venerdì 13 dicembre 2024

Anna Vincitorio su Josip Brodskij

 

FARFALLA

Dirò: sei morta?

Con una vita di ventiquattrore!

Troppa amarezza

in questo scherzo del Creatore...

Dirò tu non esisti

Ma cosa mai allora

di simile in te sente

la mia mano e quei colori

di inesistenza non sono frutto...

Tu non arrivi a vivere

fino a provare la paura.

Più lieve della polvere

vortichi su un'aiuola,

fuori dalla prigione

dove il passato e l'avvenire

ci chiudono e ci soffocano,...

Tanta bellezza

per cosi breve tempo,...

Trad. Giovanni Buttafava

 

Josip Brodskij nasce a Leningrado; nome dato alla città che in altri tempi la gente comune chiamava Peter da Petersburg – Pietroburgo. Durante l'assedio di Leningrado che durò tre anni (II guerra mondiale); invasa dall'esercito tedesco con l'operazione Barbarossa, la città rimase completamente isolata e nell'inverno circa 600mila abitanti morirono di fame.Josif, nonostante la giovanissima età, ricorda l'assedio; le strade che lui definisce morte; invase dalla neve:

 

“Facciate grigie o verdoline come fori di

pallottole e granate. Strade interminabili, vuote con rari passanti scarso traffico;

nell'aria quasi affamata e quindi una fisionomia più netta, più nobile... E dal

fiume grigio carico di riflessi... ho imparato più cose sull'infinito”

1

.

La sua famiglia di origini ebraiche e di ascendenza rabbinica.

Jevrei (ebreo), negò di esserlo a sette anni e fu la sua prima bugia.

1

Fuga da Bisanzio – Meno di uno – Ediz. Adelphi. Trad. di Gilberto Forti.

 

Piantò la scuola a quindici anni per una reazione viscerale più che una

realtà cosciente. Una mattina d'inverno si alzò senza un motivo apparente durante la lezione e usci dal cancello della scuola senza farci più ritorno.

 

“C'era

anche quella vaga ma beata sensazione di fuga di una strada senza fine e tutta in

pieno sole...”   

2

.

Esule, perseguitato nel suo paese Brodskij in – Ninna nanna di Cape Cod

– VIII – ci dice:

 

 “Metti in serbo per la stagione fredda queste parole, per le

stagioni dell'ansia! Come il pesce sulla sabbia, l'uomo sopravvive:/ se si

trascuna agli arbusti e s'alza/ le gambe incerte e storte e va, come un rigo dalla

penna/ nelle viscere della terra”

3

. Il suo cuore è colmo di ricordi:

 

 “Sono nato e

cresciuto nelle paludi baltiche/ dove onde grigie di zingo vengono a due a due:/

di qui tutte le rime, di qui la voce pallida che fra queste si arriccia come un

capello umido;... In questi piatti paesi quello che difende/ dal falso il cuore è

che in nessun luogo può celare e si vede/ più lontano. Soltanto per il suono lo

spazio è ostacolo:/ l'occhio non si lamenta per l'assenza di eco”

4

. Per lui l'incontro con la vedova di Osip Mandel'štam fu importante e nelle sue orecchie la memoria di lei. Così la descrive:

 

 “lo sparuto corpo rattrappito sotto lo scialle, le mani, l'ovale della faccia cinerea, i capelli grigi anch'essi cinerei – tutto il resto era inghiottito dal buio. Nadežda Mandel'štam simile un avanzo di un grande incendio, sembrava una minuscola brace che brucia se la tocchi”   

5

.Lui, grande amatore di Osip, importante poeta della Rivoluzione come

Anna Acmatova e Marina Svetaieva. Lo affascinava il lirismo di questo poeta che ricorda con quattro versi significativi:

           

 “E rigide le rondini dai sopraccigli

tondi/ volarono a me dalla tomba per dirmi/ che abbastanza hanno riposato nel

loro/ algido letto di Stoccolma” 

6

.

