venerdì 29 marzo 2013

F. CAMPEGIANI: TRAVISAMENTO E DECLINO DEL LOGOS NELLA CULTURA OCCIDENTALE



Travisamento e declino del Logos nella cultura occidentale

 

Socrate, uno dei geni più rivoluzionari ed incompresi del genere umano, definì maieutica il proprio modello pedagogico, intendendo con il termine, in modo figurato, l’arte di far partorire. In altre parole, secondo il filosofo, l’educatore deve limitarsi a provocare la fuoruscita, a stimolare l’emersione dei valori innati che ogni individuo porta con sé. Naturalmente non si parla di apprendimento dello scibile, dal momento che, per materie come la storia, la matematica, la geografia, eccetera, non si può fare altro che andare a scuola da chi già le conosce. E’ in sede morale – vuole dirci Socrate – che le cose cambiano radicalmente, giacché in quel piano ciascuno è maestro di sé.
Può essere al più ammessa una figura di assistente, il cui compito non è di inculcare principi, ma di stimolarne il parto, come fa la levatrice o la mammana. Educare, da ex-ducare, significa portare fuori. Da dove? Da dentro. Ciò comporta di credere nei valori innati che ciascuno segretamente cela dentro di sé. Ed è un principio fortemente democratico, sconosciuto a quanti ritengono che l’educazione consista nel modellare le menti altrui a propria immagine e somiglianza. Sul piano morale, vero maestro è colui che riesce ad eclissarsi dietro l’allievo, mentre vero allievo è colui che riesce a cancellare il maestro.
Una filosofia dell’autoeducazione o dell’autocontrollo, quella socratica, che sarebbe oltremodo utile riscoprire oggi, nello smarrimento dei tempi attuali. Non c’è bisogno di precetti, di direttive, di insegnamenti (i cui docenti, come sappiamo, finiscono quasi sempre per predicar bene e male razzolare). Ognuno ha dentro di sé il proprio faro, alla cui luce può procedere per la ricostruzione morale di se stesso (e, di riflesso, del consesso sociale). Una luce, occorre precisare, che impropriamente definiamo “Ragione”. Questo termine presta il fianco ad equivoci incredibili, dei quali forse non ci rendiamo ben conto e dei quali già i pensatori classici non si rendevano conto, essendo stato da tempo oscurato l’orizzonte misterico della speculazione aurorale in cui il termine ed il concetto di Logos apparvero per la prima volta.
Per i Presocratici Logos (da légein = “tenere unito”) indicava il nucleo, il centro della sapienza e della conversazione universale. Non proprio Dio, pertanto, nella sua configurazione primaria, ma il Divino diffuso da Lui nell’universo intero. Per Anassìmandro, era l’Apeiron, “l’infinito che comprende in sé tutte le cose e a tutte le cose è guida”. Per Eraclìto era l’armonia dei contrari, la legge sovrana del mondo, la riunione del molteplice, l’intesa segreta dei diversi in quanto partecipi dell’intelligenza cosmica. In pratica, Logos era l’impronta divina insita nelle cose stesse, pur restando separata e distinta da esse. Ciò presuppone una coniugazione del divino, una sua entrata indiretta nel mondo attraverso il conferimento delle proprie coordinate: le essenze cosmiche, le scintille divine da cui deriva ogni manifestazione sensibile.
 I Post-socratici imposero nella speculazione filosofica una visione sempre più antropocentrica e panteistica che gradatamente venne trascinando il divino nell’umano e nel mondo, fino all’identificazione di esso con la ragione dell’uomo stesso, saltando ed ignorando la cerniera intermedia, il piano della coscienza cosmica di cui qui stiamo parlando. Su questo travisamento madornale fu fondato l’intero processo della filosofia occidentale. E Socrate, che in realtà appartiene al pensiero presocratico molto più che a quello successivo, venne frainteso come lo “scopritore del concetto”, anziché del daimon, cancellando le valenze fortemente introspettive e dialogiche della sua filosofia per farle antesignane del pensiero razionale e dialettico.
Logos, nell’originaria speculazione filosofica, è la sapienza divina colta nella sua opera creatrice: una sorta di laboratorio universale dove si concentrano le forze intelligenti del creato per dare vita alla creazione stessa. Un piano intermedio tra Dio e il Mondo. Il luogo-non luogo della Coscienza cosmica. Il Coro angelico, la Voce unitaria del creato, la Sinfonia dell’universo intero. Questo è il Logos nel senso originario del termine, e non il discorrere degli uomini secondo corrette regole grammaticali, il conversare forbito e convincente, la capacità dialettica di primeggiare nella discussione. Non dunque l’equivalente della Ragione umana.
Purtroppo occorre dire che la teologia cristiana, escludendo l’umano dal Logos per riservarlo a Dio soltanto, non ha aiutato l’uomo ad accedere al piano angelico o arcano di se stesso ed ha contribuito pesantemente a confinarlo entro i propri orizzonti razionalistici. Conoscere è ricordare, diceva invece Socrate, alludendo alla sfera dei valori universali, innati in ogni essere vivente, ma destinati nell’uomo a cadere in oblio per causa dei condizionamenti collettivi. Ed è una conoscenza anamnestica, quella di cui egli parlava, un risveglio tutt’altro che razionalistico.
Platone, che fu il vero antesignano del razionalismo, con il termine “archetipi” volle invece indicare non più le guide nascoste, le coordinate intelligenti ed eterne di cui parlava il maestro, ma le idee universali ed astratte, le linee generali mentalmente estrapolabili dalla complessità dell’esistente. Fu così che la riduzione del Molteplice all’Uno venne trasferita dal piano introspettivo a quello dialettico e la mistica presocratica si trasformò in metafisica idealistica, soffocando nel razionalismo il substrato misterico della cultura preesistente.
Per lungo tempo, nella saggezza popolare continuarono a conservarsi tracce delle prime visioni animistiche, e ciò a dispetto delle culture dominanti che le hanno sempre bollate come manifestazioni di superstizioso ed ingenuo feticismo. Critica indubbiamente fondata, ma dalla quale non è immune nessuna cultura, ivi compreso il razionalismo, oggi approdato al feticismo tecnologico di cui ben conosciamo le storture. E se perfino le religioni storiche sono affette dalla piaga feticistica, allora l’animismo delle culture sorgive non deve essere confuso con il feticismo, che ne rappresenta soltanto la degenerazione. 
Il mondo contemporaneo ha portato alle estreme conseguenze le premesse inaugurate dal razionalismo antico, smantellando la saggezza popolare fondamentalmente animistica, ed anzi distruggendo l’idea stessa di popolo, come già ebbe a dire Marx e come successivamente confermarono i filosofi di Francoforte, per non dire delle denunce in tal senso di uno spirito ribelle come Pier Paolo Pasolini. Ciò facendo, la cultura contemporanea ha debellato la capacità di convivere con il mistero, propria dell’uomo di ogni tempo, sognando un mondo di paradisi artificiali e chimerici che, a dispetto del miglioramento materiale dell’esistenza, sta oramai rivelando il proprio degrado morale e tutte le proprie lacune.
Si dirà che questo è soltanto un problema di adattamento ai cambiamenti dello sviluppo scientifico-tecnologico, ed è vero. Ma la lacuna da colmare non è di natura scientifico-tecnologica, come da più parti si sente dire, bensì di natura morale. Il problema non è di portare l’uomo all’altezza di competenze e di abilità che ancora non possiede, bensì di portarlo all’altezza morale del progresso scientifico e tecnologico raggiunto. L’obiettivo deve essere di costruire una scienza a misura d’uomo e non uomo su misura della scienza, come si sente scandalosamente affermare da noti divulgatori in programmi televisivi di successo. 
La scienza non può insuperbire, pensando di potersi sostituire a tutte le altre branche dello scibile, che, battendo strade diverse, da sempre coltivano il sapere con pari dedizione e dignità. Gli antichi Egizi furono eccelsi nella scienza, così come lo furono nel Mito e nell’amore per il mistero, per il sacro. Quella civiltà seppe svilupparsi armoniosamente in tutte le direzioni, mentre oggi si tende all’amputazione di sfere fondamentali per l’equilibrio dell’umanità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, con uno sviluppo abnorme da un lato, e dall’altro con una recessione a livelli subumani di incultura e di inciviltà.
Nessuno pensa di frenare il progresso scientifico-tecnologico (ci mancherebbe altro!). Sarebbe sciocco programmare delle rinunce, ma è indispensabile compensare l’aridità delle macchine con un pari, ed anzi superiore grado di sviluppo spirituale. Ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno, per reggere l’urto del vuoto imperante, è l’arricchimento interiore, la conoscenza del profondo e l’alleanza con il mistero di cui erano dotate le antiche culture, sicuramente meno vuote e vanesie dell’odierna civiltà. In assenza di ciò, dobbiamo abituarci ai rigurgiti di incontenibile virulenza da parte di un inconscio incautamente tenuto a catena; abituarci alle esplosioni devastanti  di un magma sotterraneo in grado di cancellare ogni traccia di civiltà.       
Vanamente la psicanalisi pensa di poter superare l’impasse “prosciugando il mare dell’Es” nel misero stagno della coscienza razionale. Vanamente il Comportamentismo s’industria di uscire dalle sabbie mobili coartando la condotta dei singoli entro regole convenzionalmente date. Tutto ciò mostra la sostanziale superficialità della cultura contemporanea. Ed anche il suo fondamentale manicheismo, preso nella risibile sfida del Bene, inteso come conformismo edonistico, contro il Male dell’inadattamento. Quanto c’è da apprendere dalle culture popolari ed arcaiche, fondate sul principio dell’armonia dei contrari, sulla consapevolezza delle alternative possibili ed impossibili, sulla certezza del rovescio della medaglia in ogni situazione (che è poi, in fin dei conti, fede nell’aldilà)! 
Deve essere superata, a mio parere, la visione antropocentrica finora sviluppata dalle nostre culture, al fine di promuovere una visione del mondo nuovamente cosmocentrica, dove sia l’uomo a ruotare intorno alla natura ed al cosmo, e non il contrario. Occorre recuperare le stagioni iniziali della riflessione filosofica, non certo per tornare indietro nel tempo, verso il passato, ma per andare avanti sulle tracce di un pensiero misterico ben più ricco e fecondo di quel razionalismo che ha prodotto molti frutti importanti, ma i cui limiti sono oramai palesi per tutti e che deve essere abbandonato, se si ha davvero a cuore il bene dell’umanità.
 
