E ti rivissi, vita,con un sentire lieve e tanto amato che in ogni fatto lieto o meno lieto,ma scampato, vidi un superbo dono
venerdì 26 aprile 2024
lunedì 22 aprile 2024
Maria Rizzi su “Il merito del mezzo” di Franco De Luca - Narratori Rogiosi.
Abbiamo presentato presso il Caffè Letterario Horafelix il romanzo di Franco De Luca “Il merito del mezzo”, edito dai Narratori Rogiosi, il quarto che leggo di questo prolifico Scrittore napoletano, e credo che mi accompagnerà per sempre. Non si tratta, infatti, di un libro, che ci si può concedere di leggere e posare sul comodino. Resta tatuato nell’anima per le suggestioni, le immagini, i messaggi, le lezioni di vita. Una crescita ulteriore per Franco, che con testi come “La chiameremo vita” sembrava essere giunto all’apice dell’esperienza creativa. Innanzitutto, ribadisco il concetto espresso in quarta di copertina dall’ottimo Nando Vitali, secondo il quale ‘il suono delle voci sembra salire dalle quinte di un teatro nella polifonia misteriosa della vita.” Il romanzo è corale, non si possono trovare personaggi, solo protagonisti, un’Opera circolare nella quale le storie si susseguono e si intrecciano con maestria. Lo sfondo è ancora e sempre la città di Napoli, che consente a Franco di sentirsi a casa e di concepire ambientazioni e personaggi venati dai caratteri tipici del nerbo narrativo dello scrittore: senso dell’ironia, umanità calda, ricca di pathos, sentimenti di solidarietà. Inoltre l’intero testo è pervaso da un senso inquietante e persuasivo di mistero, una tunica che avvolge i lettori e attrae in modo irresistibile. Napoli non è la protagonista. Sono presenti le frasi in dialetto, le scene tipiche della vita partenopea, ma la città è riassunta, forse, dalla descrizione dell’avvocato Beretta, torinese di nascita, dirigente di un grande studio legale, che una volta trasferitosi a Napoli comincia a soffrire di esaurimento nervoso, eppure dopo la lunga attesa della pensione non fa altro che rimandare la partenza. “Aveva con Napoli un rapporto altalenante: a volte la amava, a volte la odiava… Un po’ come tutti i napoletani”. - estratto del libro. Il romanzo si apre regalando al lettore l’impressione di trovarsi in prima fila mentre si schiudono le quinte di una commedia del grande Eduardo De Filippo. I personaggi, Augusto, Amedeo e Davide possiedono le caratteristiche di tali rappresentazioni: un protagonista, ‘una spalla’, funzionale al protagonista e un giovane dotato di un ‘dono’, che permettono di calarsi nell’atmosfera divertente e venata di malinconia tipica delle Opere dei Maestri dell’arte teatrale napoletana. Non manca la donna avvenente e custode, come Augusto, di un mistero che, come tutti i segreti, è noto ai più: Virginia Piscitelli, vedova del senatore Annibale, che riempie in seguito interi capitoli e si eleva in tutta la sua grandezza morale. Il titolo dell’Opera, che è ben spiegato nella chiusa - diciotto pagine di altissima poesia, che trafiggono l’anima e lasciano letteralmente senza fiato -, non poteva essere più indovinato. Tramite lo scavo psicologico che Franco attua di ogni personaggio si evince che ognuno di loro rappresenta un tramite per favorire qualcuno o qualcosa. Il concetto è spiegato molto bene dalle parole del muratore Agostino Esemplare, altro ‘eroe’ della vicenda, rivolte al commissario Petrillo: “Non vi è mai capitato di sentirvi parte di un progetto più grande? Di vedere che intorno a voi accadono cose che si incastrano perfettamente tanto da favorire un determinato avvenimento? Di sentirvi una specie di… come dire? - una specie di pedina mossa sulla scacchiera di un’intelligenza superiore?” La settimana di eventi, che si svolgono nel quartiere di Santa Caterina, nel cuore del centro storico di Napoli, vede un intreccio letterario che sembra statico, ma è in levare a ogni respiro. Le vie, i vicoli, il chiostro, l’edicola della Santa palpitano insieme ai battiti anarchici dei protagonisti delle storie, che simbolizzano elementi caratteristici della storia di Napoli, del suo presente, a tratti cattivo come i passi dei diavoli, e del suo passato, per sempre vivo nelle anime degli abitanti. Come in un carillon, che resta ‘teatro a cielo aperto’, la musica muove le scene al ritmo dei sentimenti e il bene controlla il male con celata costanza. Il commissario Petrillo, il pescivendolo Raffaele e il già citato Agostino custodiscono il bene, sono inconsciamente devoti a cause più grandi dei loro intenti. E torna il concetto del ‘merito del mezzo’, che implica l’inconsapevolezza di coloro che compiono le azioni e divengono strumenti per il conseguimento del bene comune. Nel testo esistono tre figure che regalano la misura dell’universo interiore di quest’Autore: Davide e il suo ‘dono’, un giovane rimasto in coma a lungo, che trascina una gamba e riserva non poche sorprese; Caterina, figlia del pescivendolo Raffaele, dodicenne destinata a vivere in carrozzina, muovendo in modo disarticolato le braccia e forse ridendo alle premure degli amici del quartiere; Paolo, detto Paolone, alunno del professore delle medie Dario Morelli, che è affetto da un ritardo e diviene ‘mezzo’ per una vicenda centrale ai fini del romanzo e della vita del suo professore di musica. Creature affette da debolezze, che Franco trasforma in punti di forza, rendendo i tre ragazzini infinitamente cari ai lettori e abbattendo, senza stereotipi, le barriere per creare ponti. La capacità di penetrare nei meandri delle anime dell’Autore diviene sconvolgente quando descrive la figura del senatore Annibale Piscicelli, che cresce a dismisura dinanzi agli occhi dei lettori soprattutto quando definisce l’amore: “Amore sono due ali, Dario, due ali che spuntano tra le scapole squarciando e dilaniando le carni. Dolore e sangue, dunque, ma anche l’unico modo per librarsi in volo, e osservare dall’alto quanto sia meravigliosa e tragica la vita, e anche quanto siano piccole le orme che lasciamo sulla terra.” Di diamanti simili l’Autore ne semina moltissimi nel corso di quella che amo definire una parabola, dimostrando ai più che per diventare scrittori non basta presumere di possedere la scintilla creativa, occorre sapersi cimentare in qualcosa di grande che lasci sulla terra ‘orme indelebili’. “Il merito del mezzo” possiede il lettore, lo rende schiavo felice dei suoi poteri, diviene mezzo per credere che “La vita è un calcio d’angolo” - musica e testo scritti dal professor Dario Morelli -, e per osservare il cielo nella certezza di scorgere due grosse cicogne che rendono belli i quartieri - dormitori in cui viviamo, le nostre case, le vite che troppo spesso ci sembrano prive di senso.
