IL MIO AMICO MOHAMED
Racconto di Paolo Bassani
Mi ricordo soltanto il suo nome: Mohamed. Uno dei
tanti Mohamed dalla pelle scura, che percorrevano (e percorrono ancora) gli
arenili festanti del litorale, giungendo, con il loro carico di mercanzia, fin
quassù in terra di Lunigiana.
Era l'estate 1978. Sotto un pesante carico di coperte
e tappeti, un uomo saliva lentamente il sentiero della collina che s'apre sulla
valle, nel verde di pini, d'olivi e di castagni; qui dove a giugno immense
macchie di ginestre s'accendono di sole e lontani profumi il vento del meriggio
esala; qui dove ancora il cuculo scandisce e alterna il suo richiamo a lunghe
pause di silenzi.
Sotto il sole rovente, con quel carico pesante sulle
spalle come una croce, l'uomo era giunto davanti all'aia della vecchia casa
contadina e s'era fermato, come per riposarsi un attimo e riprendere fiato.
Poi, dato uno sguardo intorno, si avvicinò: forse perché quell'antico casolare
non gli incuteva timore ma, anzi, gli ispirava fiducia. La casa, infatti, non
aveva cancelli, reti o muri intorno ma solo olivi, pergole e filari. Non aveva
neppure aiuole di giardino per fiori signorili; né per guardia il cane lupo, ma
un vecchio gatto seduto sulla soglia. Il forestiero fece un cenno di saluto e
ancora distante, quasi per chiarire le sue intenzioni, disse: "Signore,
dai acqua...sete..." Fu accolto cordialmente per quel senso di
ospitalità che sopravvive fra la più antica gente contadina di questa terra. E
per tale ragione, invece dell'acqua gli fu tosto offerto un colmo bicchiere di
vino.
"No vino! Acqua..." disse con garbo il forestiero.
"Ma questo è vino nostro, della nostra uva.
L'abbiamo fatto noi!” replicò
il padrone di casa: Alfredo, il vecchio mezzadro che teneva ancora in mano il
fiasco.
"Acqua, solo acqua..." insistette il forestiero.
"Ma se proprio volete l'acqua... E' fresca.
L'abbiamo presa alla vasca poco fa. Posate pure la vostra roba e mettetevi qui
all'ombra. Oggi il sole non scherza: batte davvero! E poi a quest'ora.!"
L'uomo, liberatosi dell'ingombrante carico, pareva un
cavaliere che, toltasi l'armatura, fatica alquanto a ritrovare la normalità dei
movimenti.
E' sorprendente come nell'incontro fra persone
semplici spesso si stabilisca un dialogo immediato. E' l'umanità che affiora
oltre le vicende della vita. Così il forestiero incominciò a parlare: in modo
frammentario, con quel poco di italiano che aveva imparato. Ci mostrava la sua
mercanzia, ma pareva anche desideroso di far conoscere la sua storia. Si
chiamava Mohamed... Era di nazionalità marocchina. Era stato
"ingaggiato" come tanti altri suoi connazionali che, per poche
migliaia di lire e per un pasto, percorrono giornalmente chilometri sotto il
sole infocato dell'estate con il loro pesante carico. Non padrone, dunque, ma
soltanto venditore per conto altrui. E questo volle ripeterlo più volte. Una storia semplice, come tante altre, con un risvolto
amaro come è amara la vicenda di ogni emigrante. Aveva lasciato il suo paese
per venire qui in Italia a fare "la stagione", con la speranza che,
in autunno, sarebbe tornato con un discreto gruzzolo alla sua terra: laggiù al
limitare del deserto dove, nella piccola casa dal tetto e dai muri bianchi
adagiata all'ombra delle palme e al canto delle antiche nenie del Corano, lo
aspettavano la sua sposa e i suoi bambini. Da un logoro portafoglio sfilò una
vecchia foto e mostrò con orgoglio la sua famiglia. Ci fu chiaro, dunque, perché non aveva accettato il
vino; e come non avrebbe preso altre bevande alcoliche, né mangiato quelle
fette di mortadella nostrana che,
frattanto, Alfredo aveva tagliato per lui. Fu allora che provammo, per quell'uomo venuto da
lontano, un grande rispetto, quasi una tenerezza e, insieme, il desiderio di
manifestargli la nostra amicizia, che nasceva istantanea davanti alla sua
dignità di ultimo uomo.
Avremmo voluto dirgli:"Sii il benvenuto.
Riposati, ora che il sole arroventa le pietre e le cicale disperdono il canto
del loro abbandono. Rimani! E' ancora lungo il giorno. Non abbiamo molto da
offrirti: solo pane, la torta di riso e il dolce coi pinoli. Ma te li offriamo volentieri." Non
trovammo però queste parole. Sapemmo soltanto dire: "Prego...
accomodati... prendi qualcosa..." E dovemmo ripetere l'invito più
volte prima che Mohamed accettasse. Ora nei suoi occhi si leggeva una commossa
gioia: non per aver venduto una coperta, ma per quel bicchiere d'acqua fresca e
per quella fetta di pane scuro profumato d'amicizia. Passò in fretta il tempo del riposo. Il nostro ospite
aveva ripreso le sue cose e adesso, con un sorriso, ci porgeva la mano. Riuscì
a sussurrare un grazie e una frase che non capimmo. Era forse il saluto nella
sua lingua, l'augurio che al suo paese si porge nell'addio. "Ciao, Mohamed! Se un giorno ti troverai ancora a
passare lungo la strada che costeggia il fiume, torna fin quassù. Sarai il
benvenuto". E l'uomo dalla pelle scura, con
sulle spalle il pesante fascio di coperte e di tovaglie, si voltò ancora per
l'ultimo saluto. Poi scomparve nella via deserta che si perde tra gli olivi. Sono passati molti anni ormai, ma Mohamed non è più
tornato. Stagioni e stagioni si sono alternate: sole e gelo, frinire di cicale
e ululato di venti tra i pini e gli olivi della costa. Si sono disperse le
foglie; sono rinate e disperse ancora. Anche Alfredo se ne è andato: è là sul poggio
innanzi alla valle dei Mulini, unito per sempre alla sua terra. Il casolare di quel lontano giorno d'estate non esiste
più. È stato abbattuto dalle ruspe, come un animale mortalmente ferito,
inutile. Tutto è stato sconvolto: olivi con le radici al vento, vigne strappate
dai filari, disperso il biancospino. Sui campi divisi da confini sono sorti
muri di cemento, cancelli e reti; ed anche
questa storia si è dispersa nel
vento, lasciando un velo d’ombra nel cuore di chi l’ha vissuta.
Paolo
Bassani
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