La
nostra isola si arricchisce della presenza di una scrittrice che ci fornisce
una documentazione storco-letteraria di grande valenza. Ella ha vissuto fin da
giovane in contatto con Alda Merini che le ha dedicato poesie, anche per telefono, che qui
riportiamo. Si tratta della figlia del grande Giorgio Manganelli di cui Lèucade
riporta l’immagine di copertina di un suo famoso libro: CENTURIA. Come lei
afferma: “Ho conosciuto Alda Merini quando io avevo poco più di 2 anni e lei
17. L'ho conosciuta a casa di mio padre, nel cosiddetto “salotto rosso” o
“salotto degli intellettuali”.
Mi
spiego meglio: spesso in casa mia, appunto in quel salotto, si tenevano
incontri fra giovani intellettuali di belle speranze: Vittorio Sereni, Maria
Corti, Giacinto Spagnoletti e altri che non ricordo, erano di casa…”
Lietta
Manganelli, nata a San Secondo Parmense, in quella folle bolla della Bassa
Padana che dette i natali ai genitori dello scrittore Giorgio Manganelli, a
Giovannino Guareschi, a Giuseppe Verdi, a Giovanni Voltini e non solo. Figlia
unica di Giorgio Manganelli, si dedica con caparbietà e passione alle opere
edite e inedite del suo grande padre, convinta com'è che nessuno muore mai
veramente fino a quando qualcuno si ricorda di lui.
Io e Alda
Alda Merini |
Ho conosciuto Alda Merini quando io
avevo poco più di 2 anni e lei 17.
L'ho conosciuta a casa di mio padre,
nel cosiddetto “salotto rosso” o “salotto degli intellettuali”.
Mi spiego meglio: spesso in casa mia,
appunto in quel salotto, si tenevano incontri fra giovani intellettuali di
belle speranze: Vittorio Sereni, Maria Corti, Giacinto Spagnoletti e altri che
non ricordo, erano di casa.
Mio padre (non ho ancora capito bene
perché) ogni volta che gli amici si riunivano veniva a prendermi nella piccola
dépandance in cui io vivevo con mia madre, e mi presentava a tutti.
Naturalmente la massima attenzione
che riuscivo ad avere era un sorrisino stentato e un buffetto sulla guancia.
Per carità, ottime persone, studiosi di vaglia, ma cosa potevano mai dire a una
bimbetta di due anni?
Poi un giorno, al serioso gruppetto,
si unì una ragazzina, bellissima, dolcissima, che si interessò subito a me. Mi
prese in braccio, mi sorrise, e iniziò a raccontarmi stranissime favole,
stranissime per una bambina qualsiasi, ma non per me, che una bambina qualsiasi
certo non ero.
Questa non è un'affermazione senza
fondamento: ero la figlia di Giorgio Manganelli, il quale mi deliziava di
favole molto più truci di quelle di Alda. Ero abituata a favole in cui castelli
venivano costruiti con parti del corpo dei sudditi, o a storie in cui principesse urlanti tentavano
di difendere il loro amatissimo drago dai fendenti di un cavaliere
assolutamente idiota che riteneva, chissà poi perché, che il suo compito fosse
quello di uccidere appunto quel drago. Come potevo stupirmi sentendo dolci e
tenere storie di lavanderine che, lavando i panni nel Naviglio, sognando il
loro fidanzato, finivano per addormentarsi e scivolavano nel canale dove
annegavano mentre i panni le accompagnavano nell'ultimo sonno come drappi che
garrivano a festa?
Da quel giorno, quando mio padre
veniva a prendermi per il solito giretto nel salotto rosso, la mia prima
domanda era: “Ada? Ada?” Non riuscivo ancora a dire bene Alda, ma quella era l'unica cosa che mi
interessava, se c'era “Ada” tutto era più bello per me, non mi sentivo più una
bambina solo esibita (ero bella e mio padre era il primo a stupirsi) ma mi
sentivo parte del gruppo.
Fu proprio la mia voglia di stare con
“Ada” a provocare una scenata infernale fra mia madre e mio padre. Non certo
perché mia madre fosse gelosa di Alda, anzi, ma perché io un giorno tornai a
casa, fra le braccia di mio padre, sconvolto, completamente ubriaca.
Ma andiamo per ordine: un pomeriggio
d'agosto, un caldo pazzesco, il gruppo decise di uscire per andare a bere
qualcosa di fresco. C'era Alda e io ero lì con loro, e naturalmente volevo
andare anch'io. Volevo uscire con Alda soprattutto perché avevano tutti deciso
di raggiungere, a piedi, il Naviglio. Potevo perdermi una simile occasione?
Magari c'erano le lavanderine...
Uscimmo, raggiungemmo un piccolo
locale sul Naviglio, le lavanderine non c'erano, ma c'era un bel pergolato, dei
tavolini con le tovaglie e quadretti rossi, e... una mezza pinta di birra per
tutti... anche per me...