Maria Rizzi
Anna Vincitorio legge Jean Tardieu
JEAN TARDIEU
Il fiume nascosto
Poesie 1938 – 1961
Scrittore di forte fecondità si è espresso in opere di ogni genere e tono: umorista, metafisico, drammatico e poeta… Un poeta fortemente inquieto. Importante per lui “chiedere senza fine come si possa scrivere qualcosa che abbia un senso”.
Concepisce la poesia come la conquista di un mistero. Per lui la conoscenza è intuitiva e discontinua. Sempre presente la violenza del desiderio. Quello che lui scrive deve appagare la sua necessità di esprimersi indipendentemente dalla comprensione e dal diletto del lettore.
Poesia che non sempre s'intuisce ma ti afferra e disorienta. Siamo davanti a dei muri di silenzio nei quali immergersi e sconfinare in sogni inquieti. Nulla è spiegato. Davanti al lettore il caos; la morte un istante di distrazione. Il poeta non può che assaporare la bellezza del mondo e salvarla almeno provvisoriamente dalla rovina. Sul destino delle cose il profondo fetore della morte.
“Tutto sarà disperso, il mondo e l'uomo”.
Figlio di artisti: la madre musicista (suona l’arpa) e il padre pittore. Cominciò a scrivere in giovanissima età. Molto influenzato dal suono dell’arpa è portato a sognare e amare seguendone l’armonia.
E nella musica col passare degli anni, il ricordo della antica felicità legata all’infanzia.
Gli occhi bendati, le mani tremanti
tradito dal rumore dei miei passi
che segue ovunque il mio silenzio
perdendo la traccia dei miei giorni
e io, sia che aspetti o che vada oltre
mi rigiro nel fondo del mio sonno
desolato come la speranza
innocente come il rimorso.
Un uomo che finge di vegliare
imprigionato nella sua infanzia
l'avvenire splende immerso
nella sua immobilità.
Noi ancora ce ne ricordiamo
Il sole vibra senza fare un moto
Il tempo monta come il mare.
Trad. Anna Vincitorio
Per lui l'infanzia anche se imprigiona, è certezza alla quale attingere per poi proseguire. Frequenta a Parigi il Liceo Condorcet e pubblica i primi testi sulla Nouvelle Revue Française. Per avvicinarsi a Tardieu bisogna leggerlo, leggerlo e assimilarne il messaggio. È difficile penetrare le sue parole.
Noi siamo riuniti presso il male
che l'invisibile uragano percuoteva
Questa notte pareva cospirare con noi;
colma d'oro sottratto, era come un cofano
risuonante di consigli
“Lavoriamo!” dice la mia voce – Mille voci risposero:
“Dove sei?” – “Vicino a voi” – sii nominato
“nostro capo”.
– E le nostre voci, come un fuoco tra i rami,
nel medesimo istante si fusero,
le nostre mani serrate e febbrilmente
unite come una nuvola d'uccelli
Ad un tratto, vacillò dividendo l'aria e l'acqua,
Un leggero soffio bianco di luce
che preso – nella sua corsa – venne verso di me
e passò sulla nostra ombra, disteso, distrutto, fluttuante,
col dolce fremere dell'alba… “Addio dunque!”
Mormorò l'ultimo dietro di noi – Partivamo!
Era solo al sorgere del giorno
Ho visto un solo volto: l’onda
Loro si sono riuniti lontano da me
per parlare nella loro lingua sconosciuta
io aspetto
Trad. Anna Vincitorio
Va riconosciuto, a mio modesto avviso, che pur non penetrando il significato della poesia di Tardieu, ne siamo inghiottiti e vaghiamo in essa percorrendo il suono delle sue parole, sperduti ma emotivamente coinvolti. È chiaro che suoi compagni sono le ombre, la speranza, la paura, la certezza e il rimorso.
“oh aliti che rianimate la fiamma spenta
quale fumo ai margini della morte!”
Per concludere possiamo definire la sua opera come poesia evidente, diretta e tragica; carica tuttavia di una grazia misteriosa se non quando lui stesso si avvicina all'ammissione dell'irreparabile.
Per la notte e per il sole
condannato senza prove e colpe
ai muri del mio stretto spazio
io mi rigiro nel fondo del mio sonno
desolato come la speranza
innocente come il rimorso…
Trad. Anna Vincitorio
NOTA BIO BIBLIOGRAFICA
Jean Tardieu nato il 1° novembre 1903 a Saint-Germain-de-Joux e morto Creteil in Val di Marne il 27 gennaio 1995.
OPERE:
Accents (1938): Les Dieux étouffés (1946); Monsieur Monsieur (1951); L’espace de la flute (1958); Le fleuve caché – Poésie (1938-61 – Trad. italiana 1971); Forneries (1976); Margeries – Poèmes inédits – 1910-1985 (1986); Poèmes à voir (1990).
PREMI:
1982 – Grand prix de poésie de L'Academie française
1986 – Grand prix de litérature de la Société des Gens de lettres
1993 – Grand Prix national des lettres
Vasta anche la sua produzione teatrale e Saggi in Le Miroir ébloui (1993).
Il 1995, anno della sua scomparsa a 92 anni.
NOTE CRITICHE:
Claude Michel Cluny – nome de plume – Nato il 2 luglio 1930 a La grandville (Ardennes) – Morto a Parigi 1'11 gennaio 2015. Poeta, critico letterario, rinomato grafico, novellista e romanziere francese.
“J. Tardieu occupa nel panorama poetico francese un posto molto singolare, – a volte tradizionale per il lirismo contenuto che si può inserire nella progenie di Maynard e di Nerval e per un perpetuo rimettere in discussione dello spirito e del linguaggio, si può avvicinare a Max Jacob e Queneau.
La sua è una voce nel deserto “Vaux sans personne” e che accetta una via d'uscita verso il nulla se non quella di un uomo distrutto e condannato in anticipo, senza che niente lo giustifichi o lo salvi.
La difficoltà di essere per Tardieu, è originale; vuol dire che sorge dalla coscienza di essere: questa inquietudine (mal di vivere) la scrittura l’ha presa in carico. Non cede davanti ad ogni dogmatismo, così come scarta le illusioni della metafisica. E questa opera sa ben svelare il volto nascosto delle cose. Pochissime parole – Pochissimi gesti. Ma le une e gli altri organizzati per un poema da recitare…
Tutto è in noi. Noi siamo il luogo del dramma. Questo fiume è ciò che passa e ciò che sarà. Lo crediamo nostro e ci sfugge. Noi siamo e già non siamo più: – Tutta la mia vita è segnata dall'immagine di questi fiumi nascosti o perduti ai piedi della montagna. Come loro per me, l'aspetto delle cose si immerge e si alterna tra la presenza e l’assenza. Tutto ciò che tocca è per metà pietra e per metà spuma –.
