Nazario
Pardini: Prefazione a:
Ester
Cecere. Avanzava settembre. Helicon. 2020
Non chiedermi perché
non risale alla sorgente il
fiume
e del mare all’irresistibile
richiamo
corre.
Non chiedermi perché
garriti animano i cieli a
primavera
per poi in autunno desolati
abbandonarli.
Non chiedermi perché
il sorriso che dalle mie
labbra
s’irradiava
inquietante nube
di tuono foriera è divenuto.
Forse,
era nell’ordine naturale delle
cose.
Questioni
e interrogativi che presuppongono risposte che l’uomo chiede in quanto tale, ma
che non arrivano mai a soddisfare le esigenze esistenziali. Da qui
l’inquietudine del fatto di esistere, la melanconica voce interiore che non si
accontenta del “Forse/era nell’ordine delle cose”, ma che vorrebbe allungare il
collo fino alla soglia del cielo, comunque, sempre, senza una risposta
adeguata. Iniziare da questi versi testuali significa andare da subito al cuore
della poetica di Ester Cecere. Avanzava
settembre, il titolo, che con versi di corposa identità esplicativa ci dona
un quadro ampio e sostanziale del
viaggio della poetessa. Il titolo assieme alla massima riportata in esergo (“Il
presente è carico del passato e gravido dell'avvenire” Gottfried Wilhelm von
Leibniz) ci dà l’avvio a questa nostra riflessione critica:
un’antiporta, un prodromico innesto, un’apertura alla lettura delle
composizioni di questa corposa opera, che nella poesia eponima, offre il meglio
con una simbologia antropica di alta levatura lirica:
Avanzava
settembre,
smarrito
dell’estate il rosso acceso
il sole tra
brume scolorava
alla
nostalgia nascondendo
l’orizzonte e
l’infinito.
Avanzava
settembre,
eccitati e un
po’ dubbiosi
stipavate i
borsoni di futuro
il fardello
più pesante
a me
lasciando… (Avanzava settembre).
E
settembre è il mese delle feuilles mortes, il mese dei rubini cadenti, delle
strade cosparse di stagioni finite; e quale stagione ci fa meditare più del
settembre: il redde rationem, i melanconici sguardi ai simboli di precarietà e
finitezza. Forse proprio il tempo che più si avvicina alla vita, al suo
percorso fatto di interrogativi e dubbiosi ripiegamenti. Il mese della quiete
dopo le abbuffate di sole e di cromie. Ora tutto è placato, tutto è leggero,
tutto è vicino ad una fine che tanto ci parla di ultimazione. E questo è un po’
il fil rouge dell’intera opera. Quello di una scrittrice che matura di
esperienze e di poesia vede il mondo con un animo zeppo di vicende, di storie,
di accadimenti più o meno buoni che hanno forgiato la sua presenza in campo
scritturale; il suo essere donna e scrittrice; la visione di chi dalla realtà
ha avuto contaminazioni di ragione formativa.
Scrivere su Ester Cecere significa parlare
della sua vita, del suo mondo, della sua empatia granitica per l’arte e
l’afflato scritturale in generale. Il suo poema
è la sua vicenda: vita di poesia, poesia di vita:
(…)
Teneramente
fiduciosa in un tempo
che
m'aspettava lungo.
E' scorsa
quasi tutta la mia acqua.
Ora, alla foce seduta,
la vastità che spaurisce fronteggiando,
mi chiedo dove annegate sono
le giovanili mie illusioni (Una vita e l’altra).
Già da questi versi
si fa chiaro il discorso esistenziale, la riflessione sul tempus fugit, sulla
precarietà del nostro esistere. Ogni
tracciato di ciò che contorna la scrittrice è motivo di rielaborazione, di
compenetrazione, di analisi: vede, osserva, immagazzina, medita e trasferisce
sul foglio con l’energia che la contraddistingue. Sì, perché è necessario che
tutto ciò che l’emoziona riposi, venga ricamato dal tempo, e che si contorni di
uno stato d’animo levigato, cresciuto e evoluto. Ed è così che nascono poesie di raro
equilibrio formale, di compattezza umana e ontologica, di forte identità
sentimentale. Molteplici possono essere le chiavi di lettura del suo percorso
epigrammatico: psicologica, naturistica, autobiografica, esistenziale, sociale.
Il tutto si miscela in un ritmo
apodittico e conclusivo, breve e conciso. Di sicuro la sua poesia non rientra
nei canoni di positura prosastica, senza
misura, impersonale, come vuole la corrente minimalista che riduce il tutto ad
una realtà senza memoriale, senza inclusione esistenziale; al contrario la
poetica della Nostra è fatta di
sentimento, pensamento, di inclusione; e lo si capisce subito dai suoi versi
che, alimentati da vicende reali, si ampliano o si abbreviano a seconda dei
comandi dello spirito. E’ l’anima che comanda, sono le emozioni che dicono al
verso di adattarsi agli input emotivi. Ed esso obbedisce, va dietro agli
effluvi, tanto che non di rado ci imbattiamo in lacerti metrici di rara
liricità: vita amore, amore natura, natura eguaglianza, eguaglianza ed
emozione, emozione e radici.
