Appunti
su Mario Luzi
In realtà questo mio
inciso su Mario Luzi dovrebbe rispondere in modo dettagliato e preciso agli
appunti di Ennio Abate pubblicati su questo sito, Moltinpoesia, in due momenti
successivi, il 31 luglio 2013, e poi il 1 agosto 2013,e dal titolo” Rileggendo I poeti del Novecento, di Franco Fortini: Luzi (4), e (4.1)”
Inizio da un brano tratto
da “Prima semina”, Mario Luzi, Edizioni Mursia, 1999:
“Nello stampare la serie
delle mie liriche è stata commessa un’improprietà tipografica di cui è bene che
i lettori si rendano conto.
Nella seconda e nella
terza poesia della serie sono stati omessi gli intervalli necessari per
distinguere quartina da quartina. L’andamento strofico, che ha conformato di sé
quello periodico e ha equilibrato in un certo senso la quantità sonora, è
facile ad avvertire tuttavia. Proprio per questo, avendo le strofi
un’elaborazione intima e un organismo il quale ha richiesto per sé ed attratto
ogni qualità compositiva, non doveva subire quell’amputazione che non è soltanto
epigrafica, ma sostanziale addirittura.
Una poesia concepita per
strofi intende essere più vasta di quanto il numero secco dei versi le
permetterebbe. In ogni strofe, specialmente nella quartina quale io immagino,
l’emotività ed il suono dovrebbero coincidere in un acme da cui è impossibile
discendere al silenzio in un giro di sillabe così breve. Ed allora avviene che
la quantità emotiva e sonora eccedano su quella verbale . Dev’essere l’intervallo,
lo spazio bianco a permettere una completa distensione musicale; talvolta una
moltiplicazione indefinita di vibrazioni. ( A questo giovano alcune parole
scelte tra quelle insufficienti a definire un suono o una suggestione, idonei
invece a rifletterli e amplificarli, parole alveari, da porsi alla fine della quartina).
Ma non ho alcun diritto di rivelare il mio silenzioso mestiere, le mie
esperienze stilistiche non possono avere che il volto attribuito loro dagli
altri. Dicevo per quello spazio bianco che mi è stato sottratto.
Per continuare negli
emendamenti, dopo il primo verso del Cimitero
è stato stampato un esclamativo, tanto più pericoloso quanto più
verisimile, in luogo di due punti.”
EMENDAMENTI,
da “Il Frontespizio”, giugno 1937,n. 6 , p. 471
Perché iniziare proprio da
qui, da queste parole giovanili di correzione ai refusi della prima edizione de
“La barca”? Per ribadire, e con le sue stesse parole, che Mario Luzi è ed è
stato principalmente un poeta, non un teologo, non un filosofo, non un
politico, non un semplice intellettuale, ma soprattutto ed essenzialmente un
poeta.
Leggendo lo scritto di
Franco Fortini su Luzi, riportato da Ennio Abate, noto definizioni quali
“cattolico”, “simbolista”, “crepuscolare”. Secondo Fortini Luzi praticherebbe
la letteratura come “isolamento ed esercizio spirituale”, e vivrebbe la propria
scrittura artistica in una dimensione deliberatamente distaccata dall’attualità(
come cittadino di una Firenze simbolica del Due o Trecento) portando come tema
dominante una celebrazione drammatica dell’autobiografia.
Trovo che questa lettura
dell’opera di Luzi sia fortemente ideologica e improntata ad una inquadratura
categorica dell’autore. Cattolico,
simbolista, spirituale: dunque distaccato dall’attualità. Mi sembra una lettura
forzata fatta in chiave ideologica e fortemente materialista che non entra
nello spirito dell’opera luziana, ma la inquadra dal di fuori senza penetrarla.
