giovedì 5 dicembre 2024

Valeria Serofilli legge Luciana Argentino e Leila Fala'

 





 


LUCIANNA ARGENTINO

CORPO DI FONDO

 

“Alcuni testi di Corpo di fondo, allora provvisoriamente intitolati Frammenti di autobiografia postuma, sono in Percezioni dell’invisibile a cura di Giuseppe Vetromile”, ci informa Lucianna Argentino in una delle note poste in calce al volume. Abbiamo in tal modo alcune fondamentali parole chiave, alcuni codici di accesso per comprendere, ossia per accogliere in noi, questo libro di prose che abbracciano la poesia e viceversa; questa raccolta di verità che contengono sogni e al contempo ci invitano a fare del corpo (della dimensione concreta) qualcosa che sappia anche cogliere il senso del bello e del suo contrario, del bene e del suo opposto. “La felice sequenza della vita, l’impronta del mistero in ciò che di noi è sostanza. E, dunque, è un dire grazie al corpo infinitesimo del moscerino, alla piccola Drosophila*, al suo genoma così simile al nostro il poterne fare qui sapienza e poesia”, scrive l’autrice. Ed è interessante notare come accanto alla ricerca “estetica” si collochi sempre un’esplorazione ad ampio raggio delle meraviglie reali che ci celano nel caos misero del quotidiano. Questo libro contiene molte perle non solo a livello di scrittura ma anche di conoscenza. Ci mette al corrente di cose, nel senso più nobile del termine, ossia di fatti, di scoperte, di lavori umani, che in genere vengono ignorati dai media e dai telegiornali perché non contengono sangue o violenza e non stimolano gli istinti più beceri. Nella prosa poetica dell’Argentino, al contrario, questi fatti trovano spazio e rilievo. E sono un invito, implicito ma forse proprio per questo efficace e coinvolgente, a “percepire l’invisibile” e ad andare a fondo, tramutando il corpo in qualcosa di più ricco, attento, sensibile. “Questo vive, quando con nuova sostanza abbrevia i nomi di quanto del mondo è pronunciabile, così che s’affatichi meno il fiato e sia riparo per le parole ancora senza suono, ancora prive di voce nel complemento di moto per luogo dell’esistenza perché scrivere è stare non dove le cose accadono, ma dove si fanno vere”, osserva ancora l’autrice in un altro dei brani del libro. Racconta di sé, dei suoi incontri, degli eventi che vive e interiorizza, ci propone i suoi Frammenti di autobiografia postuma, affinché ognuno ad un certo momento possa riconoscersi, trovando dentro le parole qualcosa del suo mondo, esteriore e soprattutto interiore.“Le porta a galla perché sulla pagina cantino al mondo la lucentezza delle tenebre e come è giusto il nostro essere temporali e come è perfetta l’equazione di vita e di morte per noi numeri complessi* nel moto relativo dell’esistenza”. Questo altro brano conferma che le varie discipline, anche le più disparate, possono e devono interagire per creare riflessione ed emozione all’unisono. Veniamo così a sapere che nell’equazione di vita e morte noi siamo numeri complessi. E la nota esplicativa a pié di pagina ci informa che “Un numero si dice complesso quando è formato da un numero reale più un numero immaginario.” Non manca la riflessione sul tempo. Ma anch’essa viene espressa in modo originale e soprattutto profondamente radicata al suolo, al fondo dell’umana in quanto corporeità che aspira comunque a volare. “Domandarsi perché non c’è nessun altro ad occuparsi di quei vecchi, oggi che è domenica, e che pensano e provano, che sperano quelle donne bionde e sorridenti. Allora il tempo scavato tra un dovere e l’altro, tra i letti da rifare e il pranzo da preparare, il tempo sottratto all’oblio dalla scrittura si fa prezioso perché una è la cosa che al tempo ci sottrae ed è l’amore.” Corpo di fondo è un libro scritto con eleganza ma anche e soprattutto con partecipazione emotiva trasmessa con efficacia, con forza, con sincerità. La dimensione autobiografica diventa in tal modo specchio nitido e universale delle miserie che incontriamo, del dolore, delle lacerazioni esistenziali, ma, anche e soprattutto, diventa un modo per affermare che a dispetto di tutto qualcosa si salva, e che hanno senso sia il vissuto che il racconto, la memoria: “Ho amato. Ho scritto. Amo e scrivo ancora e ancora amerò e scriverò – nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non mi separi da questo dire. Prossima alla consonanza traccio il dissimile del mondo ché il male non ha somiglianze né affinità e il bene le respira. Ancora amerò e scriverò per la vita tenuta assieme dalla memoria e perché ci sia memoria di me, di noi, il cui stato finale non è desumibile dallo stato iniziale. Noi che siamo e passiamo.”