La parola Stoccolma in russo è un aggettivo: allusione a una favola di Hans Cristian Andersen che tutti i bimbi russi conoscono. La poesia si insinua nella memoria dell'uomo

 

 “così può accadere che una poesia sia l'ultima cosa a staccarsi dalle povere labbra di un vecchio”  

 

7 . Sempre nel testo su citato: In una stanza e mezzo – descrive la vita della famiglia in Russia kommunalka – erano quaranta metri di spazio con bagno e cucina in comune con altre famiglie. Questi appartamenti sono situati in alloggi immensi e lussuosi a Pietroburgo.Questa parte della sua infanzia il poeta la ricorda con affetto, mentre ricorda con rabbia il regime sovietico e la scuola. In Russia dilagava l'antisemitismo e la prima bugia di Josif fu in una biblioteca dove gli fu chiesta, per compilare un modulo, la nazionalità, e lui disse di non ricordarsela. Lasciatala scuola ha fatto esperienze di lavori i più disparati e poi l'amore per le  spedizioni geologiche lo portò nel Circolo Polare Artico fino ai deserti dell'Africa Centrale. La sua scrittura per i contenuti lo fece arrestare. Nel 1961 subì un processo e condannato a cinque anni di lavori forzati nel nord del paese.Venne condotta una campagna pubblica di difesa. Vi parteciparono Anna Acmatova e vi furono pressioni dall'estero (un discorso al Governo sovietico di Jean Paul Sartre e altri intellettuali). Di conseguenza, la pena venne ridotta. A trentadue anni nel 1972 viene espulso (minacciato di interrogatori ripetuti, carcerazioni, reclusione in ospedali psichiatrici). Lasciò la Russia per gli Stati Uniti di America. Non potè più rivedere i genitori, né partecipare ai loro funerali. L'America dove insegnò, divenne il suo rifugio. Ottenne la cittadinanza americana nel 1977 e insegnò fino alla morte. Diviene Joseph Brodskij. Soltanto con l'avvento della Perestroika viene riabilitato in Urss e le sue opere poterono circolare nella madre patria. Colto da infarto, muore il 29 gennaio del 1996 e viene sepolto nell'isola di San Michele a Venezia, città da lui profondamente amata. L'Italia era inoltre la patria della moglie Maria Sozzani che è presidente della Joseph Brodskij Fellowship Fund con sede in America e in Italia. Tale fondazione offre agli artisti russi la possibilità di vivere una esperienza creativa in un ambiente stimolante senza costrizioni. Si è avverato quello che era il desiderio del poeta, di fondare un'accademia russa a Roma – La JBFF offre anche una borsa di Studio per periodi passati in Italia. Gran parte delle poesie d'amore di Josip Brodskij durante gli anni di Pietroburgo sono dedicate a Marina Basmanova, pittrice. Un casuale incontro a una festa in casa di Boris Tiščenko; relazione tormentata e costellata dai tradimenti di lei. Crisi forti e depressione di Josif. I componimenti dedicati a lei hanno le iniziali MB      

8

.

IL POETA

Josif Brodskij, poeta russo, cittadino statunitense. La sua poesia intesa come espressione dell'inconscio attraverso la parola. Proiezione del pensiero, simbolodi libertà. Forza espressiva che dilaga come lo scorrere di un potente fiume. Giunge ovunque, anche se il poeta viene allontanato, perseguitato, esiliato. La parola prosegue il suo cammino e diffonde quella profonda verità e denuncia che conquistano chiunque sia dotato di sensibilità. Un atto fisico non può bloccare la parola che scivola e ti avvolge come il vento. Brodskij in Italia è  pubblicato da Adelphi. Più traduttori validi; il testo in mio possesso – Poesie – è curato da Giovanni Buttafava. Brodskij ottiene il Nobel per la letteratura nel 1987 con la motivazione:

 

“Per una produzione onnicomprensiva, intrisa di chiarezza, di passione e intensità poetica”.

