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domenica 14 luglio 2019

NAZARIO P. PREFAZIONE A "STORIE UN PO' COSI'" DI PIETRO RAINERO


Pietro Rainero. Storie  un po' così... Montedit Edizioni.
Melegnano. 2019

PREFAZIONE
a
STORIE  UN  PO'  COSI'


Pietro Rainero,
collaboratore di Lèucade
Ho già avuto occasione di scrivere, e non una sola volta, sulla proficua abundantia creativa di Pietro Rainero; sulla sua capacità di inventare storie e personaggi che poi non sono del tutto fuori dal mondo reale, dacché l’Autore spesso si serve della sua fantasia per pungere o per annotare in maniera paradossale casi e situazioni, mettendo in rilievo vizi e virtù, doti e manchevolezze, ambizioni o frustrazioni, senza, per questo, mettersi in cattedra a pontificare. Quello che emerge da subito è la sua modestia interpretativa, priva di egotismo o di qualsiasi egocentrismo, di qualsiasi intervento che lo riguardi, biograficamente, da vicino. Sì c’è il suo mondo, la sua visione a volte assurda di una realtà fuori dagli schemi abitudinari; c’è senz’altro la sua arguzia intellettiva, la sua verve partecipativa, il suo intrufolarsi da osservatore nelle vicende che narra, ma quasi con un tocco ariosteo, spesso distaccato, anche se con animo denso di umana conoscenza, di umano senso del vivere. A proposito credo giovi a questa presentazione riportare una tranche di un mio scritto sulla sua opera Novelle geografiche, Print Me Editore, Taranto, 2018, come riferimento al suo stile, al suo modo di proporsi e alla sua virtù affabulante: Un titolo indicativo, esplicativo che ci dà fin da subito una importante dritta per la lettura. In effetti l’Autore spazia con la sua cultura e la sua creatività. Vola come un’aquila sopra monti e colline, al di là di mari, aggrappandosi a conoscenze storiche che in suo possesso vengono poi elaborate magistralmente dando frutti sapidi di poesia, anche. Sì, se per poesia si intende creatività, immaginazione, fantasia, sentimento, e tanto amore per la natura. Va bene!, la cosa che differenzia i due generi è palese: la poesia è in versi (strofe), figure retoriche, vocaboli più ricercati; la prosa: non ha versi, è più lunga,  ha parole meno ricercate, spiega,  descrive anche in modo accurato; dialoga... Ma senz’altro nella prosa del nostro sono presenti quegli input di cui sopra. Il suo è un andare franco, leale, schietto, direi, baciato da una mano alta per l’elasticità della narrazione, per la semplicità e la chiarezza della comunicazione. Non ci sono parafrastiche  contorsioni, né involuzioni morfosintattiche o altro che appesantiscano il dettato narrativo. Tutto scorre armoniosamente: la parola segue mansueta gli scarti immaginifici dello scrittore, gli va dietro inventandosi e reinventandosi, smussandosi o arrotondandosi, facendosi impronta decisiva di un sentire di vasta larghezza contemplativa. E non pensiate che la fantasia assorba il tutto fra le sue branche, e tutto faccia suo a scapito di una realtà sociale, o più semplicemente umana, reale. Spesso si può parlare di apologo per gli intenti di Pietro Rainero, volendo egli stesso dare un senso parenetico alla sua voce.  Ed è così che da un parossismo spesso traslato si può ricavare un ammonimento riferito al mondo in generale sovente sperso nei meandri della vita...”.
E riprendendo il filo del discorso, in questa nuova raccolta per i tipi della casa editrice Montedit, sono contemplati undici racconti: cinque già pubblicati sul blog Alla volta di Lèucade di cui Rainero è un assiduo collaboratore. Racconti che nel loro ensemble ci parlano di vari e articolati movimenti contenutistici, di plurali ambienti narrativi, di molteplici sequenze naturali che, con la loro forza evocativo-visiva, contribuiscono non poco alla identificazione del simbolismo dei personaggi. Già l’incipit del primo racconto ci mette, fin da subito, a contatto coll’ambiente che farà da substrato al prosieguo della narrazione: “BUIO. Silenzio. Poi un rumore assordante. Fumo. Stridio metallico di rotaie. Dal tunnel nasce, sbuffando, una locomotiva nera, nera come il carbone che, bruciando nella caldaia, sprigiona la forza necessaria a spingere gli stantuffi che permettono al convoglio di divorare chilometri e inghiottire valli...” Una pennellata a tinte forti di natura neorealistica dove l’ambienti fa da