martedì 24 dicembre 2024

Cinzia Baldazzi legge Natale di Giuseppe Ungaretti

 

                                                           Cinzia Baldazzi e Omar
                                                                       Ungaretti


 

 

 

NATALE

 

Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade

 

Ho tanta

stanchezza

sulle spalle

 

Lasciatemi così

come una

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata

 

Qui

non si sente

altro

che il caldo buono

 

Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare

 

Giuseppe Ungaretti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Natale, che bello! Lasciarsi immergere tra la folla nel «gomitolo / di strade» romane, illuminate a giorno tra piazza Esedra e l’Esquilino, fino a viale Manzoni dove siamo stati accolti con stelle raggianti e festoni nel locale dell’amico egiziano Omar Ibrahim, con insegne natalizie esibite a lato dello schermo sintonizzato su un’emittente de Il Cairo.

Tra le luci chiare del passato, prevalgono i guizzi del camino incorniciato di marmo rosato nella casa paterna: a mezzanotte, aspettando Babbo Natale, lo abbiamo acceso, così le «capriole di fumo» hanno discretamente occupato il salone con un «caldo buono» adeguato a evocare il tepore suggerito da Giuseppe Ungaretti (nato nonché cresciuto ad Alessandria d’Egitto) quando, ospite a Napoli nel vasto appartamento dell’amico avvocato, critico e ispanista Gherardo Marone, scrisse la poesia. Era la sera di Santo Stefano del 1916, a circa un anno dall’inizio della sua esperienza bellica: «Il primo giorno della mia vita in trincea: e quel giorno era l’alba di Natale del 1915, e io ero nel Carso, sul Monte San Michele».

La festa dedicata al Bambinello, preferita in assoluto da molti di noi cristiani, nulla sottrae alla felicità attinente la Pasqua (in ebraico pesah, in aramaico-giudaico pisḥā) di Resurrezione: ciò nonostante, il 25 dicembre del 1965, da fanciulla di dieci anni, lo ricordo meglio degli altri poiché, per cattiva sorte, lo festeggiavo senza la mamma, scomparsa da alcuni mesi. Del resto, il secondo Natale di Gesù (Hamolad, מולד, in ebraico) attuale nella memoria l’ho vissuto ormai da adulta, insieme alla famiglia, nell’occasione in cui abbiamo addobbato con il tradizionale impegno l’albero scintillante. Ma mio padre era mancato da appena una settimana.

Mentre nel microcosmo infantile elaboravo un grave lutto personale, magari penserete, intorno regnava un contesto pacifico, di condivisione del dolore privato e, sebbene colpita duramente in quanto divenuta orfana di madre, non conoscevo la guerra a causa della quale, lo afferma il re Creso nelle Storie di Erodoto, sono i genitori a seppellire i figlioli, non il contrario: come toccherà, benché in un periodo di pace, al nostro poeta nel 1939 con il piccolo Antonietto annientato, nella sofferenza, da un’appendicite mal curata. Dunque, ancora oggi, alla Nativitas Domini, per chi soffre è opportuno celebrare la nascita di un figlio che non morirà, anzi, sussisterà in eterno essendo «della stessa sostanza del Padre» creatore del tutto, pertanto anche della fatidica vita-morte.

Ungaretti, in ogni caso, sarà sempre espressione suprema dell’amore, e lo scatto dei sensi, forse in virtù dell’adolescenza trascorsa nella mediterranea Alessandria, persisterà nel ruolo di traccia costante nella sua potente partecipazione spirituale all’hic et nunc immanente, come pietas religiosa, trasporto sentimentale, eventuale rinuncia a un ambito dal quale non vorremmo allontanarci: un’autentica pax, ovvero tranquillità totale, ai limiti dell’inamovibile, analoga a quella tipica di «una / cosa /posata / in un / angolo / e dimenticata», priva di affanno, accanto a lui, con «tanta / stanchezza/ sulle spalle».