 

In lui forte il desiderio di amore per la libertà, giustizia, bellezza. Considera l'essere poeta una missione. Legge i poeti russi e poi, autodidatta per l'inglese, i poeti inglesi (Donne, Auden). Ama viaggiare per conoscere e abbuia il viaggio di ricordi:

 

“oggi compio quarantacinque anni. Quarantacinque anni fa mia madre mi ha dato la luce. Lei  è morta due anni fa. L'anno scorso è morto mio padre. Io sto camminando per le strade di Atene, strade che loro non hanno mai visto, né vedranno mai. Il frutto  del loro amore, della loro povertà, della schiavitù in cui sono vissuti e sono  morti. Il loro figlio cammina libero. E poiché non si imbatte in loro in mezzo alla folla, si rende conto che è un errore, che questa non è l'eternità”      

9

. Ancora sue parole:

 

 “Non sono uno storico, un giornalista o un etnografo. Tutt'al più

sono un viaggiatore, una vittima della geografia, non della storia...”  

10

. A leggere Brodskij non cala l'interesse per la lettura ma si tende a rileggerlo, approfondirlo. I suoi pensieri ci coinvolgono imprigionandoci. Le poesie del testo di Adelphi fanno riferimento agli anni 1972-1985. Richiedono più attente letture per poterlo penetrare. Il poeta è solo, anche se la sua parola si proietta nell'infinito. Il poeta soffre di malinconia che s'insinua nel cuore del lettore:

 

... Una sera d'inverno col vino in nessun posto

una veranda assalita dai salici

appoggiandosi al gomito riposa il corpo

come morena fuori dal ghiacciaio.

Frane millennio un fossile bivalve estrarranno

da questa tenda, e rivelerà fra le nappe

l'impronta di due labbra che non hanno

nessuno a cui augurare “Buona notte”

 

E ancora il ricordo delle origini:

 

“Sono nato e cresciuto nelle paludi. Dal cielo, dove

onde grigie di zingo vengono a due a due,

di qui tutte le rime, di qui la voce pallida

che fra queste si arriccia, come un capello umido;

se mai si arriccia. Anche puntando il gomito, la conchiglia

dell'orecchio non distingue in esse nessun taglio

ma sbattere di tele, di persiane, mani...

Soltanto per il suono lo spazio è ostacolo;

l'orecchio non si lamenta per l'assenza d'eco”.

Quanto alle stelle ci sono sempre. Quando

ne spunta una, un'altra ne verrà. Solo così di là si guarda qua:

dopo le otto di sera ammiccando.

Il cielo è meglio sgombro. Anche se

la conquista del cosmo è più opportuna

con le stelle...”

 

La poesia è spesso mistero. Non sempre si può spiegare ma se coinvolge, incuriosisce, commuove, è autentica e ti penetra nel cuore. L'importante della scrittura per Josip Brodskij appare evidente nella parte VIII di Elegie Romane:

 

“Batti nella pagina vuota, lingua di candela,

palpita curvati sotto il fiato rotto,

segui, ma non avvicinarti, la sequela

del lettore delle lettere in fila per un contenuto

Rischiari un muro, un armadio...

un'area ben più grande di quella che ricopre la scrittura

Ed il filo del tuo fumo s'innalza e supera

i pensieri dell'autore di queste righe...

(se compone la penna, compone sempre poco)

Ma quanta luce danno nella notte

con il buio fondendosi gli inchiostri”.

 

Per motivi di spazio mi spiace non riportare per intero la serie di strofe

veneziane.Il suo amore per Venezia lo ha portato a sceglierla come dimora eterna per la sepoltura.

 

... “Vanno le barche spazzine come scolari in corsa

battono col bastone gli steccati, i raggi del mattino

ispezionano colonne, arcate, fosse

ciocche d'alghe, mattoni...

La luce vi disserra l'occhio come conchiglia e le conchiglie

degli orecchi vi inonda lo scampanio dei campanili

All'abbeveratoio vanno a bere il bagliore della riva

cupole e mandrie...