Franco Campegiani
 
 

giovedì 28 marzo 2013

G. LINGUAGLOSSA SU: "TRA CIELO E VOLTO" DI L. NOTA




Luciano Nota Tra cielo e volto Edizione del Leone, Mestre, 2012
 

Luciano Nota in ogni suo libro tenta sempre di nuovo il colloquio con il lettore. Colloquio in forma di soliloquio. Soliloquio dell’anima con il «cielo». Qui non c’è alcuna opposizione tra il letterale e il figurato, c’è equivalenza e somiglianza; c’è ancora corrispondenza tra le cose e le parole, e l’io è il vaso che congiunge il cosmo con il qui e ora. Mi viene in mente quanto scrisse Nietzsche a proposito del domandare, cito a memoria: «il colloquio che io rivolgo a un interlocutore è per sapere se abbiamo la stessa anima»; Nota fa poesia appunto per capire se lui e il lettore hanno la stessa anima: è il principio di identità A=A che regge il suo universo poetico e, di conseguenza, il tropo fondamentale è il soliloquio (ovvero, il colloquio con l’altro da sé), il colloquio tra il particolare (il soggetto) e l’universale (Dio), la parafrasi, per l’impossibilità di raggiungere la particolarizzazione, il dettaglio, la singolarità; nella sua poesia non può esserci la metafora, che è ponte gettato sugli abissi tra le cose; non c’è il traslato, che è il sentiero che costeggia due continenti diversi; non c’è lo straniamento di immagini, che sottenderebbe implicitamente che le immagini siano diverse le une dalle altre, il polemos e la dis-sonanza.
 
Paradiso
è il viso
rivolto allo spazio.
Il contrario
di un pigro profilo
separato dal tempo.
 
*
 
Dalle perle che cadono dal cielo
pongo d'istinto le atmosfere.
 
