Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
Il racconto è stato premiato in Versilia (Ass. Le
Sabine- SECONDA EDIZIONE DEL CONCORSO
NAZIONALE LETTERARIO E DI FOTOGRAFIA "DONNA, DELICATA FORZA DI UN FIORE" )
I
fiori come comunicazione: una conoscenza botanica di cui l’Autrice si serve per decriptare un
messaggio d’amore, o di fine rapporto, o di silenziosa uscita di scena. La
Ferraris condisce il tutto con arguzia, rendendo piacevole e appetitoso il
dipanarsi della storia. D’altronde non è la prima volta che ci imbattiamo col
suo stile fecondo, acuto, generoso, e, in questo caso, umoristico-ironico, come
la stessa Autrice lo definisce (… l'umorismo ironico del racconto..., io voglio solo sorridere, non
prendermi troppo sul serio e, se possibile, far sorridere con serenità
chi mi legge).
La
narrazione va spigliata e acchiappante: varietà di sequenze, frasi brevi,
intuizioni verbali di fattiva resa esplicativa. Un racconto che, per la sua
sottigliezza ironica, nascosta tra le
righe, richiede l’intelligenza creativa
e il nerbo inventivo di una grande scrittrice; richiede un’esperienza, che
maturata negli anni, dia frutti di personalissima fattura analitica nel
cogliere i sottintesi dell’animo umano.
Nazario Pardini
Il
giardino
Ho
messo in vendita il giardino. Nessuno può immaginare quanto sia stato doloroso.
È tutto quello che mi è rimasto di una vita a due, costruita giorno per giorno.
La
casa è già stata venduta da un pezzo. Giulio è partito con Nina per una delle
sue esplorazioni botaniche nell’emisfero australe che gli frutteranno
l’ennesimo articolo ed encomio sui giornali specializzati.
Il
giardino è magnifico. Quando lo guardo e spingo lo sguardo su dove si perde nel
bosco alle pendici della montagna, quello che Giulio chiamava “il giardino
all’inglese”, tra la prospettiva variabile di sfumare dei colori primaverili del biancospino,
dei gialli della mimosa riparata presso la casa, della forsizia e delle
ginestre, i gialli che tanto amo, i fiori dei meli, i rossi delle azalee, i
bianchi lattei delle camelie… mi si rattrappisce il cuore. Uno spasimo che non
so controllare. Non ancora. Per questo devo andarmene.
Non so
più se lo odio o se lo amo. Quindi se mi amo o no. Mi sembra che l’acqua del
ruscello, incanalata e domata dalla nostra fatica, pur mantenendo il suo
aspetto apparentemente naturale, canti una
canzone ironica di rivalsa, …ma forse sta solo lamentandosi della sua perduta
ed ora inutile libertà. Decideranno cosa farne i nuovi proprietari.
Quando
ci conoscemmo e cominciammo a frequentarci con una certa regolarità che divenne
presto attrazione reciproca, foriera di possibili interessanti sviluppi…, Giulio
mi regalò un bellissimo mazzo di camelie: camelie bianche con venature rosa che
facevano concorrenza alle rose.
Infatti
disse subito:- Guardale, ammirale, sono frutto di un incrocio laboriosissimo,
vi ho dedicato moltissimo tempo e amore. Certo niente a che vedere con le rose,
che sono così banali!
Non
preferirai le rose, vero? Magari rosse?..., sono così volgari!
La
camelia è veramente adatta alla tua personalità!, - annunciò con decisione.
Amo le
rose. Non mi sentii di contraddirlo. Non sapevo che questo era già il primo
sintomo dei ricatti affettivi di cui ogni amore, anche quelli più generosi, è
carico.
Io
avevo sempre ammirato le rose, e ancor più le rose rosse dallo stelo lungo e
dal bocciolo piccolo, vellutato, cremoso, misterioso, invitante ed ambiguo…, ma
me ne guardai bene dal dirlo.
Ero
affascinata dalla sua cultura, dalla sua originalità, dalle sue conoscenze
botaniche…
Tutto
sapeva sulle camelie, la loro origine orientale, in particolare sulla japonica
originaria del Giappone, di cui mi aveva fatto omaggio. Mi parlò dei suoi colori molto vari, dal
bianco, al rosa, al rosso, con tutte le possibili varietà intermedie e dei fiori bicolori, con striature, maculature,
punteggiature, screziature varie come quella che mi aveva regalato…, delle sue
foglie pastose, mi parlò della sua eleganza formale, della sua freschezza e
della sua serena bellezza, ne fece il
panegirico come del fiore più adatto a incontri raffinati, dall’aspetto ricercato,
ricordò la sua diffusione nell’Ottocento nei nostri bei giardini incantati sul
lago Maggiore dal clima così mite… che si riprometteva avremmo visitato
insieme.