Nel 1925, distante dal conflitto mondiale, nella raccolta Sentimento del tempo l’attaccamento di Giuseppe Ungaretti a una simile cosalità instancabile, separata dal male, persino dall’odio fraterno, si ripropone nella manifestazione della fatica, dello sfinimento, nella terzina conclusiva di Ogni grigio: «Come una fronte stanca / è riapparsa la notte / nel cavo di una mano».

In breve, è di nuovo “notte”, con le sue tenebre buie e ghiacciate, destinate ad assistere all’esordio terreno di un pargoletto temuto nella misura che, allo scopo di eliminarlo, vengono uccisi centinaia di neonati compianti da madri disperate, e non collocati in un «angolo», dimenticati, al pari di giovanissimi commilitoni del poeta, gettati al freddo nel fango della trincea, lasciati a morire in un penoso anonimato.

Ha ragione Ungaretti: il «caldo» all’humanitas sembra ovunque «buono», poiché, al di fuori del chiasso e dei bagliori sgargianti, proviamo il bisogno di protezione, di tiepidezza, in grado di favorire la coscienza di vivere, con il cuore mentre batte, le mani strette ad altre. Purtroppo, l’epilogo del brano offre solo un tepore di fiamma, in un interno domestico, capace di confortare il soldato in licenza, condotto comunque a riflettere sul gelo sopportato sulle cime del Carso e su quanto ancora ne patirà nell’inverno da poco iniziato.

Una tale consapevolezza permette di proseguire il leitmotiv autobiografico passando alla seconda ricorrenza del Χριστούγεννα (Cristughènna) impressa nell’anima. Era il dicembre del 1995, quando papà morì: allora sapevo in cosa consistesse la guerra, oltre al terrorismo, e la pace legata alla Natività ispirava una cognizione specifica. Benché fosse lontano il dramma degli attentati su scala globale dell’estremismo islamico e medio-orientale, ero immersa, ripetutamente turbata dagli eccidi compiuti nel paese natìo di Ἰησοῦς-Iēsoûs (in greco biblico; in aramaico: יֵשׁוּעַ-Yeshu’a), nella Palestina di Betlemme dove Maria e Giuseppe erano in viaggio per adempiere al censimento indetto dal governatore romano.

Nel Vangelo di Luca compare l’inospitale “mangiatoia” ma, dal IV secolo in poi, negli affreschi medievali o nelle vetrate delle chiese, ecco scaturire il «caldo buono», intento a mantenere in vita il Messia, proveniente dal respiro di un bue, di un asino. Per alcuni studiosi, il simbolismo degli animali nella capanna trasmette un segnale dell’incarnazione di Dio, anteriore all’arrivo dei sovrani Melchiorre, Gaspare, Baldassarre e ai pastori: costoro, impegnati nel pascolo di pecore e capre, di rado mucche, rappresentano la gente comune. Ai ποιμένες-poimènes, in Luca, l’angelo aveva annunciato in tono solenne: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (2,11). Ai pastori sono offerte notizie che conosciamo: il che cosa (è nato), il quando (oggi), il chi (Salvatore, Cristo, Signore), il dove (nella città di Davide). Senz’altro avrebbero potuto trascurare il messaggio, invece l’hanno ascoltato e divulgato, e chissà, anche da lì discende l’associazione a considerare i “pastori evangelici” incaricati, oltre ad altre funzioni, di predicare.

Da parte mia (all’epoca quarantenne) ricordo quanto, insieme a tanti, nelle luci-ombre delle luminarie, le statuette dei mitici re Magi consentissero la speranza in una tregua duratura del conflitto medio-orientale: infatti, nel Vangelo di Matteo, in seguito nella tradizione cristiana, tre sovrani giunti dall’Asia, Europa e Africa resero omaggio al neonato ciascuno recando in dono gli emblemi di potere del popolo di appartenenza.

