venerdì 8 marzo 2013

MIRIAM L. BINDA SU: "DICOTOMIE"


DICOTOMIE

AUTORE: Nazario Pardini

The Writer Edition - Milano

 







 

In questa raccolta di poesie dal titolo Dicotomie,  pubblicata nel 2013,  si scorge  in modo ancora  più pregnante  un Nazario Pardini ispirato ed illuminato dalla  nostalgia delle cose elementari, quotidiane e semplici.
Credo sia poeticamente redditizio, in certe ore del giorno o della notte, riportare a nuova vita, sollecitando la memoria,  questi oggetti oramai a riposo:
ticchettìo di forbici, ombrellini di carta, ruote di carri, che hanno percorso lunghe distanze, falcino nelle mani di una madre che lavora, tramonti che lisciano i campi; e aratri....aratri  di una gioventù spersa vicino ad un albero antico in cima a una collina.  

 

Ci sarà' sempre l'albero

l'albero di acacia ad attendere un volo di farfalla....

(L'albero in cima alla collina - pag. 25) .

 

Questi oggetti del passato, nella poesia di Pardini, evidenziano  il rapporto tra l'uomo e la terra  e diventano la lezione più   importante per il Nostro poeta. Una lezione tratta dall'usura che le mani hanno inflitto alle cose, un insegnamento che  conserva un   pathos  capace di infondere quel fascino umano o forse "umanizzante  di sensibilità" che   ancora ha valore nella  realtà di questo mondo.  
Senza cadere in un soliloquio morale, Nazario  Pardini  mette poi a  confronto  questa realtà-verità  coesa alla  semplicità della vita  contadina, con la realtà-mistificata del rutilante benessere dei nostri giorni. Un  benessere  tra persone che  (si lanciano sguardi, le borse, i vestiti i paletot ( Per strada -  pag. 39)) transitano  nel brusio delle strade tra volti di gente che passa e quasi si sfiora nelle "vasche" dei centri commerciali indifferente e ammutolita; talvolta distratta, anche, dai fatti di violenza, perché,  come dice  Pardini,  sulla strada ancora c'e' guerra.

 

C'e' guerra  si ritorna;

e un botto deflagrante irrompe attorno:

dei ragazzi violentano la vita

per qualcuno in dormiveglia con in mano

l'immagine di un Cristo Salvatore.

(Sulla strada c'e' guerra - pag. 33)

 

A questa condizione di apatia relazionale che tende a scadere, se così si può dire, in una  patologica deriva  di coloro che violentano (inconsciamente)   la propria vita ed inconsapevolmente anche  quella di altri individui,  il Nostro  contrappone  l’azione patriottica di giovani ragazzi che, in passato, hanno combattuto una guerra per la libertà della Patria:

 

Morirono brandendo una bandiera,

venivano dai luoghi piu' lontani,

lasciando casa mogli, e terre incolte(....) 

le loro tombe vogliono rispetto

le loro tombe gridano e pretendono

di non essere cumuli di polvere

contenitori d'ossa senza nome.

(Per i 150 anni dell' Unita' d'Italia -  p.31)

 

Il tema principale dell'intera silloge, il leit-motiv, resta  comunque il rapporto dell'autore con la natura la cui bellezza inonda gli occhi di meraviglia, anche ai giorni nostri;  basta semplicemente  vedere ed ascoltare la sua musica. La storia di Beppe ne intona il canto con una vicenda umana, educata e  cortese;  Beppe  non è diventato  un "cittadino";  è rimasto contadino e  la sua semplicità equivale alla gioia  vitale che brilla sulla terra!

 

Amava quella terra. La campagna

lo riempiva di gioia. Era la vita.

Quand'era solo in mezzo ai suoi raccolti

non chiedeva di piu'. La mattina

indossava i suoi stracci e al primo sole

prendeva lo stradone per i campi.

L'accompagnava un'alba d'erba nuova

che usciva in fondo al monte a discoprire

la vastità  del cielo. Sprigionava

il nascere fecondo della vita

collo sfrecciare d'ali già veloci

al primo accenno di luci, e diffondeva

il sentore dei campi che si sposava al vento.

(Beppe  - pag 87).