Poesia della reminiscenza, della trasparenza e della compresenza universale dove il tutto confluisce nel tutto ma si oppone alla peccaminosità, alla dittatura dello sguardo: tra cielo e volto c’è soltanto una differenza di altezza ma non di sostanza, scrive Luciano Nota, la temporalità non fa parte di questa poesia perché essa abita il luogo della Storia, della dif/ferenza, della dis-sonanza, del conflitto. Poesia di atmosfera, dunque, rarefatta, quintessenziale per l’impossibilità di attingere quell’universale cui anela con tutte le proprie forze, o forse perché il vero universale non sono le «cose» ma le «essenze» delle cose e tra le cose, separate dal tempo e dallo spazio. In «principio», per Nota, non c’è né ci può essere il peccato ma un semplice esser-così, la «naturalezza», finanche l’ingenuità della identità e della corrispondenza di tutte le cose e di tutte le parole in un luogo privo di peccato e di Storia:
 
Sono Adamo.
Non ho ombra che mi veli.
Non t'intralci la mia naturalezza.
Accomodati.
 
Un neo-adamismo, forse si può definire così la poesia del nostro autore, un adamismo che fa il paio con il panismo dell’io e del creato. Una posizione paradisiaca, di prima del peccato originale, di prima della Storia e del tramandamento, dove reminiscenza e conoscenza si equivalgono. Perché se c’è reminiscenza tutto è già in noi, già sappiamo in fondo all’anima ciò che siamo.
 
Giorgio Linguaglossa
 

S. ANGELUCCI: PASQUA. UN AUGURIO AI POETI DEL BLOG

 
Un augurio per tutti i poeti del blog.
 
Pasqua

Concerto:
risorge tra i rovi
il canto dei merli in amore.

 
Sandro Angelucci 

mercoledì 27 marzo 2013

MARINO PIAZZOLLA: "ANCORA UNA PRIMAVERA"



[...] È qui la giovinezza
Della terra, che amore grida e scoppia
In lieti odori, e accende mille fiori
Ovunque rida l'aria; e s'accompagna
Alla vita l'ebbrezza che scandisce
Ogni tuo giorno con un sangue lieve,
Che scorre più felice.
Sono calme
Le vecchie sere del pianeta; calmo
È lo sguardo nostro, in cui si mira
Il tremito di foglie; e la bellezza
D'ogni donna, che la voce muta
Quasi fosse nata a nuova età,
Ci turba per le vie.
Tu silenziosa
Sbocci anche nel sangue; e poi cancelli
Dalla mente segrete angosce; scendi
Nella vita come un dolce vento
Che ci fa più umani.
[...]


 
(Marino Piazzolla, da "Ancora una primavera", Minuetto per ombre sole, 1970)

PREMIO "ALBEROANDRONICO" VI ED. RISULTATI

 
Sezione A – Poesia a tema libero

I° - Umberto Vicaretti
- Ragazza di Mesagne (Luco dei Marsi, L'Aquila)
II° - Roberto Gennaro - Gli altri colori del cielo (Genova)
III° - Gabriella Biscaccianti
- Immagine riflessa (Cagli, Pesaro Urbino)
IV° ex aequo - Umberto Grieco
- Luna senz'ali (Pistoia)
IV° ex aequo - Graziella Meneghetti - Padre (Vasteros, Svezia)
VI° ex aequo – Giovanna Mennella - Stagioni (Genova)
VI° ex aequo – Francesco Vetrano - Suonano di silenzio (Spinoso, Potenza)

Sezione B – Sillogi

I° - Massimo Bombana
- Canto di rondini e cavalieri erranti (Milano)
II° - Michela Zanarella - Il verbo della luce (Cittadella, Padova)
III° - Filippo De Angelis - Con cosa ascoltin il silenzio? (Pozzaglia in Sabina, Rieti)
IV° ex aequo - Cristina De Filippis - La voce di Eva felice (Pofi, Frosinone)
IV° ex aequo - Emanuela Verderosa - In...ascolto (Melfi, Potenza)
VI° - Paolo Rodriguez - Esame di maturità (Rimini)

Sezione C – Narrativa

I° - Maria Bellucci - Il peccato originale (Tarquinia, Viterbo)
II° - Benedetto Cacchioni - Il padre (Subiaco, Roma)
III° - Gianfranco Iovino - Non lo faccio mai più (Roma)
IV° - Michele Angelo Catalano - Domani (Roma)
V° - Nadia Meli - Cinquanta (Bergamo)
VI° ex aequo - Alessandro Caparesi - Raggio di sole (Roma)
VI° ex aequo - Carlo Favot - Il treno del binario cinque (San Vito al Tagliamento, Pordenone)
VI° ex aequo - Damiano "Nuccio" Pepe - Una storia (Bompietro, Palermo)

Sezione D – La strada, la casa, la città, l'ambiente: vivere e costruire il territorio

I° - Maria Teresa Raffaele
- L'albero delle meraviglie (Assisi, Perugia)
II° - Vittorio Stegher - La casa della casa (Bologna)
III° - Angelo Ruggeri- L'intervista (Formello, Roma)
IV° - Ruggiero Maria Dellisanti - Burrasca (Barletta)
V° - Stefania Donatella Paron - Stop - Pubblicità - Garibaldi (Rovigo)
VI° - Mario Angelo Carlo Dotti - Non fermarti rom (Adro, Brescia)
VI° - Luigi Salustri - La strada (Anzio, Roma)

• Sezione E – Libri

I° - Sandra Avincola - Il colore degli anni (Roma)
II° - Gianna Cavarretta - Fragili splendori (San Nicola dell'Alto, Crotone)
III° - Maurizio Odoardo De Fino - Il piede di Federico (Potenza)
IV° ex aequo – Antonio Derro - Sognando Morgana (Jacurso, Catanzaro)
IV° ex aequo – Terzo Circolo Didattico "Don Bosco" - Caro libro ti scrivo... (Nardò, Lecce)
IV° ex aequo - Elena Scarfagna Rossi - La terra e il mare (Colleferro, Roma)
V° ex aequo – Carlo Di Biagio - Mentre (Roma)
V° ex aequo – Gina Maradei - Rimandi Voce del verbo esperire (Vico Equense, Napoli)
V° ex aequo - Antonella Rizzo - Il sonno di Salomè (Roma)
VI° ex aequo - Sergio Conca Bonizzoni - Un serial-killer per i Promessi Sposi (Crema, Cremona)
VI° ex aequo – Roberto Orlandini - Tra l'aspettar del tempo e il morir del giorno (Firenze)
VI° ex aequo – Nazario Pardini - Scampoli serali di un venditore di arazzi (San Giuliano Terme, Pisa)
VI° ex aequo – Pietro Rainero - Favole per una figlia (Acqui Terme, Alessandria)
VI° ex aequo – Annalisa Vandelli e Luigi Ottani - Magnitudo Emilia (Sassuolo, Modena)

