Marisa
Cossu legge:
Marisa Cossu, collaboratrice di Lèucade |
I DINTORNI DELLA VITA
Conversazioni
con Thanatos
di
Nazario Pardini
Nazario
Pardini conclude la sua recente trilogia con la silloge “I dintorni della vita
- Conversazioni con Thanatos”: un filo rosso poetico e filosofico si snoda per
questi dintorni che, immersi nella grande metafora della vita, adombrano
impenetrabili luoghi dell’anima, “periferie” cui giungere attraverso cunicoli sospesi
ai bordi di una realtà sofferta e digerita nella memoria, innestata nell’esistito.
Queste “periferie”, situate nei profondi meandri della coscienza del sé, ai
confini dell’“Oltre”, rendono meno impenetrabile la lettura di quest’opera,
sciogliendo il groviglio dei sentimenti e della solitudine: sono corsie
sofferte ma non impercorribili e aiutano ad individuare il focus delle crisi e
delle gioie accumulate nell’esistenza. Gli approdi intravisti restituiscono vita
e freschezza alle atmosfere del passato e alimentano la passione del vivere. Ha
in mente, il poeta, un percorso interiore senza tempo per cui svelare la sua
percezione del mondo costituita intorno ai temi della solitudine, dell’amore, della
bellezza e della coerenza con il proprio sentire. Emerge, nei tre libri, la
lucidità immaginifica del viaggio nella memoria, la complessità del flusso
delle informazioni (immagini mentali, sensazioni, percezioni, profezie,
illuminazioni) che consentono al poeta di proseguire con i pesi, i ricordi, i
profumi della vita, per fiumi e laghi, fino al grande mare in cui tutto si
versa. È questo portarsi dentro e addosso il macigno del vissuto, trasponendone
i mille aspetti in un canto di vibrante consapevole nostalgia, ciò che affascina
nella vigorosa e sinfonica poetica del Pardini e la predispone anche ad una
indagine di natura psicologica. Il poeta allunga il passo dove le forze
dell’amore e le stesse esigenze esistenziali sembrano divenire più lievi mentre
la consapevolezza del percorso si fa via via più solida e lineare. Si chiariscono quei dintorni e quelle
“periferie”: la battaglia si sposta sul confine del tempo e in un serrato
confronto con Thanatos che trascorre insieme alla stessa vita, ne accompagna ogni
movimento è presente in modo silenzioso, sebbene a volte si riveli crudele ed ingiusta.
Nell’oscurità della solitudine le memorie si fanno pressanti, l’amore
giustifica ogni evento, lo rende umanamente sopportabile e mette in campo una
sorta di ricompensa, di “restituzione”. Eros e Thanatos sono termini dualistici
di uno stesso principio vitale ma “Un uomo non muore mai, se c’è qualcuno
che lo ricorda” (Ugo Foscolo). Muovendosi
nelle periferie dello stato emotivo il poeta manifesta un atteggiamento
filosofico che riflette il carattere dell’uomo e dello studioso: è il dialogo
con Thanatos nell’alternarsi di domande e di risposte, di dubbi e di certezze,
il tutto animato da una vigorosa passione lirica. Il poeta sembra affermare con
Agostino: “Se ami la vita e temi la morte, questo stesso timore della morte
è come un inverno quotidiano”. Nazario Pardini non sosta in questo gelido
girone, si confronta, pone domande, spiega le proprie ragioni, fonda il
confronto sull’esperienza del proprio vissuto (suggestioni legate alla vita
agreste e familiare, lampi paesaggistici, abbrivi soffusi d’amore) e su quello
più oggettivo della Storia. Da quali azioni umane è temperata la tirannia della
morte? Come rapportarsi ad essa conservando la bellezza e l’apertura alla vita?