cornice significante, fisica e introduttiva; da antiporta al resto della storia; il narratore, prendendoci con energico trascinamento, pagina dopo pagina, ci conduce fino all’ultimo rigo del testo, lasciandoci sempre curiosi e impazienti di conoscere altre avventure. Questa è la dote principale dello scrittore: suscitare emozioni e sorprese; distrarci un po’  dalle nostre ristrettezze terrene. D’altronde ogni essere umano vorrebbe uscire dalle miserie della quotidianità, dalle pochezze della sua vicissitudine; vorrebbe allungare il tiro oltre la circonferenza del suo esistere. Ebbene Pietro Rainero con nobiltà d’animo ci trascina in mondi nuovi con un surrealismo che sa di ultraumano. E lì il lettore si distende, trova  pace, serenità tra fiabe e invenzioni di rara fattura: dal ritrovamento da parte del pescatore di una bottiglia con all’interno un foglio arrotolato: “Il vecchio Niels, srotolò la carta, che conteneva un racconto, che narrava di una bellissima principessa sirena...” (L’uomo che pescava fiabe); alle vicende di Cloto, Lachesi, Echimede, macellaio di Sparta, del racconto T.F.R. (taglia il filo residuo) “Sì, sì, che bello! Adoro gettare i dadi!”, buttando nella pentola stracolma di acqua bollente il cubo di estratti vegetali. Poi, sempre lei, Lachesi, prese l’enorme cucchiaio di legno e si apprestò a rimescolare il liquido ribollente, esclamando infine: “Fatto! Tra dieci minuti sarà pronta una minestrina con i fiocchi!”
“Stupida!!  Intendevo il dado della vita!” la rimproverò Cloto.
“Ah...quello.. Va bene, eccolo qui! Per chi devo buttarlo?”
“Lancialo per Echimede, quel macellaio di Sparta”
“Bene” e Lachesi lasciò cadere dalla sua mano il dado a forma di cubo.
“Croce!!” constatò  tutta eccitata Atropo che, pochi attimi dopo, impugnò le cesoie.
T.F.R, T.F.R!” gridò Cloto.
“Sì, sì, taglia il filo residuo, taglia il filo residuo!”  la esortò anche Lachesi....”. Un andare dialogico che si inserisce a puntino fra sequenze di ordine narrativo-descrittivo-introspettivo. Su, su fino all’ultima significativa narrazione Castelli di sabbia: “BRAHMA, fantasioso fanciullo, creava meravigliosi manieri, VISHNU, assennato adulto, amorevolmente li custodiva, SHIVA, malvagio vecchio, cinicamente li calpestava” che, col suo profondo e filosofico pensiero ci  porta ad un finale ricco di interrogativi sull’essere e l’esistere: “Cosa è lo spazio? E cosa il tempo? Perché esiste qualcosa invece di nulla? ”.
“Questo ci rimanda necessariamente a Dio” sostenne gravemente il primo filosofo, che subito aggiunse: “Perché gli uomini si pongono queste domande?  Anelano a Dio?  Dio li chiama? Insinua dubbi? Agita un po’ le loro menti e i loro cuori? Perturba un goccio il loro essere?  Si pongono queste domande perché cercano Dio? Chi è Dio? Esiste? ”. Il tutto dolcemente accompagnato da sfumature ipotestuali di urgente resa emotivo-descrittiva, dove la natura sembra prendere in mano il bandolo della matassa per ergersi come regina: “Il sole intanto, nell’avvicinarsi alle colline, disegnava lunghe ombre sulla sabbia ancora piacevolmente calda.
Le prime ombre dell’incombente... Qua e là, disposti casualmente sulla rena, rimanevano alcuni bastioni e torri isolate, unica testimonianza di lavori creativi e di vivaci dialoghi, di un bel giorno veramente esistito.
Ricordo di un pomeriggio impiegato nel costruire qualcosa di bello che si sperava in fondo, pur sapendo il contrario, duraturo.
Castelli di sabbia erano questi, come castelli di sabbia erano state anche le discussioni tra i due filosofi, castelli di nulla che lui, Shiva,  avrebbe presto calpestato ad uno ad uno riducendoli a mucchi di cenere informe, vago ricordo di vite passate.…….
Shiva non riuscì, nella penombra incombente, a trattenere una breve risata.
Iniziò a dirigersi verso la spiaggia.
ERA GIUNTA LA SUA ORA, L'IMBRUNIRE.
Era giunta l’ora della sua consueta passeggiata notturna.”.
A voi la lettura che senz’altro vi porterà in un mondo tutto da scoprire. Questo è.  D’altronde le sintesi sono le medicine meno adatte per guarire la pigrizia: il compito del prefatore è quello di introdurre e non di svelare, né tanto meno quello di togliere al lettore il piacere della scoperta.

Nazario Pardini

  




                                                     


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