PREFAZIONE
a
STORIE UN
PO' COSI'
Ho già avuto
occasione di scrivere, e non una sola volta, sulla proficua abundantia creativa
di Pietro Rainero; sulla sua capacità di inventare storie e personaggi che poi
non sono del tutto fuori dal mondo reale, dacché l’Autore spesso si serve della
sua fantasia per pungere o per annotare in maniera paradossale casi e
situazioni, mettendo in rilievo vizi e virtù, doti e manchevolezze, ambizioni o
frustrazioni, senza, per questo, mettersi in cattedra a pontificare. Quello che
emerge da subito è la sua modestia interpretativa, priva di egotismo o di
qualsiasi egocentrismo, di qualsiasi intervento che lo riguardi,
biograficamente, da vicino. Sì c’è il suo mondo, la sua visione a volte assurda
di una realtà fuori dagli schemi abitudinari; c’è senz’altro la sua arguzia
intellettiva, la sua verve partecipativa, il suo intrufolarsi da osservatore
nelle vicende che narra, ma quasi con un tocco ariosteo, spesso distaccato,
anche se con animo denso di umana conoscenza, di umano senso del vivere. A
proposito credo giovi a questa presentazione riportare una tranche di un mio
scritto sulla sua opera Novelle geografiche,
Print
Me Editore, Taranto, 2018, come riferimento al suo stile, al
suo modo di proporsi e alla sua virtù affabulante: “Un
titolo indicativo, esplicativo che ci dà fin da subito una importante dritta
per la lettura. In effetti l’Autore spazia con la sua cultura e la sua
creatività. Vola come un’aquila sopra monti e colline, al di là di mari,
aggrappandosi a conoscenze storiche che in suo possesso vengono poi elaborate
magistralmente dando frutti sapidi di poesia, anche. Sì, se per poesia si
intende creatività, immaginazione, fantasia, sentimento, e tanto amore per la
natura. Va bene!, la cosa che differenzia i due generi è palese: la poesia è in
versi (strofe), figure retoriche, vocaboli più ricercati; la prosa: non ha
versi, è più lunga, ha parole meno
ricercate, spiega, descrive anche in
modo accurato; dialoga... Ma senz’altro nella prosa del nostro sono presenti
quegli input di cui sopra. Il suo è un andare franco, leale, schietto, direi,
baciato da una mano alta per l’elasticità della narrazione, per la semplicità e
la chiarezza della comunicazione. Non ci sono parafrastiche contorsioni, né involuzioni morfosintattiche
o altro che appesantiscano il dettato narrativo. Tutto scorre armoniosamente:
la parola segue mansueta gli scarti immaginifici dello scrittore, gli va dietro
inventandosi e reinventandosi, smussandosi o arrotondandosi, facendosi impronta
decisiva di un sentire di vasta larghezza contemplativa. E non pensiate che la
fantasia assorba il tutto fra le sue branche, e tutto faccia suo a scapito di
una realtà sociale, o più semplicemente umana, reale. Spesso si può parlare di
apologo per gli intenti di Pietro Rainero, volendo egli stesso dare un senso
parenetico alla sua voce. Ed è così che
da un parossismo spesso traslato si può ricavare un ammonimento riferito al
mondo in generale sovente sperso nei meandri della vita...”.
E
riprendendo il filo del discorso, in questa nuova raccolta per i tipi della casa editrice
Montedit, sono contemplati undici racconti: cinque già pubblicati sul
blog Alla volta di Lèucade di cui Rainero è un assiduo collaboratore. Racconti
che nel loro ensemble ci parlano di vari e articolati movimenti contenutistici,
di plurali ambienti narrativi, di molteplici sequenze naturali che, con la loro
forza evocativo-visiva, contribuiscono non poco alla identificazione del
simbolismo dei personaggi. Già l’incipit del primo racconto ci mette, fin da
subito, a contatto coll’ambiente che farà da substrato al prosieguo della
narrazione: “BUIO. Silenzio. Poi un rumore assordante.