Ed ecco la parabola esistenziale nella
metafora del viaggio per approdare, alla fine, ad una forma di sopravvivenza
spirituale, solo apparentemente inorganica:
“Doloroso il viaggio che facemmo:
attraversammo mari, piane e monti,
attraversammo fiumi con daccanto
la sagoma di Thanatos protesa
come l’ombra di sera…”
(Doloroso il viaggio)
Il
pensiero della morte persiste nel poeta perché eliminarlo sarebbe come
eliminare il pensiero stesso di quelle terre amate, di quei ricordi profumati
di mare, della solitudine e della nostalgia. Da sempre la morte viene pensata e
discussa nella letteratura e nelle dottrine filosofiche: Nazario Pardini offre,
in più, una visione poetica accorata, illuminata dalla musica del verso e da
una forza comunicativa non comune. Dalla consapevole presenza della morte,
origina la riflessione sulla fragile esperienza dell’esistenza se approda, tra
nostalgiche memorie, ripensamenti, emozionanti percezioni, ad un riposo,
alla quiete, dopo mari in burrasca. Ed è un incontro commovente,
connotato da versi incisivi, quello con il fratello scomparso: qui la poesia si
manifesta tra i gesti e i compiti della vita quotidiana mettendo in luce un
rapporto d’amore e di comprensione troncato anzitempo dalla morte. Par di
vedere il caro fratello chino sul tavolo “dove perdesti gli occhi a
progettare case”. Se la vita non finisce ma si trasforma, potrà
esserci un nuovo abbraccio tra fratelli: i vivi e i morti camminano insieme
nell’oscurità e nella luce: è possibile illuminare le tenebre con l’amore,
riunirsi in un abbraccio dove gli opposti trovino, finalmente, senso e quiete. Questa
funzione è propria della fede e della poesia, in una sacralità che richiama ai valori
etici e invita ad una classica concezione dell’uomo. La persona è sostenuta dal
credo in una resurrezione che non cancelli le opere, le emozioni, le relazioni
affettive. Il grande Nazario Pardini avverte l’esigenza di questa resurrezione,
ma sa che non vi giungerà da solo, lo accompagnerà l’amore per Delia, mentre
Thanatos sorveglierà in silenzio. Il Pardini considera la poesia come un bene
immateriale immerso nello splendore delle cose terrene: va preservata perché
contribuisce a combattere la morte mediante la creatività, l’alterità, i valori
etici, oltre che estetici, di cui è portatrice. Lasciamo che sul capo di
Calliope rifulga una corona d’oro, mentre attende alla scrittura poetica. Il
poeta manifesta una vibrante reazione contro coloro che infangano la poesia,
che “vogliono spogliare/il canto dell’abbrivio personale”. A costoro
vada la pietà del poeta, il perdono. E ancora:
“… vola oltre la morte
e amami ancòra come io ti ho amata
e non lasciare che il mondo ti contamini
togliendoti dall’anima quel succo
nato per trasformarsi in poesia …”
(Non infangare Calliope)
Le vette
liriche del poeta sono così elevate che l’animo si perde nella sinfonia dei
versi e nella forza della parola. Calliope è un tutt’uno con Delia, l’amata;
con Delia si va nella grazia dell’amore e della passione, verso una immensa
luce. Thanatos non potrà che assistere alla corsa dei due amanti verso il sole:
“Guarda, laggiù in disparte c’è la falce/ che aspetta di recidere/ i raggi
dell’amore”; si può esserne consapevoli e dimenticare la morte, vivendo
fino in fondo i sentimenti e far vincere la bellezza sulla ostinata volontà di
Thanatos:
“Amore è quello che faremo,
senza indugi e senza reticenze,
sarà la nostra fiamma,
il fuoco che ci incendia
a tradire la foga dell’eterno,
dell’eterno mistero della morte”.
(Andiamo insieme, Delia)
Dopo
aver cantato in modo sublime la supremazia dell’amore e della poesia,
rinsaldato nel suo credo dalla vitalità delle memorie, dalle speranze e
avendone tratto consolazione, il poeta ingaggia un serrato confronto con
Thanatos. L’inimicizia con la morte è fondata sulla natura stessa della sua
presenza e del suo destino: l’ordine naturale delle cose esige che il filo
della vita venga tagliato, anche se inaspettato, nei momenti più significativi
e densi di pathos. È il destino crudele della morte quello di arrecare dolore e
disperazione; allo stesso tempo la morte è destino dei viventi. È impossibile
sciogliere il mistero di questo legame indissolubile:
“Mi è
presa la mania di parlare
con te.
L’odio e l’amore si completano
in
questo strano gioco. Confidarti
tutte le
mie impressioni e i pensamenti
sta
diventando bramosia …”
(Conversazione
con la morte)
È il
desiderio di conoscenza, la curiosità nei riguardi dell’eterno, la voglia di
sapere come la morte si manifesterà, ciò che spinge il poeta a dilungarsi in
questa conversazione tra alterni sentimenti giustificati dal mistero: la morte
non può “aprire squarci sul futuro”. L’odio e l’amore si ricomporranno,
forse, in una zona dell’Oltre, dove il mistero potrà essere spiegato.
