Nazario
Pardini
Nel frattempo viviamo
Il titolo della raccolta definisce un’esperienza
disincantata e straniante nello scorrere inesorabile di un tempo senza fine: un’esperienza
che tutti accomuna nel riconoscimento dell’impossibilità di scoprire, attraverso
la ragione, il mistero della vita umana.
L’unica certezza appare quella di prendere atto di quel
complesso groviglio di spinte vitali, scelte concrete, desideri, conflitti, gioie,
paure, sconfitte e dolori che costellano l’esistenza di ciascuno a latere di un
senso condivisibile, di un destino intenzionalmente costruito.
Inizia così il dialogo con la morte, protagonista a volte
esplicita a volte sottintesa di tutta la raccolta.
Essa rappresenta il limite e anche il termine di confronto
per valutare il proprio porsi nello spazio del tempo concesso.
Il linguaggio insegue suoni aspri, duri nell’esposizione
prosciugata e concisa: In quella casa il
funerale./ Nel silenzio / si udiva solo / il rimbombare dei calci di un ragazzo
/ su un barattolo vuoto. Un dolore che sconfina oltre il sentire è espresso
dai calci di un ragazzino in un silenzio assoluto, nel vuoto: un dolore che risuona
nel cuore così forte da rendere i versi memorabili.
La morte del giorno, la sera della vita, l’indifferenza
della natura, la solitudine dell’uomo in un tempo eterno sono parte del destino
umano: Uccide il cielo / un altro giorno
ancora; / cadono frutti “paccoli” / consunti poi / da vespe e da formiche.
Il pensiero costante della morte viene rimbalzato in ogni
occasione della vita acquistando anche ironica drammaticità: Nel foglio di quel giornale / ha incartato due uova / la contadina. /
Si intravedono / due necrologi. / Sono serviti anche da morti.
Sempre ciclicamente ritorna la riflessione
sull’ineluttabilità della fine: Spazi,
culto, pensiero, / resurrezione, mistero, / sorte, vita, / non finisce il
discorso, / è già finita.
E ancora in pochi versi di altissima intensità è condensata
la testimonianza del dolore di una perdita. C’è un silenzio nella
contemplazione di questo addio che ha una forza detonante: Pare un’inezia / il peso della fine / se guardo gli occhi tuoi su me
posati. / E’ ancora sul verziere / l’impronta dei tuoi passi / posti a caso.
Ma l’anima del poeta è in fuga, in una ricerca mai conclusa:
L’anima è come un galeotto / è sempre in
procinto di fuggire. Altre tematiche infatti affiorano tra i testi,
germinano dai versi.
Se ne rintracciano principalmente altre quattro: l’arte, la
memoria, la natura, l’infinito.
Il poeta celebra con commozione l’arte. L’arte è il sesto
senso che possiede l’anima, le permette di fare unità, di ritrovare l’essenza dell’universo
simbolico nei cicli naturali: L’unica
voce / che unisce ogni elemento / è il momento dell’arte, / è il sesto senso / che
l’anima / possiede. E ancora: La musica
di Puccini / è uno dei pochi messaggi / che riesce a trasmettermi attimi di
certezza / sull’esistenza del soprannaturale. L’arte si fa veicolo del
mondo spirituale, essa proietta in una dimensione dove l’anima riconosce la sua
origine soprannaturale. Ma il poeta si chiede anche: Contro corrente / remare / con le piume / nell’ora / che il fiume / si
riempie! / A che vale? Ha senso, si chiede il poeta, questo immane sforzo,
questa fatica di piume cioè la poesia?
Nell’orto della vita egli
traccia un autoritratto denso e vivace che dischiude un mondo di sentimenti
variegati e opposti, in alternanza. In questo movimento la fantasia creatrice
cresce secondo una dimensione umana e non, come era desiderio, fino alle stelle: quanto dolore comporta
la consapevolezza del limite!
La memoria è un tema trattato diffusamente, implicito a
numerosi testi, in alcuni è palesato apertamente: “Stai qui con me / sul molo del mio mare / forse traspare, se restiamo
quieti, / Tra i barbagli dei flutti / e il maestrale, / la sagoma dell’isola
fatata. / Consumeremo intera / una giornata / ad inventare storie giovanili: /
diventeranno angeli le ali, / sul mare della via dei paradisi.” / E col sorriso
l’isola accoglieva / solo utopie forgiate per amare.
Nella poesia il simbolo prende vita con una tenerezza
profonda e lieve: nella memoria l’incanto vince sulla nostalgia. Anche in Ho sorseggiato grappoli di ricordi / non
ancora maturi di sole / nell’ultima fumiga bruma. / Il palato ha gustato /
comunque / l’asprore / di forza sanguigna / che esplodeva la vigna dell’anima /
avanti che fosse novembre. è un tornare al passato, quello giovane
dell’anima.
Il confronto sempre intenso con la natura ispira i versi
più ricchi di metafore: Non vi è fine /
in seno alla natura, / è un’immagine forse / dentro noi; / e non appare al
rifiorir di tigli, / lungo i sentieri? / Un colore c’è sempre / ogni stagione /
e un movimento / o un canto. / E un segmento breve, un accidente / s’annulla
nell’eterno divenire / della mente del giorno che non muore.
Il medesimo titolo della raccolta Nel frattempo viviamo consiste in un verso estrapolato dal testo L’ombra dl fico in cui la natura emerge vittoriosa nel
fulgore della luce estiva sull’acqua.
