I colori di Clara
Ho trascorso tanti, tantissimi anni a cercare
di dimenticare i colori che mi circondavano. Ho iniziato a non riconoscere più
il rosso, poi il verde e alla fine il giallo. Per ultimo, il blu. Riuscivo a
percepire soltanto le sfumature di grigio e su quei cromatismi vuoti avevo
costruito una vita parallela a quella reale, in cui le sensazioni e le emozioni
venivano attutite, placate, rese leggere e ovattate come soffici meringhe
ancora da infornare. Bianche.
Adoravo ridere, ballare, parlare,
ascoltare. Ero bella, allegra, spensierata. In tasca avevo l’arcobaleno, che
soffiavo sul viso di chiunque incontrassi, per dividere la gioia che mi
scoppiava dentro al cuore.
Quando ho incontrato l’amore della mia
vita, quei colori sono diventati anche suoi e pian piano, pezzo dopo pezzo, gli
ho affidato i segreti della mia meravigliosa vita. Erano talmente belli, così
pieni e luminosi, che a lui non è bastato averne una parte. E me li ha tolti.
Rubati. Pian piano, in modo che io non me ne accorgessi.
Il giorno in cui mi è stato portato via
anche l’ultimo brandello di arcobaleno risale a molto tempo fa. Lo ricordo bene
perché insieme a lui è scomparso anche ciò che restava del mio buonumore, del
mio sorriso. Sbiadito come un pezzo di stoffa lasciato sotto al sole per un
secolo.
Era già un po’ che per farlo stare
tranquillo non indossavo più abiti corti o scollati. Non hai più l’età,
mi aveva detto. E nemmeno scarpe con il tacco alto. Sei ridicola, aveva
sogghignato. I gioielli, poi, una frivolezza. Vuoi solo farti guardare.
Avevo pensato che avesse ragione e ho
cominciato a fare come voleva lui. I miei capelli, che una volta raccoglievo in
una cascata di riccioli corvini, erano diventati un’informe massa di onde
scolorite e stanche, che gridavano senza voce la rassegnazione di una guerra
persa e mai combattuta. Le mie labbra esangui hanno perso il sorriso e gli
occhi, una volta luminosi e indagatori, si sono spenti come un lampione
all’alba.
Cercavo di essere perfetta e di
compiacerlo in tutti i modi, ma non è bastato nemmeno quello.
Sono volati i primi schiaffi e la
demolizione del mio essere donna si è trasformata rapidamente nella distruzione
del mio essere una persona.
Ho accettato tutto come se fosse
normale. Non riuscivo a liberarmi dalle spire spinose con cui aveva stretto il
mio cuore e soffocato la mia anima. Era come se la sua impronta si fosse
incollata a me, impedendomi di riprendermi la dignità che si sgretolava sempre
di più, come un vecchio gesso su una lavagna.
Un giorno, ho deciso di reagire a tutti
i suoi divieti e ho adornato il mio viso con un paio di orecchini meravigliosi,
lunghi e scintillanti. Mi sono sentita rinascere nel rimirarmi allo specchio,
che finalmente mi restituiva l’immagine di una persona, anziché il riflesso di una
donna su una pellicola in bianco e nero.
Immediatamente ho avvertito il rumore
di passi svelti e scorto, dietro di me, un’ombra che allungava sul mio collo i
tentacoli viscidi di un mostro preistorico.
Il mio grido ha squarciato il velo cupo
di un’ansia solida, che aleggiava come nebbia tra le candele accese in una
città che si era appena addormentata.
I miei lobi strappati si erano riempiti
di sangue incolore. Ma non era il dolore a farmi male. E nemmeno il rumore
sordo di un osso spezzato, che seguì a quel gesto assurdo, senza senso. Non
sentivo nulla. Non più. E quando ho aperto gli occhi ho scoperto di essere
ancora viva. Ho guardato il lampadario di stoffa stinta, che una volta era
cremisi. Prima che ne dimenticassi le sfumature.
Viola è stata l’unica cosa bella che io
abbia avuto da lui. L’ho chiamata così, come il mio colore preferito, pensando
che un giorno avremmo potuto recuperare insieme i toni variopinti che dipingevano
una volta le mie giornate. Andavano dal carminio all’indaco, dal pervinca
all’ocra. Avrei voluto regalarglieli per risarcirla di tutto ciò che era
costretta a guardare continuamente.
Ogni volta che accadeva, tenevo duro
pensando a lei, a lei che era la mia forza, il mio sostegno. Il mio unico
amore. Il mio futuro.
Lei assisteva da lontano al mio
disfacimento in maniera silenziosa, accarezzando i miei lividi e baciando le
ferite che devastavano il mio corpo. E poi, quel maledetto giorno si è messa in
mezzo, urlando. Si è gettata su di me e mi ha fatto scudo con il suo piccolo
corpo di bambina terrorizzata. Ha affrontato da sola il mostro, guardandolo
negli occhi, mentre le sue piccole braccia si aprivano per proteggermi, come
ali di farfalla che sfidano un uragano.