Trad. Anna Vincitorio
Jules Supervielle – Montevideo 1884 - Parigi 1996 – legato alla NRF visse tra la Francia e l'America del Sud affermandosi soprattutto come poeta surreale. Di Jean Tardieu afferma: “Poeta molto diverso e sempre suggestivo; egli ha più toni provenienti da una stessa voce. E come egli si pone tra i migliori, niente lo designa meglio di quanto lui stesso non dica: – che lui ama tutti i colori perché la sua anima è oscura –.
Trad. Anna Vincitorio
Federica Locatelli – Diffidate delle parole – …Autore classico ai tempi dell'Assurdo, Tardieu perseguì una ricerca originale che nella padronanza del linguaggio in tutte le sue gamme dalla lirica al divertissement, ci conduce con passo fermo ma bonario oltre gli orizzonti del non senso…”.
Maria Gabriella Bruni – “…La sua opera in effetti non si caratterizza per la linearità nella sua evoluzione determinata da eventi esterni. Si avvolge al contrario su se stessa, come attratta da un centro inesistente, quasi che l'autore esegua una sorta di strano passo di danza sul bordo di un abisso che allo stesso tempo lo respinge e lo trattiene, e dove dà appuntamento a se stesso per tutta la vita. Ed è dal fondo di questo buco che sale la musica della sua scrittura, quella musica disperata, quella musica da lui creata con passione…”.
Georges Emmanuel Clancier – Poeta, romanziere e saggista francese – (Limoges 1914 – Parigi 2018) Opere: … Le pain noir – 1956; La fabrique du roi – 1957; Les drapeaux de la ville – 1959; La dernière saison – 1961; Vari romanzi e tra le raccolte in versi ricordiamo: – Le Paysan céleste, 1943; Une voix, 1956; Terres de Mémoire, 1965; Oscillante parole, 1978; Chansons sur porcelaine, 1984; Passagers du temps, 1991; L'Orée, 1987; trad. di Anna Vincitorio (Presentata a Firenze il 10 maggio 1988 all'Università di Scienze Politiche – Cesare Alfieri – alla presenza del poeta Clancier).
Dalla prefazione a Le fleuve caché. “…L’opera di Tardieu si impone in lentezza, dolcezza, con tutte le sfumature meravigliosamente sensibili, commoventi, erudite, fresche e raffinate, che fondano l'originalità di questa poesia a volte aperta e tragica, tenera e solenne, sottile e stramba. Sembra il risultato di una perfetta civilizzazione del linguaggio piuttosto che una risposta ossessiva a una ossessionante questione… Per Jean Tardieu ogni poema è un teatro senza enfasi dove si gioca in parole di silenzio. Sempre lo stesso e solo il dramma di essere e non essere al mondo, e il teatro un poema che passa dal silenzio del soffio alla drammaturgia delle voci. Questo doppio aspetto del poema-teatro e del teatro-poema si trova per esempio confermato dalla musicalità che Tardieu sa preservare nei dialoghi in apparenza i più quotidiani delle sue creazioni cosi egualmente con l'intrusione del linguaggio parlato nel canto del poema. L’invenzione di una parola per un’altra sa mirabilmente dire senza dire, dal momento che la poesia tende al silenzio attraverso la parola come l’incertezza della vita all’assoluto della morte…Pochissime parole, pochissimi gesti. Ma gli uni e gli altri organizzati per poema da recitare… Tutto è in noi. Noi siamo il luogo del dramma. Questo fiume è ciò che passa e ciò che sarà. Lo crediamo nostro e ci sfugge. Noi siamo e già non siamo più: “Tutta la mia vita è segnata dall'immagine di questi fiumi nascosti o perduti ai piedi della montagna. Come loro per me, l'aspetto delle cose si immerge e si alterna tra la presenza e l’assenza. Tutto ciò che tocco è per metà pietra e per metà spuma…”
Trad. Anna Vincitorio
20 febbraio 2024
JEAN TARDIEU
Le fleuve caché
Poésies – 1938-1961
Pref. di Georges Emmanuel Clancier.
Accenti – 1932-1938
L’allarme
Palude di paura nella sua stanza
la porta chiusa vedeva oscillare una mano
una mano al di fuori tormentava a tratti il pomello
ma non l’apriva! E due voci corrucciate
risuonavano nel corridoio
“È di me – pensava – che si parla!”…
“Chi mi accusa? Chi mi cerca? Chi mi segue?”
“Di quale crimine sono a conoscenza od ho commesso?”
“Cosa ho dimenticato, o perduto?” ah… la porta
“si apre!…”
Ma no –
si allontanano sui parquéts tremolanti
Si trattava di lei (o di un’altra) Tuttavia!…
I drammi della memoria
Sovente si riuniscono per lottare
contro ricordi troppo forti
ciascuno prende posto in una poltrona
e iniziano a raccontare
Gli accidenti si manifestano per primi
poi l'amore, poi i sordidi rimpianti
infine le speranze mai spente
Tutte queste immagini sono appese
al muro, tra i fiori del foglio
Pensano anche di abituarsi
ai veleni trasfusi dalla loro memoria
– Io nel frattempo, dietro la porta,
vedo il Presente fuggire coi suoi segreti
Incubi
Noi siamo riuniti presso il male
che l'invisibile uragano percuoteva
Questa notte pareva cospirare con noi;
colma d'oro sottratto, era come un cofano
risuonante di consigli
“Lavoriamo!” dice la mia voce – Mille voci risposero:
“Dove sei?” – “Vicino a voi” – sii nominato
“nostro capo!”
– E le nostre voci, come un fuoco tra i rami,
nel medesimo istante – si fusero
le nostre mani serrate e febbrilmente unite
come una nuvola di uccelli
ad un tratto, vacillò dividendo l'aria e l'acqua,
un leggero soffio bianco di luce
che presto – nella sua corsa – venne verso di me
e passò sulla nostra ombra disteso, distrutto, fluttuante
col dolce fremere dell'alba… “Addio dunque!”
Mormorò l'ultimo dentro di noi – Partivamo!
