferrari
Se comunicare significa "aprirsi all'altro", allora ascoltare è molto più importante di parlare. Ci si avvicina all'altro non urlandogli in faccia i propri pensieri, ma ascoltandolo umilmente nel tentativo di comprendere i suoi. Accade infatti - è esperienza comune - che tra esseri umani ci si intenda meglio stando in silenzio che non dando fiato alle trombe e alle fanfare. Parlare può divenire paradossalmente il modo più certo per alimentare l'incomprensione e litigare. A meno che non ci si abitui a dialogare prima di tutto con se stessi (nel silenzio, appunto, interiore), cercando di porsi in discussione di fronte a se stessi al fine di superare i propri pregiudizi e le proprie sovrastrutture mentali. A quel punto, debellando il proprio soggettivismo, si può divenire autentici, vuoi con se stessi che con altre persone. E' lo psicologismo, in ultima analisi, vuole dirci Marco dei Ferrari, lo scoglio che si deve superare affinché affiori la spiritualità e l'universalità del comunicare.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Franco Campegiani con il suo sempre brillante e profondo pensiero analitico coglie gli aspetti più fondamentali della comunicazione.
RispondiEliminaRingrazio Franco per aver voluto altresì significare questa tematica troppo spesso occultata, se non ignorata dal "caos" della velocità esistenziale contemporanea che nulla concede alla buona riflessione e meditazione.
Il "comunicare" infatti è meditare nella necessaria calma interiorizzata da eventi e oggetti quotidiani; è riflettersi sull'interlocutore percependone affinità di compresenza; è sostituirsi all'anonimato dilagante con presenzialità costante e costruttiva.
Grazie Franco, nuovamente