Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
Percorrendo il cammino poetico
di Michela Zanarella
Nel 2006 pubblica “Credo”
Osservatrice, ma non sempre
osservatrice allo stesso modo. Inizia osservando cose e situazioni, quasi
volendole descrivere, cose come lampada accesa, tinozze colme, neve pini e
sentieri, diciamo che i primi passi poetici di Michela Zanarella sono
pittorici. Alcuni versi, i primissimi, dove la rima si affaccia birichina, non
ritraggono ancora la profondità di Michela, ma sono pur sempre parte di un
ritratto, raccontano l’inizio di una storia. Credo è quindi il lavoro più dinamico,
presenta uno sviluppo molto rapido e passa dal dipinto alla contemplazione
dello stesso in poche pagine. L’incontro con la morte sembra il punto di
svolta, acquisendo la matura consapevolezza che a un certo punto le persone,
dopo esserci state, non ci sono più, l’autrice smette di guardare in basso e
comincia a guardare su, trovando il senso che piano piano, verso dopo verso, si
plasma nella propria percezione.
Seduta
davanti
A una
pallida luna
Poetando
versi d’amore
Tra
infinite stelle
In una
notte silenziosa
Ispirata
Da lieve
brezza marina
Ecco la
consapevolezza non più descrittiva che caratterizza la poesia più matura di
Michela, comincia a farsi prepotentemente avanti. Lapilli. Non a caso la foto della locandina
ritrae lapilli.
Ma la
poesia di Michela può anche diventare un grido accusatore:
ladri di
verità
profeti
dell’esoterismo
picchiatori
dell’onestà
destreggiatori
di ipocrisia
imprigionati
nel
girone infuocato
dell’inferno.
Si affaccia anche la sensualità, ma non
è dichiarata, semmai è materna, tra l’altro la figura della madre fa spesso capolino
qui e là. Anche la sensualità del sonno, dove l’essere donna di Michela
rispetta il riposo dell’altro e lo osserva reprimendo le proprie aspirazioni
nella contemplazione. Ridiventa un pulcino mentre, ammirata dal fluido vitale
che traspare dalla pelle dell’altro, si lascia andare al sogno.
t’abbraccerei
finché
il giorno non arriva
Finché i
sogni
spengono
la realtà
Finché
una voce
sussurra
eterno amore
Ma
chiudo gli occhi
E vicino
a te
M’addormento
Nel 2007 pubblica Risvegli
Molte poesie sono notturne, e il
rapporto con la natura domina gran parte delle scene. Per Michela la poesia è
un nettare, e come tale va succhiato dall’ape:
O poesia, nettare prelibato di pazienza
Dice Michela, e sembra che il titolo
della sua seconda raccolta, Risvegli ,
sia quanto di più azzeccato. Sorge la poesia, cresce e borbotta, come se il
vulcano che si preparava ad eruttare finalmente lo può fare zampillando libero
con lanci di lava e lapilli che di lì a poco diverranno pietre. Ma è
un’eruzione gentile, si può contemplare, non siamo cavanti ad un vulcano
assassino, non presentiamo tsunami o terremoti, è solo un borbottio che
finalmente salta.
Ed è in genesi che si manifesta interamente. Dice Michela: nata per essere libera, e questa
liberazione la porta all’allegria del giardino con l’erba che cresce, del
granaio con i suoi odori, sembra di sentire gli odori della campagna, l’erba
falciata, il fieno, si sentono anche i suoni, il frinire delle cicale, i
grilli, qualche muggito… fino a ritrovarsi al mercato dei sogni, dove donne e giovinette con le gonne al vento van
di fretta. Immagini della vita quotidiana: pigolante, gaia, vita che si
risveglia dopo aver stentato a capire che gioia e dolore altro non sono se non
indispensabili ingredienti del divenire umano. Ecco il senso di risvegli, giocosa, quasi trilussiana,
quando dice: Nell’ombra un’ape ancora
insonnolita si avvicina al candido fiore, del profumo si compiace e zitta zitta
si innamora.
Poi ritrova le care montagne e capisce quanto sia bella e grande la distanza tra
loro e lo sguardo.