La notte imponderabile dell'azzurro al quadrato

della finestra, lasciando in retrovia l'azzurrità...

una muta di nubi ricciute si scalmana...

e vento promette da nord est. La città è un ammasso di porcellana

e di cristallo rotto...

Io scrivo questi versi, seduto su una sedia bianca,

a cielo aperto, d'inverno con giacca,

ebbro e pronuncio frasi che allargano gli zigomi

nella lingua che è mia.

E intanto nella tazza si raffredda il caffè.

Sciaborda la laguna e punisce con cento minimi sprazzi

lo sguardo intorbidito dall'ansia di fissare questo paesaggio

Capace di fare a meno di me”

1982

Spero che chi leggerà queste righe, legga “Poesie” di Josif Brodskij.

Tutte le traduzioni riportate sono state curate da Giovanni Buttafava.

 

Firenze, 27 settembre 2024

Anna Vincitorio

 

 

1

Fuga da Bisanzio – Meno di uno – Ediz. Adelphi. Trad. di Gilberto Forti.

 

2

Ibidem.

3

Poesie 1973-1985 – Adelphi a cura di Giovanni Buttafava.

4

Poesie ibidem.

5

Fuga da Bisanzio pag. 104.

6

Fuga da Bisanzio – ed. Adelphi pag. 85.

7

Ibidem.

8

Notizie tratte da Josif Brodskij poesie, saggistica e memoria del passato a cura di Laura Cogo – 27-01-2023.

9

Fuga da Bisanzio – pagg. 151, 152.

10

Ibidem

martedì 10 dicembre 2024

EVENTO CULTURALE: PRESENTAZIONE LIBRO “VAN GOGH, L’UOMO”


                                   
 

 

 

GUIDO MIANO EDITORE

Comunicato stampa

 Il singolare volume di Silvana Ramazzotto Moro dedicato ad alcuni aspetti inediti della vita dell’artista Vincent Van Gogh,  edito Guido Miano Editore

 

Presso la Casa degli Artisti  in Milano verrà presentato il 19 dicembre  2024 alle ore 18.00 il volume di Silvana Ramazzotto Moro, “Van Gogh, L’Uomo”.

 

L’autrice ha individuato i temi esistenziali più importanti relativi alla vita del pittore poi ha ricercato e quindi riportato tutti i brani delle sue lettere che trattano tali temi  in modo da offrire al lettore il pensiero completo e soprattutto autentico dell’uomo

 

 

 

          Dialogano con l’autrice  Antonella Billi, appassionata d’arte,

 Michele Miano e Elena Caruso curatori della Casa Editrice.

Carlotta Cilento leggerà alcune pagine del volume.

 

 

 

Con l’occasione ci scambieremo gli auguri per le prossime festività.

 

 

 

 

 

 

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Guido Miano Editore

Ufficio stampa: Via Emanuele Filiberto 12 -  20149 Milano

mianoposta@gmail.com

02.3451804  - 02.3451806

 

 

 

 

CINZIA BALDAZZI – Lo scialle nero di Sabrina Fardello





 Il monologo Lascia ch’io pianga è stato scritto e interpretato dalla soprano e attrice Sabrina Fardello. La regia video è di Micaela Laurelli.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Ka96X6Q1mzI

 

Questa performance, scritta, interpretata e cantata da Sabrina Fardello con una splendida voce da soprano, è curata nella regia video da Micaela Laurelli e il tessuto musicale utilizza liberamente Lascia ch'io pianga, una celebre aria composta da Georg Friedrich Händel risalente al 1705. Dopo averla utilizzata all’interno di altre composizioni, il musicista tedesco naturalizzato inglese, vissuto nel periodo barocco, inserì il pezzo (con il nuovo testo del librettista Giacomo Rossi) nel secondo atto dell’opera Rinaldo (1711), affidandolo al personaggio di Almirena.

