Ho
ricevuto la Silloge
dell’amica Giusy Frisina “Luna perduta” edita dai tipi di Sette Ponti e ho
preso atto, una volta di più, che l’autrice è poesia pura, legato alla magia e
alla filosofia, che non si vergogna di rompere gli stampi, di camminare sul
filo spinato e di piangere in mezzo alla strada. La sua raccolta è un unicum,
pur trattando vari argomenti, un grido visionario e magnifico contro ogni forma
di guerra, e si può leggere come un romanzo in versi. La luna, cantata da
sempre, come afferma nell’ottima prefazione Annalisa Macchia, scivola giù, e la
sua caduta è un topos che affonda le radici nella letteratura classica. Invece
di essere eterea ed eterna diviene mero contenitore delle disgrazie
dell’umanità. Soffre e soffre disperatamente. Gli individui non hanno perso il
mondo con la morte di Gesù, ma quando si sono resi conto che con i propri errori
calpestavano lo stesso sacro che prima avevano venerato e considerato
intoccabile. La caduta dell’astro può essere avvertita solo dal poeta, cantore idealista,
consapevole che l’Apocalisse annunciata è all’inizio di se stessa, perché la
fine precede tutta la nascita e rappresenta lo svelamento dell’intera umanità.
“L’ Apocalisse era già scritta / ma è tutta colpa nostra / se i ghiacciai si
sciolgono / e il mare sta avanzando./ Se i pesci e gli uccelli piangono / e
anche Dio piange con loro” - tratti da “A
cento secondi dalla mezzanotte”. Giusy
insegna che scrivere poesie è un’arte lontanissima dalle cosiddette torri
d’avorio. Il poeta deve levare alto il suo grido per ogni dramma che riguardi
la comunità. Avere la terra e non rovinarla, per esempio, è la più bella forma
d’arte che si possa desiderare. Le generazioni future giudicheranno coloro che
sono venuti prima di loro sulle questioni ambientali e potrebbero arrivare alla
conclusione che loro ‘non sapevano’, invece è inevitabile passare alla nostra
storia come alla generazione che sapeva, ma non si è preoccupata. L’opera
dell’autrice abbraccia temi collettivi e la sua poesia civile rimanda
all’etimologia della parola: ‘civis’, che in latino vuol dire cittadino. Viene
quindi instaurato un legame tra la bellezza del lirismo e l’essere cittadini.
Con la sua scrittura la Nostra
vuole intervenire attivamente sulle realtà complesse e dolorose, dimostrando
che l’arte può incidere su di esse. Splendidi a questo proposito i versi
dedicati a Jean Jaurès, promotore del pacifismo nel nome del socialismo e del
disarmo e del dialogo delle potenze schierate nella catastrofe della Grande
Guerra. La sua uccisione coincise con la mobilitazione della Russia e segnò la
fine di ogni spiraglio di pace. “A Jean Jaurès / che non voleva la guerra / e
morì in piazza urlando / contro le torce accese del razionalismo”- tratti da “A jean Jaurès” Efficacissimo in merito
alle tematiche trattate il riferimento agli angeli di Rainer Maria Rilke delle
Elegie duinesi. I primi versi di queste Elegie ci fanno sentire il brivido
carnale della nostra mortalità L’autrice mette in luce come l’uomo di oggi,
anche il credente, non ha più alcun rapporto con il suo angelo. Nel poemetto si
staglia, sublime, la lirica “Per non
lasciare che la guerra impazzi”: “Per non lasciare che la guerra impazzi /
dovremmo imparare ad amare il nemico / e solo così potremmo cambiarlo.../
Potrebe averlo detto Gesù / oppure San Francesco, / ma se lo dici tu / cambia
colore il mondo relativo…” I versi toccano il punto chiave dei conflitti. In
campo vi sono ragazzi giovanissimi di diversa nazionalità, ignari dei motivi
per cui devono schierarsi gli uni contro gli altri. Nelle guerre che
attraversano l’Europa e il Medio Oriente attualmente pagano la follia dei
governanti anche i civili, donne, anziani e bambini, e come si potrebbero
considerare nemici le creature innocenti? Splendida la postfazione di Jacopo
Chiostri che affresca Giusy Frisina nella sua essenza, asserendo che “si
affaccia a una finestra per salutare quel cerchio pallido, consumato dalla
responsabilità di ogni notte risvegliarsi e farsi carico del compito di
sentinella delle umane debolezze da quella finestra…” Una citazione che rende
onore alla silloge e alla poetessa, dipingendola come affranta spettatrice
delle umane vicende e, al tempo stesso, donna animata dalla volontà di cambiare
lo status quo. Quella finestra è strazio e speranza. Riferendoci al mare,
elemento vitale di Giusy, lo vede contaminato, ferito, ma resta convinta che
non ci sia nulla di più bello al mondo
delle volte in cui cerca di baciare la spiaggia, non importa se viene regolarmente
mandato via. D’altronde per quanto tradito dagli esseri umani, resta la realtà
più vicina all’infinito che conosciamo. E anche noi, come l’acqua che
sciaborda, siamo viandanti in cerca del ‘mare possibile’. “Siamo nel mare
dell’impossibilità, / mai il mare mi è sembrato così nero. All’orizzonte nessun
faro / nessun appiglio per cercarci! / Eppure incombe l’invisibile / in questo
vuoto disastroso / e il nostro volto vero si confonde/ con il suo vero volto /e
talvolta - chissà come - / si cammina sulle acque…” - tratti da “Impossibile mare”. L’ultimo di questi
versi dimostra come il Poemetto di sangue e filo spinato ha risvolti
commoventi. Nelle difficoltà possono verificarsi i miracoli, perché abbiamo
bisogno di un rinascimento della meraviglia, di rinnovare nelle nostre anime il
sogno immortale, l’eterna poesia, il senso perenne che la vita sia anche magia.
