domenica 3 gennaio 2016

ROBERTO MESTRONE: "RIFLESSIONI SUL MITO DI ORFEO E EURIDICE"

Roberto Mestrone collaboratore di Lèucade

31 - 12 - 2015

Riflessioni sul mito di Orfeo ed Euridice 
suggerite da EURIDICE”
Di Maria Grazia Ferraris
(Alla volta di Leucade 9/12/2015)


Encomiabile Maria Grazia Ferraris nel riproporci il Mito di Orfeo ed Euridice prendendo il via dal dibattito aperto su queste pagine da Vito Lolli e Franco Campegiani: lo osserva da varie angolazioni, rivolge l'attenzione all' “assente” Euridice e mette in campo le opinioni di illustri pensatori e letterati che in epoche diverse hanno esaminato – con spunti filosofici di tutto rispetto –  i risvolti e la presunta assennatezza di quel patto demoniaco.

I commenti degli amici intervenuti nel dibattito mi hanno incuriosito con le loro altrettanto interessanti indagini.
Anch'io vorrei manifestare alcune considerazioni conducendo però la mia analisi su un sentiero  lastricato di incertezze e a debita distanza dal mistico viale della dottrina orfica.
L'interpretazione di ogni leggenda contrassegnata dal mistero e dal dubbio, consente al singolo esegeta di formulare estrose speculazioni, spesso dissimili e a volte somiglianti a quelle congegnate dagli altri studiosi di narrazioni fantastiche.
La conclusione di ogni ricerca è comunque legittima e degna di essere vagliata; a questo proposito vorrei ricordare il pensiero illuminato di Jorge Luis Borges indirizzato alle opere immortali (e quindi anche al Mito, opera imperitura di una mente atavica):
L'opera che perdura è sempre capace di un'infinita e plastica ambiguità; è tutto per tutti […]; è uno  specchio che svela tratti del lettore ed è insieme una mappa del mondo.


Partendo da queste congetture mi soffermo sulla soglia del traguardo mancato da Orfeo e ritengo assodato che Amore e Conoscenza, per l'umana specie, sono entità inseparabili: vincolanti e vincolate tra loro.
Ma il pupillo degli Argonauti, abile nell'ammutolire il funesto canto delle Sirene e nel circuire gli infidi scogli delle Simplegadi, non trae alcun beneficio dal gesto d'affetto rivolto all'adorata Euridice.


Anzi, quello sguardo teso alla propria diletta gli preclude giustappunto la meta agognata.
Mi spingo oltre, schierandomi dalla parte di un Orfeo protagonista “casto e noioso” nell'operetta di Offenbach  Orphée aux Enfers (Orfeo agli Inferi): l'abito di scena fatto indossare ad Euridice dal musicista franco-tedesco è tutt'altro che candido. E se la nostra eroina si fosse veramente invaghita di Plutone tanto da non voler più saperne di seguire il fedele cantore e di far ritorno con lui sulla Terra?


Istigato dalle discordanti interpretazioni del mito, mi vien da sostenere che Orfeo (il Cantore per eccellenza) incarni la Poesia (di cui la madre è custode) ed Euridice sia l'espressione (in)animata della Realtà ineffabile, spesso “non tangibile”, tant'è che quando la si sfiora si è colti dal dubbio o dall'incredulità di averla raggiunta.
Dove si scorge allora - e quali sembianze assume - la luce del Vero nel mito di Orfeo?
È quella “subita dementia” che mi offre l'ovvia risposta: il potere perverso delle divinità infernali (potere smascherato anche nei perfidi pseudo-numi terreni) si ingegna incessantemente ad operare  malefici per rendere muta – o per rinnegarla – la voce di Calliope quando questa tenta di avvicinarsi a barlumi di Certitudo.