Ero solo al sorgere del giorno
Ho visto un solo volto: l’onda
Loro si sono riuniti lontano da me
per parlare nella loro lingua sconosciuta
Io aspetto
Il testimone invisibile
1940-1942
Giustizia sconosciuta
Sempre nell'altra camera lei risuona,
questa voce bassa a traverso il tramezzo;
lei giudica, condanna e poi perdona
un crimine estraneo dalle ragioni profonde
Io non so se sono io il colpevole
Io non so se la voce porta un nome
La paura del sogno
Felice chi per lo sbattere delle porte,
per la presenza di una lampada o il mormorio
di voci che un corridoio conosciuto porta via
per il frusciare delle imposte mal chiuse,
per un riflesso su un mobile, scongiura
un orribile sogno alla sua perdita accanita!
Per lui il caro difetto delle cose, trema
così dolcemente, lo chiama, lo richiama!
Tutti gli oggetti che tocca
gli rassomigliano
“Sono io, sono io” si ripete ridendo
Il sogno allora sbattuto contro il muro vacilla
e dall'altra parte striscia fischiando
“Alla fine! Ecco le cose che sono pure
e senza rimpianto di ciò che non è loro!
Io stesso così tengo indosso come un’armatura
ai confini del tempo, contro tutto ciò che è proibito
come un frammento d’una pietra immortale
dove mai sogno o spettro non ha morso”.
Ma o cielo! sventura se c'è ancora un sogno
capace di planare in attimi senza idee
se ogni sponda si solleva in spuma
se lo sguardo è un cammino perduto
e se il tuo cuore sotto le tue mani atterrite
batte per lui solo in un mondo sconosciuto!
Ombre
Frangia d’invisibile,
tremante di segreti,
l’assente che ti prega
e che ti ha condotto
bagnato nella sua ombra
attraverso il giorno,
legato nel silenzio
a tutte le foglie,
a tutte le pietre
e a tutti i tempi
non è sempre
questo vasto te stesso dove ti sei perduto?
Qui mi vince la speranza, qui la paura,
qui in certezza e il rimorso –
O aliti che rianimate la fiamma spenta
quale fumo ai margini della morte?
Per andare avanti io ruoto su me stesso,
ciclone per l'immobile abitato
di ogni lampo attendo che lo attenui e amo
dal fondo di un abisso intravedere luccicanze
Fiori! Fiamme! Giochi e canti di un giorno senza affanni
Posso infine sorridere alle vostre immagini
E vi vedo con uno sguardo alieno!
XII
Quando ascolto e non comprendo
quando guardo senza vedere,
quando cammino senza un passo,
quando il mio sole diventa nero,
Io scompaio senza morire,
vivo senza muovermi,
nessuna speranza, nessun ricordo
nelle fucine del momento
Sciogliersi? Sia, ma per rinascere!
Finire per ricominciare!
Il mondo va guardato con nuovi occhi
sui cammini cancellati
XV
Una strada si rievoca
tutti i passi dispersi
Ma lei aspetta e niente ancora
è realmente apparso
1942-43 Notte
La città ai piedi dello spazio
Questo piccolo spazio è per lo spirito
sferzato come il cielo dalla rondine
dove il vuoto pavimento per l'esile rumore
di una bicicletta vista da persone dalle sopracciglia
cupe, le braccia colme di pacchetti tristi
Lo spazio, quale sete! con i nostri passi
così lenti a srotolare
delle strette piste
sotto le case dove non ci sono sorrisi
Scorre il tempo ma il limite è sempre là –
O sorgente sui tetti sempre presente
emetti vapore in senso contrario per occhi colmi di ardore
e sempre più ti sforzi di essere assente
spazio, tieni unito il tempo per rilasciare
i nostri corpi torturati dalla speranza!
Troppo poco spazio e troppo tempo! O tugurio,
nave spazio compressa in questo porto,
solleva le pietre dalla tomba
di questi morti,
sradica cordoni di fumo, apprestati nella notte
fa di ogni finestra un’apertura
spalancata sulla libertà dell’infinito!
Giorni pietrificati 1943-47
Gli occhi bendati, le mani tremanti
tradito dal rumore dei miei passi
che segue ovunque il mio silenzio
perdendo la traccia dei miei giorni
e io, sia che aspetti o che vada oltre
mi rigiro nel fondo del mio sonno
desolato come la speranza
innocente come il rimorso
Un uomo che finge di vegliare
imprigionato nella infanzia
l’avvenire splende immerso nella sua immobilità
noi ancora ce ne ricordiamo
il sole vibra senza fare un moto
il tempo monta come il mare
Non c'è nessuno
Questa assenza ha gli occhi degli alberi
una figura cava e alta si riversa
estranea alla mia primaria essenza –
Fiori e abisso
1
Sotto i fiori che so non ci sono praterie
ma il latte nero dell'abisso ignoto,
nel mio sonno amaro io li restituisco alla notte
loro calano spegnendosi lentamente –
2
Una sola casa si appressa
al bordo fiorito dell'abisso
il suo fumo già si tinge d'azzurro –
Ah! che le parole possano salvarla
prima della sua caduta
e che senza rumore, senza sofferenza
diviene aura!
IV
Due mani che hanno perso le tracce di un viso
avanzano fiutando l'ombra alla ricerca
di una forma un tempo umana. Ma
la maschera è colma per l'abisso –
le mani spaventate si ritirano e riportano via i fiori
Per guadagnare i terribili favori dell'abisso
noi alberi saliremo dall'interno fino ai nostri fiori
Allora il vento, allora l'autunno, allora
il nostro adempimento sarà
questa caduta leggera, felice o desolata –
Regina della terra
Dedicata a Albert Camus
Come un ricordo
io ti ho incontrato
persona perduta
Come la follia
ancora ignota
Fedele, fedele
senza voce e figura
tu sei sempre là
Nel fondo del delirio
che da te proviene
io parlo, ascolto
e non comprendo
Tu solo, tu vegli
tu sai chi sono
la terra si gira
dall’altra parte
non ho più giorno
non ho più notte
Il cielo immobile
il tempo trattenuto
la mia sete e il mio timore
mai placato
Perché io ti cerco
tu le hai protette!
Sorella impenetrabile,
delirio della mia vita, lasciami andare!
Se del tuo mistero
Io sono il corpo e beni
l’attimo e il luogo
oh ultimo naufragio
di questa ragione
con il tuo silenzio
col mio dolore
con l'ombra e l'uomo
cancella il dio!
Sbaglio che non potrò espiare
io non ho rimorsi –
In un solo spazio
voglio un solo mondo
una sola morte
Monsieur Monsieur
1948-50
Monsieur Monsieur ai bagni di mare
Un giorno vicino al mare
Monsieur e Monsieur soli
parlavano tranquillamente
e mangiavano una mela!
e quale quiete
quando l'abisso senza margine
mescola senza sforzo
le cose e le genti!
