mercoledì 1 aprile 2015

FRANCO CAMPEGIANI SU "NEOPLASIE CIVILI" DI LORENZO SPURIO

Franco Campegiani collaboratore di Lèucade


Lorenzo Spurio: Neoplasie civili
Edizioni Agemina. Firenze. 2014. Pg. 64


Ecco una poesia d'impegno civile dove denuncia e indignazione non hanno impalcature ideologiche, ma seguono impulsi squisitamente etici. Mi chiederete  dov'è che i due aggettivi si differenziano. Rispondo che l'ideologia è dottrinaria e schematica, mentre l'etica discende da principi universali e non è costruita dogmaticamente dall'intelletto. Neoplasie civili di Lorenzo Spurio (Agemina Edizioni, 2014, con prefazione di Ninnj Di Stefano Busà) è poesia totalmente calata nella realtà urbana e cosmopolita dei tempi attuali, nelle inquietudini generate dall'imbarbarimento culturale, dalla robotizzazione, dall'omologazione, dalla globalizzazione, dal consumismo, dalla corruttela ed in breve dal materialismo imperante.
Verso tale disumanità la poesia di Lorenzo non reagisce con sterili proclami ideologici, come spesso accade o è accaduto in passato, ma con una pura e semplice evocazione/rivendicazione di valori universali ed umani.  Di fronte al degrado urbano, alle arie irrespirabili e grevi di un paesaggio massacrato dal cemento e dall'eternit, nel poeta si genera (come nel suo fruitore) un disagio, un'insoddisfazione, uno smarrimento, una crisi profonda; ma è in questo livido paesaggio (dove si annida il Male assoluto e radicale, e parliamo del Male satanico umano) che Lorenzo riesce miracolosamente ad innestare un balenamento di memorie incontaminate, fatte di viscerale e filiale amore per la Terra Madre. Ascoltiamolo:
"Quando nel mondo si spara, / Gea si occulta la vista / e corre ad occhi serrati / verso rovi e sterpi acuminati / per accecarsi. // Le lacrime di un popolo / scivolano copiose, per un momento; / quelle di una madre / non trovano fine". L'uomo si è voluto creare un universo alternativo a quello che gli è stato dato in dono, ponendosi boriosamente in antitesi con le leggi naturali e cosmiche. Ed ecco la condanna: "Ora di domande / puoi farne a bizzeffe / di risposte, invece, / non ne troverai nessuna. /... / Ed ora in carcere stai /... / condanni la natura / e i suoi principi / per averti fatto padre". Un'indignazione non ideologica, come già detto, ma di orizzonti e sapori universali.
Fa da sfondo un internazionalismo di arie anglosassoni a questa poetica di lontane ascendenze dadaiste e pop dove i rovinosi naufragi della Beat Generation echeggiano con fragori disastrosi. Eventi e personaggi della vita pubblica mondiale (da Giorgio Napolitano a Hugo Chavez, da Lady Diana a Papa Francesco; e poi Piazza Tahrir, Piazza Maidan, eccetera) sono sottratti alla cronaca per diventare emblemi di una poesia del disincanto, dove gli ideali etico-politici di una tradita democrazia, calpestati dal parassitismo di un miope e dispotico strapotere, vengono riaffermati al di là di ogni ideologismo, con "espressioni di una rivelazione che sgorga dal cuore" (così la Busà in prefazione).
E giustamente Cinzia Demi, in postfazione, sostiene che l'autore descrive la storia pubblica dei nostri tempi a partire da un osservatorio per così dire privato; da un'angolazione squisitamente personale, come è giusto che sia per chi è consapevole che i problemi morali riguardano l'individuo, o gli individui, ancor prima di diventare sociali. Ed è così che Spurio, alfiere di diritti civili inalienabili, può schierarsi al fianco dello scrittore francese Dominique Venner, suicidatosi nella cattedrale parigina di Ntre-Dame come forma di protesta nei confronti della legge che liberalizza i matrimoni gay, approvata dalla presidenza Hollande.
I suoi versi tuonano così: "In cattedrale / si suicida uno scrittore / per sdegnare il tormento / di gravose e disoneste leggi / contro natura, che spaccano / la Sacra Famiglia / e demoralizzano il tragicomico / della vita d'oggi / passando per la farsa / e riducendo tutto in burletta" (chi volesse vedere tracce di omofobia in questi versi farebbe bene a rileggersi le eloquenti pagine pasoliniane nei confronti del movimento gay). Una società allo sbando, omologata e irrispettosa di ciò che è "diverso", è quella che il poeta descrive. "Un mondo fatto di lassismo, ingiustizia, sopraffazione", scrive la Busà in prefazione. Un'umanità fuori di testa, disorientata: "Un vecchio fumava / stanco dell'oppio / e mugugnava frasi d'odio. // I bambini giocavano addolorati / fra le pozzanghere nere / senza fine".
Tuttavia non c'è moralismo, non c'è indice puntato in questa visione del mondo, dove il poeta in prima persona dichiara la propria confusione, il proprio disagio, la propria necessità di comprensione: "Non sapevo cosa fare / in quel caos ingovernabile"; "Me ne andavo solo / riflettendo beota / mentre incespicavo / ai bordi di un marciapiede / spaccato"; "L'orologio indispettito / batteva le ore / al contrario / ed era sempre presto". / Impossibile darsi appuntamento". Un mondo dove tutto è frantumato, smembrato, disperso: "tutto è quello che è / e niente è parte del tutto". E nondimeno, in tanta dispersione, il poeta dichiara: "Ho creduto agli specchi rotti / indagando prospettive multiple prive di serietà / ma ora ricerco una via unica".  
Torno pertanto a ripetere che ci troviamo in presenza di un percorso interiore e non di un proclama ideologico: "Nel caos roboante / di giornate squallide e ripetitive / mi son estraniato da tutto e / qualcosa è successo". I problemi civili sono problemi morali, e questi non possono che essere di natura intima. La società può migliorare solo se migliorano gli individui che la compongono. Ed è un ravvedimento che inevitabilmente riconduce nelle armonie del creato e del cosmo: "Ho visto un bambino / con strani lividi al volto / e ho compreso perché il mare / fosse purpureo". E infine: "M'inginocchiai e baciai la terra / chiedendole scusa; / impastai terriccio a saliva / e nel mentre dall'alto / una pioggia acuminata /m'infilzò dappertutto / e mi rigenerò".  

Franco Campegiani  


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