Anna Vincitotio, collaboratrice di Lèucade |
GEORGES
EMMANUEL CLANCIER
(Limoges 3 maggio 1914 – Parigi 4 luglio 2018)
Georges
Emmanuel Clancier, poeta, romanziere, narratore, critico, uomo di radio.
Dunque
una vasta gamma di interessi; ma penso che basti usare una sola parola: poeta
per delinearne l’immagine, circondata da un alone d’imprecisione proprio per la
molteplicità dei suoi significati.
Basterà
riportare sulla poesia le stesse parole di Clancier: “La poesia per me, egli
scrive, nella prefazione a – Terres de mémoire –, si lega al ricordo, e sia che
bruci del fuoco del presente, sia che si manifesti luce del futuro, essa fa
capo al poema che, una volta compiuto, è ricordo privilegiato e permanente
riminiscenza di un istante in cui, le ferite, la gioia, la grazia, il dolore,
l’illuminazione o l’ottenebramento, si sono trasformati in linguaggio, così
come una energia si trasforma in un’altra, come il colore in movimento, la luce
nella caduta dell’acqua… poema, ricordo” e perpetuare l’istante in un “éclat de
language”. La sua creatività intesa come intima gioia, lo ha accompagnato
fedelmente anche nei momenti di solitudine interiore che hanno acuito e
affinato la sua sensibilità.
Il
tempo può essere sconfitto solo rinnovandosi continuamente e allora: “quale
sorgente ascoltare ai limiti del tempo?
Ma se
lui era là proprio dove il tempo non esiste
Colui
di cui tu temi perdere la traccia
E
cos’è se non lo sguardo sperduto
quando
si chiudono gli occhi?
Voce,
più trasparente d’ogni silenzio
potrà
una frase riprendere le tracce della vita?
Le tue
parole, le più chiare non tessono
una
parte più dell’ombra
Questo
attimo, questa parola!”
Solo
la parola dunque può condurci alla verità e vincere il dualismo tra
bene e
male presenti in ognuno di noi; il ritornare all’infanzia, al sogno, al tempo
della verità cosmica:
“Faudra-t-il
reconnaître une seule poussière où notre longue enfance voyait l’or de la vie?”
Come
giungere dunque alla verità se non attraverso l’estrema sofferenza
del
mondo. Dualismo accentuato tra il sogno, la leggenda e il corpo fatto di carne,
le sue tentazioni, le angosce degli uomini, le crisi esistenziali, le guerre,
il dolore. Lo seguiamo nel suo cammino poetico alla ricerca di momenti unici di
grazia ultima dove la pulsione originaria s’inabissa nello splendore della
morte. Morte che conserva il suo segreto; tormento e giovinezza, disgrazia e
fortuna fuse insieme come dice Daniel Leuwers. I desideri non si sono
realizzati sono rimasti allo stadio del sogno senza superare lo scibile. Non
possiamo manifestare apertamente l’amore che, anche se inteso come ossessione,
ci seguirà ovunque “nella valle fatale dove il nulla tesse le sue braccia”. Dai
sogni dell’infanzia all’Orée – Il Limitare[1].
Il suo canto è dolcezza e violenza là dove la luce impone il suo fulgore anche
se ignoriamo l’origine. Ma è pur sempre teso verso una possibile speranza oltre
i gorghi oscillanti della morte.
Così
gli ultimi versi di – Cavalcade[2]
–
…
Au loin la seule fleur
que se
relève et montre vers la première
étoile
revenue
A tire
d’aile”.
Anna
Vincitorio
Una personalità
complessa e polivalente come quella di Clancier viene evidenziata dalle parole
di Jean Tardieu in un “hommage” avvenuto a Parigi alla – Maison de la poésie –
il 13 ottobre 1986.
“ –
Parola oscillante –, colma cioè di più significati… Una poesia di questa
natura, di questa – classe – è in egual misura molto enigmatica ed efficace…
Clancier è una presenza viva, sia luminosa che benefica, segnata da una
partecipazione umana eccezionalmente commossa e commovente. La presenza di un
uomo che ci viene incontro, con lo sguardo limpido, la mano tesa come un amico.