• Sezione F – Testo per una canzone

I° - Sabrina Balbinetti - Roma te piagne cara Nannarella (dedicata ad Anna Magnani) (Roma)
II° - Massimo Casoli - Amore confuso (Varese)
III° - Gianfranco Iovino - Oltre il confine (Roma)
IV° – Valentina Meloni - Un arcobaleno nel cuore (Roma)
V° – Lorenzo Maggi - Maraconi (Anguillara Sabazia, Roma)
VI° ex aequo - Daniel Costa - Pensiero leggero (Cento, Ferrara)
VI° ex aequo - Paola Nicosia - Il mondo a fuoco ovvero La Fotografia (La Spezia)

• Sezione G – Lo Sport

I° - Luigi Brasili - Pista di sangue (Tivoli, Roma)
II° - Pietro Rainero - Gli ultimi metri (Acqui Terme, Alessandria)
III° - Carmelo Rigobello - Tandem (Postal, Bolzano)
IV° - Antonio Bonelli - Tolio 1964 (Milano)
V° - Fabio Pasian - L'ultima partita (Trieste)
VI° - Antonino Cervettini - Il pallone di cuoio (Reggio Calabria)

• Sezione H – Mare e Montagna

I° - Valeria Bellobono - Storia di una ragazza con i capelli neri (Avezzano, L'Aquila)
II° - Luigi Salustri - L'onda e lo scoglio (Anzio, Roma)
III° - Roberto Gennaro - Il navigante (Genova)
IV° - Bruna Franceschini - Alice nel paese dei Lovegatti (Mezzocorona, Tento)
V° - Loredana D'Alfonso - Il mare di Micol (Roma)
VI° - Pierfrancesco Prosperi - La compagna di Barbaredo (Arezzo)

• Sezione I – Poesia dialettale
I° - Giuseppe Pappalardo - Cantu dulurusu (vint'anni doppu la morti de iudici Falcuni e Borsellinu) (Paternò, Catania)
II° – Lia Cucconi - Miserere (Carpi, Modena)
III° - Maria Caterina Martinazzi - Parauli mei (Sedini, sassari)
IV° - Giuseppe Cantoni - Finestra elta (Cesena, Forlì-Cesena)
V° - Roberto Gennaro - Tra cent'anni (Genova)
VI° - Nicola Cavaliere - Ride...'a morte (Amalfi, Salerno)

• Sezione L – Fotografia

I° - Salvatore Scaduto - Acremonte (Partanna, Trapani)
II° - Raffaele Di Santo - Verso la luce (Roma)
III° - Reneè Base - Floating Away (Evanston, Usa)
IV° - Margherita Figurelli - Dietro una ciminiera di fumo rosso (Roma)
V° - Francesca Salice - Pescatore sul lago Inle (Milano)
VI° ex aequo - Carlo Di Biagio - Solidarmonia (Roma)
VI° ex aequo - Fabrizia Patanè - Bluff (Roma)

• Premio speciale: autori più giovani

Valeria Maria Gallo - Pensiero di pace (Roma)
Annamaria Giostra - Mi hanno chiusa in una stanza (Ascoli Piceno)
Matteo Calvigioni - Tennis (S. Severino Marche, Macerata)
Michele Calandriello - Natura disperata (Bari)
Giorgia Testa - La vita (Alatri, Frosinone)

• Premio speciale: autori meno … giovani

Giuseppe Di Gaetano - Il mio amico Fritz (Trapani)
Athe Graci - La mia scuola a Pontedera (Livorno)
Giustino Corona - Alla deriva nel Mare di Banda (Serrenti, Cagliari)
Giovanna Miracapillo - La nevicata (Celleno, Viterbo)
Guglielmo Fabbri - La nostra scogliera (Bengasi, Libia)

• Premio speciale: autori di madrelingua non italiana
Juliane Busch - Primavera maremmana (Kühlungsborn, Germania)
Valentina Vinogradova - Indirizzi romani di Gobol' (Poltava, Ucraina)
Cheikh Tidiane Gaye - Elegia del ricordo (Thies, Senegal)

• Premio speciale: opere provenienti dall’estero
Li Simeng e Francesco De Luca - Incanto infranto e Allucinazione (Hainan Province)
Giovanna Li Volti Guzzardi - Sciolgo le briglie (Melbourne, Australia)
Sergey Durasov - Vivere a lungo (Krasnojaesk, Russia)
Ioanna Kyriaki-Bitzarou - Notturno (Nea Smirini, Grecia)

• Premio speciale: migliori autori residenti nel municipio 19 di Roma “Memorial Ammiraglio Ispettore Vito Acquafredda”

I° - Vittorio Stegher
II° ex aequo - Carlo Di Biagio
II° ex aequo - Fabrizia Patanè
IV° - Andrea Giovanni Sorge
V° - Maria Clotilde Pesci Schiavo
VI° classificati ex aequo:
Antonella Alessandro
Marco Aricò
Marco Belocchi
Luciana Bertini
Anna Maria Bonamore
Maria Buschettu
Vito Caporaso
Giovanni Catania
Luca Cavaliere
Fabrizio Dafano
Alessandra Dè Liguori Carino
Lydia Deiure
Pio Bartolo Di Domenico
Maja Di Stefano
Marco Di Tillo
Marina Donadi
Maria Grazia Gemelli
Vincenzo Gentile
Dario Giallocosta
Giuliana Girolami
Peppino Grande
Giorgio Grasso
Romolo Infusino
Alfredo leonardi
Enzo Liotta
Nicole Lombardo
Rossella Mancini
Albertina Marcorato
Fulvia Minetti
Gabriella Moretti
Giancarlo Parodi
Antonella Pericolini
Antonella Proietti
Marco Quadrini
Giampiero Rizzo
Paola Schiaroli
Elisabetta Schuster
Eugenio Scorza
Luisa Siani
Battistina Sica
Aldo Renato Terrusi
Antonio Tomasicchio
Ilaria Wlderk


• Concorrente che ha inviato cronologicamente per primo la propria opera
Aldo Renato Terrusi (Roma)

     

martedì 26 marzo 2013

ANITA MENEGOZZO: DA "NUOVI SALMI"

DA
AUTORI VARI: NUOVI SALMI, I Quaderni di CNTN, Palermo, 2012.