Se mai il momento della
risalita e quindi del passaggio dalla poesia drammaticamente storica del
ventennio che va da “Dal fondo delle campagne”, 1965 a “Al fuoco della
controversia”, 1978, ad una poesia di dimensione più religiosa è quello che ha
inizio con “Per il battesimo dei nostri frammenti”, 1985. Anche per questo non
riesco a comprendere il giudizio di Fortini, mi sembra formulato ed esplicitato
in un momento in cui con “Nel magma”,1963, Mario Luzi ha pronunciato un chiaro
noi collettivo e in una dimensione fortemente storica e attuale.
Passo alla lettura della
seconda parte degli appunti di Ennio Abate, pubblicati sul blog il 1 agosto
2013. Ennio Abate, riprendendo in parte lo scritto di Fortini, e approfondendo
poi fino ai giudizi critici successivi al 2005, aderisce e sostiene la tesi
della poesia di Mario Luzi come spiritualista e distaccata dalla storia
attuale, anche nelle prove come “Al fuoco della controversia”, in cui l’autore
si immerge nel cuore della storia dell’Italia colpita e massacrata dal
“terrorismo”(si veda “Muore ignominiosamente la repubblica”).
Anche qui Luzi parlerebbe
in modo distaccato da una sua torre eburnea, intravedendo i problemi della
classe piccolo borghese, ma rimanendo in posizione altera e superiore. La
poesia di Luzi, dunque secondo Ennio Abate sarebbe comunque sempre imprigionata
nell’ambito di un discorso ermetico e rivolto solo all’ego, in quanto chiusa al
resto del mondo dall’ideologia cattolica di cui il poeta era seguace e
portatore.
Le obiezioni, riassumendo
sarebbero, comprendendo entrambi gli interventi pubblicati(31 luglio-1 agosto
2013), le seguenti:
1) Ideologia
cattolica che permea la poesia di Luzi, e le impedisce di andare oltre la
dimensione dell’io, anche quando parla del mondo e della storia;
2) Spiritualismo
che lo racchiude in una sorta di campana di vetro che impedirebbe l’adesione ai
problemi della gente comune, compresa la classe piccolo borghese da cui
proviene, e alla quale sembra fare riferimento nella sua opera;
3) Di
conseguenza astoricità di questa poesia che lo condanna alla fissità e alla
immobilità della condizione di ideale cittadino di una Firenze o di una Siena
del Duecento o Trecento;
4) Infine,
credo, ermetismo del linguaggio poetico da cui Luzi sembra distaccarsi nella
seconda fase della sua opera (1960-1978),usando un linguaggio più disteso e
parlato, senza che però l’operazione riesca, perché comunque è un parlare
dall’alto e non amalgamato alla storia e alla gente.
Rispondo ai punti di cui
sopra facendo riferimento in particolare a due saggi “Luzi. Leggere e
scrivere”, autori Mario Luzi e Mario Specchio, Edizioni Nardi, Firenze, 1993 e
successivamente “La porta del cielo”, Mario Luzi, Edizioni Piemme, 1999, a cura
di Stefano Verdino.
Dunque ritornando al passo
citato all’inizio del mio intervento deve servire ad esplicitare principalmente
che Mario Luzi è un poeta, un grande poeta e come tale difficilmente
analizzabile partendo da categorie ideologiche ricamategli sopra quali
“ermetismo”, “cattolicesimo”, “spiritualismo”. L’unica vera analisi che si può
fare di un poeta parte, secondo me, da una
lettura attenta dei testi, e ,se lo ha fatto, da quello che ci dice
della sua poetica e del suo rapporto con la storia. Luzi, per fortuna ci ha
lasciato tanti scritti e noi possiamo leggerli.
Parto ora dalla prima
obiezione: Luzi è cattolico e la sua opera è permeata dalla ideologia del
cattolicesimo.
In realtà Luzi è cristiano
non cattolico, e nel suo essere cristiano non c’è nessuna ideologia, ma una
ricerca continua della presenza di Cristo, Verbo fattosi carne, nella realtà.
Egli ci dice in entrambi i
saggi di cui riporto sopra il titolo che la sua fede nasce dalla frequentazione
quotidiana con la figura di sua madre che era donna di fede, e che aveva i suoi
momenti di preghiera e della sua fede dava continua testimonianza. Non ci parla
di frequentazione di sacerdoti, almeno all’inizio, né di associazioni
cattoliche, anzi lamenta come molte di esse siano diventate delle vere e
proprie sette, delle associazioni politiche .