Mai alcuno ha parlato con maggior fascino e freschezza delle stagioni e dei
paesaggi, del colore del cielo e della terra, delle montagne, degli alberi,
delle rive ed anche della sabbia, delle pietre, del cammino. In realtà,
Clancier merita d’essere chiamato – Le paysan céleste – come il bel titolo di
una delle sue raccolte più note… Molto presto come la maggior parte dei suoi
contemporanei, Clancier aveva forgiato il suo spirito al fuoco degli eventi
tragici dell’anteguerra e della guerra. Ma Clancier non ha soltanto una innata
coscienza del tragico. Lui va oltre l’evento, oltre il tempo. Ha perfetta
consapevolezza degli Enigmi dell’Essere, aspetto fondamentale dell’angoscia
moderna, bagno d’inconoscibile e d’insolubile nel quale noi tutti siamo
immersi…”
Jean Tardieu
Ho
incontrato Clancier del quale avevo tradotto gran parte del suo testo
“Le
paysan céleste” al Congresso internazionale dei poeti avvenuto a Firenze il 29
giugno del 1986 a San Miniato al Monte.
In
quella occasione potei apprezzare la sua cordialità e attenzione: “pour Anna
Vincitorio poète et traductrice des poètes avec mes remerciements port
l’actention qui elle venut bien porter aux vers du Paysan Céleste et un
cordiale hommage”. G.E.Clancier
Mi
venne affidato l’incarico di tradurre – L’Orée – con l’introduzione di
Jean
Tardieu da Mimmo Morina – Edizioni Internazionali Euroeditor – Gran Ducato del
Lussemburgo. Il testo è uscito nel 1987 in 300 esemplari numerati. A Firenze il
10 maggio 1988 nella Facoltà di Scienze Politiche, L’Orée venne presentata dal
Prof. Giuseppe Antonio Brunelli, ordinario di Lingua e Letteratura francese e i
colleghi di Facoltà. Presente anche il Prof. Vittorio Vettori che mi fece
conoscere Clancier.
Riporto
alcuni brani dell’intervento del Prof. Brunelli:
«Il
titolo della relazione – Situazione di Georges Emmanuel Clancier – En l’hostie
des syllabes le dieu vrai des choses – G.E. Clancier in Le paysan Céleste
citato nella Préface di Pierre Gascar – pag. 14.
– Nel
sacramento delle sillabe l’autentico divino delle cose. Per collocare
criticamente e storicamente questo poeta, può giovarmi, ora che ho finalmente
letto e apprezzato qualcosa di lui, oltre alla sua poesia, oltre a interventi
critici sul Clancier come quelli di Pierre Gascar (per le poesie di Clancier
edite da Gallimard), può giovarsi la sua stessa opera di critico della poesia
francese col volume da lui pubblicato da Rimbaud au Surrealisme – Come per i
Surrealisti in realtà per G.E. Clancier il capostipite da ricercare non è tanto
Baudelaire (com’è uso in genere dirsi anche in Italia parlando della poesia
moderna), quanto Rimbaud, il capostipite che vollero scegliersi i Surrealisti,
e la poesia di Clancier ha, nel suo farsi, attraversato il Surrealismo, fermo
restandone l’ascendenza romantico simbolista…
Le
Paysan céleste a ragione o a torto richiamo a me insieme all’altro titolo di
Clancier del volumetto dell’87 – L’Orée – il titolo di una raccolta di James
apparsa in Francia nel 1906: Clairières dans le ciel. Se L’Orée
significa “Le bord, la lisière du bois” (l’orlo, il limitare del bosco), a sua
volta Le Clairières, nel bosco sono un diradarsi degli alberi e formano
“un endroit dégarni d’arbres dans une foret” – (luogo sguarnito d’alberi in una
foresta)… Ma il nuovo pittorico titolo trovato da Clancier, aggiunge a quei
varchi, spiazzi, radure, proiettati da James “dans le ciel”, il profilo
surreale “Paysan céleste”! L’Orée dell’87 si ricollega quindi per me al
suggestivo titolo del ‘43 già citato Le Paysan céleste: il contadino del
cielo».
G.A.
Brunelli
Ed ora
passiamo alla lettura:
Tavole
della luce
Dettate
le vostre leggi nel silenzio
Azzurro.
L’ora
Sempre
si pone
Nell’immobilità
improvvisa
Degli
astri.
Nella
scintilla il rogo
Nella
goccia di rugiada l’oceano
Nell’occhio
l’universo
Nell’attimo
il germe
Dell’eternità.
Vaste
pianure dove cavalcare
Dalla
cuspide del giorno al crepuscolo
Vagando
da un sogno all’altro
Da un
amore al suo ricordo
Di
solitudine in solitudine
Il
limitare,
Quale
disegno, colore,
Quale
ombra alata di luce,
Quale
silenzio o pianto di uccello,
Quale
desiderio prima dell’essere,
Quale
segno al confine dell’aria,
Quale
stagione fuori del tempo
Potrà
contenerlo là
Dove
noi ci saremo salvati.
