Gianni Rescigno: Sulla
bocca del vento. Il Convivio. Castiglione di Sicilia. 2013. Pp.
136
Alleggerire il peso della vita
per trasferirlo in cielo
Un lavoro di diacronica
complessità poetica, di rielaborazione intimistica, e di grande impegno
strutturale, questo di Gianni Rescigno. Diversi rivoli confluiscono in un unico
fiume che, scorrevole, armonico e cristallino, ben protetto da argini solidi,
sfocia in un mare d’amore e di speranza. Un’Antologia poetica che rivela, in una
successione di momenti espressivi, continuità d’intenti, di esperienze umane, e
di tecniche prosodiche. Un’Antologia che riunisce piecès tratte da cinque
sillogi che sanno trovare la loro unicità, la loro voce unisona, monocorde sia
per tecnica che per ricerca poetica. É proprio la forza lirica di Rescigno, il
suo stilema a mantenere il poiein su livelli di alto spessore etimo-fonico,
linguistico-figurativo. E non di rado sia il verbo che la sintassi subiscono
dilatazioni, e originali violenze creative per accompagnare quantità emotive che
sgomitano per uscire: “Ci consegniamo
muti/ al cammino dei sogni”, “La luce odorava d’umidore”, “Gonfio di spine/
ingrosso mare nello sguardo”, “e una mano amica che ti poggia/ sull’omero parole
d’amore non dette”, “Sono filo d’erba/ sula
bocca del vento”.
Ad arricchire l’opera, a renderla più
preziosa, a livello filologico e linguistico, la traduzione in francese, testo a
fronte, per mano di due autorevoli scrittori, quali Paul Courget e Jean
Sarroméa. Traduzione che denota uno sforzo non indifferente. E rendere in altra
lingua l’originalità dello stile di Rescigno non è certamente cosa semplice.
Comunque, considerando che la lingua d’oltralpe contiene già innate, nel suo
substrato, grazia e armonia, e che tali peculiarità non sono secondarie nella
cifra espressiva del Nostro, credo che questa lingua aiuti, non poco, il compito
del traduttore. Ma si devono pur mettere in evidenza, obiettivamente parlando,
le difficoltà verso cui si va incontro, dovendo rendere a livello etimo-fonico,
tecnico-metrico, e più ancora emotivo-creativo, il messaggio originale. Visto
che, non di rado, l’autore ricorre a forzature sintattiche volte ad assecondare
le richieste del sentire. E che non sempre è facile reperire parole e sintagmi
che accostino tanto patrimonio umano.
E tanti sarebbero gli esempi cui
ricorrere, e su cui riflettere per evidenziare l’importanza della disputa
critico-lettreraria sulla resa delle traduzioni. Cosa che si accentua,
naturalmente, trattandosi di poesia. Dovendo questa dire dell’autore con un
linguaggio più conciso, più immediato e più folto di pointes allusivo-creative. In questo
caso, non si vuole sminuire affatto il lavoro del traduttore, che riconosciamo
il più possibilmente vicino agli intenti contenutistico-formali del Nostro. Ma non mi voglio dilungare oltre,
scendendo nei particolari.
Ma, per tornare al nocciolo della
questione Rescigno, sono molteplici le occasioni poetiche di questa Antologia; e
la scelta è oculata, quasi tematica, direi, e basata sui principi estetici e
vicissitudinali di un modo di pensare, e di sentire, che spesso è turbato dalla
coscienza di una fine. Tutto ritorna al poeta, al suo pensiero. Niente è solo
descrittivo. Tutto contribuisce ad esaltare la sua intimità. Ed il linguaggio si
fa di un allegorismo pronto ad ampliare il messaggio. Si spazia dal realismo
quotidiano, alla malia del sogno; dalla caducità dell’esistere, a un memoriale
di grande intensità emotiva; da questioni prettamente terrene, ad altre di
valore escatologico; dal patema di essere mortali, alla fuga da tale
ristrettezza. E non di rado il poeta fa sentire il bisogno di una spiritualità
che vada oltre il contingente:
Dacci oggi la
speranza
come ce l’hai data
ieri
(…)
fino all’ultima
sera
quando te la
rimetteremo
per sempre nelle mani. (Pp.
15).