Per chi è simile a Dio i giorni particolari
non sono necessari
La questione non è là
Monsieur risponde a Monsieur
noi siamo effimeri,
ora la totalità
della grande Unità
essendoci rifiutata
è per la quantità
che noi ne siamo fuori
E noi ne facciamo tesoro
Dunque la diversità
per noi su questa terra
è la necessità –
Guardate questo pesce
che non è un uccello
non è una mela
non è la balena
non è il battello…
– Ah per me è la medesima cosa,
interruppe Monsieur
la balena e la mela
dinanzi all'eternità
sono eguali –
A queste parole il vento soffia
portando via i loro cappelli
e i due personaggi
nel cielo blu e bello
svaniscono all'improvviso
la notte il silenzio e l'aldilà
Un sospiro nello spazio infinito
poi una voce mormora:
“Gondran, sei tu là?”
Nessuna risposta
Dei passi si allontanano come le nuvole
Il piccolo ottimista
Fin dal mattino
ho guardato dalla finestra;
ho visto passare dei fanciulli –
Un'ora appresso erano persone
un'ora dopo, vecchi tremolanti –
Come invecchiamo velocemente, ho pensato!
E io che ringiovanisco in ogni istante!
Oracolo
(Dapprima esitante attraverso il fumo profetico
Poi, affermativo, ritmato,
scontroso il piede che batte il suolo)
Dello ieri non c'è più
c'è piuttosto il domani
oggi come ieri
è sempre per domani –
Nel fuoco
Nel fuoco
nel fuoco nel fuoco
nel fuoco della terra
metterò le mie due mani
Metamorfosi
In questa notte nera
che la Storia ci crea
avanzo a tentoni
sempre stupito
sempre sbigottito:
Io prendo il mio cappello
è un carciofo
abbraccio la mia donna
è un guanciale
carezzo un gatto è un annaffiatoio
apro la finestra
per respirare aria pura
c'è un vecchio armadio
pieno di muffe
prendo un rospo
per un calamaio
la bocca di nausea
per la cassetta delle lettere
il fischio del treno
per una rondine
il rumore di un motore
per il mio stesso cuore
un grido per ridere
la morte per la vita
gli altri per me
Una voce senza nessuno
1951/53
Il mondo immobile
Pozzo di tenebra
fontana senza suoni
lago senza splendore
presenza densa
battito debole
l’istante è là
niente, nessuno
un’ombra pesante
che non parla
io attendo dei secoli
niente risuona
niente appare
su questa tomba
lo spazio si muove
è il mio pensiero
per nessuno sguardo
per nessun orecchio
la verità
Storie oscure
1955-60
L’inferno a domicilio
Nel segreto di un oscuro corridoio
nel fondo di un ghiaccio fluttuante
un uomo incontra la sua immagine
Si vede come vorrebbe essere
fiero, gioioso, trionfante
e soprattutto giovane, ah come un dio!
Ma l'immagine svanisce e si perde
al rumore dei tubi che gemono
e all'improvviso gli vien meno il cuore:
nel ghiaccio (che trema un po’
al passare di ogni vettura)
sembra un nuovo abitante
che lentamente, lentamente
si svincola,
una sorta di cane dal dorso rotondo
che verso il cielo squadrato del cortile
urla alla morte e lancia uno sguardo pieno di lacrime
Una donna un uccello
L’uccello molto grande
che sorvolava la pianura
al medesimo ritmo che le valli e le colline
lungamente l’abbiamo visto planare
in un cielo assoluto
che non era il giorno
che non era la notte
Una cicogna? Un aquila? All’improvviso
il volo silenzioso di un gatto che fischia
e questa regale apertura alare
di un dio che diveniva uccello…
I nostri occhi un istante deviati
improvvisamente videro scendere la meraviglia:
era la figlia dell’aurora e del desiderio
angelo nei nostri solchi caduto
con un corpo più femmineo dello stesso amore e che lungamente
posa i suoi piedi appena sul suolo perché il vento delle sue ali
lo sollevava ancora – Infine il liscio e bianco piumaggio
su questa donna di cristallo si ripiegò
Lei sembrava non vederci
né stupirsi che un lago
davanti ai suoi passi si era già aperto
lei ci si tuffava sorridendo per se stessa
felice di ricordarsi
degli elementi precedenti
e di un tempo senza limite…Lei ha
ordito in quest’acqua trasparente
i segni di un linguaggio sconosciuto
poi agitandosi, cerchiata di perle
di nuovo brillante e ghiacciata
batté il piede sulla terra
Così io la vedo ancora leggermente inclinata in avanti
e già quasi distaccata
cosi noi l’abbiamo vista risalire scomparendo nell’azzurro
È da dopo quel tempo là che io so
per quale esile volere e quale segreto movimento
noi possiamo volare quando ogni cosa dorme
Il boia dei fanciulli
Il fanciullo terrificato mine il suo braccio sugli occhi,
ma l’Uomo a passi sempre più grandi scendeva –
Il fanciullo chiamò a suo soccorso
tutto ciò che è visibile e invisibile. Ma l’Uomo
con il passo sempre più largo e pesante
gridava: “Tu non dovevi vedere e hai visto,
tu devi morire! E il suo pugno si alzava
e i suoi occhi lampeggiavano
Il fanciullo fece un ultimo sforzo
per staccarsi da questo mondo
e siccome il boia lo attendeva
divenne brace di un fuoco di rami
e dal vento dissolto
Allora il vagabondo sull’erba fredda vacillò
scosso dai singhiozzi –
Natura
C’è un uccello che si avvicina piangendo
C’è una nuvola che parla sognando
una roccia rotola per passare il tempo
un roseto si ammira nello specchio d’uno stagno
gli alberi della foresta
sono là come genti, genti
Tutto questo forma una folla che aspetta
– ma l'uomo, – assente, assente, assente…
Traduzioni di Anna Vincitorio
L’Associazione Culturale “Linea Eclanese” bandisce la XLII Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Aeclanum” 2024.
Regolamento:
Il
concorso si articola in due sezioni:
A) POESIA EDITA: una silloge poetica in lingua
italiana, edita dal 2018, due copie firmate con indirizzo, postale e
telematico, n. di telefono e/o cell. da inviare via posta all’indirizzo in
calce, da conservare agli Atti dell’Associazione (anche in data non coincidente
con l’invio on line), mentre in pdf almeno 15 elaborati della stessa all’indirizzo email decaromartiniello@libero.it , per evitare i ritardi nella
consegna e facilitare l’inoltro ai membri della Giuria. Sono escluse dalla
partecipazione le antologie contenenti poesie di più autori.
B) POESIA INEDITA: a tema libero, silloge di 3
poesie, firmata con indirizzo, postale e telematico, n. di telefono e/o cell.
da inviare all’indirizzo email decaromartiniello@libero.it . Sarà cura della segreteria
inoltrare copia in pdf, priva dei dati di riconoscimento, ai membri della
Giuria.