Dell’insegnamento della
madre riporta come fondamentale il modo di porsi davanti al Sacramento
dell’Eucarestia, il Cristo si fa carne e sangue e diventa per noi corpo ad ogni
celebrazione. Questa la sua fede, e questo il motivo del cattolicesimo: è
l’orientamento cristiano cattolico a porre al centro della celebrazione il
mistero della transustanziazione, cosa che gli altri orientamenti non fanno.
Luzi , si può dire, è cristico, non cattolico, e per niente ideologico se vede
la manifestazione di Dio in una continua rinnovata manifestazione della
presenza carnale del Cristo in mezzo a noi. E per questo, credo anche la
lettura preferenziale nella patristica di S. Agostino e di S. Paolo. Nella
visione di una religione concreta, incarnata, ricercata e riscoperta di giorno
in giorno. “Quid est veritas?Vir qui adest.”dice S.Agostino ne “Le
confessioni”.
Sì, dunque Mario Luzi ha
fede, ma nel Cristo rivelato e fatto uomo, non in una idea.
Alla seconda obiezione e
cioè che la spiritualità di Luzi lo racchiuda in una campana di vetro e lo faccia
distante dalla classe piccolo borghese da cui proviene e di cui parla nelle sue
poesie, io risponderei che non c’è una sola parola attinente all’argomento in
una affermazione di questo genere, o forse io ho interpretato male.
Innanzi tutto classe piccolo-borghese
è una definizione inesistente nell’opera luziana.
Luzi parla della gente,
delle persone che lo circondano, scrive ispirandosi alla realtà e
trascrivendola in versi che hanno la giusta pretesa di essere diretti a tutti e
quindi universali, non si chiude in nessuna campana, la sua preoccupazione è
proprio quella di parlare alla gente e alle generazioni. Inquadrare lui ed il
mondo che lo circonda, gli incontri, le persone e i fatti della sua vita, in
una definizione di classe piccolo-borghese è ideologico, queste definizioni
sono filosofiche e sono evidentemente tratte da Marx, che io stimo e rispetto
in quanto filosofo, ma le cui categorie non hanno nulla a che vedere con la
poesia e nemmeno con quella di Luzi.
Luzi, dicevo, descrive la
realtà, in un primo periodo (Il giusto
della vita, 1935-1960), partendo da un movimento personale del proprio io
sempre in rapporto con la realtà storica e con la natura, ma in una dimensione
esistenziale, poi a poco a poco a partire da Dal fondo delle campagne,
1965 il rapporto con la realtà e con la storia diventa sempre più di
immedesimazione e drammatico:
“In Il giusto della vita( che raccoglie i tuoi primi vent’anni di
poesia) il movimento appare subito come desiderio e come anelito: più spesso
c’è una situazione bloccata storicamente(con la guerra e con il fascismo)ma
anche esistenzialmente(con le inquietudini della coscienza); il tuo rapportarti
alla vita non è immediato né fiducioso, è cauto alla ricerca di una “giustezza”
da ritrovare e ricostituire tra le “immagini infrante” di tante esperienze tue
e generazionali. Non a caso la “vicissitudine sospesa” è una tua espressione
che è stata spesso utilizzata come tua sigla.
-
Poi vi è un tempo mediano di metamorfosi,
in altri vent’anni di poesia(da Dal fondo
delle campagne a Al fuoco della
controversia). E’ mutato il modo di guardare alla vita e al mondo: non vige
la prospettiva esistenziale e lirica dell’io ma prende corpo un vario
interagire: il mondo è osservato nella sua realtà di organismo vivente e metamorfico
e l’io ne è parte. Il poeta coglie allora un vero e proprio principio di
metamorfosi che abbraccia la dinamica della natura, ma anche quella delle
emozioni e delle idee, magari anche in modo drammatico. E non a caso qui si
apre la tua stagione drammatica.”