A dominare su tutto, alfine, è
questo motivo che fa da cucitura all’intera opera. E spicca un credo consapevole
e determinato a produrre speranze pronte a vincere dolorose sottrazioni. Un
credo che porta l’autore a staccarsi dalle cose, o meglio, a trasferirsi, zeppo
di questioni esistenziali, oltre le questioni stesse. Pur carico di voci di
mare, di estensioni di terra, di vini e di pozzi, di autunni morenti, di strade
di sole, o di colline dormienti, il Nostro riesce a far leggero questo peso,
volando verso cieli che sanno tanto di fede e di
azzurro:
Dell’angelo ognuno
sentiva
l’orma della mano sulla
spalla.
L’aria di scirocco si
calmava.
Diventava respiro di silenzio.
(Pp. 13).
Sei punto d’arrivo o
Luce.
Felicità e infinito.
Silenzio e Dio. (Pp.
131).
Ma è nella terra che Rescigno
zuppa la sua essenza vitale. É nel miracolo dei suoi colori, delle sue forme,
dei suoi profumi che si sperde e si annulla con un processo di metamorfosi
spirituale di grande impatto panico-lirico. Persino l’idea di morte, che tanto
l’assilla, si azzera al primo palpito del giorno:
La prima parola del giorno il
vento.
E se ne vanno i morti dal
pensiero. (Pp. 129).
Non hanno casa i
poeti.
Vegliano il sonno del
sole,
seduti sotto il cielo. (Pp.
119).
É in questi giochi naturalistici
che riesce a trovare l’alimento indispensabile per dare vigoria visiva alla sua
anima. Perché:
Siamo mare aria
terra
viaggi di
pensiero
cuori delusi
affacciati
alla finestra della
notte.
Per prendere forza dalla
vita
le rubiamo gli occhi. (Pp.
45).
E il memoriale ha doppia faccia;
assume un significato di dicotomico aspetto: da un lato di sofferenza per
assenze e sottrazioni, dall’altro di conforto, di riavvicinamento a persone
care, a momenti gioiosi, a episodi basilari del vivere e dell’esserci.
D’altronde il Nostro sa che la vita è fuggevole, che l’attimo è fugace, e che
siamo fili d’erba in preda alla intemperie, in uno spazio di luci ed ombre di
effimera durata:
… ed è mio l’esilio d’un
grillo
confinato
dall’estate
su un ramo
sfrondato
a cantare l’ultimo dolore
d’autunno.
Entro senza accorgermene
straniero
nel silenzio di un’altra
stagione. (Pp. 11).
mi manca il tepore delle tue
ginocchia
la terra sterminata della
speranza
su cui lasciavi andare a
larga
mano il magico seme della vita.
(Pp. 75).
Mi pare d’annusare il tuo
profumo
nel ricordo. Dove si
nascondeva
la cicala lo
raccoglievano
passando i tuoi panni. (Pp.
93).
Escono con fluidità ed energia
sonora quei grovigli interiori decantati nel tempo. Vogliosi di rivivere. Di
riprendere i loro corpi negli orizzonti marini, nelle distese dei campi, o nel
solatìo delle vigne; coscienti, anche, che nei cieli, solo nell’immensità dei
cieli ci sono:
supermercati di
fiori
e tutti
i giorni le anime
se ne
inghirlandano il capo.
Si
festeggia il compleanno
di ogni
profumo. (Pp. 81).
Sì!, questo è Rescigno, questo è
il suo mondo e questa è la sua poesia. Una versificazione che abbraccia ogni
ambito dell’animo umano. E anche se il suo discorso appare spesso terreno,
troppo terreno e anche se si aggrappa con slanci spirituali all’oltre, pur
tuttavia, è il profondo senso della sacralità della vita a fare della sua arte
un poema edificante. Tanto è vero che sente questo bisogno continuo di ripescare
il passato, di riattualizzarlo, quasi per annullarsi, e riprendere fiato dopo
una corsa senza respiro; sì!, per annullarsi in stormi di primavere:
Quando
sei arrivato al traguardo
e
t’accorgi che la vita
è stata
una corsa senza respiro
vorresti
che ti ripassassero sul capo
tutti
gli stormi delle primavere
per
poterne ascoltare le voci
e
vederne i lanci in picchiata.
Nazario Pardini
21/02/2013
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