Lo
affascinava il fatto che in Oriente era
considerata un simbolo, quello della
Vita Stroncata, ma anche dell’eleganza e della raffinatezza, poiché il fiore, appassendo, si distacca tutto
intero dallo stelo invece di cadere petalo dopo petalo spampanato e irrimediabilmente
vecchio, come quello della rosa, in apparenza così elegante.
Ero
tutta silenziosa ammirazione.
La
cena fu accompagnata dalla musica: io avevo scelto Mozart, l’autore che preferisco, ma in omaggio
alle camelie quella sera ascoltammo il divino Verdi, e la sua Signora delle
Camelie, che lui amava particolarmente….
Tutto
nuovo per me: un mondo da esplorare, da capire, da studiare…
Le
camelie: erano davvero molto belle. Quando ci sposammo ne piantammo alcune arbusti
nel giardino, nella parte bassa, vicino alla casa, in zona aperta con un’esposizione semiombreggiata, con temperature non eccessiva. Crescevano
amorosamente assistite dalle cure di Giulio e avevano una fioritura eccezionale. Giulio le osservava e spiegava…
Era, all’inizio
del nostro matrimonio, un giardino povero, sterile, appena abbozzato dietro la
casa.
Il terreno
saliva in leggero pendio ed inglobava il piccolo rivolo d’acqua che scendeva
dalle verdi colline digradanti verso il lago. Terminava con betulle ed alberi
di castagno. E un cielo azzurro attraversato da bioccoli di nubi bianche che mi
sembravano cavalcate gioiose di uccelli fantastici.
Era un grande angolo di libertà, un’oasi di
solitudine e di intimità che ci isolava dal pubblico passeggio e dalle
consuetudini di incontro paesano cui bisognava in un qualche modo obbedire
nella vita quotidiana.
Lo eleggemmo
come il nostro eden, il nostro paradiso privato che avremmo curato amorosamente
fino a renderlo lo specchio dei nostri desideri e la proiezione dei nostri
sogni.
Infatti
vi dedicammo tutto il nostro tempo libero.
Io volli nell’angolo sud gli alberi da frutto: due meli, un ciliegio ed
un albicocco…musica di colori e di dolcezze. Nella piena loro fioritura mi
sentivo così felice che correvo ad ascoltare la musica di Rossini ed i suoi preludi per sentirmi nella totalità
e vitalità più completa e soddisfacente della mia vita.
Giulio
accettò quella intrusione domestica-rusticana- utilitaristica sorridendo con condiscendenza in omaggio alle
mie qualità domestiche di cuoca
volenterosa. Godeva comunque di quella nostra frutta profumata e saporita, da
buongustaio quale era.
Quello
fu l’anno dell’esplorazione delle colline dei dintorni. Condivisi il suo insaziabile
interesse botanico e divenni a mio modo un’esperta….culinaria.
Imparai
tutto sulle ortiche, i cui germogli erano ottimi nei risotti o nei minestroni,
ma che usavo anche nelle frittate e
nelle frittelle…. e non importava se le
mani mi si gonfiavano per i loro pungiglioni urticanti. Ero felice.
Imparai a cucinare minestre favolose, asparagi
selvatici, insalate primaverili di tarassaco…con frittate di fiori e petali,
fritture e tenere rosette lessate e condite
delicatamente . Imparai perfino a fare una squisita marmellata di fiori di tarassaco….
Giulio
utilizzava le foglie delle ortiche per farne degli infusi di uso cosmetico da
usare dopo lo shampoo dei capelli, affinché arrestassero, grazie alle notevoli
quantità di vitamina C, azoto e ferro-
spiegava colto e paziente- la caduta dei
capelli…, che incominciava ad essere un suo problema..
Il comune rosmarino che cresceva rigoglioso
all’entrata della cucina Giulio volle diventasse, in omaggio al suo spirito
ecologico, un naturale decotto disinfettante per la pulizia della cucina ,
lavello, vasca da bagno; mi spiegò l’origine latina, mi raccontò la leggenda
del XIV° secolo della regina Isabella d'Ungheria, settantenne, rugosa e piena
d'acciacchi, che ritrovò la salute e una seconda giovinezza, tanto da essere
chiesta in sposa dal re di Polonia, grazie ad un'acqua che prende il suo nome.
La
ricetta era semplicissima, come tutte le cose naturali ed efficaci: alcolaturo
di rosmarino, lavanda e menta. -Peccato che non se ne conoscano le dosi!-,
diceva ridendo a mo’ di conclusione, e
che nel Medioevo veniva usato per
scacciare spiriti maligni e streghe durante le pratiche esorcistiche!
Io
rabbrividivo al pensiero.