Virgilio conferma l'ipotesi della iattura perpetrata dalle divinità indirizzando ad Orfeo (nelle Georgiche - libro IV) il verso: “Non di un Nume da niente ti tormentano le ire... [traduz. di Cono A. Mangieri] ”.
Percorrendo altre vie di quel mondo leggendario (e nel tentativo di sconfessare il pensiero di Platone che pone Orfeo tra i sofisti “poiché utilizza la parola per convincere, non per esprimere verità”), sostengo che l'aedo, pur se ostacolato dagli implacabili sortilegi dei dèmoni e dilaniato poi dai morsi delle Baccanti, con incantevoli note riesce ancor oggi ad entusiasmare schiere di “cultori del bel verbo” indossando le vesti di paladino dell'arte o di invincibile eroe che contrasta, vanificandoli, i sortilegi del Male.

Il più celebrato discepolo di Platone, Aristotele (nella Metafisica), discosta la propria opinione da quella del maestro e percepisce, nel canto di Orfeo, l'amore per il Sapere: con questa intuizione i poeti vengono quindi annoverati tra i nocchieri del pensiero che tentano di approdare alla  verità.
E la rilettura di alcune meditazioni di Heidegger mi convince che la Poesia (Poiein = fare, costruire, produrre - col proprio ingegno) rappresenta un germoglio della Mente reso frutto dall'Immagnazione, l'ardimento primordiale dell'Intelletto messo in atto dall'umana specie. Ed è così che nella supposta Irrazionalità dell'espressione poetica scorgo il tentativo con-vincente dell'autore di perseguire la Verità conciliando l'energia salvifica del fantastico con la condizione – spesso avvilente – della realtà.
Anche Boccaccio attribuisce alla Poesia l'incarico di “coprire la verità sotto il velo di favole leggiadre”, e resta di questo avviso una vasta schiera di illuminati letterati di tutte le epoche: saggi “esploratori” di concretezze celate sotto le vesti della Metafora, dell' Allegoria o di altre figure retoriche che sottraggono apparentemente  (ma conservano e salvaguardano) la “tangibile realtà” alla ragione assopita del lettore.
Agli inizi del secolo scorso è Dino Campana a stupirci col suo vagabondare nei Canti Orfici: escogita parole tenebrose ma straripanti di suoni, profumi e simboli (verità sotto forma di “richiami”) fusi tra loro in un'alternanza  di passato e presente dai quali trasudano le pulsioni di chi è al margine della società ma riesce a distinguersi immerso nell'Onirico.
Andrea Zanzotto, illustre estimatore del poeta marradese, a proposito delle verità occultate e da rivelare asserisce: “…quando si scrive poesia si è costretti a partire per scrivere qualcosa, ma non si sa mai quello che apparirà. […] Sono in tutti noi non scritte, tante storie a brandelli, ai poeti e agli artisti tocca metterle nero su bianco.

Apollonio Rodio, in epoca remota, e Calderon de la Barca, molti secoli dopo, hanno celebrato le gesta di Orfeo esaltando le virtù di cui il poeta dovrebbe far sfoggio per magnificare l'estro, a costo di vedersi negata la concretezza delle proprie visioni o di subire il marchio dell'egotista o del ribelle.
Autocompiacimento o trasgressioni non adombrano la figura – ma ancor meno l'anima – dell'artista che con le opere dell'ingegno difende i valori eterni della Cultura o soffoca il fragore del sopruso diffondendo le soavi voci del Bene: prepotenti e boriosi, sempre in lotta tra loro, redarguiti o ammansiti dall'Orfeo dei giorni nostri, assumono le sembianze degli sfrontati Argonauti che rischiarono, con le loro intemperanze, di far fallire la nobile impresa di Giasone; Sirene ammaliatrici o scogli perniciosi ostacolano perennemente la rotta del nostro percorso di vita ma il Poeta, ricorrendo a suggestioni alimentate da esperienze al limite della ratio umana, con la tenacia dei versi riesce a raddrizzare il timone sfuggito dalle mani dell'accorto lettore che, col balsamo di benevoli strofe, alimenta il viatico della propria esistenza riscoprendo la sacralità e l'autenticità delle buone azioni compiute.
Da che mondo è mondo la cetra di Orfeo conforta l'Anima, nutre la Fantasia, suggerisce messaggi di Pace e di Amore. La Poesia dispensa armonia e vigore ai battiti del cuore dell'Umanità ! 