Ascoltando la presenza sostanziosa, nel monologo messo in scena dalla Fardello, di una moglie-madre a rischio di morte poiché il marito infuriato tenta di strangolarla, potrebbe sorgere spontaneo – come è accaduto a me – immaginare che Almirena, figlia di Goffredo di Buglione, sia stata anche lei succube di un uomo deciso a ucciderla. Ma non è così: con la donna alla quale dà corpo e anima la Fardello, essa ha in comune un grido di rivolta non soltanto a causa di violenza fisica o psicologica, in quanto la romanza originaria coincide con la supplica all’umanità (rappresentata, nella trama, dal carceriere nel castello dove si trova reclusa) di essere liberata dalla prigionia.

Senza dubbio Sabrina Fardello, pur avendo dichiarato di essersi ispirata a un fatto di cronaca il cui messaggio estremo mettesse in luce, oltre al coraggio tutto femminile di ribellarsi, la carenza delle forze dell’ordine, ebbene, a due passi da noi spaventata, terrorizzata, in ansia per la figliola, quando ho visto, presumendo il peggio, le sue mani nel gesto di calmarla, di custodirla, di affidarle l’orsetto bianco, e poi l’ho seguita recarsi alla stazione di polizia per chiedere (inutilmente) aiuto, confesso di non aver pensato all’infamia di una libertà negata, piuttosto al suo essere sottomessa a un’immotivata furia omicida, dunque a trovarsi in pericolo di vita. Ho avuto grande paura per lei e la bambina.

Un atteggiamento del genere ha offerto però una risposta solo immediata all’universo rappresentativo, totale della performance: quando infatti, a un certo punto, la vedo, come dal nulla, con un viso imperscrutabile indossare prima di uscire - per coprirsi, forse proteggersi - uno scialle nero, allora comprendo il cuore profondo della mise en scene alla quale sto assistendo.

Intorno al 1900, Luigi Pirandello scrisse un racconto entrato a far parte della raccolta Novelle per un anno e revisionato a pochi mesi dalla scomparsa, intitolato Scialle nero. La protagonista, Eleonora Bandi, una proprietaria terriera ormai matura, dopo essere stata stuprata da uno stalliere diciannovenne e rimasta incinta, costretta a sposarlo per il volere del fratello, vive infelice nell’ampia villa della campagna siciliana e per il dolore perde il bambino. Infelice di questa unione a lei imposta dall’ipocrisia fraterna (e dagli interessi economici dei suoceri), la sera in cui Gerardo, il coniuge, cerca di usarle violenza, si ribella: dapprima nasconde l’aggressore con il suo scialle nero per non vederlo, poi si getta da una rupe. Ma «lo scialle, che s’era aperto al vento, andava a cadere mollemente, così aperto, più in là».

Anche quello indossato dalla Fardello prima di uscire di scena, insieme alle scarpette rosse, è sopravvissuto alla violenza: in più, è sceso su di noi spettatori per proteggerci, questa volta non invano, dal temere di lottare a ogni costo per rimanere libere (ci.ba.).

 

 

Sabrina Fardello, nata a Frattamaggiore (NA), è laureata in Scienze Biologiche. Risiede a Latina, dove da oltre venticinque anni insegna in una scuola media inferiore.

Ha scoperto un talento artistico nel canto lirico e ha intrapreso un periodo di intenso studio con il maestro Nicola Franco, con il quale collabora tuttora. Ha fondato una compagnia di arte e canto lirico intitolata "Liricando sotto le stelle", con la quale porta le sue esibizioni nelle piazze e nei teatri d’Italia.

La sua attività si estende anche al teatro, che l’ha portata a frequentare un corso dedicato e a scoprire una passione per la scrittura di monologhi, che ama recitare e accompagnare con il canto.

 

 

Lascia ch'io pianga

monologo scritto e interpretato da Sabrina Fardello

 

 

È sera, fuori fa freddo.

Le luci della casa sono accese e da fuori si sentono voci di un uomo, poi di una donna e poi grida.

 

"Lasciami! Lasciami, vigliacco! Lasciami! Mi stai soffocando! Lasciami!!!"

 

Un pianto disperato risuona nella stanza.