L’oblio
Inseguita
da mille voci la luce del mio desiderio,
Calma
falena alle mie fatiche si è perduta in me,
Giunta
dal turbinare di spiagge nere e di animali del tempo
legata
egualmente alla primavera, fulgida rosa della morte,
Per
dormire e torturarmi mi avevi fatto nascere per poi perdermi
In
ogni cavità del tuo corpo in ogni totale sconfitta.
II
Era un
fiume carico di lussuria che scendeva fin dove io mi perdo
impregnato
di scie luminose dal veloce brusio
E mi
premevano completamente annientate le radici
delle mie origini
Attraverso
il grande cammino in cui dimorano le stelle reiette,
Alla
soglia del deserto o tra i vaghi fiori dei campi,
Io fui
là, caldo sole, senza passato sonnolento,
III
Falena
dalle mille voci, luce, luce, tu mio desiderio
Inseguito
fino all’ultimo respiro nel fondo dell’altra
parte di
me
Era un
fiume carico di lussuria che scorreva là dove io
mi perdo
Era la
vergine delle sabbie nere, la fulgida rosa della morte.
Voti
Per Anna
Appena
il sole è tramontato una parte di lei se n’è andata
Dolce
mi aveva seguito fino al primo albero della foresta.
Essa
aveva le primitive sembianze delle fanciulle e della neve
Fusa
al fuoco del suo corpo lentamente diveniva un fiore.
Se n’è
andata sola, e io sono rimasto solo davanti alla notte
Sognandola
senza poterla vedere, aspettandola senza poterla toccare
nella
sua povertà così timida e sconosciuta,
Chi
saprà aspettarmi un giorno alle rosse sorgenti delle foreste.
II
Perché
mi sono state donate perdute aurore e grida?
Mattini
dai pigri ricordi
E
tutte le molecole di luce
Che
pungevano con lacrime e grida
la tua carne?
Perché
mi sono stati donati questi paesaggi folli e questi gesti
vani
Che se
ne vanno al primo vento della vita
E mi
lasciano d’improvviso il peso immenso delle mie braccia,
Dei
miei sguardi e il crudo ritmico risuonare
del mio cuore.
III
Si
abbassino pure le colline e si sollevino le valli,
Diventi
l’oceano pianura molle d’alghe
E
mille fiumi un solo bianco cammino,
La
luna e la notte si confondono alla terra.
Allora potrò vederla,
La mia
dolce nemica, davanti alle stelle,
Colei che amo.
Scomponi il viso
Le sue
sembianze di tempo e di sogno
Intinto
nel colore affiorante dei frutti.
Scopri
questo volto attraverso la carezza delle mani,
Tu non
saprai, chi, tenera linfa,
sgorghi
e si avventuri in lui
Come
alla fragile fonte senza sponde
D’una notte.
Cavalcata
I
cavalli galoppano, i bianchi cavalli della fine del mondo.
Il
loro fiato perduto bombarda gli oceani
lontano
dalla terra attraverso bianche illuminate praterie,
E come
licheni putridi e dolci alla loro criniera
si
fondono tracce della notte degli uomini
respinta
dall’immenso tremore della loro pelle
II
Gli
amori sono annientati, traslucidi i problemi,
vuoti,
insignificanti, taglienti, trasparenti di musica
come
conchiglia colma di rose al vento
e le
nude cinture dei templi d’Europa
così
bianchi che la sorprendente cadenza del giorno
al
galoppo dei Levantini annienta gli amori.
III
I
cavalli galoppano, i bianchi cavalli della fine del mondo.
E come
calpestano e plasmano in profondità per bisogno di luce
il
cimitero aggrappato al suo povero sudario ornato
di
notti e antiche città vicino alle spiagge, fiori dorati
di
menzogne,
e
moltitudine delle moltitudini, l’avvizzita miseria
dell’autunno!
IV
– Non
c’è più sorgente al mondo dove possa gorgogliare
il
terribile peso del sangue, non c’è più una fessura
delle
labbra che sorvegli l’insidioso limite dell’ombra
e
dell’attesa; non c’è più che un canto ricurvo
sul principio
senza fine di lui stesso.