ANITA MENEGOZZO
DAL SALMO 19
E IL CIELO FU SPARTITO PER CANTARTI


Anita Menegozzo


E il cielo fu spartito e fu la luce
e fu spartito proprio per cantarti
Noi note dentro te per pentagramma
noi pietre nel tuo tempio
noi archi del tuo ponte
strumenti se sembriamo a caso sparsi
colori se sembriamo a caso accesi
noi giorni come occhi nel tuo sguardo
noi canto a cui non può bastare il cielo
noi sempre ti cerchiamo
sollecito per cura, estatico ma saggio
ardente come spada di guerriero,
il caos che in noi si doma da se stesso
un ponte teso un cosmico silenzio
Tu  che curvasti il nulla come un arco
e da quel nulla poi scoccasti il sole
mirasti come freccia ad ogni tempia
e fionda ad ogni cuore
filosofo dal folle
e folle da un bambino
la tua saggezza ascolta e non distingue
Tu passo
ed io preghiera che tu passi
tu ali di farfalla
che fai di me più fine filo d'erba
se tu mi soffierai fatto di vento
m'involerò per te come di piuma


ANITA MENEGOZZO



Nazario Pardini

Canto da prendere veramente in considerazione fra tutti quelli del testo "NUOVI SALMI". Gentile, effusivo, zeppo di invenzioni creative. Iperboli, anafore, metafore ed assonanze usate con sensibilità
fecondano un terreno già di per sé fertile a slarghi di natura poetico-emotiva. Se poi il tutto è abbracciato da una musicalità continua ed avvolgente quale quella di un endecasillabo, che per accentuare il suo valore, è disposto ad alternarsi a misure più brevi, l'effetto è quello di una giusta simbiotica amalgama fra rivisitazione e combinazione metrica.
Aiuterebbe ancora di più il messaggio del poiein una giusta punteggiatura.



lunedì 25 marzo 2013

P. BASSANI: LA SCAMPAGNATA DI PASQUETTA


LA SCAMPAGNATA DI PASQUETTA

Nostalgia per una bella tradizione scomparsa

 

Frammenti di ricordi messi insieme

da Paolo Bassani


 


 


“Che cosa rimpiange del passato?”: fu chiesto un giorno a Ungaretti, durante un’intervista televisiva. Con l’arguzia e la simpatia che gli erano proprie, il grande poeta vegliardo rispose: “Il canto dell’ubriaco”; e subito -quasi a voler chiarire il suo pensiero al perplesso cronista che gli aveva posto la domanda - soggiunse che, proprio la scomparsa del canto dell’ubriaco, era la conferma di quello stato di malessere tipico dell’inquieto vivere moderno. Non significava che l’ubriaco era sparito ma, piuttosto, che egli stesso si era trasformato: aveva perduto quella sua caratteristica allegra per chiudersi in se stesso, divenendo triste e spesso aggressivo. Non a caso ho voluto ricordare questo episodio; c’è in esso come potete vedere, un legame con questi miei frammenti miranti a rievocare un momento particolarmente simpatico della vita spezzina. Se anche voi siete della mia generazione -non più giovani, per intenderci- certamente vi ricorderete con una punta di nostalgia di quel lunedì dell’Angelo che era per noi il giorno della scampagnata. Già nel mattino le vie che conducevano sui colli, da Porta Genova a Porta Isolabella, da Via XXVII Marzo a Porta Castellazzo e su su fino a Sarbia, e così la strada che portava alla Foce, si animavano di gente festante: uomini e donne, giovani e anziani: intere famiglie che arrancavano sui ripidi tornanti portandosi grosse borse e sporte ripiene. E con l’andar del tempo le vie si affollavano sempre più assumendo quasi l’aspetto di un pellegrinaggio, tanto che la sede stradale pareva divenuta un percorso riservato ai pedoni. Così quella marea di gente saliva verso la campagna, accampandosi sui prati che si affacciavano lungo il cammino. Nasceva in questo modo la più spontanea e cara festa campestre degli spezzini. Nell’aria luminosa della primavera, come un concerto s’innalzavano le voci, mentre la gente, seduta sulle alture, sembrava occupare gli spalti di una maestosa arena innanzi all’incantato spettacolo del golfo. C’era allora un’armonia...un modo diverso d’essere, che nasceva forse da una vicinanza, da un incontro, vorrei dire da uno spirito paesano. C’era una maggiore disponibilità ad apprezzare le cose semplici, dovuta forse al fatto che poche erano le possibilità offerte da quei tempi. E tuttavia questa limitazione non impediva, ma facilitava il trascorrere di momenti sereni. Anzi, sotto questo punto di vista il successo era completo. Il segreto era dunque proprio lì: in quel modo immediato e fresco di comunicare e di legarsi agli altri. Bastava sedersi sull’erba, davanti ad una ruvida tovaglia che offriva fette di pane scuro, un piatto di cotolette, qualche fetta di torta di riso e un fiasco di trebbiano, per ritrovare poi l’allegria e un nuovo gusto per la vita. L’automobile -che avrebbe cambiato tante abitudini- non era ancora arrivata, e neppure si pensava ad essa. Non era ancora giunto il caotico fine settimana fatto di caselli, di code snervanti e d’autostrade, di ristoranti “tipici”, di piatti e bicchieri di plastica. La campagna, a due passi dalla città, era ancora aperta e pulita, e limpido il cielo e più chiaro il sole e più vero l’avvento delle stagioni. La scampagnata di pasquetta era più di una tradizione: pareva divenuta un rito. Era l’incontro con la primavera. E allora la buona stagione giungeva puntuale all’appuntamento; non come oggi che ci mostra spesso un volto malato, ove s’accenna e sfiorisce effimero annuncio di rondini mute che non si fermano più. A volte, facendo il confronto tra passato e presente, mi chiedo che cosa ricorderanno dei loro tempi i giovani d’oggi. Certamente non la nostra scampagnata di Pasquetta. Essi non hanno vissuto quel momento; non perché non vollero, ma perché non lo trovarono. Fu certamente colpa dei tempi che, offrendo nuove possibilità, promisero migliori occasioni di svago, ma fu anche colpa dell’uomo che, abbacinato da tante novità, credette di emanciparsi fuggendo dalla semplicità di molte tradizioni; pensò d’essere più libero chiudendosi in se stesso, più moderno rifuggendo da quello spirito paesano che ancora lo legava al passato, alla gente, alla terra. Tornava la gente a sera giù dai Colli e dalla Foce, finendo in canto quella serena scampagnata di pasquetta. E quando già nella notte brillava la città di luci, e la faccia della luna spargeva il suo quieto e pallido chiarore, ancora qualche voce...qualche canto s’indugiava lungo la strada che scendeva. Come Ungaretti, anch’io, per quel lontano canto che nasce dal ricordo, oggi sento tanta nostalgia.