Roberto Mestrone






9 commenti:

  1. Mi accorgo, con stupore magico, che il dibattito su Euridice introdotto da Maria Grazia Ferraris con la consueta competenza, sta dando vita a spunti luminosissimi, come quello del caro Roberto, che introduce la grande filosofia e la poesia, dottrine nelle quali si cimenta sul mare di Leucade con piglio da timoniere avventuroso. Ho inserito un mio commento e, proprio alla luce fulgida di quest'ultimo intervento, oso riproporlo, per dare di quest'argomento altre letture, pur nel timore di apparire fuori tema. La vicenda di Orfeo ed Euridice, da sempre, rappresenta una sorta di calamita per noi lettori. In realtà, leggendo la vicenda in modo più moderno, la donna finita nell'Ade era cambiata, era uno spettro apatico. Non possedeva più la Bellezza che fu per Orfeo fonte di tanta ispirazione. La linfa vitale capace di partorire l'incantevole dimora di Amore si era spenta. Euridice era cristallizzata e il suo uomo percepì solo il senso del trapasso, lo scarto acuto e incolmabile che separava la morte dalla vita. Nonostante la banale morte, lo mise nella condizione di cercare ancora la Poesia. Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Saltando da un secolo all'altro, ho trovato una testimonianza interessante, che gioca su quest'allegoria. Erri De Luca afferma: "Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata.Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scese in piazza, impugnando il suo strumento e il suo canto solista. Innamorati di lei,della Giustizia, accettammo l'urto frontale con i poteri costituiti. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Il nostro Orfeo collettivo è stato il più imprigionato per motivi politici di tutta la storia d'Italia. La nostra variante al mito: Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all'aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio. Cos'altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell'esercito, nella aule scolastiche. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò lei non c'era." La versione dello scrittore partenopeo sembra stravolgere la vicenda mitologico, in realtà dimostra quanto il mito non abbia nulla a che fare con la leggenda, con le storie favolistiche, come ci insegna Franco Campegiani, bensì sia parte integrante della nostra esistenza.
    Un caro saluto a tutti agli ospiti del blog e al nostro condottiero, Nazario.
    Maria Rizzi

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  2. Mi fa molto piacere trovare la firma di Roberto tra i molti che si sono avvicendati nel commentare "Euridice" di Maria Grazia Ferraris: anch'egli dimostra di essersi profondamente immerso in un mito che non finirà mai di far pensare. Come ebbi modo di dire, quando già intervenni in proposito: "...non è forse - quello di Orfeo ed Euridice - lo stesso, annoso problema dell'uomo di tutti i tempi? Adamo ed Eva si trovarono di fronte alla stessa scelta, e cosa fecero? Decisero (non decise) di disobbedire. La ribellione nasce con l'uomo ed è inutile - oltreché dannoso - opporvisi.".
    La poesia è ribellione allo status quo, è bisogno di libertà, ed a queste esigenze è senz'altro volto il canto del mitico Cantore ma, come dissi ancora: "In Orfeo, l'errore è, si, quello di voltarsi ma non perché stia disubbidendo agli dei; egli, cercando Euridice, sta tradendo se stesso, la sua fede, il suo amore. Questo è grave, ma - non dimentichiamolo - decisamente umano.".
    Sulla base di questi presupposti, allora, condivido pienamente il pensiero di Erri De Luca riportato, acutamente ed appropriatamente da Maria: "... Cos'altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell'esercito, nella aule scolastiche. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò lei non c'era.". E perché non c'era? Perché Orfeo, cioè quegli uomini, avevano perso, "voltandosi", la loro fede originaria finendo, essi stessi, intrappolati nelle loro giustissime rivendicazioni.
    Certo: è una versione che stravolge quella classica ma chi può dire quale sia quella corretta?
    Tanto vale, caro Roberto, continuare a cantare con la consapevolezza che "La Poesia dispensa armonia e vigore ai battiti del cuore dell'Umanità!" ma senza voltarsi indietro, sicuri che la nostra è, comunque, lotta per il bene.