-
Stefano Verdino da “La porta del cielo”,
1999
Vengo
ora ai testi di Luzi, i primi.
La
barca non è un luogo racchiuso di protezione spirituale dai venti della storia,
ma rappresenta la vita stessa e il suo viaggio, il suo divenire. La dimensione
del viaggio è sempre presente in Luzi ed è inteso come percorso di conoscenza,
anche attraverso il mistero della fede( si veda “Viaggio terrestre e celeste di
Simone Martini” 1994, suo capolavoro, secondo me).
Alla
vita
Amici
ci aspetta una barca e dondola
nella
luce ove il cielo s’ inarca
e
tocca il mare,
volano
creature pazze ad amare
il
viso d’Iddio caldo di speranza
in
alto in basso cercando
affetto
in ogni occulta distanza
e
piangono: noi siamo in terra
ma
ci potremo un giorno librare
esilmente
piegare sul seno divino
come
rose dai muri nelle strade odorose
sul
bimbo che le chiede senza voce.
Amici
dalla barca si vede il mondo
e
in lui la verità che procede
intrepida,
un sospiro profondo
dalle
foci alle sorgenti;
la
Madonna dagli occhi trasparenti
scende
adagio incontro ai morenti
raccoglie
il cumulo della vita, i dolori
le
voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le
ragazze alla finestra annerita
con
lo sguardo verso i monti
non
sanno finire di aspettare l’avvenire.
Nelle stanze la voce materna
senza
origine, senza profondità s’alterna
col
silenzio della terra, è bella
e
tutto par nato da quella.
Mario Luzi da “La barca”,
1935
C’è già tutto in questa poesia. La vita che è viaggio in mezzo alla corrente della storia, la natura, gli amici, le creature, la donna, la terra e la madre. E la Madonna, segno della fede del poeta. La parola è profondamente incisiva, ma sempre in movimento, non fissa e immobile. E l’immedesimazione di Luzi con il mondo creaturale è perfetta. È’ il “pagus”, il villaggio in cui vivono e risuonano armoniosamente solidarietà e carità e pietas perdute e cristiane che nulla hanno a che vedere con nessuna classe piccolo borghese. “E non sia nostalgia, ma desiderio.”
Più avanti:
Già colgono i neri fiori dell’Ade
Già
colgono i neri fiori dell’Ade
i
fiori ghiacciati viscidi di brina
le
tue mani lente che l’ombra persuade
e
il silenzio trascina.
Decade
sui fiochi prati d’eliso
sui
prati appannati torpidi di bruma
il
colchico struggente più che il tuo sorriso
che
la febbre consuma.
Nel
vento il tuo corpo raggia infingardo
tra
vetri squillanti stella solitaria
e
il tuo passo roco non è più che il ritardo
delle
rose nell’aria.
Mario Luzi da Avvento notturno, 1939
Ecco qui sento tutto il
dolore e sento il fiato della morte nell’aria della guerra.
Ho accostato questi versi
a un dipinto di Benito Partisani, in arte Mastro Lupo, dello stesso periodo :
Il risultato per me è
impressionante, l’accostamento significativo e appropriato.
Veniamo dunque alla “astoricità”
dell’opera luziana, e alla dimensione distaccata e classica del linguaggio.
Luzi ha percorso con la
sua vita tutto l’arco della storia del Novecento e si è affacciato sul secondo
Millennio(1914-2005). La sua persona e la sua opera hanno dato testimonianza
completa e preziosa di un’epoca storica difficile, contraddittoria e
soprattutto caratterizzata dal male e dalla guerra. Due grandi guerre hanno
attraversato questo secolo a noi vicinissimo e ancora il bagno di sangue
continua in paesi a noi vicini.
Luzi ha attraversato con
la sua persona e la sua creatività di artista questa epoca e l’ha rappresentata
in modo sublime e universale. Mario Luzi è un testimone, vive, vede, trascrive
e lascia il segno indelebile della sua arte.