 

Paolo Bassani

 

domenica 24 marzo 2013

FULVIA MARCONI: L'AMOR PER L'AMORE E LA VITA

Fulvia Marconi

 
L’AMOR PER L’AMORE E LA VITA

 
La luce che inghiotte la notte
fra danze di buio e chiarori
… un brivido vuoto è il lenzuolo
e l’Uomo s’inebria di cielo.
Si perde nel nulla il fragore
dei lampi violenti e dei tuoni
e nasce, qual gemma d’arbusti,
l’amor per l’amore e la vita.
L’amore che spacca la roccia
e corre per mare e per monte,
rincorre le stelle dell’Orsa
e di struggimento frastorna.
Ma quando il fatale abbandono,
in groppa ad un nero destriero,
varcando quell’ultima soglia
di noi cercherà pur l’assurdo,
i nostri pensieri indomati,
emblemi di crolli caparbi,
tra serpi e ritagli di lune,
sapran benedire la fede
e vivere amando la vita.

… E vivere amando la vita,
nel vago cercare l’immenso.



 
Fulvia Marconi

sabato 23 marzo 2013

N. PARDINI: LETTURA DI "NUOVI SLMI", G. RIBAUDO E G. DINO


Giacomo Ribaudo – Giovanni Dino: Nuovi Salmi.

I Quaderni di CNTN. Palermo. 2012. Pp. 376

 

 

 

 

Testo importante quello che mi è giunto stamani, 21/03, inizio primavera, per bontà di Giovanni Dino. Uomo semplice, come tutti gli uomini di Cultura, che ho avuto occasione di conoscere per e-mail e di ospitare sul mio blog, con poesie, che rivelano caparbietà innovativa e slanci metaforici non comuni. Ma anche, come dimostra con questa opera, capace di convogliare tante voci poetiche su un argomento che, pur vario, se si vuole, non certamente facile da rispettare. Nuovi Salmi, il libro, edito da I Quaderni di CNTN, Palermo, 2012. Curatori Giacomo Ribaudo e, appunto, Giovanni Dino. Tutti i miei complimenti per l’ottima riuscita dei loro intenti. Qui si tratta, al di fuori di ogni retorica, di un lavoro degno di attenzione; ma, senz’altro, impegnativo sia per i curatori che per i poeti scelti; selezionati, questi, con scrupolo, considerando  l’apparato di notizie biografiche a seguire. Impegnativo, perché, adattare l’animo e la mente, la parola e la creatività ad una tematica abbastanza circoscritta, non è certamente cosa facile per uno scrittore. Dacché la libertà è l’anima della poesia e non solo. Ma in questo caso – ad ogni scrittore è stato assegnato un salmo da interpretare e su cui creare un canto - dobbiamo riconoscere che il campo d’azione si poteva ampliare a larghe visioni (spirituale, culturale, immaginifico-affettiva e umanistico-sociale), dato che, ognuno dei prescelti poteva dare spazio alla propria inventiva: personalizzare il salmo, farlo proprio, e ridarlo al foglio carico di messaggi rievocativi e non solo. Volume sostanzioso, anche, i Nuovi Salmi, sia per numero di pagine, ben 376, che di autori, circa 160; vi figurano voci conosciute e fra le più rappresentative del diorama culturale odierno. Nomi come quelle di Franco Loi, Domenico Cara, Antonio Spagnuolo, Lia Bronzi, Santalucia Scibona,  Maria Grazia Lenisa, e addirittura Karol Wojtyla, anche se in spazio riservato. Ma veniamo alla lettura. Molte le opere, quindi; ma anche diverse per stile e contenuto,  diverse per cultura e per approccio con il testo ispiratore. Tante, la gran parte, ben contestualizzate storicamente e civilmente. Dettate da motivazioni spirituali, ma anche da stimoli di affrancamento da una società tanto problematica e complessa quanto la nostra. Ed altre che ci dicono di veri inni al Signore, alla sua grazia, alla sua bontà, e alla sua giustezza. Giustezza e sacralità davanti a cui si china, davanti a cui si inginocchia tutta la terra, o si dovrebbe, visto il mondo in cui viviamo, e la necessità di tanta spiritualità. Sicuramente, appaiono più interessanti quei canti che sono riusciti a trasmettere, oltre all’afflato divino, motivazioni umane ed esistenziali, impatti di natura contingente, critica e riabilitativa e a captare, dal confronto, input di natura civile e storico-sociale, visto il periodo della collocazione dei testi e del loro spirito di libertà; capaci di trasmettere, appunto, emozioni legate a vicissitudini terrene; scaturite da un confronto fra lo spirito del salmo e l’attualità. Per fare un nome mi ha colpito, fra le tante letture degne di nota, “LA MORTE ETERNA” di Sandro Angelucci. Opera che ritengo, senza alcun dubbio, veramente interessante. Non solo per contenuto, ricco di riflessioni e meditazioni strettamente legate alla vita e alla sua proiezione in un futuro di catartica immanenza, ma anche per tutti quei risvolti che la stessa comporta: il denaro; l’odio; il potere; milioni di dollari che tolgono il pane; i mercanti; “e un rumore infernale/ che sovrasta i silenzi/ con cui seminasti l’ala nei cieli”.  “Ma c’è anche un respiro: lungo, profondo/ una pace che sale / una  morte che nasce e sconfigge la morte/ di chi muore in eterno”. Tanti i motivi che l’autore ha saputo estrapolare, dal salmo 73, con una sua personalissima  interpretazione. Motivi dettati, soprattutto, da una spinta emotiva volta a fare del passato un futuro innovativo, e di speranza. Un’attualizzazione vivace che non perde per  niente quella fluidità lirico-armonica che connota una buona poesia. Ma quello che più conta, è che c’è il verso. Verso che va  a capo, quando la poesia stessa lo vuole. Quando lo pretende il salmo stesso. Il verso libero, sì!, ma verso; verso che si distende e abbraccia con tutta la sua successione ritmica il variare degli impulsi emotivi. Inno al divino, sì, ma cantato, musicato da corde umane, che vivono ed hanno vissuto ingiustizie e peripezie. Che l’autore conosce e che traduce in poesia. Un inno alla libertà, insomma, proiettato in un futuro di giustizia umana e divina.