Certo, Giuseppe Ungaretti immaginava che quel fulgore di gloria, di un protettivo calore mansueto, sarebbe ben presto svanito perché, proprio a causa della visita dei Magi, Erode venne informato sul luogo di nascita del “re dei Giudei” (βασιλεὺς τῶν Ιουδαίων, basileus tōn ioudaiōn): avvertito in sogno da un angelo, Giuseppe, padre putativo di Χριστός (Cristòs), riuscì però a mettere in salvo la famiglia entrando in Egitto da Pelusio, percorrendo la costa a partire da Gaza.

Nel riprendere il discorso su Ungaretti volontario nell’ostilità tra l’Italia e l’Austria-Ungheria, a ventisette anni fu assegnato al 19o Reggimento di Fanteria della Brigata “Brescia”, di stanza sul fronte del Carso, uno dei simboli della Grande Guerra. Nel 1921, il governo italiano decise di affidare il compito di scegliere tra undici caduti il corpo del Milite Ignoto a Maria Bergamas, madre di un volontario irredentista di Gradisca d’Isonzo, e dal Carso la salma intraprese il cammino verso la Capitale.

Una mamma, dunque, come Maria di Nazareth, la mia e soprattutto quella del nostro autore, Maria Lunardini, alla quale in Sentimento del tempo è riservata un’elegia per celebrarne la morte risalente al 1926. Nella terza strofa, a mostrare stanchezza questa volta sono, tremanti, le «vecchie braccia» alzate dalla donna prima di spirare. Perfino lei gode di un’immobilità cultuale: appare «una statua davanti all’Eterno», di conseguenza un oggetto (di matrice superiore: artistica), una «cosa» refrattaria al deperimento umano, al punto che solo se il Signore avrà perdonato il figlio, lei vorrà guardarlo. D’altronde, nell’iconico abbraccio liberatorio trapela lampante la presenza di una percezione del tempo lungo e doloroso da trascorrere, nonostante tutto “umanamente” subìto: «Ricorderai d’avermi atteso tanto, / E avrai negli occhi un rapido sospiro».

Sarà il caso di aspettare insieme un futuro Natale di pace.

20 commenti:

  1. Grazie, gentile professor Pardini, per l'ospitalità.
    Omar Ibrahim

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  2. Complimenti a tutti voi!!!!

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  3. Bellissima lettura e commento, bravissima , superlativa come sempre la cara Cinzia Baldazzi. 👏
    Trovo che la poesia di Ungaretti sia molto bella, dai significati profondi che tu hai sapientemente saputo commentare e spiegare.❤️🎄

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  4. BRAVISSIMA UNA BELLISSIMA LETTURA.

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  5. Bellissima poesia! Stupendo articolo! Complimenti vivissimi!

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  6. Magnifico articolo che unisce i propri ricordi ad un erudito commento storico e letterario, citando il grande Ungaretti. Complimenti e auguri di cuore!

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  7. Adoro Ungaretti❣️
    Grande Cinzia Baldanzi. Articolo interessantissimo, colto e raffinato. Come suo solito, del resto.
    Bravissima 👏👏👏👏 👏
    Congratulazioni a tutti e sereno Natale🎄

