Travisamento e declino
del Logos nella cultura occidentale
Socrate, uno dei geni più rivoluzionari
ed incompresi del genere umano, definì maieutica
il proprio modello pedagogico, intendendo con il termine, in modo figurato,
l’arte di far partorire. In altre
parole, secondo il filosofo, l’educatore deve limitarsi a provocare la
fuoruscita, a stimolare l’emersione dei valori innati che ogni individuo porta
con sé. Naturalmente non si parla di apprendimento dello scibile, dal momento
che, per materie come la storia, la matematica, la geografia, eccetera, non si
può fare altro che andare a scuola da chi già le conosce. E’ in sede morale –
vuole dirci Socrate – che le cose cambiano radicalmente, giacché in quel piano
ciascuno è maestro di sé.
Può essere al più ammessa una figura
di assistente, il cui compito non è di inculcare principi, ma di stimolarne il
parto, come fa la levatrice o la mammana. Educare,
da ex-ducare, significa portare fuori. Da dove? Da dentro. Ciò
comporta di credere nei valori innati che ciascuno segretamente cela dentro di
sé. Ed è un principio fortemente democratico, sconosciuto a quanti ritengono
che l’educazione consista nel modellare le menti altrui a propria immagine e
somiglianza. Sul piano morale, vero maestro è colui che riesce ad eclissarsi
dietro l’allievo, mentre vero allievo è colui che riesce a cancellare il
maestro.
Una filosofia dell’autoeducazione o dell’autocontrollo, quella
socratica, che sarebbe oltremodo utile riscoprire oggi, nello smarrimento dei
tempi attuali. Non c’è bisogno di precetti, di direttive, di insegnamenti (i
cui docenti, come sappiamo, finiscono quasi sempre per predicar bene e male
razzolare). Ognuno ha dentro di sé il proprio faro, alla cui luce può procedere
per la ricostruzione morale di se stesso (e, di riflesso, del consesso sociale).
Una luce, occorre precisare, che impropriamente definiamo “Ragione”. Questo
termine presta il fianco ad equivoci incredibili, dei quali forse non ci
rendiamo ben conto e dei quali già i pensatori classici non si rendevano conto,
essendo stato da tempo oscurato l’orizzonte misterico della speculazione
aurorale in cui il termine ed il concetto di Logos apparvero per la prima volta.
Per i Presocratici Logos (da légein = “tenere unito”) indicava il
nucleo, il centro della sapienza e della conversazione universale. Non proprio
Dio, pertanto, nella sua configurazione primaria, ma il Divino diffuso da Lui
nell’universo intero. Per Anassìmandro, era l’Apeiron, “l’infinito che comprende in sé tutte le cose e a tutte le
cose è guida”. Per Eraclìto era l’armonia
dei contrari, la legge sovrana del mondo, la riunione del molteplice,
l’intesa segreta dei diversi in quanto partecipi dell’intelligenza cosmica. In
pratica, Logos era l’impronta divina
insita nelle cose stesse, pur restando separata e distinta da esse. Ciò
presuppone una coniugazione del divino, una sua entrata indiretta nel mondo
attraverso il conferimento delle proprie coordinate: le essenze cosmiche, le scintille
divine da cui deriva ogni manifestazione sensibile.
I Post-socratici imposero nella
speculazione filosofica una visione sempre più antropocentrica e panteistica
che gradatamente venne trascinando il divino nell’umano e nel mondo, fino
all’identificazione di esso con la ragione dell’uomo stesso, saltando ed ignorando
la cerniera intermedia, il piano della coscienza cosmica di cui qui stiamo
parlando. Su questo travisamento madornale fu fondato l’intero processo della
filosofia occidentale. E Socrate, che in realtà appartiene al pensiero
presocratico molto più che a quello successivo, venne frainteso come lo
“scopritore del concetto”, anziché del daimon,
cancellando le valenze fortemente introspettive e dialogiche della sua
filosofia per farle antesignane del pensiero razionale e dialettico.
Logos, nell’originaria speculazione filosofica, è la sapienza divina colta
nella sua opera creatrice: una sorta di laboratorio universale dove si
concentrano le forze intelligenti del creato per dare vita
alla creazione stessa. Un piano intermedio tra Dio e il Mondo. Il luogo-non
luogo della Coscienza cosmica. Il Coro angelico, la Voce unitaria del creato, la Sinfonia dell’universo
intero. Questo è il Logos nel senso
originario del termine, e non il discorrere degli uomini secondo corrette
regole grammaticali, il conversare forbito e convincente, la capacità
dialettica di primeggiare nella discussione. Non dunque l’equivalente della
Ragione umana.
Purtroppo occorre dire che la teologia cristiana, escludendo l’umano
dal Logos per riservarlo a Dio
soltanto, non ha aiutato l’uomo ad accedere al piano angelico o arcano di se
stesso ed ha contribuito pesantemente a confinarlo entro i propri orizzonti
razionalistici. Conoscere è ricordare,
diceva invece Socrate, alludendo alla sfera dei valori universali, innati in
ogni essere vivente, ma destinati nell’uomo a cadere in oblio per causa dei
condizionamenti collettivi. Ed è una conoscenza anamnestica, quella di cui egli
parlava, un risveglio tutt’altro che razionalistico.
