Recensione di Umberto Vicaretti su
"IL POESIARIO VIII", Genesi Editrice, di Serena Siniscalco
A leggere i “Poesiari” di
Serena Siniscalco (quest’ultimo, ottavo della serie, ha visto la luce nel
febbraio scorso) si resta inavvertitamente e, starei per dire, prodigiosamente
estrapolati e affrancati dal grigiore delle ambasce e delle preoccupazioni
quotidiane, per essere trasportati e immersi nel mondo palpitante e chiaro,
piano e vero delle piccole cose della vita. Già, le piccole cose della vita;
momenti ed esperienze che quasi sempre sfuggono alla nostra attenzione, si
mimetizzano, anonimi e defilati elementi di un paesaggio che ai nostri occhi
propone solo primi piani, orizzonti vasti e profondi, strade maestre e maestose
montagne, mentre tutto il resto è contorno, complemento, estemporanea e
superflua presenza. E strada facendo, accompagnati come per mano dalla parola
gentile della poesia, il prodigio si manifesta in maniera sempre più evidente,
perché le “piccole cose” hanno nel frattempo cambiato profilo e vanno assumendo
contorni via via più netti, escono dall’anonimato e si fanno necessità e
risposta alle domande che ci assillano e, infine, trasmutano in sostanza e
vita, diventano sogno e canto. In questa sua tenace opera di “riqualificazione”
delle cose dimenticate o trascurate, Serena Siniscalco variamente e
generosamente “sdogana” piante e fiori, animali e ricordi, umanizza mostri,
rinfocola passioni, canzona il pessimismo dei poeti, accarezza i vinti, serenamente
metabolizza sconfitte e avversità, blandisce ed esorcizza il dolore e la morte.
E tutti questi passaggi, opportunamente ritmati e impreziositi dalla prevalenza
dell’endecasillabo, fluiscono armonicamente e senza soluzione di continuità. Non
c’è scarto, non si consumano distacchi incolmabili tra un evento drammatico,
come ad esempio in “Estremo appiglio”,
e la registrazione di una “primavera senza rondini” a causa di un “marzo tardivo” (e ciò non certamente per
insensibilià sentimentale, ma come per istintiva e consolatrice terapia del
dolore), o anche della fine dell’abete, riproposizione di “Scapitozzano gelsi” di Camillo Sbarbaro e della pascoliana “Quercia caduta”. E non si avvertono
stacchi “strutturali” ed escursioni tra il meditativo “Ma nell’immenso che ci state a fare?” de “L’enigma
delle stelle” (rivisitazione del leopardiano “ a
che tante facelle?” di “Canto notturno”) e la leggera, sbarazzina autoironia de “Il prezzo del talento”, in cui, pur
immaginando di vincere “in un poetico
concorso a Cefalù”, la poetessa viene assalita dal dubbio, appunto, “ d’esser una poetessa, ma segreto / di presunzione uno zinzino resta”.
Nel suo viaggio Serena
Siniscalco spazia per ogni dove e a tutto campo, alla ricerca di quelle “perle”, “monili iridati in fulgore modesto”, da riscoprire e riportare alla
luce, e alle quali “io tutto perdono,
persino / se sono fasulle” (“Perle”),
testimonianza insieme di fede e di consapevolezza, di razionale realismo, ma
anche dell’ottimismo del cuore, che per tutta la silloge impone il suo ritmo e
detta chiusure e approdi, ritorni e partenze: una sorta di dittatura del
sentimento del bello e del sublime, sempre e comunque protagonista positivo,
inossidabile compagno di viaggio e di avventura.
Un “Poesiario” (per inciso
raro esempio di quella “poesia onesta” che Umberto Saba tanto auspicava) che si
legge d’un fiato, una scoperta ininterrotta di buone e convincenti ragioni per
sorridere alla vita; un elogio incondizionato dell’ombra, come nella
rivelatrice “In ombra e luce”, una
sorta di manifesto della poetica di Serena Siniscalco: “La presenza dell’ombre dà risalto / alla luce, ma ne acquieta gli
abbagli, / e delle cose ne sfuma i profili, / allunga e rallenta i moti, li
adombra, / stinge, addolcisce, annebbia ovver tramuta, / fa spettri arcani.
Affascina e stupisce”. Ecco perciò definitivamente liberati e “illuminati”
quegli elementi del contesto quotidiano che, da semplici elementi secondari,
divengono protagonisti, tessere complementari, sì, ma essenziali del giorno.
Ecco, “essenziali”, appunto.
Come ne “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry,
Serena Siniscalco “riabilita” tutto ciò
che all’occhio distratto e superficiale sfugge, ma che rappresenta il magma
segreto, la struttura portante e ineludibile del vivere: “Ecco il mio
segreto. E' molto semplice: non
si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi”, ripete a sé stesso
il piccolo principe.
Sì, dunque: l’essenziale è
invisibile agli occhi. Certo, ai nostri occhi, ma non agli occhi indagatori e
al cuore fidente e visionario di Serena Siniscalco.
Umberto Vicaretti 14
marzo 2013
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