Comunque, e va detto, non mancano testi poco convincenti e per interpretazione e per resa poetica. Ci riserviamo, magari, in seguito, di porre l’attenzione sugli elaborati in maniera più dettagliata, anche, per soddisfare la curiosità dei nostri lettori e per la voglia di gustare poesia. Non certo con l’intenzione di atteggiarsi a giudici supremi. Non rientra nel nostro carattere, pur se, in quanto toscani, siamo portati a dire il vero. Di certo, e non toccherebbe a me dirlo, né a me valutare tanto talento, il canto IL SIGNORE REGNA! ESULTI LA TERRA, pregno di vita e vitalità,  impreziosisce il tutto. Nobilita il libro. E fa dimenticare quello che non c’è. E’ il Maestro che canta. E’ Antonio Spagnuolo:

Antonio Spagnuolo 

Forse il mio sogno riparte dagli inganni,
per arcuarsi nel bagliore,
e ripercorrere parvenze di irreali contorni.
Fuoco per rallegrarsi, giustizia e pace!
Nell’ascolto sembra il ritmo
che comprende e sconvolge la fuga,
nel vorticoso frastuono del prodigio,
nella speranza coltivata alle penombre,
tremano le nostre incertezze
per la gloria dei cieli e nel fulgore del Signore.
Anche i nemici tremano innanzi al fuoco
delle sue pupille…
Chi adesso inizia a credere
nell’essenza stessa dell’amore?
Altri silenzi ammaliano perplessi,
ed intagliano lacrime al perdono,
proteso al segno della Tua scintilla,
alle parole sussurrate in frammenti,
nella solitudine,
per riscoprire il dono fuor della nebbia,
che vuota il tempo e della stanza è spazio.
Gioia nel cielo!
Per questa eternità di luci e di parole.
Ancora il giusto saprà sciogliere i nodi
della memoria e della Tua Santità,
liberi dalle insidie.
Tutta la terra annunzi la Tua giustizia!

 

Una vera cascata di metafore che racchiude infiniti di spiritualità.

 

 

Nazario Pardini                                        22/03/2013

venerdì 22 marzo 2013

PAOLO BASSANI: POESIA E RICORDI DELLA PASQUA


Carissimo Pardini,
 
 la poesia "Resurrezione" è stata inviata come augurio a Papa Francesco e sabato prossimo sarà donata al nostro nuovo Vescovo Luigi Ernesto Palletti, in occasione dell'incontro che il Consolato dei Maestri del Lavoro spezzini avrà presso la Curia vescovile.
Naturalmente, già fin d'ora, esprimo a Lei ed agli amici di "Alla volta di Leucade" l'augurio di una Pasqua serena.
 
Cordialmente Paolo Bassani

POESIA E RICORDI DELLA PASQUA

di
Paolo Bassani







  

 Ora che ci stiamo avvicinando alla Pasqua,  ritrovo nella memoria immagini lontane di momenti vissuti in un clima di festa. Pasqua giungeva anche allora nel risveglio della primavera, con l’uovo di cioccolata (immancabilmente violato, con un foro nel fondo, per vedere la sorpresa); giungeva col suono di campane, slegate -allora- nel mattino del sabato santo. Non so perché, ma quel suono mi pareva più festoso nello splendore della luce.
In occasione della prossima festività vorrei riproporre come augurio  “Resurrezione”, una poesia che mi ricorda un episodio significativo. Parecchi anni fa - tenevo allora gli incontri di poesia in classe nella Scuola "G. Garibaldi" di Piazza Verdi alla Spezia, per conto dell'Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune della Spezia -  la professoressa di inglese (eravamo in prossimità della Pasqua e l'insegnante di italiano aveva fatto studiare la mia poesia "Resurrezione") mi disse: "Bassani, non ha per caso qualche poesia in inglese sulla Pasqua, come quella che stanno studiando ora i ragazzi?"  Risposi che avrei cercato di averla. Ebbene, lo stesso giorno inviai "Resurrezione" all'amico Raffaele Basini (un traduttore di classici italiani in inglese, residente a Perth in Australia da più di mezzo secolo), che il giorno dopo mi fece avere la traduzione. Sorrido pensando al tempo che sarebbe occorso per avere quella traduzione se mi fossi servito del comune servizio postale. Forse più d'un mese! Ebbene, quando l'insegnante di inglese lesse la  poesia tradotta, vidi nel suo viso un certo stupore. Dopo qualche attimo di esitazione mi si ravvicinò e disse: "Bassani, mi levi una curiosità. Ma... lei, quanti anni ha vissuto in Inghilterra?"  "Diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Basini quel che è di Basini"  risposi, facendo notare che in fondo alla pagina della poesia avevo scritto (forse in caratteri un po' troppo piccoli) "Traduzione di Raffaele Basini".



Ecco la poesia:

 


          RESURREZIONE
 
Signore,
rimuovi questa pietra
e anche nel cuore
slega le campane:
dov'è silenzio
giunga la Tua voce,
dove è buio
risplenda la Tua luce.
Benedici il fuoco, Signore,
e l'acqua
e ogni creatura
che in Te è diventata sacra.
Signore,
rifiorisci ancora l'olivo
nel campo del Getsemani
e nel cuore dell'uomo
la speranza.
Così ogni dolore
sia mutato in gioia
ora che rinasce la vita
nella Tua Resurrezione.
 
Paolo Bassani
 
Ecco la poesia tradotta:
 
 
RESURRECTION
 
LORD,
 
remove this stone
and in the heart too
let the bells ring:
where is silence
rich Your voice
where is dark,
sparkle Your light.
Bless the fire, Lord,
and the water
and each creature
who in You, has turned holy.
LORD,
let the olive bloom again
in the Garden of Gethsemane
and in the heart of each man
the hope.
So every pain
be changed into joy
now that the life revives
in Your Resurrection.
 