Premi:
Sez. A) Premio
“Giuseppe Giacalone”:
per il 1° classificato: medaglia d’oro e quadro, per il 2°e 3° classificato
quadro o premio di pari valore.
Sez. B) Premio
“Giuseppe d’Errico”:
per il 1° classificato: medaglia d’oro e quadro; per il 2° e 3° classificato
quadro o premio di pari valore.
È assegnato il premio “Pasquale Martiniello”
alla Cultura: medaglia d’oro.
Avvertenze: ad eccezione dei diplomi e dei
relativi giudizi critici, i premi non saranno spediti, ma vanno ritirati
personalmente dai premiati. Non è ammessa delega. Coloro che abbiano vinto il
1° premio nell’ultimo biennio sono esclusi dal concorso. Gli eventuali
classificati in entrambe le sezioni hanno diritto a un solo premio, per il
secondo premio avranno un attestato di merito.
Premiazione: la cerimonia per la consegna
dei premi è prevista per la prima decade di settembre in Mirabella Eclano (AV).
Solo ai vincitori sarà comunicato, esclusivamente via e-mail, l’esito del
concorso. Le spese di viaggio e soggiorno sono a carico dei premiati. Nel caso
sussistessero limitazioni di carattere emergenziale la cerimonia potrà essere
annullata e ai premiati sarà inviato solo attestato e giudizio di merito. I
premi in tal caso saranno incamerati e assegnati alla successiva edizione.
Modalità del
concorso: la
partecipazione al concorso non comporta alcun contributo. Le opere edite non
saranno restituite. Gli elaborati inediti, espletato il concorso, saranno
distrutti.
La giuria sarà
presieduta dal Ch.mo Prof. Nazario Pardini, Ordinario di Lingua e Letteratura
Italiana. Il
giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. I dati personali dei
concorrenti saranno tutelati a norma del regolamento (UE) 2016/679 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016.
Scadenza:
15 giugno 2023.
Le opere in pdf
dovranno pervenire, entro la data succitata, all’indirizzo
email decaromartiniello@libero.it.
Le
sillogi edite dovranno pervenire al seguente indirizzo:
Dirigente
Scolastico Prof.ssa Luisa Martiniello
Via
P. Sarpi, n.11 - 20154 Milano
Floriano Romboli legge "Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon"
Analisi
ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon, a cura di
Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024.
Recensione
di Floriano Romboli
Il valore culturale della lettura critica
della poesia
Enzo Concardi premette al suo lavoro antologico - che raccoglie e sistema i molti giudizî critici stilati nel tempo sull’attività poetica di Maurizio Zanon – alcune riflessioni metodologiche e teorico-culturali con le quali concordo pienamente. Queste concernono l’importanza della critica ai fini del corretto intendimento dei risultati di una ricerca artistico-letteraria, ne sottolineano la preziosa funzione di mediazione interpretativa e verificatrice degli autentici valori estetici di essa, nella prospettiva di una lettura non ridotta a una semplice reazione impressionistica, a una sintonia soggettiva ed estemporanea con i testi.
Zanon, interessante scrittore veneto, nato a Venezia nel 1954, si segnala per la ricchezza, non soltanto quantitativa, della produzione lirica, contrassegnata com’è dalla varietà dei motivi e da suggestiva eleganza stilistica e ritmica. A questo proposito mi piace citare il parere di chi, come Nazario Pardini - in riferimento specifico alla fondamentale silloge Tutto fu bello qui, stampata nel febbraio 2021 dalla Casa Editrice Miano, ma con lo scopo evidente di una caratterizzazione d’assieme – ha segnalato “l’empatica visione della vita e del suo rapporto con tempo e spazio”, giungendo a un riconoscimento invero significativo: “Non è facile trovare poeti che facciano della vita un’opera d’arte. E Zanon ne è capace. I sentimenti si concretizzano in visioni calde e brillanti, in oggettive sensazioni di metamorfiche vertigini personali”.
D’altra parte gli è connaturale una delicata nota vitalistica: “Eri chiara/ di luce splendente/ come una stella/ e ora che non ti ho più/ sei ancora più bella” (Alla prima giovinezza, in L’uomo narciso, 1987).
Concardi organizza con lucidità e sicurezza il vasto materiale storico-critico in cinque sezioni, iniziando coll’esaminare gli studî concepiti attorno al rapporto fra poetica ed estetica, cioè fra assunti programmatici, fra convinzioni generali, intenzioni progettuali, e concrete realizzazioni formali, obiettive peculiarità compositive. Se il compianto Guido Miano poneva opportunamente in risalto la centralità dei temi del tempo, del nesso problematico vita-morte, della memoria e delle illusioni, in relazione palese con la grande lezione leopardiana, Mario Stefani indicava nella condizione di sofferta solitudine un tratto distintivo della spiritualità zanoniana, il coefficiente essenziale di una “profondità interiore”, un abito “della riflessione e della meditazione” aliene dai profetismi e aperte alla pietas etico-intellettuale e al vigore testimoniale.
Riguardo poi allo stile dell’autore il medesimo studioso, al quale dobbiamo la monografia Il canto di una voce solitaria (1999), si sofferma sulla frequente alternanza nei suoi versi di tensione e musicalità, spezzature e soluzioni euritmiche, di cui hanno scritto con acutezza pure lettori autorevoli quali Angela Ambrosini, Raffaele Piazza e Maria Rizzi.
Seguono le sezioni dedicate all’ambiente naturale e lagunare – ove lo stesso Concardi sviluppa il tema della natura medicatrix, del potere consolatore della stessa, còlto e illustrato attraverso il fascino sempre vivo di Venezia -, alla dimensione memoriale e all’amore (dalle ascendenze letterarie anche remote, addirittura stilnovistiche, come hanno dimostrato interpreti raffinati come Mario Santoro e Dino Manzelli), al tormento esistenziale e alla ricerca di Dio nella società sempre più secolarizzata e votata al culto spersonalizzante e moralmente opacizzante dei “consumi”. Mi sembra in questo senso degno d’interesse il richiamo a un componimento senz’altro riuscito occasionato dalla ricorrenza del Natale di Cristo, intitolato Senza più misure e compreso nella raccolta Liriche scelte (2010): “Che Natale vuoi che sia? / Lo sai che non amo tanto / il Natale di questi anni! / Mi sembra tutto così orientato / all’apparenza delle futili cose, / al consumismo senza più misure. / Basta ingrassare / fra noci e panettoni: / a distanze sempre più accorciate / c’è chi soffre e muore! / Ma vieni ugualmente, mio Dio, / con la tua povertà / in questa festa che magari per me / non è più festa, vieni / ed offrici pure la tua luce/ qui che il buio è quasi sempre”.