“Il
cielo senza stelle non è cielo
mi
diceva un mio vecchio professore.
Ed è là
che dirette - per Virgilio –
vanno a
finire le anime serene
in
un’eterna luce: non c’è buio
di notte
con le stelle …”
(Il
cielo senza stelle non è cielo)
Non
meraviglia che Nazario Pardini, citando Virgilio, si lasci guidare nell’alto
cielo come stella che trova spazio tra brillanti destinazioni, superando le
strettoie imposte da Thanatos e confermando la fede nell’universale armonia.
Virgilio è il Maestro che canta Orfeo, e che dall’oscurità eleva alla luce, ama
la vita agreste, la terra, la natura e le semplici cose, senza rinunciare ad
essere un politico, condottiero di un pensiero alto che Dante fa proprio nella
Commedia, pur provenendo dal mondo pagano. Virgilio guida all’amore, alla
speranza di un corpo salvato.
Allegoria
della ragione umana, egli, da romano e da poeta aveva fatto discendere Enea
nell’oltretomba per conoscere il destino del mondo, così ora è chiamato dalle Potenze
celesti ad una funzione di guida. Virgilio è, nella
cultura profonda di Nazario Pardini, colui che spiega a Dante il vero
ordinamento terreno le cui leggi avranno seguito nell’aldilà.
“…
Quando venni
dinanzi
alla tua tomba
vibrarono
le carni ed in segreto
il
pianto mi si sciolse, fuggiasco fiorentino,
ancora
fuori dal glorioso fiume…”
“…
restai fermo
dinanzi
al tuo sepolcro, emozionato
dalla
voce che desti a S. Bernardo
per la
preghiera a Lei
“umile
ed alta più che creatura”
“Vergine
Madre figlia del tuo figlio…”
alla
fine del viaggio in Paradiso”.
(A
Dante)
Il cuore
del poeta si apre alla commozione e al pianto di fronte alla grandezza di Dante
suscitando nel lettore profonde emozioni; ma sembra, questo pianto, suffragare
il credo nell’immortalità dello spirito e della bellezza. È questo l’approdo:
scoprire il paesaggio di una notte stellata, di un varco che promette
l’immortalità del bello e dello spirito nell’armonia dell’abbraccio universale.
La speranza del poeta si accende anche dall’osservazione delle metamorfosi
della Natura: dai rami secchi dell’inverno tornano a fruttificare nuove
esplosioni di vita, “un fiore che si affaccia dall’avello”.
Marisa
Cossu
Applaudire Nazario Pardini per l'armonia dei versi, per le raffinate scelte lessicali, per la profondità del sentire e la pienezza delle immagini, è ripetersi , ma ripetersi è solo un piacere di fronte ad un artista di tale livello. Scontata, dunque, l'ammirazione per Pardini- Poeta ( uno dei pochi, oggi, degni di questo nome) , voglio complimentarmi con te, Marisa, per questa analisi bellissima. Tu sei sempre brava (e dir “brava” è dir poco), ma ...non so...magari dipende anche da una particolare predisposizione del mio animo, non posso saperlo... comunque leggendo questo studio ho avvertito vibrazioni particolari, intense, ho percepito da parte tua una grande emozione , una commozione davvero sincera e profonda che mi hai trasmesso. Grazie.
RispondiEliminaMarisa Cossu Grazie Lidia; infatti questo libro mi ha coinvolta emotivamente sia dal punto di vista umano che da quello prettamente letterario e lirico. Di queste emozioni ho tenuto conto nell'analisi alquanto complessa del testo pervaso da grande cultura, aspetti psicologici e filosofici. So che è piccola cosa la mia nota, scrivo soprattutto poesia, ma ci metto l'anima e tu lo ha percepito.❤️
EliminaGrazie Maestro! Il tuo libro mi ha letteralmente travolta in emozioni che da tempo non provavo in modo tanto forte e chiaro. Un piacere leggere e commentare le tue splendide liriche accostandomi alla tua viva ricerca poetica. Un onore essere qui sulla tua Isola e sentirmi a casa.
RispondiEliminaMarisa Cossu