E finalmente la descrizione,
l’identificazione, la sensazione dell’amore condiviso, realizzato o no, poco importa,
comunque è un discorso a due, e anche qui non conta l’oggetto del componimento,
conta il percorso interiore che ci porta a comprenderlo, la ricerca dell’anima
in ogni gesto di vita.
L’incanto
fu
Tessere
la tela del nostro vivere
Scegliendo
d’essere meta l’uno dell’altro
Stringendo
le nostre certezze al petto
Con
tutta la forza di chi non teme nulla
Beato il
divino
Che ci
ha uniti quel giorno
Seguendo questo percorso si trova anche
il figlio, cos’è un figlio?
Carne
e spirito inediti alla vita
Nel passo successivo sembra che
l’autrice abbia preso coscienza che la vita è profonda e che l’immobilità umana
ha le sue dinamiche, tormentate dalla natura che ci contempla, forse ride di
noi, ma è comunque afflitta dal nostro allontanarci, non si cura di noi che la
maltrattiamo senza ascoltarla.
Michela, crescendo, non è più la
poetessa che ascolta i grilli e le cicale, o forse lo è ancora, ma in modo ben
diverso, non racconta più, ma si fa ambasciatrice del mondo che, ci trasmette
Michela, attraversa ogni istante la
fredda pianura, e dal silenzio di un
cortile, non riesco a trattenere le lacrime per la mia assenza
Nel 2009 pubblica Vita, infinito paradisi
Essere consapevole, fino all’ultimo sorso d’orizzonte, della propria vita, della
propria limitatezza, del proprio essere nulla oltre la coscienza, e quindi
questa coscienza deve vivere pienamente, per cui ogni istante, ogni momento va
vissuto sapendo che i piedi calpestano la superficie della terra e che sotto la
terra c’è un bollore incessante, mentre la testa si avvicina, nel limite della
nostra statura, al cielo, e sopra, sopra il cielo, e più su ancora c’è un
movimento misterioso. La superficie della terra è il linguaggio con cui ci
parla, ciò che vediamo è un’espressione della natura, e noi ne percepiamo ciò
che ci consentiamo di percepire, comprendiamo ciò che delimita la nostra
coscienza. Noi non vediamo ciò che è, ma solo ciò che ci aggrada vedere. E
dicendo
Beate le
onde
zingare
perenni
Ci fa capire che non si è liberi come
le onde ma fissi come uomini, e piangiamo l’orizzonte lontano, sempre
irraggiungibile.
Vissi a
lungo sperando che il carretto
Della
mia inquietudine si fermasse
A
fiancheggiare le pupille ardenti
Della
giovinezza
Portando
la mia anima
A
contemplare quel domestico
Infinito
rannicchiato nella luce
L’infinito domestico, quello che
scopriamo vicino a un caminetto, dietro a una finestra, nel pentolone della
polenta, nel racconto dei nonni… ma poi la strada ci prende sempre e
quell’infinito non è più tale, ed occorre andare oltre la superficie, ma… ma
anche se scavi la terra, quello che vedrai sarà sempre superficie. Solo da
morti si entra nella terra e la superficie non è più.
Nel 2011 pubblica Sensualità, e nel
2012 pubblica Meditazioni al femminile
Qui sembra tornare alla contemplazione
delle cose e delle situazioni, è come se la poetessa avesse voluto, dopo un
viaggio iniziatico, tornare a ciò che l’ha animata, tornare alle origini,
avendo coscienza di aver compiuto un cammino che l’ha portata a vedersi dentro.
La capacità di osservazione è molto più acuta, l’aggettivazione si è andata via
via diradando, ed ecco che
Trasloco
lacrime
In un
tappeto
E poi
Era
bacio maledetto
Quell’arteria
di luce
Chiusa
nelle ultime saggezze
Di
novembre
E finalmente si affaccia anche la fede,
in ho pensato a te, Dio
È tempo di accendere preghiere
A riempire di grazia
Qualche itinerario d’anima.
Ho pensato a te, Dio,
quanto poco è il mio senso
di donna
senza l’ossigeno della tua luce.