Fumo. Stridio metallico di rotaie. Dal tunnel nasce, sbuffando, una locomotiva
nera, nera come il carbone che, bruciando nella caldaia, sprigiona la forza
necessaria a spingere gli stantuffi che permettono al convoglio di divorare chilometri
e inghiottire valli...” Una pennellata a tinte forti di natura neorealistica
dove l’ambienti fa da cornice significante, fisica e introduttiva; da antiporta
al resto della storia; il narratore, prendendoci con energico trascinamento,
pagina dopo pagina, ci conduce fino all’ultimo rigo del testo, lasciandoci
sempre curiosi e impazienti di conoscere altre avventure. Questa è la dote
principale dello scrittore: suscitare emozioni e sorprese; distrarci un po’ dalle nostre ristrettezze terrene. D’altronde
ogni essere umano vorrebbe uscire dalle miserie della quotidianità, dalle
pochezze della sua vicissitudine; vorrebbe allungare il tiro oltre la
circonferenza del suo esistere. Ebbene Pietro Rainero con nobiltà d’animo ci
trascina in mondi nuovi con un surrealismo che sa di ultraumano. E lì il
lettore si distende, trova pace,
serenità tra fiabe e invenzioni di rara fattura: dal ritrovamento da parte del
pescatore di una bottiglia con all’interno un foglio arrotolato: “Il vecchio
Niels, srotolò la carta, che conteneva un racconto, che narrava di una
bellissima principessa sirena...” (L’uomo
che pescava fiabe); alle vicende di Cloto, Lachesi, Echimede, macellaio di
Sparta, del racconto T.F.R. (taglia il filo residuo) “Sì, sì, che bello! Adoro
gettare i dadi!”, buttando nella pentola stracolma di acqua bollente il cubo di
estratti vegetali. Poi, sempre lei, Lachesi, prese l’enorme cucchiaio di legno
e si apprestò a rimescolare il liquido ribollente, esclamando infine: “Fatto!
Tra dieci minuti sarà pronta una minestrina con i fiocchi!”
“Stupida!! Intendevo il dado della vita!” la rimproverò
Cloto.
“Ah...quello.. Va bene, eccolo qui! Per
chi devo buttarlo?”
“Lancialo per Echimede, quel macellaio
di Sparta”
“Bene” e Lachesi lasciò cadere dalla
sua mano il dado a forma di cubo.
“Croce!!” constatò tutta eccitata Atropo che, pochi attimi dopo,
impugnò le cesoie.
“T.F.R, T.F.R!” gridò
Cloto.
“Sì, sì, taglia il filo residuo,
taglia il filo residuo!” la
esortò anche Lachesi....”. Un andare dialogico che si inserisce a puntino fra
sequenze di ordine narrativo-descrittivo-introspettivo. Su, su fino all’ultima significativa
narrazione Castelli di sabbia: “BRAHMA,
fantasioso fanciullo, creava meravigliosi manieri, VISHNU, assennato adulto,
amorevolmente li custodiva, SHIVA, malvagio vecchio, cinicamente li calpestava”
che, col suo profondo e filosofico pensiero ci
porta ad un finale ricco di interrogativi sull’essere e l’esistere: “Cosa
è lo spazio? E cosa il tempo? Perché esiste qualcosa invece di nulla? ”.
“Questo
ci rimanda necessariamente a Dio” sostenne gravemente il primo filosofo, che
subito aggiunse: “Perché gli uomini si pongono queste domande? Anelano a Dio?
Dio li chiama? Insinua dubbi? Agita un po’ le loro menti e i loro cuori?
Perturba un goccio il loro essere? Si
pongono queste domande perché cercano Dio? Chi è Dio? Esiste? ”. Il tutto
dolcemente accompagnato da sfumature ipotestuali di urgente resa emotivo-descrittiva,
dove la natura sembra prendere in mano il bandolo della matassa per ergersi
come regina: “Il sole intanto, nell’avvicinarsi alle colline, disegnava lunghe
ombre sulla sabbia ancora piacevolmente calda.
Le
prime ombre dell’incombente... Qua e là, disposti casualmente sulla rena,
rimanevano alcuni bastioni e torri isolate, unica testimonianza di lavori
creativi e di vivaci dialoghi, di un bel giorno veramente esistito.
Ricordo
di un pomeriggio impiegato nel costruire qualcosa di bello che si sperava in
fondo, pur sapendo il contrario, duraturo.
Castelli
di sabbia erano questi, come castelli di sabbia erano state anche le
discussioni tra i due filosofi, castelli di nulla che lui, Shiva, avrebbe presto calpestato ad uno ad uno riducendoli
a mucchi di cenere informe, vago ricordo di vite passate.…….
Shiva
non riuscì, nella penombra incombente, a trattenere una breve risata.
Iniziò
a dirigersi verso la spiaggia.
ERA
GIUNTA LA SUA ORA, L'IMBRUNIRE.
Era
giunta l’ora della sua consueta passeggiata notturna.”.
A
voi la lettura che senz’altro vi porterà in un mondo tutto da scoprire. Questo
è. D’altronde le sintesi sono le
medicine meno adatte per guarire la pigrizia: il compito del prefatore è quello
di introdurre e non di svelare, né tanto meno quello di togliere al lettore il
piacere della scoperta.
Nazario
Pardini
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