Lei si blocca, il cuore stretto in una morsa, quando incrocia gli occhi della figlia di tre anni, spaventata e in lacrime.

 

"Piccola... piccola mia! Vieni, vieni da mamma! Abbracciami..." dice con voce spezzata. "Piccola, no! Papà non ce l'aveva con te, no! Tranquilla! Certo che mi vuole bene, papà! Non avere paura! Papà è solo un po' nervoso, ok? Sai che facciamo adesso? Andiamo da zia Anna, va bene? Così giochi un po' con i cuginetti, Ok! Prendi il cappottino... Sì, sì, anche l'orsetto! Sì, brava! Dai, andiamo... Vieni con mamma, andiamo via da qui!"

 

La prende per mano e si avvia verso la porta. Una volta fuori, tira fuori il telefono e chiama Anna.

 

"Pronto? Anna? Sì, sto venendo! Sto venendo a casa tua! Senti, mi devi fare un favore... Devi tenere un po' la bimba. Sì, ok! No, no, tranquilla! Sto bene! Arrivo subito, eh!"

 

Dopo poco arriva a destinazione.

 

"Eccomi, Anna. Buonasera!" esclama, tentando di mascherare il tremito nella voce. "Ti prego, tieni un po' la bimba... Sì, lo so che sembro nervosa, lo so... Ma vai, vai con la zia, amore! Vai a giocare nella stanza, dai!"

 

Appena la bimba sparisce dietro la porta, si lascia andare.

 

"No, Anna... non sto bene! Non sto bene, hai ragione!" confessa in un sussurro carico di lacrime. "Hai sempre avuto ragione, è un bifolco! Me l'hai detto mille volte, e io... io ho resistito. Ho resistito tutti questi anni! Ma dove potevo andare? Non lavoro, non ho i miei genitori vicini... Dove vado? Ogni volta che chiedo soldi mi risponde 'vai a lavorare'! Ma come faccio? Con quello che guadagnerei non basterebbe per la bimba!"

 

Prende un respiro profondo, cercando di controllare il flusso delle parole.

 

"Ma adesso basta! Questa volta ha esagerato, Anna! Mi ha preso alla gola, mi ha bloccata al muro... Davanti alla bambina! Hai capito? Davanti a lei! Si è spaventata a morte! Basta, basta, basta! Questa volta vado dai carabinieri. Lo denuncio. Denuncio tutto, tutto quello che mi ha fatto in questi anni! Non ce la faccio più!"

 

Si alza di scatto.

 

"Ok, tienimi la bimba! Io adesso vado!"

 

Arriva fuori dall’ingresso della caserma dei carabinieri, esita per un istante, poi si stringe lo scialle attorno al corpo e sussurra tra sé e sé:

 

"Devo entrare... devo trovare il coraggio. Questa volta devo farlo!"

 

Entra.

 

"Buonasera, agente. Sì, sono io. Ecco i documenti. Voglio fare una denuncia. Mio marito... mi ha stretto alla gola, ha cercato di soffocare!"

 

L’agente la osserva, serio.

 

"Vuole vedere i segni? Guardi, eccoli!"

 

Lui scuote la testa.

 

"Ah... non vede segni? Ma lui mi ha stretto! Mi ha bloccata al muro! Mi ha quasi soffocata!"

 

La voce dell’agente si fa monotona, distante.

 

"Mi sta dicendo che, secondo la legge, senza segni evidenti non si può fare nulla? E cosa mi consiglia, allora? Tornare a casa, fare la brava e fare pace con mio marito?"

 

Sente le parole uscire dalla sua bocca, come se non fossero le sue.

 

"Va bene, agente... Buonasera."

 

Esce dalla caserma, incredula. Il mondo intorno sembra sfocato, le sue mani tremano.

 

"Adesso torno a casa...faccio la brava. Gli preparo la cena. Magari gli è passato il nervoso."

 

Una lacrima scivola sulla sua guancia.

 

"Ma lascia che io pianga..."