lunedì 25 marzo 2013

P. BASSANI: LA SCAMPAGNATA DI PASQUETTA


LA SCAMPAGNATA DI PASQUETTA

Nostalgia per una bella tradizione scomparsa

 

Frammenti di ricordi messi insieme

da Paolo Bassani


 


 


“Che cosa rimpiange del passato?”: fu chiesto un giorno a Ungaretti, durante un’intervista televisiva. Con l’arguzia e la simpatia che gli erano proprie, il grande poeta vegliardo rispose: “Il canto dell’ubriaco”; e subito -quasi a voler chiarire il suo pensiero al perplesso cronista che gli aveva posto la domanda - soggiunse che, proprio la scomparsa del canto dell’ubriaco, era la conferma di quello stato di malessere tipico dell’inquieto vivere moderno. Non significava che l’ubriaco era sparito ma, piuttosto, che egli stesso si era trasformato: aveva perduto quella sua caratteristica allegra per chiudersi in se stesso, divenendo triste e spesso aggressivo. Non a caso ho voluto ricordare questo episodio; c’è in esso come potete vedere, un legame con questi miei frammenti miranti a rievocare un momento particolarmente simpatico della vita spezzina. Se anche voi siete della mia generazione -non più giovani, per intenderci- certamente vi ricorderete con una punta di nostalgia di quel lunedì dell’Angelo che era per noi il giorno della scampagnata. Già nel mattino le vie che conducevano sui colli, da Porta Genova a Porta Isolabella, da Via XXVII Marzo a Porta Castellazzo e su su fino a Sarbia, e così la strada che portava alla Foce, si animavano di gente festante: uomini e donne, giovani e anziani: intere famiglie che arrancavano sui ripidi tornanti portandosi grosse borse e sporte ripiene. E con l’andar del tempo le vie si affollavano sempre più assumendo quasi l’aspetto di un pellegrinaggio, tanto che la sede stradale pareva divenuta un percorso riservato ai pedoni. Così quella marea di gente saliva verso la campagna, accampandosi sui prati che si affacciavano lungo il cammino. Nasceva in questo modo la più spontanea e cara festa campestre degli spezzini. Nell’aria luminosa della primavera, come un concerto s’innalzavano le voci, mentre la gente, seduta sulle alture, sembrava occupare gli spalti di una maestosa arena innanzi all’incantato spettacolo del golfo. C’era allora un’armonia...un modo diverso d’essere, che nasceva forse da una vicinanza, da un incontro, vorrei dire da uno spirito paesano. C’era una maggiore disponibilità ad apprezzare le cose semplici, dovuta forse al fatto che poche erano le possibilità offerte da quei tempi. E tuttavia questa limitazione non impediva, ma facilitava il trascorrere di momenti sereni. Anzi, sotto questo punto di vista il successo era completo. Il segreto era dunque proprio lì: in quel modo immediato e fresco di comunicare e di legarsi agli altri. Bastava sedersi sull’erba, davanti ad una ruvida tovaglia che offriva fette di pane scuro, un piatto di cotolette, qualche fetta di torta di riso e un fiasco di trebbiano, per ritrovare poi l’allegria e un nuovo gusto per la vita. L’automobile -che avrebbe cambiato tante abitudini- non era ancora arrivata, e neppure si pensava ad essa. Non era ancora giunto il caotico fine settimana fatto di caselli, di code snervanti e d’autostrade, di ristoranti “tipici”, di piatti e bicchieri di plastica. La campagna, a due passi dalla città, era ancora aperta e pulita, e limpido il cielo e più chiaro il sole e più vero l’avvento delle stagioni. La scampagnata di pasquetta era più di una tradizione: pareva divenuta un rito. Era l’incontro con la primavera. E allora la buona stagione giungeva puntuale all’appuntamento; non come oggi che ci mostra spesso un volto malato, ove s’accenna e sfiorisce effimero annuncio di rondini mute che non si fermano più. A volte, facendo il confronto tra passato e presente, mi chiedo che cosa ricorderanno dei loro tempi i giovani d’oggi. Certamente non la nostra scampagnata di Pasquetta. Essi non hanno vissuto quel momento; non perché non vollero, ma perché non lo trovarono. Fu certamente colpa dei tempi che, offrendo nuove possibilità, promisero migliori occasioni di svago, ma fu anche colpa dell’uomo che, abbacinato da tante novità, credette di emanciparsi fuggendo dalla semplicità di molte tradizioni; pensò d’essere più libero chiudendosi in se stesso, più moderno rifuggendo da quello spirito paesano che ancora lo legava al passato, alla gente, alla terra. Tornava la gente a sera giù dai Colli e dalla Foce, finendo in canto quella serena scampagnata di pasquetta. E quando già nella notte brillava la città di luci, e la faccia della luna spargeva il suo quieto e pallido chiarore, ancora qualche voce...qualche canto s’indugiava lungo la strada che scendeva. Come Ungaretti, anch’io, per quel lontano canto che nasce dal ricordo, oggi sento tanta nostalgia.

 

Paolo Bassani

 

1 commento:

  1. Ho riportato questa pagina della memoria nel mio ultimo libro "RIVERBERO", che sta uscendo in questi giorni.
    Paolo Bassani

    RispondiElimina