V
Finché
i loro occhi si sgretoleranno dal loro stesso fondo,
i
cavalli, i grandi cavalli della fine del mondo
cadranno
adagiandosi simili a lunghe rocce
formano
una corona intorno al sole. In lontananza l’unico fiore
che le
loro martellanti tempeste non sono riuscite a dividere,
e
tradire con l’ininterrotta scintilla al loro impeto
si
solleva e sale verso la prima stella apparsa nuovamente
a tiro
d’ala.
1938
La
leggenda della fuggitiva
I
Lo
specchio
Qual è
nello specchio questa primavera
Che ha
i miei capelli, i miei occhi e la mia fierezza
Questa
sorgente bionda e verde, questa creatura
Che
danza quando cammino e canta quando io grido?
Sono
stanca del ritratto fedele sfavillante
Che di
stagione in stagione ho tradito
Ne ho
abbastanza di questa acconciatura vivente
Io
voglio chiamare il mio viso e il mio nome,
E
riconoscermi infine nel sangue e nella ferita
Della
mia solitudine nuda, smisurata.
II
La
fuggitiva
Per il
mare, il suo canto, le sue maree
Per il
manto violetto in cui si avvolge
Scioglie
e scuote
Per
l’umida peluria degli alberi, delle mani, del sesso
Per il
tremante desiderabile aspetto della vita
Per
vedermi nuda e vera allo specchio dell’orizzonte
Nuda
ma egualmente ornata come per una vittoria
Dell’apparenza
carnale delle città
Contro
gli specchi infranti all’orizzonte
Per
ritrovarmi ancora
Sono
fuggita
Ma i
fiori che io respiro mi sfuggono
I
frutti che mordo si trasformano in ricordi
Ma io
esco dalle città con le mani e il cuore vuoti
E dai
letti in cui ho amato, l’anima colma
di una
violenza in cui due destini si sono perduti.
Note
biobibliografiche di Georges Emmanuel Clancier
Nasce
a Limoges il 5 maggio 1914 da una famiglia limousine de paysans, d’artisans
et d’ouvriers porcellaniers.
Studi
al liceo Gay Lussac. Nel 1930, scoperta della poesia moderna.
1933-1938,
prime collaborazioni con i Cahiers du Sud aux Novelles Lettres, à Esprit.
1939,
Matrimonio. Vive a Parigi dove Anna, sua moglie, prepara l’internato degli
ospedali psichiatrici.
1940-42
Rientro nel Limousin; studi a Poitiers, Toulouse con laurea in lettere.
Incontri importanti e collaborazioni (Joé Bousquet).
È
nella redazione della rivista Fontaine ad Algeri. Prima sua Plaquette di
poesia: Temps des Hèros ed altre. Incontri nell’alta Vienna con Queneau,
Roy, Seghers…
1943-44,
corrispondente clandestino nella Francia occupata di Fontaine che continua a
pubblicare ad Algeri.
1955-75,
segretario generale dei comitati di programmi della RTF e dell’O.R.T.F.
1971
riceve il Gran Premio di Letteratura della Accademia Francese per il complesso
della sua opera come poeta e romanziere.
1976,
Presidente del Pen Club francese. Coopera alla difesa degli scrittori
perseguitati, detenuti, esiliati.
1978
membro dell’Accademia Mallamré che presiede Eugène Guillevic.
1980,
Vice presidente della Commissione per l’Unesco.
1985,
Vice presidente Internazionale della Organizzazione Mondiale dei Poeti.
1986,
Vice presidente Internazionale del P.E.N Club.
Sempre
nel 1986, a Firenze per il Congresso Internazionale della poesia.
Notevole
produzione di opere poetiche con Seghers e Gallimard. Ne citiamo alcune: Terre
secrete 1951 – Temps des Heros – 1943, Le paysan céleste
1956, Une voix – 1965, Terres de Mémoires – 1978,
Oscillante Parole – 1987, L’Orée.
Poi,
critica e saggi di poesia sempre con Seghers e Gallimard.
Notevole
anche la sua attività come critico della poesia francese da Chenier a
Baudelaire.
1996,
il romanzo Une ombre Sarrasine da una novella di H. de Balzac.
Muore
a Parigi il 4 luglio 2018.
[1] Euroeditor – Gran Ducato del Lussemburgo. Introduzione di Jean Tardieu; traduzione italiana di Anna Vincitorio Pestellini – Collezione di poesia diretta da Mimmo Morina – 1987.
[2] Probabile riferimento ad Albrecht Dürer. Le 14 Xilografie dell’Apocalisse del 1498. Sequenza di immagini fiammeggianti collegate da un pathos visionario.
Nessun commento:
Posta un commento