Se tornassi, madre,
una giovane donna
sorpresa t’abbraccerebbe
e un ridente giovanotto.
Né la riccioluta bimba
né il biondo putto
che lasciasti.
Se tornassi, madre,
ti ferirebbe della mia bocca
la piega amara,
pur nel sorriso
che t’accoglierebbe.
In lacrime d'amore e
sofferenze
anni si fonderebbero (Se
tornassi, madre).
Ciò non toglie che il dettato si faccia
robusto e stilisticamente elaborato a ovviare deviazioni sentimentali,
epigoniche infrastrutture verbali; tutto ci risulta di una semplicità
complessa, di una liricità naturale e emotivamente ispirata, concretamente
sostenuta, dove la grammatica formale tiene dritta la barra verso un porto di difficile
ancoraggio. D’altronde è un viaggio questo di Cecere, un viaggio in mezzo al
mare, dove la barca rappresenta la consistenza verbale, la ricerca di un bene
arduo, la robustezza lessicale, e la polena mira ad una meta di cui non si
conosce il faro; quella luce che la illumini e che permetta un approdo. A parte
la metafora, la navigazione della poetessa è incerta e insicura, dacché Ella sa
dei perigli marini, degli scogli da superare, delle furiose tempeste, e sa che
la barca può infrangersi contro tali
trabucchi, anche se la poetessa continua
egualmente a navigare su una tavola scampata, magari senza bussola, a vista, con remi dritti e forti, verso
quell’isola, pur cosciente delle difficoltà dell’impresa, che equivalgono a
quelle della vita, breve, caduca, insicura:
Navigo a vista.
Della mia bussola
l’ago impazzito
più non indica
rotte sicure
per approdi certi.
Consapevole affronto il
naufragio.
Ché l’SOS nessuno ascolterà
(Navigo a vista).
Leggere
dei versi ad hoc, dei momenti poetici incisivi e umanamente vivi, ci aiuta a
definire e circoscrivere la sua poetica:
da
frammenti sul fatto di esistere,
(…)
Rami di corallo rosso d'amore,
di conchiglie schegge
taglienti,
cuscini di morbide alghe,
sulla rena abbandona.
Scampoli d'una vita
dal mare restituiti (Come la
marea),
dove
natura e sentimento si compattano in una simbiotica fusione di simbolica
visività,
a
sullo scorrere del tempo:
Dove sono giunta?
Ben ricordo il luogo di
partenza.
Dunque è questo l’arrivo?
Qui ero diretta?
La strada sbagliata
ad un bivio ho imboccato
nella corsa del vivere (…)
(False mete),
dove gli interrogativi della vicenda umana
rendono concreto e assillante il nostro pensiero sull’esistere, sul visionario confine,
su questioni e incertezze che fagocitano risposte, su eros e thanatos;
fino
a sul cotidie morimur senecano, o sul dum loquimur oraziano:
In un altrove
vivere vorrei
altro da me
essendo.
Bluffato ho
al poker della vita.
Sfumato in
fretta
il piatto
immeritato.
Posseggo di
carte
un altro
mazzo.
Ma non ho
tempo ormai
per una
partita nuova (Bluff),
che
ci danno l’idea della freschezza del canto e della partecipazione emotiva.
D’altronde
le sue molteplici realizzazioni ci offrono contezza ben precisa e articolata di
come Ella intenda l’arte; di quanto viva del suo apporto intellettuale. Ho
avuto il piacere e l’onore di seguirla nel corso della sua ormai lunga
produzione narrativo-poetica, e non di
rado ho letto pericopi tratte dai suoi scritti; una vera cascata di emozioni
soprattutto quando l’Autrice si sofferma su descrizioni oculate e mirate alla profondità delle
tematiche, o tratteggia situazioni storico-sociali di degrado o di ingiustizia;
di sangue e di morti che giacciono ammucchiati; è qui che viene fuori tutta
l’energia sintagmatica della poetessa; il suo risentimento, il bagaglio di
umana consistenza egualitaria, dato che fa della giustezza un motivo fondante
del suo essere poetessa:
Cosa cerchi in questa
terra
da battaglie arse,
dove fuochi bruciano ancora
gli alberi superstiti,
i fiumi son ruscelli di marcescente fango
e i morti giacciono ammucchiati
a ricordare che vi fu vita un giorno?
Va’ a cercare verdi
foreste!
Va’ a cercare fiumi cristallini!
Va’ a cercare gioventù festosa!
Lascia che solo la
memoria
abbia pietà di quel che fu (Campo di battaglia).
E la Natura, con tutta la sua valenza
simbolica, si fa linguaggio visivo nella reificazione degli stati emotivi;
sembra quasi che giochi coi lampi emozionali, con le uscite secche e
metricamente riuscite. I versi si riempiono di policromi effetti, si
metamorfizzano in giochi di luci e di ombre ad accompagnare gli alti e i bassi
della vita:
Ad ogni vento
tremano
le foglie tue
inquiete.
