Pier Paolo Dinelli, scrittore famoso in Versilia per la sua vasta
cultura, per la sua versatilità in campo narrativo e critico, per il suo
ingegno eclettico e plurale nel saper adattare
il linguaggio a qualsiasi tema culturale, ci fa dono di questo scritto di estrema
attualità, dove risalta con efficace positura ontologica il sacrosanto dono
della creatività. Il linguaggio corre fluente e amabile nel reificare il tema
dell’amore arricchito da riferimenti di alta valenza culturale; di alto spessore umano.
L’ amore al tempo del coronavirus
I rapporti affettivi durante l’isolamento
AMORE E PSICHE |
La natura dei rapporti umani sono sempre stati un bell’enigma, tanto che
fin dall’antichità pensatori e filosofi si sono chiesti quale fosse il legame
che univa, ad esempio, l’uomo e la
donna. Iniziò Platone che nel Simposio narra il mito di Ermafrodito. In origine
gli uomini erano veramente strani: avevano quattro braccia e quattro gambe e presentavano
i caratteri sessuali sia maschili sia femminili. Erano molto forti e superbi
tanto da indispettire gli dei per la loro arroganza.
“Zeus ebbe un'idea. "lo
credo - disse - che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva
e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più
deboli. Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le
sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo. […]. Quando dunque
gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti
desiderava ricongiungersi all'altra[...]Dunque ciascuno di noi è una frazione
dell'essere umano completo originario. Per ciascuna persona ne esiste dunque
un'altra che le è complementare, perché quell'unico essere è stato tagliato in
due, come le sogliole. E' per questo che ciascuno è alla ricerca continua della
sua parte complementare.”
Quindi secondo questo mito l’uomo è spinto alla ricerca della
donna e viceversa perché essa rappresenta la sua metà mancante. Anche nella
Bibbia c’è una storia simile.
“Dio
il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un
alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente . . . Poi Dio il Signore disse:
‘Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui’ . .
. Allora Dio il Signore fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si
addormentò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto
d’essa. Dio il Signore, con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una
donna e la condusse all’uomo. L’uomo disse: ‘Questa, finalmente, è ossa delle mie
ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta
dall’uomo’”. – Gn
2:7,18,21-23.
Anche
nella Bibbia la donna è parte dell’uomo, non è la sua metà, ma si può dire che
nasca da lui per gemmazione. Sta di fatto che ne è una parte. I due racconti
però differiscono in un aspetto importante. Infatti per i Greci l’unità non si ricreerà
mai e le due parti resteranno sempre in continua ricerca, per i cristiani
questa unione invece si ricomporrà con
il matrimonio.
“per questo l'uomo lascerà suo padre e
sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non
sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello
che Dio ha congiunto ( Mc 10, 2-16)”
Questa
diversa concezione del legame uomo/donna genererà anche ben diversi abitudini
sociali. In ambiente occidentale, sia greco sia latino, la donna poteva
separarsi dal marito e i legami familiari erano molto flessibili. Ad esempio
una grande diffusione di divorzi si ebbe in Roma con l'emanazione da parte di
Augusto della lex de ordinibus maritandis diretta soprattutto a frenare
la diminuzione delle nascite nella aristocrazia: i divorzi erano visti come
occasione di unioni più assortite e prolifiche. In ambiente medio orientale la
donna era invece legata indissolubilmente all’uomo e il tradimento o il ripudio
poteva prevedere pene assai severe come la lapidazione. Ma andiamo avanti. Nel Medio Evo, come ci
racconta Johan Huzinga ne “L’autunno del
Medio Evo” la passione amorosa aveva un andamento bipolare: o vista come
sentimento angelico che permette all’uomo di elevarsi fino al cielo (es. L’amor cortese), o come istinto
godereccio atto a esaudire anche i più bassi istinti. In questo caso l’amore
era la risposta o almeno l’antidoto all’angoscia della morte che pervade la
società in quei secoli ( cfr. Il Settimo Sigillo, il cavaliere che gioca
a scacchi con la morte). Nell’età dei lumi la passione si deve piegare alle
regole della ragione. Per Kant esistono
due tipi di amore: uno inteso come inclinazione e come sentimento e l’amore
pratico, secondo i principi dell’intelletto, non dettato dalla passione ma
dalla ragione, legato alla scelta e al giudizio: quest’ultimo, per il nostro
filosofo è chiaramente da preferire. Concezione che verrà ribaltata in epoca
romantica dove l’amore è inteso come passione, tempesta, sconvolgimento dei
sensi e della ragione.