Non c’è nostalgia nel suo
canto, ma desiderio di una nuova prospettiva umana in cui la pace e la
solidarietà fra gli uomini vincano il male. Non c’è fissità spirituale, ma
invece un linguaggio in movimento con l’io del poeta e con il sussulto
terribile della storia che avanza. C’è profonda immedesimazione, e sì c’è la
fede. Ma la fede non è un vento contrario alla storia se vissuta senza
integralismi di sorta, e mediante un rapporto diretto e costante con le persone
. Da ultimo la preziosa amicizia con Don Fernando Flori, che Luzi frequentò
assiduamente dal 1978, fino alla morte avvenuta nel 1995.
L’integralismo assunto a
giudizio e a metro della vita e degli eventi è sempre brutto, anche quello
laico. E il giudizio sull’opera di Luzi formulato da Ennio Abate che si
rapporta agli scritti di Fortini, mi sembra frutto di un integralismo di
pensiero, laico, ma sempre integralismo. Categorie assunte a metro di giudizio
e calate dall’alto, dalle quali automaticamente si fanno discendere conseguenze
in realtà frutto di una logica delle idee e non dei fatti. Gli eventi, i fatti,
gli incontri e le esperienze, la natura, e le persone vive e palpitanti abitano
i versi di Luzi e non le idee. Così come la sua poesia è un fare, un produrre,
non ragionamento sulla poesia, non poetica.
Dell’ultima poesia dal
1978 ad oggi ci sarebbe moltissimo da dire, ma questo richiederebbe un
approfondimento ed una maggiore preparazione di lettura e di studio in
proposito che non ho. Posso solo dire che il movimento del linguaggio e del
pensiero vanno in levare, questa volta sì verso la spiritualità, ma concreta,
non personale ed isolata. E la natura diventa luce cristallina, sempre più
luce. Si arriva gradualmente ad un rovesciamento dei criteri di giudizio
razionali e tradizionali, per raggiungere il linguaggio paradossale della fede,
l’avvicinamento alla Parola, e a Dio. E qui l’insegnamento e la lettura
dell’opera di San Paolo e della patristica sono fondamentali. La modernità, o
meglio lo spunto verso il futuro che trovo personalmente nell’opera di Luzi è
proprio questo sguardo verso la luce. Il viaggio di Simone Martini, non come
segno di isolamento spirituale, ma come opera di conoscenza intuitiva
attraverso il paradosso della fede e del mistero. Luzi si alza drammaticamente
al di sopra del mondo creaturale per una sete di conoscenza.
Sappiamo che è un estremo
principiante (Dottrina dell’estremo
principiante, 2004). E anche qui un ossimoro nel titolo.
“E’, l’essere. E’
Intero,
inconsumato,
pari a sé .
Come è
diviene.
Senza fine,
infintamente è
e diviene
se stesso
altro da sé .
Come è
appare.
Niente
di ciò che è nascosto
lo nasconde.
Nessuna
cattività di simbolo
lo tiene
o altra guaina lo presidia.
O vampa!
Tutto senza ombra flagra.
E’ essenza, avvento,
apparenza,
tutto trasparentissima
sostanza.
questo?oppure, luminosa
insidia,
un nostro oscuro
ab origine, mai vinto
sorriso?”
Mario Luzi da “Viaggio
terrestre e celeste di Simone Martini”, 1994
Cito per ultima la poesia della luce, ma anche il Viaggio. Simile a quello di Dante nel Paradiso. E’preghiera?E’ teologia? No, è poesia, intesa come forma di conoscenza, conoscenza per paradosso, o per mistero e non per idee e per formule. Non opus oratorio, ma ricerca di significato. Se possibile ultimo. Che si attua attraverso il capovolgimento della visuale e degli statuti umani. La parola ha il suo compito primario che è quello di dire e di proferire, dire per affermare e non per intrattenere o discorrere. La parola viene usata con economia e precisione, senza sprechi che ingenerano confusione anziché conoscenza. Ecco la novità estrema del “principiante” Luzi e la sua apertura verso il futuro. E l’economia di parola non è sicuramente ermetismo, ma il suo contrario.