 

 

 

                                                            LEILA FALÀ

RUMORE DI FONDO

 

“Raccontare la faccia sghemba del mondo. Farlo aggiungendo un semitono, qualcosa di stridente o che precipita in una vista opaca, imprecisa. La poesia di Leila Falà parla di una superficie che sprofonda in un intorno paludoso, fagocitante: essa esprime ciò che è attraverso ciò che sembra, così confonde, anzi comprende in sé la parte oscura di una realtà sfuggente e mai data completamente”, inizia così la prefazione di Ivan Fedeli al libro di Leila Falà. Sottolinea come l’autrice abbia deliberatamente scelto di inoltrarsi, in poesia, su terreni meno battuti, sul versante sghembo del mondo, dell’esistenza umana.Il rumore campeggia ineludibile nel titolo. E si tratta di qualcosa di molto più ampio del frastuono che si ode nelle strade o nelle case. In termini tecnici il rumore può essere definito come “qualsiasi interferenza che può causare una distorsione del messaggio durante la trasmissione. Ciò significa che, a causa sua, il messaggio trasmesso può essere interpretato in modo errato o addirittura non compreso.” Tutto ciò è già di per sé estremamente evocativo e simbolico.In termini generali si può affermare che “in una qualsiasi comunicazione ci sono tre cose che non possono mancare: almeno un mittente, almeno un destinatario e un canale di comunicazione. Si definisce per lo più rumore un’interferenza sul canale: ad esempio un disturbo della linea in una conversazione telefonica o la sirena dell’antifurto che aggredisce la medesima colonna d’aria lungo la quale stiamo conversando con un amico. In realtà non è detto che il rumore debba essere rumoroso, basta che distorca: una mascherina chirurgica sulla bocca è una forma di rumore, perché pregiudica la chiarezza del suono” ad esempio.“L’interferenza che genera rumore, però, può anche non riguardare propriamente il canale ma invece il mittente o il destinatario. Se a chi riceve il messaggio il postino ha appena consegnato una cartella fiscale, la deviazione dei suoi pensieri è una forma di rumore. E se chi parla si sta ingozzando con l’hamburger, e biascica di conseguenza, il rumore più esattamente riguarda lui. Possiamo quindi ritoccare la nozione di rumore: un’interferenza sul fluire di una comunicazione, che nasce sul canale o nel mittente o nel destinatario.” (dal sito di Remo Bassetti).

“Venti di tragedia hanno corso i nostri monti / dove stavano preziosi lì da sempre gli alberi / ora abbattuti come stecchini, raso terra / e malattie nuove sradicano i nostri giorni. / La toppa non si cuce / di grandine ci muore il bosco e in città il semaforo / oggi pencolava mezzo rotto dal cavo / occhieggiando arancione, quasi eroico / in coma dondolava / che sempre ci osservava dall’alto, lui, così ieratico / e pauroso. / Tutti stiamo ammutoliti e consci. / Il peggio, dicono, deve ancora arrivare. / Lo sapevano di già in tanti / e anche noi lo dicevamo / però piano. / Quasi a non disturbare, quasi”.