La storia dell’uomo diventa così marginale e risulta
eclatante come gli eventi naturali siano indifferenti alla presenza umana, come
liberi seguano le proprie leggi. E nasce
il paragone tra l’eternità dei cicli naturali e il presente transitorio, il qui
e ora dell’esistenza individuale nella sua certa concretezza: (…) immagini eppure si fanno, / essenze di corpi
/ per dirmi che l’anima un giorno / era tatto, colore, profumo di fieno, / sapore
di bosco. / Io non so le parole del giorno, / ma vorrei tra la luce che varia /
sapere i tinniti di lingue lontane, / i primitivi sintagmi sapere / di vetusti
fonemi di foglie. Si celebra l’adesione del corpo alla realtà in un affondo
nella natura primigenia. Nell’intenso contemplare la natura, il poeta sa
cogliere anche l’unità del tutto: E
l’armonia del mondo / si nasconde / e si confonde / in mezzo alle minuzie.
Contemporaneamente il linguaggio si apre a ricorrenti
sinestesie che coinvolgono il lettore in atmosfere suggestive in cui sensi e
sentimenti sono condotti all’incontro con una vitale bellezza.
La lettura della natura riporta sempre alla metafora, al
simbolico riferimento con la realtà umana: Là
i tuoi campi, / i tuoi monti / il tuo piano, la pineta / e una meta che dette
ristoro, / là il tuo fiume, / la sua foce. / Metti le ali! (…). E torna il concetto del volo, le ali
della poesia portano lontano nel ciclo della vita ove la luce del sole e le
ombre, sigillano la sintesi degli opposti. Così come le leggi interne della
natura sono anche le nostre: Le cortecce
racchiudono gemme. / Usciranno / perché spinte da forze / che ricercano la
luce? O sbocceranno / in seno a primavera / perché protette / dai freddi degli
inverni? E ancora l’immagine della realtà fisica lievita in una dimensione
metafisica, in forma apodittica, attraverso un’intensa illuminazione poetica: Il colore del mare / ed il tramonto / sono
le poche cose terrene / che si contendono il cielo.
Altra tematica che emerge nitida è il sentimento dell’infinito,
che fa smarrire e sgomenta, percepito nella vastità del mondo fisico: Si muove il cielo, la terra, / il sole, /
l’universo; / ma dove andremo? / Come mi sento sperso! La coscienza del
transitorio, dell’inanità della vita individuale si confronta con un tempo
infinito: l’attimo, la caducità umana e l’eternità sono comparati in uno stato
di angosciato spaesamento: Siamo
incastonati / solo per un attimo / in una immensità di vuoto / che per non
scorarti / finge di essere blu.
La sezione Dal serio
al faceto. Dal sacro al profano sembra voler sdrammatizzare, in forma
scaramantica, la lucida consapevolezza del poeta. Egli offre una serie di aforismi,
quasi proverbi popolari, che contengono saggezze antiche e fulminanti verità anche
avvalendosi di sintesi ironiche e disincantate in cui prevale la concretezza
dei fatti. Le poesie rappresentano un libero vagare tra gli accadimenti della
vita in riferimento costante ai temi dell’amore, dell’illusione, della morte,
del destino, dell’ingiustizia, del mutamento dei valori e della vecchiaia con
uno stile alternativo a quello aulico.
L’uso di un vocabolario che attinge al toscano arcaico e lo
spirito sarcastico che anima i testi riportano a Cecco Angiolieri fino al
Giusti ricordando anche le testimonianze, in altri ambiti regionali, dei poeti
dialettali dell’Ottocento come Porta, Belli, Trilussa: Col grano del suo orto / la speranza / ha cotto pane / e l’ha affettato
/ al tavolo di esuli e poeti.
Come non citare la conclusione di “Su la bugia”: io sono un bugiardo incallito / fino al
punto che quando dico la verità / mi sembra di dire una bugia. E’ immediato
il rimando alla celebre frase di Fernando Pessoa Il poeta è un fingitore. Finge così completamente che arriva a fingere
che è dolore il dolore che davvero sente.
E infine vorrei ricordare la splendida dichiarazione di
resa per non saper sprigionare l’immensità accolta nella propria anima: Cessate, occhi, di nutrire la mia anima! /
Non ho più parole da consumare / e mi abbrucia / l’immensità imprigionata.
Nazario Pardini con queste poesie si è fatto compagno
solidale, ha espresso l’inquietudine umana, l’alternanza di gioie e dolori nel
flusso degli eventi terreni; si è unito con umiltà e saggezza a tutti coloro
che nel frattempo vivono condividendone
il destino con un caldo, amorevole abbraccio.
Silvia
Venuti, luglio 2020
"L’arte, la memoria, la natura, l’infinito", mi piace iniziare con le altre quattro tematiche riscontrate da te in questo meraviglioso, particolare testo del nostro impareggiabile Nazario, che non finisce di stupire e di coinvolgere. Tu, che sei molto cara al mio e ai cuori di tanti romani - cito Franco Campegiani e Sandro Angelucci che ebbero la gioia e la bravura di presentarti-, leggi la Silloge dalla prospettiva della Poetessa e sondi l'anima dell'uomo e del Poeta con una capacità che una persona come me non potrebbe mai possedere. Ti ho letta trattenendo il fiato, scoprendo l'ennesimo volto di Nazario, meditando sulle tue riflessioni e provando a imparare. Ti ringrazio e stringo forte entrambi.
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