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  8. Natale di Ungaretti, l'ho letta e la leggo e sempre mi stupisce quel tono pacato, quasi rassegnato impresso nei versi dall'autore. Penso che in questo Natale 2024, tristemente illuminato da guerre e soprusi, la dr.ssa Baldazzi non poteva fare scelta migliore che proporre e commentare il Natale di Ungaretti. Natale, festa dell'amore, della nascita e della rinascita, Natale, dono gratuito di vita, bacio d'amore di Dio agli uomini, Natale, festa, però, anche di magia di luci e colori, festa, di un dicembre che nel tempo è diventato santo e commerciante. Al divino si associa il consumismo. Per i bimbi, l'incanto di babbo Natale, per i grandi, a volte, regali superflui che donano gioia e, forse, erroneamente fanno credere di essere amati. Sicuramente, nel 1916, in piena guerra, vuoi per mancanza di mezzi economici, vuoi per il dolore di avere mariti, figli, fratelli al fronte, doni e leccornie, per i più erano miraggio e pianto. Cinzia, specifica “Era l'alba di Natale del 1915, e io ero nel Carso sul monte San Michele”. Nella ricorrenza della nascita del Bambinello, Ungaretti, era su un monte. Nelle sacre scritture, Mosè, dopo un lungo peregrinare, sul monte Sinai è solo ad ascoltare la voce di Dio; sull'Ararat, Noè approda dopo aver affrontato il grande diluvio; Cinzia, a 10 anni, senza la madre, festeggia, forse, il dolore? Ecco, che, “Quel lasciatemi stare in un angolo come una cosa dimenticata”, non è solo di Ungaretti. Nei momenti tristi, ognuno di noi vorrebbe essere dimenticato, vorrebbe starsene nel caldo del suo dolore. Sì, perché il dolore ha un tepore tutto particolare che annienta e arde, che consuma piano proprio come legna nel focolare. E l'aggrovigliarsi di quel filo dei pensieri, dei perché proprio a me, odia il brillio, scansa la confusione; ti fa sentire cosa, cosa da posare lì in un angolo, angolo dal quale uscire poi rinnovato. Anche MARIA e GIUSEPPE, erano considerati come cose inutili. Approdano a Betlemme e là in una mangiatoia dall'”Inutilità” nasce il Miracolo d'amore per eccellenza, scaldato da capriole di fumo non di camino, ma di narici d'animali. Ecco, che la cosa, lo stare da solo di Ungaretti non si esaurisce nei versi, ma per molti versi è simbolo, sinonimo di vita che nonostante tutto, costi quel che costi, va vissuta e amata fino in fondo. Sempre dal fronte “Non ho mai amato tanto la vita” e, il Natale cos'è se non l'amore per la vita? MARIA, affronta deserto e guerre per amore del FIGLIO, la madre di Ungaretti, come statua (ancora la cosa) davanti all'ETERNO implorerà miracolo d'amore per il figlio perché sa quanta amara solitudine e quanta vita c'erano tra quelle mura insieme alle “quattro capriole di fumo”. Cinzia, ben conosce la solitudine del dolore, ben sa quanta morte c'è nelle 56 guerre in atto; Cinzia, però, sa che il Natale rinnova e vivifica i sensi, riaccende la speranza per un mondo migliore. Grazie, Cinzia. In questa vigilia di attesa, insieme a te rileggo e rifletto su questo eccelso Natale di Ungaretti. Auguri a te e al prof. Pardini. Possiamo sembrare cose inanimate, a volte ci mettiamo o ci mettono in un angolo, ma, allo scoccare della mezzanotte santa, però, sempre rinasciamo.
    Antonietta Siviero

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  9. Cara Cinzia,
    La tua lettura di Ungaretti sulla poesia del Natale è stata profondamente toccante e ricca di significato. Hai saputo cogliere l'essenza delle parole e trasmettere la magia e la riflessione che il poeta desiderava comunicare. Attraverso la tua interpretazione, ogni verso è diventato una finestra sul mondo interiore di Ungaretti, rendendo vivi i suoi pensieri e sentimenti.
    La delicatezza con cui hai affrontato i temi della speranza, della rinascita e della spiritualità ha illuminato il vero spirito del Natale, invitando tutti noi a guardare oltre le apparenze e a riscoprire la bellezza nei momenti di quiete e contemplazione. Il tuo talento e la tua passione hanno reso questa esperienza memorabile e indimenticabile.

    Grazie per aver condiviso con noi questa preziosa interpretazione. Le tue parole resteranno nei nostri cuori, ispirandoci a trovare la pace e la serenità in questo periodo natalizio.