Platone, che fu il vero antesignano del razionalismo, con il termine “archetipi” volle invece indicare non
più le guide nascoste, le coordinate intelligenti ed eterne di cui parlava il
maestro, ma le idee universali ed
astratte, le linee generali mentalmente estrapolabili dalla complessità
dell’esistente. Fu così che la riduzione del
Molteplice all’Uno venne trasferita dal piano introspettivo a quello dialettico e
la mistica presocratica si trasformò
in metafisica idealistica, soffocando
nel razionalismo il substrato misterico della cultura preesistente.
Per lungo tempo, nella saggezza popolare continuarono a conservarsi
tracce delle prime visioni animistiche, e ciò a dispetto delle culture
dominanti che le hanno sempre bollate come manifestazioni di superstizioso ed
ingenuo feticismo. Critica indubbiamente fondata, ma dalla quale non è immune
nessuna cultura, ivi compreso il razionalismo, oggi approdato al feticismo
tecnologico di cui ben conosciamo le storture. E se perfino le religioni
storiche sono affette dalla piaga feticistica, allora l’animismo delle culture
sorgive non deve essere confuso con il feticismo, che ne rappresenta soltanto
la degenerazione.
Il mondo contemporaneo ha portato alle estreme conseguenze le premesse
inaugurate dal razionalismo antico, smantellando la saggezza popolare
fondamentalmente animistica, ed anzi distruggendo l’idea stessa di popolo, come
già ebbe a dire Marx e come successivamente confermarono i filosofi di
Francoforte, per non dire delle denunce in tal senso di uno spirito ribelle
come Pier Paolo Pasolini. Ciò facendo, la cultura contemporanea ha debellato la
capacità di convivere con il mistero, propria dell’uomo di ogni tempo, sognando
un mondo di paradisi artificiali e chimerici che, a dispetto del miglioramento
materiale dell’esistenza, sta oramai rivelando il proprio degrado morale e tutte
le proprie lacune.
Si dirà che questo è soltanto un problema di adattamento ai cambiamenti
dello sviluppo scientifico-tecnologico, ed è vero. Ma la lacuna da colmare non
è di natura scientifico-tecnologica, come da più parti si sente dire, bensì di
natura morale. Il problema non è di portare l’uomo all’altezza di competenze e
di abilità che ancora non possiede, bensì di portarlo all’altezza morale del
progresso scientifico e tecnologico raggiunto. L’obiettivo deve essere di
costruire una scienza a misura d’uomo e non uomo su misura della scienza, come
si sente scandalosamente affermare da noti divulgatori in programmi televisivi
di successo.
La scienza non può insuperbire, pensando di potersi sostituire a tutte
le altre branche dello scibile, che, battendo strade diverse, da sempre
coltivano il sapere con pari dedizione e dignità. Gli antichi Egizi furono
eccelsi nella scienza, così come lo furono nel Mito e nell’amore per il
mistero, per il sacro. Quella civiltà seppe svilupparsi armoniosamente in tutte
le direzioni, mentre oggi si tende all’amputazione di sfere fondamentali per
l’equilibrio dell’umanità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, con uno
sviluppo abnorme da un lato, e dall’altro con una recessione a livelli subumani
di incultura e di inciviltà.
Nessuno pensa di frenare il progresso scientifico-tecnologico (ci
mancherebbe altro!). Sarebbe sciocco programmare delle rinunce, ma è
indispensabile compensare l’aridità delle macchine con un pari, ed anzi
superiore grado di sviluppo spirituale. Ciò di cui abbiamo maggiormente
bisogno, per reggere l’urto del vuoto imperante, è l’arricchimento interiore,
la conoscenza del profondo e l’alleanza con il mistero di cui erano dotate le
antiche culture, sicuramente meno vuote e vanesie dell’odierna civiltà. In
assenza di ciò, dobbiamo abituarci ai rigurgiti di incontenibile virulenza da
parte di un inconscio incautamente tenuto a catena; abituarci alle esplosioni
devastanti di un magma sotterraneo in
grado di cancellare ogni traccia di civiltà.
Vanamente la psicanalisi pensa di poter superare l’impasse “prosciugando il mare dell’Es” nel misero stagno della coscienza razionale. Vanamente il
Comportamentismo s’industria di uscire dalle sabbie mobili coartando la
condotta dei singoli entro regole convenzionalmente date. Tutto ciò mostra la
sostanziale superficialità della cultura contemporanea. Ed anche il suo
fondamentale manicheismo, preso nella risibile sfida del Bene, inteso come
conformismo edonistico, contro il Male dell’inadattamento. Quanto c’è da
apprendere dalle culture popolari ed arcaiche, fondate sul principio
dell’armonia dei contrari, sulla consapevolezza delle alternative possibili ed
impossibili, sulla certezza del rovescio della medaglia in ogni situazione (che
è poi, in fin dei conti, fede nell’aldilà)!
Deve essere superata, a mio parere, la visione antropocentrica finora
sviluppata dalle nostre culture, al fine di promuovere una visione del mondo
nuovamente cosmocentrica, dove sia l’uomo a ruotare intorno alla natura ed al
cosmo, e non il contrario. Occorre recuperare le stagioni iniziali della
riflessione filosofica, non certo per tornare indietro nel tempo, verso il
passato, ma per andare avanti sulle tracce di un pensiero misterico ben più
ricco e fecondo di quel razionalismo che ha prodotto molti frutti importanti,
ma i cui limiti sono oramai palesi per tutti e che deve essere abbandonato, se
si ha davvero a cuore il bene dell’umanità.
Franco Campegiani