Nell’ultima sua parte il volume ospita alcuni saggi di analisi critica comparata e quindi insistente sulle affinità ideali, sulle attinenze tematico-elaborative che il percorso d’arte di Zanon rivela con quello proprio di altre voci poetiche straniere moderne e contemporanee.
Floriano Romboli
Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo
Maurizio Zanon, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-24-0,
mianoposta@gmail.com.
Anna Guzzi ci ricorda il centenario della nascita di Franco Costabile
La via degli ulivi
(dedicata al poeta calabrese Franco Costabile)
Io non so qual è la vera rosa,
forse la conosce il calabrone,
ma nei miei sogni cosmopoliti
di grattacieli lilla, fantasmi urbani,
fili elettrici e autostrade a più corsie,
compare la tua via degli ulivi, Franco,
e sento ancora il tuo passo spezzato
di melograno che se premuto,
spruzza lacrime di Sud brigante.
Le memorie scavano solchi,
aggrovigliano fragranze ai capelli
e gli stagni corrono dal finestrino
del mio treno, lungo binari storti,
affossati
perduti
nei calanchi lunari della creta.
Treno anacronistico.
Fuori dai confini della città moderna.
Fuori da ogni schema.
Parola nella faglia del tempo.
Parola così profonda da non avere un’audience.
Parola poetica.
Se la tagli, ha i secoli di un pino loricato.
martedì 16 aprile 2024
Enzo Concardi legge :" Come armonie disattese " di Roberto Casati
Roberto Casati
COME ARMONIE
DISATTESE
Prefazione di Enzo
Concardi
La presente raccolta poetica di Roberto Casati, Come armonie disattese (Guido Miano Editore, Milano 2024), costituisce in sostanza, tranne per alcuni aspetti della sezione Corrotti sguardi dedicata ad accadimenti e personaggi della vita sociale e storica, una continuazione ideale, tematica ed estetica della precedente opera Appunti e carte ritrovate (2020). Colpisce anche lo sguardo del critico il successo avuto da tale libro, sempre pubblicato da Guido Miano Editore, che ha conseguito ben 53 riconoscimenti di vario tipo, come sottolineato dalla rivista “L’Araldo Lomellino” del 15 dicembre 2023, in un’intervista di Davide Zardo al poeta. Se la bacheca dei riconoscimenti è importante, per chi scrive più importanti ancora sono le motivazioni delle giurie qualificate: ne riportiamo alcune, dal momento che possono essere considerate altresì quale introduzione alla poetica di Come armonie disattese e come rassegna critica, sebbene parziale, riguardante la scrittura dell’autore.
«Sensuali metafore marinaresche per raccontare
una passione tra vento e maree. Ti viene voglia di conoscere questa donna
indimenticabile che – reale o meno che sia – seduce anche il lettore con la sua
figura sfuggente… Quelle di Roberto Casati sono poesie ricche e allo stesso
tempo leggere, scorrono con ritmo incalzante a furia di figure etimologiche che
rendono la narrazione sempre vivida...» (“Premio Letterario Nazionale EquiLibri”, Anguillara Sabazia, RM, 27
maggio 2023). «Il mare come metafora della vita. Tutta l’opera ne
fa riferimento e con uno stile ricercato ma mai ostico parla della vita e dei
sentimenti...» (“Premio Internazionale
degli Scrittori Italiani”, Prato, 6 maggio 2023). «Un’opera poetica
verticale e profonda. L’autore conosce intimamente la metrica dell’eros
descrittivo, ma non si limita al mero
esercizio stilistico, anzi scavalca le formalità e consegna al lettore una
nuova lente ottica esistenziale» (“Premio
Letterario Città di Asti”, Asti, 29 gennaio 2023). «L’Autore evidenzia
una fervida immaginazione che trova, in ogni brano, una sua giusta misura
ritmica e compositiva, dando luogo ad un’intera struttura espositiva che risulta
viva e vitale, crea attese ed emozioni» (“Concorso Internazionale di Poesia Universum Basilicata”, Potenza, 21
marzo 2022).
Da tali annotazioni
ripartiamo per l’analisi critica delle “disarmonie” casatiane, poiché tali sono
le “armonie disattese” che hanno subito una metamorfosi, come le dinamiche
“illusioni-delusioni” di tanta letteratura romantica: qui tuttavia occorre
aggiungere che la sua poesia, per taluni risvolti, visita anche le regioni
psicologiche di certo crepuscolarismo che, nel suo caso, possiamo considerare
moderno nel linguaggio ed attuale nelle nostalgie memoriali, dal momento che
lascia le porte aperte al futuro e alla speranza di nuovi eventi. Come
sottolineato anche nelle motivazioni anzidette, Casati è un lirico che ama
molto immergere il lettore in realtà rarefatte, impalpabili e sfumate, dove
l’intuizione di chi legge può giocare un ruolo importante, creando così un filo
diretto, un coinvolgimento intellettuale ed emotivo nelle dimensioni
comunicative: pare essere questa la funzione principale che egli assegna alla
poesia, anch’essa derivante dalla concezione pascoliana, ovvero da un poeta
dell’irrazionale sensitivo e misterico del periodo della civiltà letteraria
decadentistica, un grande alveo culturale sviluppatosi in Italia e in Europa
tra fine Ottocento ed inizi Novecento.
Si
sovrappongono inoltre a tutto ciò, nella poetica dell’autore, complessa e variamente
articolata, taluni ermetismi, allusioni e metafore appartenenti come
derivazione letteraria al Novecento analogico e sintetico, tipico della poesia
sorta fra le due guerre mondiali e protrattasi oltre, come reazione ideale e
formale ai toni ridondanti, retorici ed aggressivi del futurismo e del
dannunzianesimo: affermazione dei valori fondamentali dell’uomo e della
persona, sottesi talvolta ed espliciti altrove, nella concezione del nostro
(vedi ad esempio la sezione Corrotti sguardi delle sue ‘disarmonie’).
Nonostante che i pilastri fondamentali di Come armonie disattese siano
costituiti dal rapporto con l’amore e con la natura - di per sé portatori di
esigenze conoscitive e comunicative - si riscontrano nei testi del libro non
poche allocuzioni in senso opposto, cioè riconducibili alle problematiche
contemporanee dell’incomunicabilità, la cui lirica emblematica potrebbe essere
individuata in Istante sospeso, dove il verso rivelatore è: «il
rimpianto del non detto», ovvero il desiderio di ‘parlare’ e l’impossibilità di
tradurlo in azione.