Nel 2013 pubblica L’estetica dell’oltre e nel 2014 Identità
del cielo
Arriviamo alle ultime poesie, dove il
verso è maturo, asciutto, non più descrittivo, meno aggettivato, dove il
lettore non viene più accompagnato alla lettura, ma si trova da solo, a
combattere con versi scuri, sebbene sempre accesi, come se si passasse da uno
spiraglio di luce per emergere di nuovo a quanto il dubbio esistenziale ci
consente di capire, dubbio che alberga in tutti noi, che occorre esplorare per
vivere le proprie ansie, i propri amori, e per percorrere la propria strada,
per aprire le ali e spiccare il volo.
Essere
nel tempo
Che ti
sfoglia
Corpo e
distanza
Come
sudario nel cielo.
Ripetere
membrane
D’aria
Un
silenzio
E
l’ombra di un umano
Azzurro
Accettando
il ritmo
Di
epidermidi e meteore.
Quel che
vuole il mondo
Resta
impronta creduta contorno di luce,
poi nel
vero
strofinato
il fango
si vede
un limite in somiglianza a polvere
che
dispera.
Michela ci travolge come i lapilli di
un vulcano che erutta senza aggredirti. I lapilli, ricordiamo, sono fuoco e
diventano pietra. E se le parole sono pietre, cos’erano prima? Quindi mi piace
chiudere questo mio intervento, prima di dare la parola all’autrice, con questi
suoi versi:
Comincio dalla polvere di un ricordo
Come qualcosa che amo
Ringrazio pubblicamente Claudio Fiorentini per come è riuscito ad affrontare il mio percorso in poesia e ringrazio anche Nazario Pardini per aver dato spazio al lavoro di Claudio.
RispondiEliminaCarissima Michela,
RispondiEliminaho avuto modo di avvicinarmi alla tua poesia tramite questa incisiva ed esaustiva relazione di Claudio. Leggo la sua disamina e prendo atto di alcuni tuoi versi, delle fasi di crescita poetica che hai realizzato e mi accorgo, con stupore, che sono attratta come da calamita dal tuo lirismo. Dico 'con stupore', in quanto, com'è logico che sia, nella recensione vengono citati pochi versi d'ogni Raccolta... Eppure, come coltello, ho sentito che affondavi nella mia essenza, che ti assorbivo con ogni fibra, che ero e sono ammaliata dalla tua vis poetica. Con umile voce vorrei saperti esprimere il turbamento che ho provato di fronte al tuo crescendo, alla tua capacità di nascere nel 2006 come talentuosa poetessa di ritratti e divenire poi, in tempi brevi, descrittiva e votata a un rapporto con la natura intesa come madre - benigna e come mezzo per realizzare un processo di verticalità... Con il passare degli anni mutano le tematiche, non lo stile, che risulta immaginifico, con disegni a zig zag, variabili e volubili come le storie di cui parli, ma tramato di disegni magnetici, ancora e sempre di grande evidenza pittorica.
E quanta anima femminile irrompe dai versi più maturi! "Trasloco lacrime /
In un tappeto" ... Le lasci emergere dal grembo, dal solco che le ha viste maturare, dalla terra madre, che alberga in ogni donna e le rendi libere. In un distico riassumi la storia della donna, d'ogni donna. Senza premere su atteggiamenti femministi, senza neanche sfiorarli, con la purezza di chi affida al lettore l'interpretazione del suo dire. E v'è rara, adamantina bellezza, nei versi animati dal misticismo. In essi sembri voler respingere il destino terrestre per sognare altra storia, più libera: "Beate le onde /
zingare perenni". Sei sempre più consapevole dei limiti dell'umana vicenda e, tramite metafore e allegorie di rara suggestione, insegui quelli che Claudio definisce 'lapilli', fuochi che possono portarti lontano dal 'fango' quotidiano, verso dimensioni che diano respiro alla mente e armonizzino l'anima. Sei forte, lucida e coraggiosa. Disposta a dire: "Comincio dalla polvere di un ricordo / Come qualcosa che amo" , rendendo il passato semplice memoria e il futuro tempo da tessere. Sei la dimostrazioni che i poeti, quelli veri, sono pronti a sbattere contro l'invisibile per afferrare un pò di cielo. Sarà autentica gioia leggerti in modo più completo. Per ora ringrazio Claudio, che mi ha fornito la chiave d'accesso al tuo lirismo e i tuoi versi, che annullano la percezione del presente e danno origine al volo.
Maria Rizzi