Avevo caldo, era buonissima, fresca,
vuotai il boccale, e, dopo un po' mi sentii strana... mi venne da ridere, da
cantare e, dulcis in fundo, da vomitare.
Mio padre mi prese in braccio e mi
portò velocemente a casa: per fortuna non eravamo lontani. Mi consegnò fra le
braccia di mia madre che, furiosa, pronunciò una frase che poi rimase famosa
nella iconografia manganelliana: “Giorgio, non solo sei inutile, sei anche
dannoso!”
Non uscii più con loro, soprattutto
non uscii più con mio padre. Ma fino a quando mio padre non lasciò Milano alla
volta di Roma, ogni volta che io mi trovavo in città (ormai ero stata
“trasferita” a Parma dai nonni materni) cercavo e trovavo il modo di incontrare
Alda.
Ho affermato che mia madre non era
affatto gelosa di Alda perché ne ho le prove. Un giorno io e mia madre (avrò
avuto poco più di tre anni) incontrammo Alda all'Ufficio Postale. Alda si
avvicinò, salutò e poi sbottò, con la forza della ingenuità: “Signora, mi sono
innamorata di suo marito”. Mia madre la guardò, sorrise (lo so che sembra
assurdo, ma sorrise) e rispose: “Ma se lo prenda, benedetta, se lo prenda!”.
Iniziarono poi gli anni bui, mio
padre lasciò Milano e io per anni non vi tornai, ormai vivevo stabilmente con i
nonni e dovevo accontentarmi delle visite “mordi e fuggi” di mia madre. Non
ebbi quindi più occasione di cercare Alda né di avere sue notizie, ma non per
questo la dimenticai.
I rapporti con mio padre erano
inesistenti e solo dopo molti anni trovai il modo di sentirlo almeno per
lettera con la complicità di mia nonna, che non aveva mai approvato la totale
chiusura di mia madre nei confronti miei e di quello che, comunque, era mio
padre.
Avevo circa 17 anni quando decisi di
andare a cercare mio padre. Fu un incontro assolutamente manganelliano, ma
avemmo la possibilità di parlare di tutto, anche di lei, di Alda. Mio padre mi
raccontò del ricovero in manicomio e di come si sentisse colpevole per essere
fuggito da Milano, lasciandola sola. Decisi immediatamente che, non appena
fossi tornata a Milano, sarei andata a cercarla. Ero innocente, ma mi sembrò di
averla abbandonata anch'io.
Ci rivedemmo e fu un momento
speciale, riprendemmo il discorso come se ci fossimo lasciate il giorno prima.
Mi disse, e mio padre poi me lo confermò, che, subito dopo il nostro incontro
Giorgio le aveva telefonato piangendo, dicendo : “Ho visto mia figlia, ho visto
mia figlia!”. Ogni volta che andavo a trovarla mi ripeteva questo episodio,
mostrandomi il telefono, anche quando ormai non più funzionante e sostituito da
un modello più recente, dicendomi: “Questo è tuo, tuo padre mi parlò a questo
telefono”. Non fece mai tempo a darmelo, ma per me l'importante è che non
avesse dimenticato.
Da allora ci incontrammo spesso, a
volte andavo io a trovarla, a volte ci incontravamo per caso, spesso in
Galleria Vittorio Emanuele.
Ricordo un incontro in particolare,
in Galleria, appunto: ci incontrammo casualmente, Alda aveva con sé una radio
mangianastri di notevoli dimensioni, ci sedemmo a un bar all'aperto, un tè,
quattro chiacchiere e poi ad un tratto: “Tieni, è tua” e mi dette la radio. Era
generosa Alda, non teneva in nessun conto i beni materiali, li condivideva col
sorriso e tu non potevi rifiutare. Quella radio è ancora qui sulla mia
scrivania.
Ricordo tanti incontri e anche alcuni incontri mancati. Una
volta doveva venire a Pisa per un incontro di poesia, l'andai a prendere a
Milano con il taxi ma mi lasciò fuori dalla porta. Era fatta così Alda e andava
amata così com'era.
Andai da lei con due amici, un
giornalista e un giovane musicista, li accolse con gioia, il musicista suonò il
piano e Alda pianse tutto il tempo, poi “regalò” loro una autorizzazione ad
usare gratuitamente alcune sue poesie per farne uno spettacolo. Lo spettacolo
non si fece mai per la cecità delle istituzioni, ma quella autorizzazione ora
è, in cornice, nello studio di quel giornalista, a perenne ricordo di un magico
incontro.
Quante volte mi chiamava, anche a
notte fonda, e mi diceva, anzi mi imponeva: “Scrivi!” e mi dettava una poesia
nata di getto spesso da una notte insonne.