(Traduzione di Raffaele Basini)
 
 
 

giovedì 21 marzo 2013

N. PARDINI: LETTURA DI "PERCORSI ALTERNATIVI" DI G. VETROMILE



 
Giuseppe Vetromile: PERCORSI ALTERNATIVI. Marcus Edizioni. Napoli. 2013

 

Più non sapremo né dove né quando il viaggio abbia pace e fine

 

 Nazario Pardini

Ci possono essere “Percorsi alternativi”? “Percorsi alternativi”  a una legge inderogabile che ci vuole terra, polvere, azzeramento; una fine che non salva nemmeno la memoria. Troppo, d’altronde, l’ossigeno necessario per sottrarla all’annegamento. Ma la ricerca di tali percorsi è propizia per lo spirito, per la mente, in questo esercizio  di estraniante fattura? Sì!, lo spirito beneficia certamente di questo azzardo, di questo a tu per tu con l’irremovibilità delle leggi naturali. Sfidiamola la natura! cerchiamo “Percorsi alternativi”! La mente, in tale esercizio tonico-costruttivo, si acuisce, si potenzia, si amplifica, si svincola, anche,  dalle sue funzioni di retaggio umano. Proprio!, perché è dell’uomo pensare, ricercare, inventare, trovare strade per sopperire, in parte, alla sua insufficienza. Beati quelli che hanno fede! E’ il dono più grande ex Cielo per risolvere quei dubbi che determinano nell’uomo il dilemma dell’essere e dell’esistere. E che cosa possiamo fare  di fronte al potere della morte, di fronte a questo irrevocabile e perentorio potere, assoluto potere? che cosa? che cosa per ingannarlo, tradirlo, o azzerarne il patema che ci trasmette durante il percorso della nostra avventura terrena?  E grande, senz’altro grande, è questo dramma interiore, questo pensiero della nostra inesistenza. Il non esistere non fa parte di noi. Noi in quanto nati, pedine del tutto con la nostra unicità; noi esseri viventi, pensanti, creati per ampliare la mente oltre i limiti del possibile. Ed è, appunto, nel tentativo di costruire un mondo poetico-immaginifico, finalizzato a mettere in soffitta tale senso di annullamento, che Vetromile ricorre a tutta la sua energia verbale; a tutta la sua sapientia  vitae; e dato che niente può contro “il disastro finale”, e ne è cosciente, s’impegna a non pensare alla sua natura da mortale, ad estraniarsi con lune nascenti, con scrivanie di ricordi, con appigli a sogni, con erbe primaverili,  col fiorire di mandorli, per traslare il cuore oltre la barriera della morte. Per traslare il cuore oltre la barriera; quello di un uomo; di un uomo con i suoi crucci, le sue meditazioni, i suoi tormenti, o le sue possibili distensioni. Perché il suo grande dono è, senz’altro, la vita, che sembra dirgli: “Amami! Perché sono io che ti ho dato l’amore, che ti ho dato il sogno,  che ti ho dato il mare. Sono io che ti ho iniettato il sangue della poesia”. Ma perché un bene così ineguagliabile ci deve essere sottratto; forse perché veniamo dal nulla e nulla dobbiamo essere? forse perché dobbiamo sentirci consci di questa nostra miseria? E la fugacità del tempo, la inconsistenza del presente, il “fugerit invida aetas”, insomma la precarietà del tutto è il leit motiv di questa opera. Ed è umano che lo sia:

 

(…) Mia cara
lo stare quaggiù è un semplice giro di materia
la nostra polvere alimenterà il cielo
e le stelle
daranno luce ad altri viandanti


Noi
saremo trascorsi senza una minima certezza
e tutto il resto ormai non avrà più
alcuna importanza (pp. 52).

 
Come è umana la voglia di riattualizzare la memoria; di farne storia; farne vita; un prolungamento vivo per contrastare la fine, artefice del suo spegnimento. Anche se, poi,  è proprio il memoriale a darci l’idea del correre implacabile dell’esistere e del suo finire:

 
(…) Chiudi l’abbecedario mia cara
e l’orologio e questo spazio duro
e tutta la casa

 
: è trascorsa ogni vita su un’onda
mai più tornerà se non nel ricordo

 
se mai la morte ce lo propagherà fino al domani (pp. 51).

  

         Rifugiamoci, allora, in quello che si è salvato del suo impagabile patrimonio! ritorniamo anima e corpo a noi che eravamo! manteniamo in vita quel noi a scapito del niente! In qualche modo ci distrarremo, forse, dal potere sottrattivo dell’oblio; dell’oblio di un viaggio il cui rumore  si sente sempre più forte col passare delle fermate; sempre più forte sulle rotaie dell’ultima stazione. Oppure che fare?  Vetromile ricorre alla poesia. Il Nostro, coniatore di parole, maestro nel trattarle,  si crea primordi rigeneranti; azzarda sguardi oltre la vita ed i suoi limiti. E poiché la nostra magagna è quella di essere miseri umani, aspiranti all’eterno, cerca di ovviare a questo tormento pascaliano, lanciandosi oltre gli spazi. In un volo retrogrado verso la  bocca del mondo. Inventandosi viali stellari, che nascono dalle sue sottrazioni e volano alti.


(…) Spero di ritrovarvi l’alfa
prima che l’omega mi abbranchi definitivamente
nella certezza del non ritorno… (pp. 37).     

 
Alti come la poesia che ama. E la poesia è il suo essere. Essere nuovo, fatto di slanci e di ritorni a cose umili e contingenti, alimentatrici del suo canto. Un flusso emotivo e intellettivo che lo impegna, estraniandolo dalla sua immanenza, dalle sue debolezze. Sì!, Vetromile ama la poesia, come ama la vita. Ci crede fino in fondo. E questo gioco ubriacante dà slanci fecondi, vertiginosi; slanci, che sorretti da prolungate e forti impalcature stilistiche -  tanta è l’urgenza di dire –, sono capaci di coinvolgerti in imprese ardue e liberatorie. E anche se il nulla ricorre spesso in questi versi, mai il percorso creativo piomba nel nichilismo, perché è proprio questo amore a portare il  poeta a ringhiare contro il nulla. Un nulla che ci assedia e lo assedia.   

 
Nazario Pardini                                                           19/03/2013