    Con affetto,
    Giovanna


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  10. Natale, come magia nella parola intrisa, ricordi, tormenti, sguardi, emozioni, racchiuse in quelle quattro capriole di un fumo che porta verso l'infinito salendo verso un cielo attraverso una canna fumaria sentiero che porterà la Libertà.
    Lasciamo raggomitolato l'odio, che la Pace non sia più una "Cosa" messa a tacere in un angolo ma sia per sempre nei nostri cuori.
    Sarà così che respireremo quel caldo buono e lo semineremo lungo tutti i sentieri della vita presenti nel mondo.
    PACE.

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  11. Grazie, Cinzia. Una bella lettura. Un commento ampio, dettagliato, circostanziato. Permettimi di definirlo un "ombrello letterario". Non dimentichiamoci, infatti, che a valle della Parabola Terrena del Salvatore, deposti i Magici pacchi dono, un Yeshua Ha-Nosri cercherà di riscrivere l'estremo sacrificio e il riscatto dell'umanità. L' "ombrello" ripara da Michail Bulgakov e Behemoth che, rinchiusi nella nicchia della follia letteraria, divertiti e grassi, assistono ... Buon Natale, Cinzia.

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  12. C’è nella lettura che Cinzia fa del Natale di Ungaretti un percorso multiplo che ci porta a ripercorrere la vicenda di Gesù, l’esperienza di guerra del poeta e quella personalissima di Cinzia stessa. Sono cammini che pur diversi per contenuto ed epoca, tuttavia si intrecciano e restano legati in un afflato che li fa diventare parti di un tutto strettamente unito. È certamente il sommarsi di vicende umane che accanto alla gioia ( la nascita di Cristo, l’affetto materno e paterno, il calore di un camino lontano dal gelo della guerra) conoscono l’intensa esperienza del dolore che in Ungaretti e in Cinzia diventa separazione, perdita, dramma personale che segnerà la loro vita profondamente. La lettura, profonda e sentita, che Cinzia fa di questo testo poetico mi sembra essere pertanto il rinvenire qualcosa che accomuna l’umanità intera che provata da esperienze tragiche cerca un angolo di conforto, un calore buono a stemperare il gelo dei ricordi.
    A ritrovare insomma in un Natale di pace e serenità l’equilibrio che la vita mette spesso in forse.
    Emanuela Dalla Libera

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  13. Lasciatemi così/come una/cosa/posata/in un/angolo/e dimenticata/ “lì tra le quattro capriole di fumo del focolare” nell’attesa dell’evento.
    Si è sempre in attesa dell’evento che finalmente conduca pace e speranza di un mondo migliore, poiché quello presente non riesce a piacere, non considerando che l’hic et nunc, come tu citi cara Cinzia, è l’unico momento che possediamo da vivere a pieno.
    Quali versi migliori per riportarci allo spirito del Natale. Nonostante il caldo buono del focolare pare possa essere l’alternativa del tuffarsi nel gomitolo di strade, non potrà proteggerci da tutto il negativo che dall’esterno giunge e che il Natale ci sollecita di affrontare e mutare.

    Nulla accade per caso e in quelle che noi consideriamo coincidenze, vi è un fine celato che ci sforziamo di capire, il più delle volte senza riuscirci.
    Ecco il tuo dolore riposto per una perdita avvenuta in un trascorso Natale, evento nell’evento, riemergere ogni volta e qui ora condiviso.
    È vero, “è di nuovo notte” e il temuto Bambino nasce povero di averi ma ricco di amore.. Per ogni bambino che nasce vi è una madre che soffre e prega per compiere quell’atto di pace che tanto costa al mondo.
    Grazie Cinzia per gli spunti di riflessione resi magistralmente a trecentosessanta gradi.
    Rosalba Griesi

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  14. Complimenti per la tua lettura del Natale di Ungaretti, Cinzia. In particolare, mi è molto piaciuto il parallelismo e il confronto tra le due sinestesie "caldo buono" della stanza con il focolare di Ungaretti nel Natale del 1916 e il "caldo buono" della mangiatoia di Betlemme diciannove secoli prima: un caldo buono laico e un caldo buono trascendente.