Gli incontri si susseguivano, a volte
dolci ed affettuosi, a volte aspri. Si parlava dei miei figli e delle sue
ragazze, tanto amate quanto lontane, si parlava “del Giorgio”, che era fuggito
letteralmente da Milano. Quel Giorgio tanto amato, ma anche tanto fragile che
non era riuscito a reggere la tensione fra una moglie assolutamente gelida, una
figlia “prestata” col contagocce e un amore nascente, coinvolgente, ma anche
tanto impegnativo. A volte Alda ne parlava con rabbia, più spesso con
tenerezza, o addirittura con ironia, come quando mi raccontava episodi della
storia con mio padre spesso veramente comici. Per esempio, mi raccontò di suo
zio che lavorava, si direbbe oggi, come operatore ecologico e che, quando li
incontrava che passeggiavano, innocentemente, mano nella mano, inseguiva mio
padre brandendo la scopa di saggina.
L'ultimo incontro avvenne pochi mesi
prima della sua morte. Era già ammalata, ma non volle deludermi. Insieme ad uno
studente dell'Università di Harvard avevo presentato un progetto per un
mediometraggio su mio padre, una specie di viaggio nella memoria alla ricerca
del padre, dal titolo, assolutamente rubato a Manganelli, “Sulla difficoltà di
comunicare con i morti”. Ne parlai con Alda mi disse: “Vieni, non posso
mancare”. Ci accolse con grande affetto, e parlò, parlò, raccontò. Fu veramente
emozionante. Ad un certo punto, mi indicò un quadro appeso alla parete (una
rosa rossa bagnata dalla rugiada) e mi disse, :”Staccalo. E' bello vero? Questa
è Barbara, la vedi come è bella? Prendilo, è tuo”. Lo portai a casa in treno,
nonostante le dimensioni notevoli, ed è la prima cosa che vedo la mattina,
aprendo gli occhi: è appeso sulla parete di fronte al mio letto.
Ma le sorprese non erano finite: lei,
che teneva sempre estremamente separati i suoi amici, che non voleva che si
frequentassero fra di loro, prese il telefono e chiamò Giovanni Nuti: “Vieni
subito”. Alda difficilmente chiedeva, più facilmente imponeva, ma come dirle di
no? Giovanni arrivò in pochi minuti. Alda, che fino a quel momento era rimasta
sul letto, si alzò e raggiunse la sala, lei seduta su una sedia, Giovanni al
piano. Improvvisò per noi un concerto, cantò molte delle loro canzoni, per
terminare con “L'Albatros”. Dopo più di tre anni ogni volta che l'ascolto un
brivido mi scende per la schiena.
Rimanemmo ancora un po' a
chiacchierare, poi, con uno dei suoi scatti imprevedibili: “Basta ora, sono
stanca, andate via”. Un abbraccio e sussurrato in un orecchio: “Stai accanto a
Giovanni, per favore”. Io l'ho sempre considerato un passaggio di testimone.
Seppi poi che a Giovanni aveva detto:
“Se hai bisogno di qualcosa rivolgiti a Lietta”.
Alda era Alda, senza possibili
definizioni, e chi ha avuto la fortuna di conoscerla e di frequentarla deve
sentirsi un privilegiato baciato in fronte dagli dei. Il suo mondo non era di
questa terra, era il regno della poesia, e se ci è capitato di poterle dare una
sbirciatina, anche solo da lontano, dobbiamo ammettere che da quel momento,
niente è stato più come prima. Nemmeno noi.
POESIE DI ALDA MERINI
Figlia
Io e tuo padre
Abbiamo incontrato l'orto
degli ulivi
quando c'era la pace
E abbiamo sentito il peso
della croce
Dell'arroganza degli altri
Eppure Dio ogni giorno
E' sceso sul nostro amore
A parlare di te
Che eri sua figlia
Ti ho amato anch'io
E ho dovuto dimenticarti
E forse ho dimenticato anche
lui
Nell'arco di mille anni
Ma ancora di notte
Quando trovo il morbido
cuscino
Penso al suo grande amore
Che era la vetta del Paradiso
Alda Merini
al telefono a Lugo di Romagna
(RA)
Lietta
cara ricorda
C’è un
inverno fedele
Caro solo ai poeti
L’inverno della loro follia
Che toccò anche tuo padre
Vecchi entrambi e saccenti
Dolenti per amore
Non abbiamo richiuso
I nostri usci ardenti
Che continuano a dare
Fiori di eccelse pietre
(al telefono, 2/11/1995)
che bel racconto di vita l'ho assaporato in tutte le sfaccettature dei tratti personali affrescati, c'è da meditare che in periodi a me così vicini siano accadute cose che hanno dato un imprimatur di tenerezza e di sana follia, daltronde Alda era così ed anche Madonna Lietta, lo sento dalla prosa facile che giunge subitoe ti coinvolge
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