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  3. Il dibattito sul mito di Orfeo ed Euridice si arricchisce con il prezioso contributo di Roberto Mestrone che aggiunge altre fervide fascine a questo autentico fuoco di pensiero, di dottrina e di esegesi, acceso da Lolli e Campegiani , e alimentato ( in ossequio al dantesco “poca favilla gran fiamma seconda”) da altri validissimi e autorevoli “piromani”. Ai quali m’aggiungo per qualche considerazione, dopo aver rivolto un plauso a Roberto per il suo suasivo e articolato intervento.
    Il termine “mito” reca in sé un’ambiguità semantica che si riflette anche nelle varie proposte di traduzione che forniscono noti lessicografi come Rocci, Montanari e Schenkl-Brunetti nei loro vocabolari della lingua greca. Infatti la parola μῦθος, dopo molti altri significati che non interessano il nostro discorso, ha pure quelli di “racconto favoloso, leggenda, mito, fola, storiella, saga, favola “ (Rocci); “racconto, storia, narrazione, favola, leggenda, mito, racconto favoloso o fantastico “ (Montanari); “narrazione tratta da un tempo antico oscuro e mancante di storia, narrazione che ha fondamento storico, tradizione, storiella, favola” (Schenkl – Brunetti). Per semplificare assumo solo i significati più utili a una corretta definizione del mito, che è rappresentato, in genere, da una vicenda straordinaria, da un’impresa eccezionale, da un personaggio fuori del comune: i quali assumono funzione paradigmatica o esemplare, sicché i mitografi ne scrivono e narrano e i mitologi raccontano e studiano. Ci mette davvero poco una vicenda già di per sé straordinaria a trasformarsi, nella mente e nell’immaginazione di un’umanità ancora bambina e quasi primordiale, in narrazione accesa, enfatizzata; e a diventare exemplum. Siamo nell’ambito del mito antico, che però ha continuato a vivere nel corso del tempo, vivificato più spesso dalla poesia, talvolta dalla filosofia, offrendosi a una serie infinita di interpretazioni, come del resto dimostra il ricco e vario dibattito in atto da qualche tempo su questo meritevole blog e lo stesso ammirevole intervento di Mestrone. Ancora oggi il mito antico trova motivo di vita, per il suo carico emozionale e per adeguate rispondenze in cuori sensibili. Perché il mito è perenne, in quanto appartiene all’UOMO, alla vicenda della sua vita: e implica (e, anche, ispira) coraggio, fantasia, passione e, soprattutto oggi, tensione al recupero di un’humanitas vera e profonda, di valori archetipici, fondanti della vita stessa. È qui che il mito antico si salda con quello che deve essere il mito moderno e attuale (come mi pare sostenga anche Campegiani): se l’uomo del Duemila non farà definitivamente la scelta di campo giusta, interpretando e quindi vivendo il mito di un recupero del se stesso più vero, autentico e genuino, liberandosi degli orpelli, delle sovrastrutture e degli inganni del cosiddetto progresso, ebbeneil processo di disumanizzazione dilagherà incontrastato, mettendo a serio rischio la vita stessa dell’umanità.
    Pasquale Balestriere