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  15. Carissima Cinzia, apprezzo sempre i tuoi scritti, le tue esegesi e riflessioni. Impreziosite dai collegamenti e dagli accostamenti che fai con maestria. Questa volta in particolare con i fili culturali e di vita vissuta tra il poeta Ungaretti, la tua esperienza e il presente amaro per noi tutti hai saputo tessere una trama affascinante, viva, delicata e toccante. Il dolore è sublimato nel calore e nelle capriole del focolare. Speriamo che il tuo esempio, e quello che noi tutti potremo riuscire a fare nella letteratura e nell'arte possano aiutarci durante la lunga attesa e sostenerci fino al rapido sospiro 💓🌺 Grazie.

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  16. Rinnovo i miei complimenti per la tua lettura del Natale di Giuseppe Ungaretti, Cinzia. Ho già commentato il 26 dicembre come anonimo, mettendo l'accento sulle sinestesie, ma ho dimenticato di mettere la firma: scusa. Tanti auguri di un ottimo 2025 esteso anche ai tuoi cari (Dante Ceccarini).

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  17. In questo articolo di Cinzia Baldazzi sulla poesia "Natale" di Giuseppe Ungaretti, il raffinato commento critico si mescola ai commoventi ricordi familiari e al richiamo ad eventi storici e di attualità che la poesia suscita. Poesia che l'autrice spiega in modo approfondito, con gli adeguati riferimenti al contesto nel quale Ungaretti operò. Diretto testimone delle atrocità della guerra, in questo caso la Prima Guerra Mondiale, il poeta ci porta in un luogo e in un tempo che sono l'esatto opposto del tumulto e del frastuono della guerra: il Natale come rifugio estremo nel calore buono degli affetti, come desiderio di ritorno all'armonia del sè confondendosi con le "quattro capriole del focolare". Ad una lettura ulteriore il gomitolo di strade può essere associato e contrapposto ai percorsi intricati delle trincee e il fumo lieve del focolare alla furia dei fuochi della battaglia.
    Ciò che più mi ha colpito dell'analisi di Cinzia Baldazzi, è la "cosalità"
    di Ungaretti, che non è dunque mera oggettualità e descrizione, ma un porsi in ascolto di ciò che le cose trasmettono, senza chiudere la porta al dolore che, anzi, nella poetica di Ungaretti si concentra ed esprime in forma ermetica. Come disse James Joyce nell'"Ulysses", "Any object, intensely regarded, may be a gate of access to the incorruptible eon of the gods". Neppure si tratta di "atarassia", intesa come ricerca di tranquillità nell'assenza delle passioni, quanto piuttosto di un atteggiamento di ricerca di armonia con l'universo. Questa disposizione d'animo si trova spesso in Ungaretti e qui mi piace citare alcuni versi dalla poesia "I fiumi", che evidenziano la probabile origine orientale di questa immersione nei sensi già citata da Cinzia (era nato infatti ad Alessandria d'Egitto): "..mi sono disteso in un'urna d'acqua e come una reliquia ho riposato", "...come un beduino mi sono chinato a ricevere il sole" ed infine "...mi sono riconosciuto una docile fibra dell'universo".
    Unico, immenso Poeta.
    Questo suo Natale tanto più potente quanto più avulso da buoi e asinelli e consuete statuine del Presepe. Ma con un Gesù di speranza, presente nella fragilità del soldatino immobile davanti al focolare. Chissà se Ungaretti avrebbe scritto questa poesia allo stesso modo oggi, nel nostro mondo sconvolto alla notizia dei 19.000 bambini uccisi a Gaza.
    Io penso di sì.