Della
menta mi raccontò con il suo impagabile umorismo che era il nome di Minta,
bellissima ninfa partorita nel fiume infernale Cocito, affluente dell'Acheronte
e che viveva nel regno infernale, amata da Ade…, ma Persefone, gelosa del marito,
si dispiacque dell'unione e si infuriò quando Minta proferì contro di lei
minacce spaventose e sottilmente allusive alle proprie arti erotiche.
Persefone, sdegnata, la fece a pezzi: Ade le consentì di trasformarsi in erba
profumata, la menta…
La
usavo in cucina con la salvia che cresceva gigantesca al riparo del muricciolo
e poteva essere impanata e cucinata come frittura con grande profitto.
Ero tutta un sorriso, convertita alla natura
ed al suo culto. Quasi dimentica di Mozart, era Vivaldi che ascoltavamo insieme
nelle nostre scorribande botaniche…
Quell’estate
incontrai dopo tanto tempo la mia amica Nina, di ritorno da Parigi, dove aveva
vissuto qualche tempo. Era addolorata e stanca, reduce da una separazione dal
marito, depressa e triste. La invitai da noi fino a quando le fosse possibile trovare una nuova
sistemazione.
Nina
aveva il “pollice verde”, e mai un incontro fu così ben accetto da Giulio.
Si
divertivano insieme a lavorare in giardino, a modificare e studiare il terreno,
l’esposizione delle piante al sole, l’umidità necessaria alla loro
sopravvivenza, a incrociare semi e a creare talee…Una grande amicizia
collaborativa, da esperti botanici.
Per il
mio compleanno quell’anno mi regalarono una pianta di edera, rigogliosa, dalle grandi
foglie verdi e dalle piccole radici aeree, che Giulio fece arrampicare dal
giardino verso la parete della nostra camera da letto e che doveva dare, a suo
parere, ottime ombre e ristoro ai nostri
sonni. Ed inoltre…. utilità: l'infuso di una manciata di foglie in circa due
litri d'acqua, - mi spiegò paziente e
assennato- può essere usato dopo lo shampoo come trattamento per rendere i
capelli più scuri e lucidi.
-Ne avevamo bisogno entrambi- disse sicuro.
-
Inoltre, -spiegò come al solito sorridendo, … - per la sua caratteristica di
attaccarsi saldamente ai punti di appoggio, l’edera è il simbolo dell’amicizia,
della fedeltà e dell’amore eterno…
Io mi
ricordai anche che l’edera è una pianta velenosa e parassita, che si attacca al tronco degli altri alberi, e li
soffoca…Non mi parve un buon augurio…, ma tacqui.
Quello
fu per me l’estate di Chopin e dei suoi notturni melanconici.
Il
tempo passava. Nina si era sistemata in un piccolo appartamento- senza
giardino- vicino alla nostra casa. Continuava a lavorare con sommo profitto e
soddisfazione nel nostro giardino.
Per il
nuovo compleanno questa volta Giulio mi regalò un grande cactus, una specie di Opuntia, dal fusto succulento,
grande e colonnare, spinoso.
-Sono
piante inusuali, ma facilmente adattate
ad ambienti aridi e caldi, in Italia sanno crescere anche spontaneamente- ,
spiegò, come sempre, e venne sistemate nell’angolo più soleggiato arido e
riparato del giardino, dopo gli opportuni studi sulla composizione del terreno
e sua modificazione, diligentemente aiutato da Nina.
Non
espressi le mie perplessità, ma quel regalo mi sembrava, nonostante il loro
entusiasmo, ben poco romantico. Il suo aspetto vagamente aggressivo poi non riusciva a tranquillizzarmi. Sembrava
una caricatura di una grassa donna senza attrattive…
Nina
partì per la Versilia. Doveva sistemare i documenti, le ultime pratiche per il
divorzio, oramai definitivo. Era inquieta e depressa, temeva trappole dall’ex
marito…. Giulio decise di accompagnarla per assisterla. Mi sembrò
ingeneroso oppormi, mi sembrò di fare un
torto all’amicizia e a Giulio. E forse anche a me stessa.
Inquieta,
vigile come in attesa, ancora una volta tacqui.
Tornarono
felici della pratica opportunamente conclusa e decisero di festeggiare la
ritrovata libertà di Nina. Per tutta la sera si sentì in casa la musica di
Ravel, che Giulio non aveva mai amato. L’aveva sempre trovata eccessiva, troppo
immediata , esibita, e un po’ volgare. Ma a Nina piaceva.
Anche
questa volta mi portarono un regalo: questa volta era una drosera.
L’avevano avuta proprio in Versilia, a Massaciuccoli, dove
cresce ben acclimatata nelle acque del lago, nell’ ambiente estremo delle
torbiere e in suolo con una bassissima
concentrazione di sostanze nutritive, spiegò ancora una volta il sapiente Giulio.