Ha ottenuto un pugno in pieno volto.
L’ennesimo colpo destinato a me, che ero già a terra. Aveva quattro anni,
Viola. E giaceva sul pavimento, immobile, con il viso massacrato. Non parlava,
non piangeva. Pensavo che fosse morta. Poi, ha aperto gli occhi, implorandomi
senza voce di fare qualcosa. Per me, per noi.
L’ho guardata per un istante e mentre
lo facevo sentivo che tutto stava cambiando. Non so perché è successo solo
allora, nel momento più drammatico e difficile della mia vita.
All’improvviso, la disperazione e il
dolore si sono mescolati alla rabbia, diventando una forza che non pensavo di
avere.
Ho sollevato il corpicino esanime,
nonostante avessi un polso fratturato. Ho aperto la porta di casa con un calcio
e sono scesa in strada.
Ho fatto quello che avrei dovuto fare
molto, molto tempo prima. Ho chiesto aiuto. Gridando a squarciagola, in preda a
un panico che era diventato consapevolezza. Vedevo tutto offuscato e confuso,
come se un vapore caldo salisse dall’asfalto, fino a mettersi davanti ai miei
occhi spalancati. Tutto, intorno a me ondeggiava, fluttuando nel mare mosso di
una vita che poteva ancora essere vissuta, compresa, amata. Accarezzata.
Da quel momento mi sono sentita al
sicuro e ho ricominciato a vedere i colori. Tutti. I capelli hanno di nuovo
abbracciato le calde sfumature dell’ebano, il mio incarnato è diventato roseo,
le labbra scarlatte. L’arcobaleno è tornato a casa, in tasca, e oggi appartiene
a mia figlia, quella piccola, grande, coraggiosa e meravigliosa bambina che
oggi è diventata una donna. Consapevole, serena, luminosa. Libera.
Sono affacciata alla finestra e mi
faccio lisciare dal sole. È bruciante. Giallo. Lo ringrazio e volgo lo sguardo
verso l’azzurro ceruleo che lo ospita. Poi abbasso gli occhi sui boccioli color
amaranto e porpora, appoggiati sui cespugli di un brillante verde primavera. Presto
si sveglieranno. Sorrido e ringrazio, come ogni giorno, di essere viva.
Sento una mano sulla spalla. È calda,
buona. Liscia. La prendo tra le mie,
ormai vecchie e nodose, e sussurro il nome del mio colore preferito, quello del
fiore più bello, che adorna tante aiuole del mio giardino, i miei sogni e la
mia vita. È piccolo, energico, discreto e meraviglioso. È Viola.
Vale mia, adorata amica, il tuo testo si legge con l'ansia che sale, come il vapore acqueo, che stringe la gola e, incredibilmente, la levità che caratterizza il tuo dire, è molto più dolorosa della durezza. Ho letto tanti scritti sulla violenza, ma non ho mai sofferto.
RispondiEliminaVedevo il male, cattivo come i passi dei diavoli, ostentato, urlato, esposto in forma di catarsi. Il tuo racconto è una carezza. Insegna l'arcobaleno, trascina in un sogno di armonia tra i colori e destabilizza con la sofferenza, scuote le fronde dell'anima, insegna
il raccontare con nerbo narrativo assoluto. Vale mia, non è facile restare poetici e letterari trattando
queste tematiche.... Il dono più prezioso
che una donna possa fare. Ai lettori e ai bambini che assistono in troppe case a simili orrori.
Al Concorso ha vinto il realismo magico con il quale hai trattato un problema gravissimo, Io ti ammiro infinitamente e sono ancora commossa. La tua penna crea sempre incantesimi. Grazie! Abbraccio te e in nostro Nume Tutelare che accoglie tutti i contributi!
Avere l'onore di leggersi su questo prestigioso blog e scoprire il commento di Maria, una delle donne che stimo di più al mondo, a livello personale e artistico, rappresenta un dono impagabile, che veste di gioia il cuore. Grazie per avermi accolta, letta, supportata. Grazie per esserci. Sempre.
RispondiEliminaIl nostro Condottiero ti ha accolta, Vale mia, perchè ha riscontrato il valore del tuo racconto. Sai cosa penso di te e della tua scrittura. Se aggiungiamo che non sfoggi mai nulla in un mondo culturale che vede implodere troppi ego, sei una perla rara. Perdona il periodo scritto male. Sono un'impulsiva. Ti adoro come adoro Nazario e la sua generosità inesauribile.
EliminaMi scuso per il periodo scritto male: restare poetici e letterari trattando queste tematiche è il dono più prezioso che una Scrittrice possa fare ai lettori e ai bambini che assistono in troppe case a questi orrori.
RispondiEliminaGrazie Nazario, grazie Maria. Davvero di cuore... Vi abbraccio!
RispondiEliminaComplimenti per aver trattato un argomento così spinoso con tanta leggerezza. Brava!
RispondiEliminaCarla Baroni