Luciano
Nota Tra cielo e volto Edizione del
Leone, Mestre, 2012
Luciano Nota in ogni suo libro tenta sempre di
nuovo il colloquio con il lettore. Colloquio in forma di soliloquio. Soliloquio
dell’anima con il «cielo». Qui non c’è alcuna opposizione tra il letterale e il
figurato, c’è equivalenza e somiglianza; c’è ancora corrispondenza tra le cose
e le parole, e l’io è il vaso che congiunge il cosmo con il qui e ora. Mi viene
in mente quanto scrisse Nietzsche a proposito del domandare, cito a memoria: «il
colloquio che io rivolgo a un interlocutore è per sapere se abbiamo la stessa
anima»; Nota fa poesia appunto per capire se lui e il lettore hanno la stessa
anima: è il principio di identità A=A che regge il suo universo poetico e, di
conseguenza, il tropo fondamentale è il soliloquio (ovvero, il colloquio con
l’altro da sé), il colloquio tra il particolare (il soggetto) e l’universale
(Dio), la parafrasi, per l’impossibilità di raggiungere la particolarizzazione,
il dettaglio, la singolarità; nella sua poesia non può esserci la metafora, che
è ponte gettato sugli abissi tra le cose; non c’è il traslato, che è il
sentiero che costeggia due continenti diversi; non c’è lo straniamento di
immagini, che sottenderebbe implicitamente che le immagini siano diverse le une
dalle altre, il polemos e la dis-sonanza.
Paradiso
è il viso
rivolto allo spazio.
Il contrario
di un pigro profilo
separato dal tempo.
è il viso
rivolto allo spazio.
Il contrario
di un pigro profilo
separato dal tempo.
*
Dalle perle che cadono dal cielo
pongo d'istinto le atmosfere.
pongo d'istinto le atmosfere.
Poesia della reminiscenza, della
trasparenza e della compresenza universale dove il tutto confluisce nel tutto
ma si oppone alla peccaminosità, alla dittatura dello sguardo: tra cielo e
volto c’è soltanto una differenza di altezza ma non di sostanza, scrive Luciano
Nota, la temporalità non fa parte di questa poesia perché essa abita il luogo
della Storia, della dif/ferenza, della dis-sonanza, del conflitto. Poesia di
atmosfera, dunque, rarefatta, quintessenziale per l’impossibilità di attingere quell’universale
cui anela con tutte le proprie forze, o forse perché il vero universale non
sono le «cose» ma le «essenze» delle cose e tra le cose, separate dal tempo e
dallo spazio. In «principio», per Nota, non c’è né ci può essere il peccato ma
un semplice esser-così, la «naturalezza», finanche l’ingenuità della identità e
della corrispondenza di tutte le cose e di tutte le parole in un luogo privo di
peccato e di Storia:
Sono Adamo.
Non ho ombra che mi veli.
Non t'intralci la mia naturalezza.
Accomodati.
Non ho ombra che mi veli.
Non t'intralci la mia naturalezza.
Accomodati.
Un neo-adamismo, forse si può definire così la
poesia del nostro autore, un adamismo che fa il paio con il panismo dell’io e
del creato. Una posizione paradisiaca, di prima del peccato originale, di prima
della Storia e del tramandamento, dove reminiscenza e conoscenza si
equivalgono. Perché se c’è reminiscenza tutto è già in noi, già sappiamo in
fondo all’anima ciò che siamo.
Giorgio Linguaglossa
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