Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade
Patrizia Stefanelli |
Immaginate
una pietra levigata. Voi siete ad occhi chiusi, la toccate, è liscia, poi a un
certo punto la pietra ha una sua vena di vita, si esprime a modo suo, libera di
essere pietra. Voi vi sorprendete, tornate a toccare quella parte di pietra e
vi concentrate su di essa.
Il resto della pietra scompare, la levigatura non la
sentite più, come se si isolasse dal macrocosmo un microcosmo che vi immerge
nel piacere di scoprire quella sensazione tattile tutta nuova, tutta vostra.
Questa è
una delle caratteristiche proprie della poesia di Patrizia Stefanelli, proporci
in mezzo a un percorso liscio e prezioso, un guizzo di sorpresa che ci fa
riconsiderare la nostra percezione e ritornare indietro una, due mille volte,
ad esplorare quella parte di noi che fino ad allora era inesplorata. Si tratta
del dono dello stupore, una rara qualità della poesia contemporanea, fatta di
brillantezze inaspettate e di percorsi che, così come si propongono, riservano
l’alternativa che prima non avevamo considerato, e lo fa con un passo di danza,
con la delicatezza propria di una saggia coreografa che non intende stupire,
non cede all’estetismo gratuito, ma con la grazia che le è propria.
Nessuno
comprenderà
quest’andare
a ritroso
nel
giorno perduto dell’attesa
nelle
vuote orbite di un tempo senza tempo
l’unico
amico un pegno disatteso e negato.
Vincolo
implacabile la volta che mi diedi
al
feroce pasto di un ugolino
o
di un ladro nella notte dipinto
o
di un fiume cui la culla matrigna
ha
disfatto il letto.
Poesia
potente e a volte anche dura, ma mai priva di quel tocco elegante, ricco di
sensibilità femminile, che traduce anche la pesantezza in leggerezza e che
rimette in discussione tutto, a partire da se stessi.
Ma
veniamo a un punto che mi interessa particolarmente, e di cui abbiamo sanamente
discusso Patrizia ed io, che è in sostanza, la differenza tra artigiano della
poesia e artista della poesia. Bene, il primo è colui che fa bei lavori,
tecnicamente anche perfetti, ma sempre privi di qualcosa che il secondo, non
necessariamente abile come il primo, invece ha.
Di cosa
si tratta? A prescindere dalle considerazioni estetiche, il poeta, anche
inconsciamente, ha la capacità di usare il linguaggio per trasmettere al
lettore l’abisso che si porta dentro. Se il lettore, che comunque deve leggere
ad alta voce, torna a casa con la soluzione al problema dicendo “sì, è così”, qualcosa
non quadra. Se invece il lettore si sente solleticato da quel vuoto interiore
che pulsa nel segreto e dice “oddio, ma allora… non so come dire…”, allora la
poesia ha fatto il suo lavoro. Già perché la poesia apre la percezione all’io
più profondo, e quello non si spiega, semmai si evoca.
Questo
perché il poeta non è solo uno che scrive versi, ma è un ricercatore del perché
dell’esistenza che sa che mai troverà risposta alle sue domande.
Ancora una volta
quest’albero che guarda la mia finestra
ha lasciato sulla terra le sue foglie.
tra i rami gialli
vivono e muoiono, in questo giorno,
gli occhi cresciuti sul tronco.
Non so, quanti mattini li hanno
guardati
e non so perché ho fatto la metà delle
cose che ho fatto.
So, che ogni giorno ho seguito un
fiato,
il respiro del mondo
che alita sulla mia fronte e porta il
pensiero
a chi non è più in questo mondo…
semmai, ce ne fosse un altro.
E mi segno la fronte mentendo, sapendo
di mentire,
immersa nella natura, la mia, che trova
fuoco sulla neve d’inverno
e calore in acqua gelida.
Ma torniamo
alla pietra levigata. La poesia di Patrizia è pulita, priva di fronzoli
inutili, il linguaggio è pulito, a volte appare semplice pur nella sua
complessità, non sempre è di facile lettura e richiede spesso una rilettura
perché non esprime un solo significato e ha la virtù di dipanare molte
sfaccettature della stessa pietra. Leggendo mi è capitato spesso anche di
ridere, ma non della poesia né della poetessa, semmai di me stesso, perché nei
versi ho colto un impetuoso bisogno di vedermi diverso da quello che sono.
Quanto
può essere free/abile
semmai
esistesse, questo
destino
c’è precipuo
all’imo
delle forre…
Se
fossi priva di storia o coscienza,
direi
mai di destino?
Ecco che
le convinzioni si sgretolano in una domanda cui fa seguito il divenire, in cui
ci immergiamo senza avvedercene, ma ce ne avvediamo e ci chiediamo quale sia il
nostro ruolo, il senso della nostra esistenza che mai si sofferma sulle nostre
azioni, sebbene esse siano.
A
volte lo ripudio
per
sfinimento,
altre
invoco, affinché pe me decida.
Guardo
le mani mie, liquide, entrare
nei
muri della mia esistenza, liquidi
anch’essi
e sì mutabili alla notte
e
al giorno.
E
allora, se nulla ha senso, che senso ha anche questo nulla in cui ci muoviamo?
Eppure siamo presenti qui, ora, in questo sgretolarsi del tempo che non perdona
le nostre dimenticanze, la nostra trascuratezza, e si vede quale sia la nostra
responsabilità.