Mi riservo di continuare,
se possibile, i miei appunti, con un secondo capitolo, alla luce della lettura
di un testo che non ho a mia disposizione in questo momento, “Conversazioni a
Firenze”, Mario Luzi, Franco Fortini, Ferruccio Masini, Giorgio Spini, Mauro
Pagliai Editore, Firenze 2008.
Forlì, 18 agosto 2013
Sandra
Evangelisti
Senz'altro il maestro Luzi ha sempre sostenuto la parola "viva" non alimentata da espressioni cariche di odio o chiacchiere senza senso per la pace dell'umanità ......mi riferisco, in speciale modo, alle note di Luzi contenute nel libro Il giusto della vita edito dalla casa editrice Garzanti. La poetessa Sandra Evangelisti, con questa nota presentata sul blog del Prof. Pardini, fa bene anche ad evidenziare che Mario Luzi non è stato autore chiuso in una torre eburnea e distaccato dal mondo basta anche ricordare, la collaborazione del maestro, con le opere teatrali di Costa, che hanno saputo dare vitalità alla forma poetica nello spazio dell'arte-teatro.
RispondiEliminaInteressante e complimenti.
Sandra Evangelisti, la cui poesia ho avuto il piacere di ospitare sul mio blog, Alla volta di Léucade (poesia di grande intensità umana che allarga le braccia al mondo tutto, partendo dalle sue minuzie e uscendone con quella personale acribia intellettivo-emotiva antecedente all'atto razionale e di questo involontariamente inzuppata fino a tradurlo in categoria dello spirito: VALLE Nella consueta/ valle del tempo/ trovo risposta/ Dove pensavo/ ci fossero angeli,/ ora vivo ), tocca un tasto del mondo luziano attualissimo. Io credo, come lei crede, che il Poeta non sia mai stato fuori dalla storia e dalle vicissitudini di un secolo in cui ha vissuto pienamente, anima e corpo. Tanto meno ne è stata la sua poesia. Anche quando Luzi sembra straniarsi dalle vicende storiche per un esistenzialismo strettamente personale, tale stato, battezzato dallo spiritualismo del credente, non lo isola, dacché è frutto di questa o quell’altra tragedia di cui è disseminato il suo tempo. E’ lì il focus della sua poetica. E’ quello di saper universalizzare la tristezza umana, con un animo che sa andare oltre la tragedia stessa. Sono le “cose” alla base del suo dire poetico. Da quelle prende spunto ed in quelle è intrufolato, di quelle è impastato. Non si può assolutamente parlare di un Luzi estraneo ed isolato. Di un Luzi solo ermetico, ed occupato in un pensiero di forma. Il poeta è nei contenuti. Contenuti che nascono dalle sue odissaiche esperienze che trovano, però, a loro volta, la sorgente nelle fratte del vivere e del vissuto umano. Quella del Luzi isolato è una teoria destinata a crollare in partenza. C’è chi lo vuole utilizzare con teorie filosofiche o politiche. Ma Luzi è da approfondire poeticamente in un crescendo lirico che fa del suo sentire uno spleen universale. Anche se questa inquietudine di essere terreno è sempre contaminata dalla sua persuasione cristica come sotterraneo motivo in tutto il suo canto. E la poesia riportata a conferma lo dimostra già in buona parte, anche se altri versi potrebbero essere più incisivi. Ho avuto il piacere di incontrarlo più volte e di parlare con lui a casa sua via Bellariva, 20 assieme a Giorgio Luti e Vittorio Vettori autori (questi due ultimi autori di mie prefazioni e recensioni). Molti gli argomenti da lui toccati. E grande la sua gentilezza e la sua disponibilità Lo ricordo come un grande signore per stile e coerenza. Ed una sua frase mi è rimasta fissa nella mente: “Il poeta può volare, può azzardare spazi onirici che lo ripuliscano dalle aporie del vissuto; ma anche per questi voli occorre un carburante: un mélange di vita, e di storia; un miscuglio di dolore, e di fede”.
RispondiEliminaNazario Pardini