    Isabella Sordi

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  18. Cinzia grazie alle sue bellissime descrizioni e riflessioni della bella poesia Natale di Giuseppe Ungaretti, mi ha riportato ai tempi delle scuole tecniche superiori, al biennio come tanti altri studenti con con insegnanti altamente professionali anche nelle poche ore di lettere. Ungaretti come da Lei descritto è stato un osmosi culturale del primo ermetismo temprato sia dalla grande guerra interventista in trincea da cui è sorta l'ispirazione di Natale, successivamente dalla crudeltà della vita familiare. Ungaretti subì la crudeltà della guerra moderna e attualmente assistendo al ritorno di crudeli guerre sempre più sofisticate elettroniche cibernetiche, stupisce l'indifferenza delle stragi di bambini e nuove generazioni, ma, la base della mostra cultura tradizionalista religiosa e laica è intrisa di altalenanti positivi e negativi passaggi comportamentali generazionali, ben descritto nei libri monoteisti, nel pentateuco sino a Cristo, diciamo l'Ebreo Cristo che non aspirava abolire la legge Mosaica, ma adempirla, migliorarla con le Beatitudini, si potrebbe dire dopo duemila anni siamo a "pie d'accapo", il nuovo testamento cristiano realizzato in pochi decenni dopo la morte, diciamo l'uccisione dell'Ebreo Cristo voluto da alcune classi sociali rabbiniche di Ebrei, non da tutti gli Ebrei, almeno i dodici apostoli compreso il disgraziato Giuda, esempio della gracilità dell'equilibrio etico morale dell'umanità, ed eseguito dai Romani, dopo duemila anni personalmente non stupisce aver sentito dire "esiste un tempo di pace ed un tempo di guerra", perché la cultura d'Israele, la repubblica democratica parlamentare d'Israele ha come fondamento la costituzione aperta al progresso delle leggi fondate sul Pentateuco.
    Nell'ombelico dei due continenti Africa ed Asia, dove è sorta la cultura dominante dei popoli terrestri, dove nacque e visse Cristo dalla stirpe di Davide d'Isacco, dopo cinque secoli dallo scisma Cristiano Protestante e sanguinose guerre religiose rinascimentali, sono riprese le guerre religiose prima tra musulmani Sunniti e Sciti di stirpe Ismaelita, Isacco ed Ismaele entrambi figli di Abramo, il padre del monoteismo Ebraico e dal febbraio 2022 nell'Europa orientale la Russia ha invaso militarmente l'Ucraina, due nazioni con popoli che professano la tradizione Cristiana Ortodossa, stiamo scivolando di nuovo nel baratto conflittuale delle guerre religiose monoteiste. L'Italiano Ungaretti nato e cresciuto nella cosmopolita Alessandria d'Egitto, dalla vita ha avuto il dono intellettuale di scindere e svincolarsi dalle tragedie della vita, per le nuove generazioni postmoderniste globali dovrebbe essere esempio per non commettere gli stessi errori avvenuti nel cosiddetto "secolo breve del novecento".
    Cinzia grazie di nuovo augurandole felici feste.

    Giammarroni Oliviero

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  19. Grazie a Cinzia Baldazzi per averci riproposto Ungaretti ed esser riuscita ad isolare con ricchezza di suggestioni e ricordi tutti quei sentimenti che abitano questa sconsolata e al contempo vitale poesia in cui tristezza e dolore si impregnano di calore e di una luce sopita che forse è quella di una speranza sempre viva e pronta a crepitare. Buon anno di pace ! Susanna Hirsch

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  20. Ogni sillaba sussurrata è Giuseppe Ungaretti rivelato dalla suggestione magica che si srotola: la fantastica escursione nella vita del Poeta. In questo mondo dilaniato, sepolto da eresia e deflagrazione dell'intelletto Cinzia Baldazzi ci prende per mano ed asseta il desiderio di sapere e conoscenza.

    Mirco Del Rio

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