Il miracolo narrato dai Vangeli, avvenne in una fossa tettonica, una depressione
di più di duecento metri sotto il livello del mare, creatasi dal distacco delle
placche araba e africana. Si tratta del lago di Tiberiade in Galilea. Gesù
camminava sulle acque per convincere gli apostoli che nessuna tempesta avrebbe
potuto affondare la barca sulla quale viaggiavano diretti a Betsaida. L’autrice
nella lirica citata e in molte altre ricorda a se stessa e a noi lettori che la
speranza conduce più lontano della paura. “Propizio
è attraversare la grande acqua, / dice la saggia sentenza - / e tu soltanto
sai cosa vuol dire - / mare di profughi in fuga / con diritto di asilo /temporaneo ed eterno - /in attesa
della pace / e del mare universale / di tutti e di ciascuno. / Senza confini” -
tratti da “Pax marina”. In questi
versi in levare Giusy Frisina si riferisce a un’espressione di l’I. Ching, il Libro
dei Mutamenti della filosofia orientale, che univa speculazioni a simboli,
trigrammi ed esagrammi, sviluppati secondo una logica numerica binaria. In
questa sede credo sia fondamentale l’ispirazione, che perviene dalla saggezza e
dall’elemento Acqua (Sapere e Conoscenza), che ci accompagnano come liquido
amniotico che nutre il feto. La citazione si identifica con il vedere il grande Uomo rivolgersi a una
guida sicura, che a quei tempi corrispondeva all’oracolo o allo sciamano - Re. Il Libro prevedeva l’utilizzo dell’Astrologia,
cara al cuore della mia amica, e di regole atte a coglierne i significati
archetipici, ma qui da profani, credo sia sufficiente considerare la citazione
come un ricorso all’Attesa, senza forzare la situazione, che non è ancora
matura. Non si tratta di un’accettazione passiva, occorre attendere fiduciosi rafforzando
e incrementando la propria energia, nutrendosi dei sentimenti giusti. Il tutto
ha sapore di promessa. I drammi del nostro tempo, le guerre, gli esili, le
fughe dei migranti rivelano quanto siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Dovremmo
imparare a toccare tutte le realtà che ci circondano, a provare empatia.
Purtroppo attraversiamo un triste momento storico nel quale il pianto inconsolabile delle migliaia di
persone che attraversano mari e deserti naufragano sui monitor freddi dei
nostri smartphone. Il Poemetto della poetessa toscana è molto più di una
raccolta di liriche. Come ho scritto all’inizio siamo di fronte a un canto
sociale, che rappresenta una scelta di vita e un modo figurato di morire, un testamento
vergato e donato a un’umanità distratta o indifferente. “Ma ancora più assurdo
è l’amore / e come l’amore la morte / e come il giorno la notte / con l’onda
che ritarda / nell’interminabile attesa / quando il tempo non c’è” – tratti da “Assurdo tutto”. La seconda parte di questa lirica, di spunto
chiaramente eracliteo, in quanto celebra l’armonia degli opposti, canta quale
clessidra del tempo l’onda del mare, con uno splendido ossimoro riferito
proprio al suo ritardo, impossibile in natura, dove i cicli si susseguono
inesorabili, per indicare l’esasperazione della soggettività, che si piega alla
tirannia dell’effimero. Nel poemetto mi hanno oltremodo trafitta due versi, inseriti come chiuse di poesie: “Le
stelle stanno a guardare” e “Domani è un altro giorno”. Il titolo di un famoso
libro, divenuto film e il finale del famoso film “Via col vento”, che in questo contesto possono essere
interpretati come forme di rassegnazione o come segni di legami invisibili con
gli elementi e di Speranza. Conoscendo bene Giusy non so immaginarla sottomessa
alla fatalità. Il suo è spirito indomito di combattente e i versi sono
concepiti senza dubbio per darsi e dare un’ulteriore sprone: nessuno di noi può
cambiare i nostri ieri, ma tutti possiamo e dobbiamo cambiare i domani. Lo
stile della silloge è musicale e ricco di figure retoriche come le assonanze e
le anafore. L’autrice adotta raramente le metafore, più spesso le similitudini
e il suo accento ritmico, detto ictus, si trova in posizioni specifiche. Se coincide
con un accento tonico rafforza il suono, e le sillabe ‘rafforzate’ sono dette
forti, mentre le altre deboli. Si esce dalla lettura del testo illuminati,
immersi in una sorta di luce liquida che rende diversi. Alda Merini reccitava: la bellezza non è che il disvelamento di una
tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori”. La nostra Poetessa ha
il coraggio di abbracciare ogni dolore e di bruciarlo come carburante per il
cammino di ogni giorno.
Maria
Rizzi
Cara Maria, come sempre hai colto in profondità, grazie infinite per aiutarmi a diffondere il messaggio che con questa raccolta ho tentato di esprimere. E se non salveremo la bellezza come potrà la bellezza salcatci? Un abbracci a te e a Nazario sempre.
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