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  4. Grato a Roberto Mestrone per le sue acute colte riflessioni sul mito di Orfeo ed Euridice. Condivido particolarmente le righe conclusive: “Da che mondo è mondo la cetra di Orfeo conforta l'Anima, nutre la Fantasia, suggerisce messaggi di Pace e di Amore. La Poesia dispensa armonia e vigore ai battiti del cuore dell'Umanità!”
    La mia mente ora è catapultata nell'Euridice di Rilke, già menzionato dalla Ferraris, abile quest'ultima a sintetizzare: “Euridice risale senza un pensiero all’uomo innanzi a lei,/ né alla via che alla vita risaliva Chiusa era in sé./…. Come una lunga chioma era già sciolta/, come pioggia caduta era diffusa,/ come un raccolto in mille era divisa/ Ormai era radice….”. E Orfeo capì e si voltò. “E quando il dio bruscamente/ fermatala, con voce di dolore esclamò:/ Si è voltato -, lei non capì e in un soffio chiese: Chi?” /
    Anche il filosofo Umberto Curi * scopre nell’Euridice di Rilke: “la vera lettura del gesto incomprensibile di Orfeo: la sua impazienza di fronte all’estrema lentezza di Euridice nel seguirlo. Per Euridice la morte è una forma di esistenza pari a quella che per i vivi è la vita. Ormai vi appartiene ed è riluttante ad abbandonarla. Al punto è ormai estranea alla vita, che non solo non riconosce Orfeo, ma non ne percepisce nemmeno la presenza. “Chi?” chiede a Hermes.”
    * https://emiliashop.wordpress.com/2012/09/09/dinanzi-al-morire-percorsi-interdisciplinari-dalla-ricerca-allintervento-palliativo/
    Sarò tacciato di maschilismo ma io sto dalla parte di Orfeo.
    Ubaldo de Robertis

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  5. I poeti contestati da Platone sono i "filodoxoi", gli "amanti degli spettacoli", gli istrioni che nascondono la verità e che lui allontana dalla sua "Repubblica". Chi è nel campo delle lettere, come il caro Roberto Mestrone, sa bene che costoro esistono in larga schiera: i narcisisti, gli autoreferenziali che si pavoneggiano, sempre in cerca di podi e di effimeri allori. C'è da dire, tuttavia che in un lavoro giovanile, lo "Ione", Platone aveva apprezzato profondamente l'arte dei rapsodi in quanto ispirati dalla Muse e capaci di parlare in un linguaggio definito "divino". Il giovane Platone sapeva che c'è una poesia che nomina il mondo, che sta dentro le cose, ed è la poesia del mito, mentre il maturo Platone ci ragguaglia su quella poesia che nasconde il mondo, o si nasconde dal mondo: la poesia dell'illusione. Condivido in toto questa preoccupazione, aggiungendo tuttavia che il sofismo di cui Platone accusa Orfeo è attribuibile alla sua stessa filosofia, arbitraria e separata dal mondo come tutte le filosofie. Platone si astrae dal mondo, dalla verità del mondo, alla stessa maniera di Orfeo. Per entrambi gli dei sono mancanti ed entrambi si pongono ad inseguirli fuori dal mondo, nell'iperuranio. L'illusione orfica è qui, nel tentativo di incantare gli dei, di trascinarli nel mondo degli uomini, dove da sempre invece risiedono, e di cui, anzi, sono gli archetipi, il cuore e l'anima, il battito e il fuoco più profondo. Ritengo che la poesia di Dino Campana sia impropriamente definita "orfica", in quanto essa non tenta di sedurre le Muse, come fa il mitico cantore, bensì di ascoltarne e tradurne il canto, il vento misterioso. Ringrazio Maria Rizzi per avere compreso questa mia visione, per così dire "realistica", del mito (nel senso che il mito è la quintessenza del reale), ma soprattutto ringrazio Roberto Mestrone per il contributo preziosissimo di idee che va ad arricchire il già ricco dibattito che si viene sviluppando nel blog intorno a queste tematiche.
    Franco Campegiani