E
poi arriva Freud con la psicanalisi scompaginando un po’ le carte. Eh si perché mentre fino ad ora l’amore
riguardava ragione e sentimento, Sense and Sensibility per dirla con Jan Austen, ora entrano in
gioco altre componenti. Infatti per il medico viennese l’ Io di ciascuno di noi ( cioè quell’entità
astratta ma reale in base alla quale noi percepiamo di esistere, abbiamo una
coscienza, una individualità, traiamo giudizi,ecc..) è costituito da due contenitori,
o meglio come due pile collegate in serie che gli permettono di funzionare: il
conscio e l’inconscio. Il primo è la parte razionale del nostro Io e ci
permette di rimanere in contatto con il mondo esterno attraverso le percezioni:
grazie ad esso sappiamo di esistere, agiamo nel mondo, facciamo progetti, ci
relazioniamo. Il secondo, l’inconscio, invece è la parte sommersa della psiche
e i suoi scopi sono autonomi e nascosti alla coscienza superficiale. Mentre la
parte conscia della psiche è ben ordinata e facilmente accessibile, l’ inconscio
è un profondo buco nero nel quale
ribollono pensieri nascosti al sentire
immediato, godendo di vita autonoma, in quanto le forze psichiche in esso
contenute lottano e agiscono all'oscuro della nostra coscienza . Ma cosa contiene l’inconscio? In esso sono
contenute quelle forze psichiche, quelle pulsioni si direbbe, ancestrali che derivano
ad esempio dal nostro essere animali. Ad esempio quelle tendenze o bisogni
dettati dalla specie. Per Darwin ogni specie animale è dotata di una propria
intelligenza che le permette di sopravvivere e non estinguersi: da qui il
bisogno innato all’autoconservazione, alla riproduzione, al nutrirsi. Freud ha distinto due grandi tipi d’istinti presenti
nell’Io fin dalla sua nascita : l’istinto di vita e l’istinto di morte.
L’istinto di vita esprime i bisogni
affettivi e sessuali, e prede il nome di libido. La libido è per
Freud la madre di tutte le pulsioni. L’
istinto di morte è definito come aggressività
ed è la tendenza che abbiamo di danneggiare l’ altro, demolirlo, costringerlo,
umiliarlo, e può rivolgersi anche contro noi stessi. La libido dunque è
presente nel bambino fin dalla nascita e si sviluppa per stadi: ogni fase
corrisponde ad una zona erogena del corpo sulla quale vengono concentrati e
scaricati gli impulsi libidici. Fino a 3 anni lo sviluppo libidico è rivolto
solo su di sé. Da 3 anni in poi si cerca un oggetto esterno. OK, va bene: fin
qui tutto chiaro. Ma come interfacciano conscio e inconscio? Come si è detto le
due componenti della psiche sono in connessione pertanto qualcosa
dall’inconscio può emergere. In particolari stati di abbassamento della
coscienza, come durante il sonno, la ipnosi, ecc.. possono riaffiorare
dall’inconscio alcuni elemento psichici. L’inconscio purtroppo comunica in un
modo più articolato e profondo, grazie ad un linguaggio simbolico. Freud ha
dato ad esempio una grande importanza alla interpretazione dei sogni come
strada per accedere alla conoscenza delle componenti più profonde
dell’inconscio. Jung, successore rinnegato di Freud, ipotizzò che la mitologia,
cioè quell’insieme di racconti che le varie culture nel corso del tempo hanno
tramandato, fosse una sorta di inconscio collettivo: cioè ogni racconto contenesse un significato
simbolico profondo riconducibile a qualche pulsione. Il mito quindi viene assunto come una manifestazione
collettiva altamente elaborata dello spirito umano, in cui si rivelano e, al
tempo stesso, si dissimulano certe tendenze inconsce. Quindi per Freud il big bang di tutto l’universo psichico è
la pulsione sessuale che inizialmente il bambino ha per la madre: per tutta la
vita noi proveremo sempre nostalgia per questo primordiale sentimento amoroso,
ricercandolo inutilmente negli altri. Inoltre per Freud l’amore non è privo di
narcisismo. La passione amorosa è una passione narcisistica (Cfr. S.Freud,
Introduzione al narcisismo). L’amore per l’altro è soprattutto amore di sé: noi
ci innamoriamo del noi rispecchiato nell’altro. L’innamoramento quindi per
Sigmund è un corto circuito: non c’è speranza che esista amore non
narcisistico. Ma! Ben diversa è la concezione proposta da Lacan “L'amore è donare quello che non si ha a
qualcuno che non lo vuole”. Per capire questa frase bisogna però fare
alcuni passi indietro. L’inconscio di Lacan è ben diverso da quello di Freud e
Jung. L’inconscio freudiano è un insieme di pulsioni che noi percepiamo in
maniera simbolica, cioè grazie a significati complessi e articolati. Quindi per
Freud per accedere ai contenuti inconsci dobbiamo procedere ad un processo di interpretazione. Per Lacan invece l’inconscio
ha la struttura del linguaggio, cioè un insieme
ordinato di particolari segni. E’ come una rete che funziona secondo una logica, anche se non è quella
dell’Io cosciente. In questa rete circola la pulsione, la libido.