 

Queste sono poesie della memoria; poesie ispirate dai ricordi di un tempo vissuto  a contatto con  l'innocenza di chi  ha lavorato nei campi. Poesie che  offrono idilliaci scenari di una vita paesana guadagnata con  la fatica di un onesto lavoro. Una  passione che non ha bisogno di atti sconci  per cogliere tutto il piacere dell’esistere.
E il Nostro riesce a seguire  queste vicende zeppe d'umanità, trasferendole nel ciclo inesorabile delle stagioni, con metafore che s'innescano e si susseguono  in colori e  suoni della propria esperienza e con intonazioni  di rara bellezza: 

 

Se questo mio autunno vorrà

attenderò' sia fertile il terriccio

che nutre la mia anima. Su quello

innesterò di nuovo i semi sparsi

e ritrovati. Credo che cresceranno

e torneranno in fretta fusti snelli,

a un'aria un po' più' mite.

Spero solo in un albero folto ed affollato

di freschi giovanili, proprio la',

sotto quei freschi,

voglio tornare a vivere.

(Ora e' il tempo  - pag 57)

 

Nella seconda sezione di Dicotomie, dal titolo  D'amore di terra e di mare (anni 1980-1990), si conferma  l'idea iniziale di un cliche'  che aggiunge  ai luoghi  della memoria intime meditazioni e confidenze: 

 

Delia e i tuoi sorrisi,

Delia le vesti bianche,

Delia i tuoi occhi cielo

e la pelle chiara

e la paura vergine,

mia Delia,

quando correvi sola.

Vibravano le cime nell' azzurro.

t'accompagnava un canto,

su per un manto verde,

dove si perde ancora il tuo sorriso,

ed il mio viso a stento,

ritrova bianche perle

ai bordi della vita.

(a Delia - pag. 94).

 

Nella distrazione del quotidiano, il dolore e  la solitudine  (una solitudine assordante) emergono dal profondo;  e visioni,  forse, dettate dalla disillusione, si rivelano in: siamo sperduti nel cielo su un corpo senza luce (....) (Solitudine - pag. 120).   Un dolore che allude alla morte ed attinge dal dubbio nichilista (tanto caro ai poeti esistenzialisti) l'immanente concretezza della nostra nullità.  Dolore in  dicotomia con la  forza inquieta del mare, con i suoi moti perenni e le onde sfuggenti dei giorni. Giorni finiti ed abbandonati  (forse feriti),  come dice il Nostro,  sul grembo della sera. Ma il grembo della sera e' come una  madre;   la sua  presenza rigeneratrice e protettrice reagisce colla luce del mattino.  Questa luce può essere sogno, utopia, o amore che s’invola  ancora con le sue ali?  A dircelo è sempre il poeta che  offre  a quell'alba l'incantesimo del chiarore;  e  la sua voce.... diventa  poesia. 

 

Il mare

annulla la morsa della notte

e l'alba nasce

là dove pasce il cielo,

là dove il gelo non arriva mai.

(L'alba - pag. 139)

 

Alla fine del testo un nutrito apparato di note critiche. Sono davvero tante  le citazioni  che fanno da  cornice alla silloge in una vera trasposizione antologica-digitale,  perché, come tutti sanno,  Nazario Pardini  è anche un blogger. E il suo blog,  Alla Volta di Leucade, accoglie e  propone notizie  letterarie e qualificate opere di autori; e serve, anche,  da "stimolo" per chi, oggi..... ancora crede.... nell'arte della poesia  e nella sua saggezza d'impegno civile!

 

Miriam Luigia Binda                                                           07/03/2013


 

3 commenti:

  1. Grazie per la sua cortesia e per il bellisimo libro di poesie: DICOTOMIE che raccoglie, alla fine, numerose e preziose altre critiche letterarie. Miriam

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    1. Una voce poetica da seguire con tutte le Dicotomie del case. Ache per andare un po' in dietro nel tempo e ritrovarsi a contatto con le cose essenziali che per errore, qualcuno potrebbe scambiare per troppo semplici.
      Ciao.

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    2. Condivido pienamente, quello che dici ma aggiungo un'osservazione che mi hai fatto notare in altre occasioni e riguarda la giusta osservazione sul contatto delle cose essenziali. In questa poesia dell'autore Pardini, come è stato annotato nel commento critico, resta presente quel genere di cultura, mi permetto di definire, cultura dell'individuo e non solo della conoscenza delle cose e degli oggetti (andreia! come dicevano gli antichi) il coraggio di esprimere la vita anche attraverso l'epica. Matteo

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