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  6. Carissimi, la lettura dei vostri contributi mi ha coinvolto ed appassionato, sono tutti molto interessanti e di altissimo livello. Ciò dimostra come il Mito sia tutt'altro che distaccato dalla realtà e rappresenti anzi l'inconscio bisogno dell'uomo di riavvicinarsi a quei valori che rendono un'esistenza degna di essere vissuta. Una sorta di istinto, dunque, che in questo dibattito emerge attraverso inquadrature e registri differenti nei pensieri dei relatori e conduce la coscienza all'inestimabile, profondo senso della vita. Mi permetto, infine, di aprire una piccola parentesi musicale suggerendo l'ascolto - o il riascolto - del meraviglioso brano di Gluck "La morte di Orfeo" tratto dall'opera "Orfeo e Euridice" e in particolare la versione per pianoforte eseguita dal maestro Nelson Freire. E' un brano di una delicatezza e un'intensità inusitata, al pari dell'umanità che pervade le pagine di questo blog. Un caro saluto a tutti e ancora grazie per questi preziosi momenti di riflessione.
    Paolo Buzzacconi

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  7. Il mito di Orfeo ed Euridice ha da sempre appassionato il mondo della cultura, a partire dall’antichità fino ai giorni nostri: nella letteratura, nel teatro, nel melodramma, nelle arti figurative. Ma chi è questo Orfeo che, col suo bel canto, riusciva ad ammaliare tutti, fossero dei o comuni mortali, che riusciva ad ammansire le belve, a incantare, negli Inferi, il burbero Caronte, il feroce Cerbero, il tenebroso Ade? E chi era Euridice, la seducente ninfa di cui Orfeo si innamorò perdutamente, tanto da andare a riprendersela nell’Ade, dopo questa era morta per il morso di un serpente mentre fuggiva da Aristeo anch’egli invaghito di lei? Tante sono state le risposte –di tipo filosofico, psicologico, ecc– che, in merito, sono state date dagli studiosi. A me piace seguire un’interpretazione di tipo platonico. Certamente Euridice, con la sua bellezza, impersona l’Amore, un amore idealizzato tanto da coincidere con l’idea del Bene. E altrettanto certamente Orfeo, musicista e poeta, col suo bel canto simboleggia la Poesia. E se si innamora di Euridice, è perché la Poesia non può non innamorarsi della Bellezza e del Bene. Ma perché Orfeo, una volta che è riuscito a strapparla da Ade, la perde definitivamente? Perché, contraddicendo al veto del signore degli Inferi, la guarda prima di essere tornato alla luce del sole? La risposta è semplice: perché è ansioso. Ed è un’ansia erotica che, appunto perché erotica, non può attendere. E se, poi, Euridice svanisce per sempre, ciò è dovuto al fatto che la Bellezza e il Bene sono ideali sfuggenti, ma il Desiderio è sempre lì, pronto ad agitare il poeta e l’artista in una ricerca infinita. Un mito affascinante, quindi, quello di Orfeo ed Euridice, che Maria Grazia Ferraris sapientemente ripropone e di cui, in una società troppo inaridita da una tecnologia senz’anima, si ha assolutamente bisogno. Un bisogno che ci spinge a navigare nel mondo della fantasia e,insieme, a ragionare. Orfeo ed Euridice, un mito che Roberto Mestrone ha magistralmente analizzato, in un linguaggio colto e pieno di dotti riferimenti culturali: segno, questo, della sua grande preparazione.
    Vittorio Verducci

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    1. grazie a tutti per le illuminanti riflessioni. La mente immagina a partire dalle vostre parole, fantasie che diventano realtà nel vostro scritto. Grazie per le suggestioni

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  8. Grazie, grazie a tutti gli amici intervenuti per aver corroborato e ampliato le mie argomentazioni con i loro graditissimi e stimolanti commenti!

    Roberto Mestrone

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