Questa lirica tratta dalla Sezione “Impronte del quotidiano” ha per titolo “Sull’orlo” ed è esemplificativa sia dello stile della Falà, in grado di abbinare concretezza ed eleganza, sia delle tematiche evocate dal titolo, sia del libro che della Sezione specifica. La tragedia del quotidiano viene interiorizzata e in qualche modo metabolizzata. Ma in qualche modo passivamente, quasi ad accettare un destino imposto, una condanna per una colpa non commessa. È sghemba anche la reazione agli eventi della vita. Culmina nel rumore, inteso come mancata o difettosa comunicazione, oppure nel contrario del rumore, il silenzio, che è a ben pensarci anch’esso una forma estrema di rumore, il trionfo dell’assenza della comunicazione. Questo libro indaga, con occhio sincero e partecipato, anche sul senso straniante della solitudine, sia collettiva che individuale: “ho girato, ho guardato / e infine ho capito / era il mio cuore che nelle orecchie frusciava / per farsi compagnia”, annota l’autrice.La Sezione “Fuori margine” è anch’essa significativa e potrebbe fornire quasi un titolo alternativo per il libro. Essere all’esterno di qualcosa, di tutto, anche se in apparenza integrati, è una condizione moderna che l’autrice descrive nei suoi versi con estrema nitidezza. La poesia che dà il titolo alla sezione è lineare e tuttavia densa di richiami. “Il foglio si smargina / il segno segue fuori di lì / come pensiero che eccede. / Scivola dal tavolo / si liquefà il tempo / lungo il bordo cola / fuori dalla mappata misura. / Gorgoglia. Tace. / Raccolgo quel liquefarsi / come carta da cucina / accolgo le immagini e i ritmi / assorbo e dilago / dialogo con l’altra me / presente, quotidiana, muta. / Ora vedo, ora sento. / Slego la penna nel moto attraverso / la paura del vuoto.” L’altro da sé, la duplicità, la frammentazione, sono realtà che i versi di questo libro esprimono e incarnano. Ciò si verifica a più livelli. Il tono giocoso si interseca con tematiche di ampia, vitale portata. Il gioco equivale ad una volontà di esorcizzare, o meglio umanizzare il male, il tarlo che ci logora e ci stordisce di banalità e di rumore, di silenzio e di assenza di comunicazione. “L’oca langue / langue d’oc / lingua d’oca / batte qua e qua / sguazza e gioca / evoca i cantori / gli rifà il verso / poi si basta e s’acquieta. / Lingua scritta / in punta di penne /a ingannevoli equazioni / sussurra dis-soluzioni / senso e dissenso / leggera si eleva / e leva il torpore intenso / di abusi mediatici di senso / da lingua diva televisiva / finta oca che gioiva giuliva / e illanguidiva e ti seduceva. / Lingua di piuma / che O-de Saussur-ra / e si fa fioca / che eroica si batte / ma è sola e poca / senza stupire starnazza / povera lingua. / D’altra parte è d’oca. / Perciò stupidamente ora langue. / Così la penna”, a titolo di esempio. Gioco serissimo, denso, tra le righe, di rimandi fondamentali. La raccolta di poesie di Leila Falà è un caleidoscopio in cui, con la grazie e la forza della sincerità, ci vengono mostrate istantanee del nostro tempo e del mondo attuale. E il fatto che vengano volutamente fatte scorrere a ritmo di carillon e con luci colorate non le rende meno vere e meno emblematiche. L’autrice unisce cultura alta e sottocultura da talk show, per creare un contrasto stridente, anch’esso una forma di rumore che, purtroppo, è una colonna sonora molto adeguata per il nostro tempo. E’ ulnlibro serissimo e divertente, questo. Ma di un divertimento che sfocia nella riflessione, e indirettamente, nella denuncia della banalità che ci divora. L’invito, seppure umanissimo, comprensivo, non autoritario, è a spegnere i rumori di fondo e iniziare ad ascoltare il nostro vero essere interiore: “ora che persino la storia sembra avere un peso diverso / – sarebbe ingrato dare ai posteri il compito di ricucire / questo puzzle infinito, sfuggente e infinito. / Ora ci accontentiamo di molto meno / facciamo con ciò che abbiamo. / Ed ecco dunque, ai post l’ardua sentenza.”

 

 

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