Decidere,
ora, mentre spoglio il corpo
liquido
in cui mi specchio come a fonte
e
rinascere in esso quale grembo
di
nuova acquea vita.
Quindi
succede, è inevitabile, ci si rialza, si smette di contemplare e si va avanti,
ma con un nuovo spirito, con nuovi occhi, come diceva Meyrink “più che vedere
cose nuove con gli stessi occhi, preferisco vedere le stesse cose con occhi
sempre nuovi”
Nel
tempo tra la carne
e
lo spirito, forse,
potrei,
in lieve sosta, giungere oltre.
Quindi
la vita acquista un senso di verginità che si rinnova ogni volta che lo scontro
con il nostro io più profondo si trasforma in un abbraccio, perché la vita,
ogni giorno, ogni istante è vergine a noi, che siamo in grado di cambiare
prospettiva essendo noi vergini all’istante che viene, e che se ne va.
Patrizia
ha pubblicato sino ad oggi due sillogi, guardami e rosanero. Le due sillogi non
sembrano tracciare un percorso, sebbene sia innegabile che questo percorso sia
una realtà dell’autrice. Hanno in comune un forte richiamo alla freschezza che,
dopo la percezione dell’abisso, ci rende liberi.
Hai
visto com’è semplice correre nel vento?
Quanta
paura avevi?
Ti
sembrava impossibile altezza
come
il volo perduto di quel falco
e
invece
ogni
refolo è stato tuo, ogni viola del pensiero
restato
nel passaggio d’una parola incisa sulle ali.
E
gli occhi? Anche gli occhi senza più maschera
hanno
visto pulsare sospese stelle
di
cui sei la carne e la luce scomposta
che
scapicolla a gemmazione.
Poesia
positiva, a tratti sbarazzina, che ci dice anche “si, vabbè, ma chi se ne
frega”, atteggiamento salvifico che ci fa tornare bambini e che ci culla nel
piacere di essere, oltre che nel bisogno di esistere. Allontanamento dal tempo
come misura per entrare in un tempo che non misura. L’esistere è biologico, il
vivere è altro. Cosa? Non so, e non mi curo di cercare spiegazioni, però te lo
faccio intuire, con una poesia.
Quindi
la poesia diventa un cammino nel quale si recupera anche l’animo bambino, non
opprime la libertà che è in noi e che ci canta dentro, basta un po’ di
attenzione e la si può ascoltare, e se non c’è possibilità di ascoltarla, beh,
allora cambiamo prospettiva e ricominciamo a dialogare con noi come se mai
fossimo esistiti prima, perché
Ogni
giorno, si inventa
più
ricca al suo passaggio
pur
restando se stessa
nella
natura sua
intrinseca,
mutevole e poi… fluida
Il tocco
della vita è solo un tocco, ma è magico, allora lasciamoci contaminare da
questo alito che altro non è che lo spirito che ci anima.
Come
acqua scendo al mare
mi
porto alle conchiglie
in
un soffio, che incanta.
Poesia
che trascende le emozioni, forse neanche le considera, perché vivere non è
emozione. Ci si emoziona, sì, ma questa è una semplice conseguenza, un effetto,
non la causa. Quindi si viaggia aldilà delle emozioni, alla ricerca della
causa, alla ricerca del moto iniziale, ma anche di questa ricerca, alla fine,
ci importa poco.
Ma la
poesia, Patrizia, cos’è?
A
contestare i fondamentalisti
siamo
in tanti, ma tanti.
son
quelli che del verso fanno inutili
battaglie.
Libero,
sciolto in metrica e rimato
guerreggiano
saltando poi il fossato.
È,
poesia
libera
e pura
non
basta la parola pur moderna
né
basta quell’antica maestria.
È,
poesia, denuncia
è
ciò che è
il
lascito d’un uomo ad altro uomo.
Claudio Fiorentini
Ciao Claudio, grazie. Più la leggo e più scopro. Mi scopro? Non lo so, ma so che ogni giorno seguo il respiro del mondo, immersa nella natura, la mia, che trova
RispondiEliminafuoco sulla neve d’inverno
e calore in acqua gelida. Sono un ossimoro vivente,me ne rendo conto, in continuo stupore. Lo stesso vedo in te. Spero che mai, perderemo il nostro stupore. Se non siamo maturati fino ad ora, c'è speranza vero?
Un panegirico completo ed incisivo con una seguenzialità concreta e suadente nei confronti della poesia di Patrizia S. che ho avuto il piacere e l'onore di averla conosciuta personalmente a Itri quando ho ritirato il 2° premio Mimesis 2006; L'ho sempre ritenuta una personalità forte, estroversa ed eclettica per la versatilità organizzativa (pur non facendo parte della giuria), di regia, di provetta attrice e di fulcro centrale del premio di cui sopra. Da poco, con piacere, la scopriamo anche poetessa e di un certo calibro (lo conferma questa ampia e certosina esegesi del Prof. C. Fiorentino) ed è una vera rivelazione che arricchisce lo scoglio di Leucade. Credo non sbagliarmi se dico che tale indole viene esternata appieno nei suoi versi -estrosi - e perciò liberi da ogni vingolo strutturale. Qui mi fermo. Pasqualino Cinnirella
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