Ricreò
l’ambiente adatto in giardino, in
un’ansa paludosa del ruscelletto incanalato che scendeva dalle nostre colline e
la sistemò con profitto e giubilo.
A sua
modo era bella: alta circa venti cm, con
foglie obovate e con un lungo picciolo, disposte a rosetta, dotate di lunghi
tentacoli con peli porporini che secernono gocciole di un liquido vischioso,
nel quale restano intrappolati piccoli insetti. Era aprile e fioriva di piccoli
fiori bianchi. I tentacoli si ripiegavano sulla preda dopo la cattura. Mi inquietava.
Io la
guardavo, attirata e allucinata. Mi sembrava un messaggio, non sapevo ancora
decifrarlo.
Aspettavo
il mio prossimo compleanno.
Infatti
arrivò l’ultimo regalo: un aconito elegantissimo dai bellissimi fiori blu, a
forma di elmo. Il blu è il mio colore preferito. L’aconito è davvero un fiore
bellissimo.
Mi
pareva fosse però una pianta velenosa. Ne avevo sentito parlare a proposito di
frecce dardi e giavellotti avvelenati in epoca omerica e dalle mie letture
latine di Plinio.
Qualche
volta anche le competenze letterarie aiutano.
Questa
volta non aspettai le spiegazioni scientifiche botaniche di Giulio.
Lessi
nell’enciclopedia: ” …L'ingestione accidentale di Aconito provoca numerosi
disturbi anche gravi: senso di angoscia, perdita di sensibilità, rallentamento
della respirazione, indebolimento cardiaco, sensazione che la pelle del viso si
ritiri, ronzio alle orecchie, disturbi della vista, contrazione della gola che
può provocare la morte per asfissia. Sono sufficienti quantità di aconitina
anche inferiori a 6 mg per causare la morte di un uomo adulto.
Sono
stati segnalati fenomeni irritativi locali (con principio di intossicamento)
solo tenendo un mazzo di questa pianta nelle mani in quanto attraverso la pelle
possono essere assorbiti i principi attivi velenosi della aconitina….”
Edera,
cactus, drosera, aconito… Avevo finalmente capito. Il messaggio era arrivato.
Attesi
Giulio tranquilla, con la musica di Mozart che si diffondeva serena nel
soggiorno. Come se fosse una sera qualsiasi. Valzer di Mozart. I miei
preferiti.
Gli
restituii i bellissimi fiori blu che danno sonnolenza, convenni con lui che la
sonnolenza di un rapporto amoroso può produrre pensieri sconsiderati.
Non
gradivo l’aconito, così come non avevo gradito la drosera e l’opuntia. Non
gradivo più la convivenza. Né le sue perfette spiegazioni botaniche.
E gli ricordai, piccola, inutile e insignificante precisazione ormai, che del resto ho sempre preferito le rose: quelle
rosse, dal gambo lungo, così ovvie, così banali, che muoiono di vecchiaia,
spampanandosi lentamente, come natura vuole.
Alzai
il volume della musica per non sentirlo uscire.
Struggente storia di una disillusione d'amore, tanto triste e lancinante quanto saggiamente gestita e dominata. Colpisce il realismo e la sorridente ironia della protagonista, niente affatto smarrita, ma saldamente padrona di sé, pur nella sofferenza, in grado di prendere in mano il proprio destino. Narrazione fresca e nervosa, accattivante ed arguta, ma anche ricca di venature morali.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ho letto tutto d'un fiato il racconto di Maria Grazia assaporandone ogni sfumatura intimo-naturalistica.
RispondiEliminaCon disinvolta maestria l'Eden di una coppia felice qui si trasfigura, stagione dopo stagione, nel prato dell'incomprensione a senso unico senza forzare l'ala del cuore a gettare frettolosamente tra i rovi i fiori della delusione.
I freni inibitori dell'affetto incondizionato ci abituano a tollerare le effimere e insidiose avvenenze dell'aconito, della drosera e dell'opuntia finché l'amor proprio non riesce ad impossessarsi del fascino delle "rose rosse dal gambo lungo, così ovvie, così banali, che muoiono di vecchiaia, spampanandosi lentamente, come natura vuole".
E' il trionfo della semplicità sulla tracotanza, della schiettezza sulla simulazione, del rispetto sull'indifferenza.
E'una lezione di Dignità, oltreché d'Amore.
Brava Maria Grazia!
Roberto Mestrone
Grazie davvero: in primis a Nazario che sa leggere profondamente le mie cose oltre alla pura lettera, cogliendone implicanze, malinconie e sorrisi, a Franco che non finirò mai di ringraziare per l'originalità e l'attenzione partecipe ed empatica che sempre mi dimostra, al prof. Mestrone, che non sento da gran tempo e che leggo sempre con attenzione, emozione e umiltà.
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