Abbondano
dunque nel soliloquio poetico, nel viaggio per avventure interiori e
geografiche, nelle oscillazioni sentimentali dell’amore vissuto e ricercato,
negli sguardi addolorati sulle tragedie del nostro mondo, le incessanti
auto-interrogazioni sul senso delle cose, delle memorie, del tempo che passa,
dei messaggi del mare-mito e lezione per l’uomo navigante verso altri lidi ed
approdi. Si tratta nel complesso di liriche aperte ad una ricerca
di “passaggi a nordovest”, per utilizzare la terminologia marinara tanto cara
all’autore, per la quale il viaggio non è mai finito, ma continua sempre anche
in altre dimensioni. Il linguaggio raffinato, elegante, sottile, talvolta
ricercato ma mai accademico, dalla fonetica spontaneamente e/o volutamente armonica e musicale,
favorisce l’approccio, l’ingresso nel mondo interiore del poeta alla scoperta
del suo ‘io’: le reiterazioni dei motivi, delle immagini, delle tematiche, posseggono le
stesse caratteristiche delle anafore, quindi rafforzano il messaggio,
ricordando al lettore la necessità di procedere in profondità più che in
estensione.
Il libro è suddiviso in
quattro parti, a cui l’autore ha assegnato titoli suggestivi ed accattivanti: Ho
rubato i tuoi occhi (1), Corrotti sguardi (2), Rose nel vento (3), Scivola il
tempo della luna (4). La poesia amorosa è presente soprattutto nella prima
parte, ma ne troviamo traccia anche nella quarta. L’amore non ha spiegazioni
è forse l’unica lirica dove si cerca una soluzione definitoria, ma che non
viene trovata poiché esso è contraddizione ed antitesi: «L’amore non ha
spiegazioni, / è vento sulle labbra, / è parola fragile scritta sul non detto,
/ è senza certezze, / è lentezza di passo appesa alla nudità, / è stanchezza quando
non siamo noi. // L’amore è tutto e niente, / è voglia di vedere ancora /
naufragare le vele oltre Capo Horn». Tutto l’altro è contemplazione di lei, a
partire dagli sguardi: dentro ai suoi occhi la notte riapre il discorso; negli
occhi del poeta lei troverà sempre intatto l’amore degli inizi; lui riconosce
gli occhi di lei negli attimi di silenzio. Per continuare con il tempo dei
ricordi nei momenti d’assenza, con la memoria di lei come la ragazza dei baci
perduti, con il bruciore degli abbracci mancati. Per finire con le originali
immagini del suo erotismo pudico: «... Nello stanco tepore di ceneri / parole
disordinate / segnano la notte di vento. // Rivelando tracce / di intravista
nudità a prima mattina» (Dentro stanche follie); «... Ciò che resta /
sono semplici inseguimenti, / attimi svelati / dalla luna sul tuo seno» (Dilagano
verso sud); «... così che io ti senta vicina / sulla linea dove combattono
le tue gambe...». (Lascia aperta la porta).
La seconda parte, come già
sottolineato in precedenza, contiene liriche che si discostano dai soliti
motivi della poetica casatiana, e che la trasformano dunque in canto di
testimonianza ed impegno civile, nonché in memoria storica e solidarietà verso
vittime di calamità naturali o di responsabilità umane criminali, sia
individuali che collettive. Tali sono le
composizioni scritte nel periodo della pandemia (i «giorni strani e folli», «il
senso, / il valore delle parole e degli abbracci» dimenticati, il vuoto
dell’assenza e della distanza, la scoperta della fragilità…). Quelle sgorgate
dall’anima in corrispondenza dell’invasione dell’Ucraina («… brucerà la notte e
sarà / come fosse giorno, farà urlare / forte di dolore la madre colpita al
cuore…» (Sbattono forte le persiane); le altre vergate in memoria di tutte le donne vittime di
violenza e in particolare a Giulia Tramontano ed al suo piccolo che portava in
grembo. Ed ancora rientrano in questo capitolo eventi come la strage
neofascista alla stazione di Bologna; la morte di Masha Amini in Iran,
colpevole di non indossare «correttamente l’hijab»; l’alluvione in Emilia
Romagna; la strage di Ustica del giugno 1980 (a Rosa De Dominicis, assistente
di volo); l’attentato al giudice Borsellino da parte della mafia siciliana (a
Emanuela Loi componente della scorta).
Le Rose nel vento (terza
parte) profumano di momenti memoriali che poi ritroveremo sparsi anche in Scivola
il tempo della luna (quarta parte). Sono rivisitazioni e nostalgie di varia
natura che vanno dal ricordo di baci a ritorni verso casa; dagli affetti perduti
alla dipartita dolorosa della madre, alla rievocazione dei giorni felici dei
giochi d’infanzia, senza pensieri e senza solitudine (Quel cortile era un
puzzle). I percorsi della memoria risvegliano riflessioni sul tempo: «... ciò che resta / è l’attimo
ritrovato ieri. // Domani saremo già / così lontani da qui» (Così
lentamente bianche). È un panta rei che tuttavia gonfia le tue vele
se «...sei anima libera / nel mare sterminato del tempo» (Vorrei essere come
te). Ma la legge degli opposti s’impone forte anche in queste dimensioni
che sfiorano l’astratto, così ecco apparire alla vista del poeta un tempo
disabitato, paesaggi desolati e un senso d’estraneità in un mondo forse sempre
più incomprensibile (Forse domani ancora).
Il poeta, fedele a se stesso,
può concedersi ancora sogni e fantasie: c’è Dragut, corsaro ottomano del 1.400;
Gibilterra e gli echi lontani dei mari del sud; il non visto che ancora attrae
nonostante i percorsi senza meta; l’ultimo viaggio misterioso dove regna un
agnosticismo senza sbocchi… e la compagnia delle lettere, forse più concreta,
che s’incarna in Cesare Pavese, Pablo Neruda, Milan Kundera.
E lasciarsi catturare dalla contemplazione della natura, finché l’eternità del mare sarà dentro di noi.
Enzo Concardi
______________________
L’AUTORE
Roberto Casati (Vigevano,
PV, 1958) si è occupato di informatica
gestionale. Ha pubblicato i libri di poesie: Amore e disamore (1984), Roma
e Alessandra (1986), Coincidenze
massime (1988), Ipotesi di fuga
(1992), In navigazione per Capo-Horn
(1999), Carte di viaggio (2016), Appunti e carte ritrovate (2020). Ha
conseguito molti premi e riconoscimenti; tra i più recenti ricordiamo il primo
posto al "Premio Letterario Internazionale Tulliola-Renato
Filippelli" del 2023.
Roberto Casati, Come armonie disattese, prefazione di Enzo
Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 164, isbn 979-12-81351-31-8,
mianoposta@gmail.com.