Quindi l’inconscio non è più un buco nero
inaccessibile, ma è il luogo da cui il soggetto, grazie ad un processo di associazione, riceve il proprio
messaggio che lo riguarda in prima persona. Però nell’inconscio risiedono solo
i significanti, la parte convenzionale della parola: i significati, il
contenuto, andranno elaborati grazie ad
una ricerca, ad un confronto con ciò che è fuori da noi, con l’ Altro. Pertanto
per il soggetto, la risposta ai suoi problemi è situata nel luogo dell’Altro. Chiaramente
Lacan è figlio del suo tempo, o meglio della riflessione filosofica e culturale
sul ruolo del linguaggio che si ha a partire dal secondo dopoguerra e che ne privilegia
il ruolo a livello esistenziale e conoscitivo, anche evidenziandone i limiti e
le incongruenze. Il linguaggio infatti è sempre una approssimazione perché,
come diceva il filoso Derrida, esiste inevitabilmente un scarto fra le parola e
le cose: una differance. Il
linguaggio gioca però tutta la sua partita su un processo di associazione, di
ricongiungimento fra due entità, significato/ significante, che solo nell’unità
garantiscono la loro funzionalità: ricordate il mito raccontato da
Platone? E già perché siamo ritornati
lì. La dinamica psichica si attua in questa continua ricerca di qualcosa che è
fuori di noi per compensare ciò che in noi manca e del quale ne avvertiamo
l’assenza. Ma allora cosa è l’amore
per Lacan? Il bisogno d’amore nasce da un buco, cioè da una mancanza, dalla
mancanza dell’Altro, e reciprocamente domanda di mancare all’Altro. Amare è
donare la propria mancanza. Ma questo implica che nell’amore ci sia sempre un
muro. Il muro è il linguaggio, nel senso che è una struttura di separazione e
incomprensione anche se l’ unico strumento di relazione. L’esistenza del
linguaggio separa il soggetto dal corpo da cui viene. Il linguaggio separa e
distingue l’Io dal resto del mondo. L’esperienza dell’amore tramite il linguaggio implica
quindi una separazione. Anche secondo Lacan, come per Freud, tendiamo ad
innamorarci di persone in cui ci rispecchiamo, ma l’amore che deriva dalla
specularità è l’amore narcisistico del farsi amare, dell’ amare se stessi
nell’Altro, è l’amore come rispecchiamento. In questo amore narcisistico quello
che conta non è l’Altro, ma l’Uno, la fusione, il desiderio di essere Uno:
sempre Platone! L’amore è attrazione verso l’Uno, è essere una cosa sola ( cfr.
Bibbia)? E’ una reciprocità speculare? Per certi versi l’amore è l’illusione
del fare Uno, ma questa illusione è solo la degradazione narcisistica
dell’amore. Per Lacan l’amore, quello corrisposto, quello che fa sì che
l’amante sia anche l’amato, si basa sul rapporto fra soggetti. Si ama
l’eterogeneità radicale dell’Altro, l’altro in quanto Altro. Al di là delle
qualità che possiede, semplicemente per se stesso. Per Lacan l’altro, proprio
per la sua diversità, è la compensazione di ciò che ci manca. L’uomo e la donna
conservano infatti una loro diversità incolmabile. Soprattutto a livello
sessuale essi ricercano e desiderano cose diverse. Il mistero dell’amore per Lacan
è tutto qui: nel donare ciò che non siamo e non abbiamo, all’altro che
certamente cerca e desidera cose diverse. Sembra una assurda contraddizione, ma
forse Lacan non ha torto. E ce ne accorgiamo proprio oggi al tempo del
coronavirus. La mancanza dell’altro, della possibilità di relazionarsi, di
avere contatti, mette in evidenza i nostri limiti e i nostri bisogni. “Nell’assenza si avverte la mancanza”
diceva un filosofo. L’assenza dell’altro ci rivela il bisogno che abbiamo di
lui, non solo come compagnia o svago. Avvertiamo che comunque l’altro, anche
nella diversità che lo caratterizza, è lo strumento per attivare la nostra
ricerca di significato, per esaudire il nostro bisogno di senso. E’ forse la
sponda entro la quale scorre il nostro essere. Un argine a volte duro e spigoloso,
ma che ci permette di fluire in una direzione, senza disperderci in una inutile
stagnazione. L’Io senza l’Altro è indecifrabile anche per se stesso. Oggi più che mai tendiamo alla omologazione,
uniformando e standardizzando comportamenti, bisogni e desideri. Perché ciò che
è simile a noi ci rassicura soddisfacendo il nostro narcisismo. Al contrario è
nell’accettazione e nel confronto con la diversità, anche se inconciliabile,
che risiede la forza non solo del sentimento amoroso, ma anche di qualsiasi
arricchimento esistenziale. Camaiore
19 marzo 2020.
Pier Paolo Dinelli
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