Come giovani
farfalle
dal bozzolo
uscite,
senza tregua
s’agitano,
Luci e ombre
cangianti
sulla terra
disegnando.
Sfavillii
dorati rimandano
al soffio del
primaverile zefiro
e plumbei
riflessi rendono
dello
scirocco all’alito.
Rosseggianti ammiccano
alla brezza
del tramonto.
Del gelido
maestrale
senza timore
alcuno
restituiscono
la sferza.
Come ogni
uomo,
che spaurisce
e s’agita
della vita
allo schiaffo,
eppure rende
infine
ciò che ha
ricevuto in dono (Pioppo tremulo).
D’altronde
non c’è emozione che non la segua in questa narrazione di cospicua plurivocità,
sia che narri della sua solitudine:
Opprime il
silenzio gravido
di suoni
soffocati dalla notte.
S’agita
insonne il mare
come da
incubi tormentato.
Senza pace
s’avvolge il corpo mio
in lenzuola
come sudario candide.
Giunge
inquieto della risacca il brontolio.
Risuona
inquieto l’insonne mio respiro.
Bramiamo
entrambi l’alba
che di rosa
ammanti le acque
e della mia
stanza le pareti (Alba bramata).
sia
che gioisca di un segmento occasionale:
E' fiamma di
candela
un bel
ricordo.
Vivace e
sicura guizza
in lingue
sottili sfrangiandosi.
Luce
diffonde.
Calore emana.
Spegnersi
talvolta sembra
per divenire
poi
più luminosa
e gagliarda
sinuosa
danzando (Un bel ricordo, a volte),
sia
che viva momenti di apporto memoriali, di poesia dell’home, di erotici risvegli
sapidi di bàttime:
Accanto a me
siedi stasera.
Immergiamoci
in
quest'ultima notte d'estate.
E' fresco
l'alito del mare.
Ascolti?
Ci raggiunge,
sommesso
sottofondo,
di giovanissimi
gabbiani il pigolio.
Vedi?
Dondolano
appena
le sonnolente
vele
nella loro
culla adagiate.
Notte di
plenilunio
a riempire
cielo e cuori...
Accanto a me
siedi stasera
e stringimi
la mano
come tante
lune fa (Accanto ma me siedi stasera).
Una
narrazione plurima, polivalente, proteiforme che copre coi suoi assalti alla
creatività tutti gli angoli reconditi dell’esistere. E i versi seguono con
euritmica scansione, anche nei momenti di tristezza e di riflessione, quasi a
creare un ossimorico gioco di antitetico stupore fra forma e contenuto.
(…)
Cerco
la battuta
che strappi un sorriso,
lo sguardo
bonario che rassicuri e sorregga,
il partigiano
silenzio che come bolla m’avvolga.
Anche un po’
di fremente passione
che non abbia
però un altissimo prezzo (Non ho più voglia).
Un
velo di sana e buona saudade, di melanconico apporto sentimentale sembra
ricoprire il percorso poematico; ma una melanconia che fa bene alla poesia,
rendendola al contempo umana e zeppa di questioni che riguardano il nostro dubbioso
cammino esistenziale, tanto pieno di propositi ontici da non trovare parole per
esprimerli:
(…)
Poi cerco
parole,
che come d’un
frutto i semi,
a me dinnanzi
si snocciolano
slegate
restando
senza senso
compiuto.
Un mal
d’essere
un disagio recondito
ad esprimere
esitano,
che duole e
squassa l’anima
ma voce non
trova… (Cerco parole).
Comunque sempre la poetessa riesce a tradurre
questo malinconico e riflessivo stato emotivo in una filosofia positiva, dacché
quello che al fin fine domina è uno sguardo sui rapporti umani aperti ad un
mondo di pace e di armonie, di recondite armonie direbbe il mio maestro Puccini,
che fanno della vita quel breve tratto in cui l’uomo possa elevarsi alle soglie
del bene; a quei valori che gli diano il diritto di definirsi pienamente umano.
Anelo
a terre
tranquille
a cinguettii
di colore
al sole che
scalda e disegna
ombre che non
siano minaccia... (E’ un continuo guardarsi le spalle).
Nazario Pardini
Splendida prefazione per una raccolta preziosa; attenta lettura con dovizia di citazioni dettagliate della poetica di Ester Cecere. Ho letto la raccolta e condivido in pieno la prefazione... i poeti vivono, dalla vita viene la poesia: sicuramente vale nel caso di Ester Cecere
RispondiEliminaNazario conosce bene la persona e la poetica, la sua prefazione rende tutta la bellezza dei versi di Ester
RispondiEliminaRingrazio Valeria e Claudia e, soprattutto, il caro Nazario. La tua prefazione è un grande onore! Hai speso per me parole bellissime e, direi, veritiere. Inoltre, da poeta e critico letterario di altissima caratura quale sei, hai immediatamente colto il senso della raccolta e il suo file rouge.
RispondiEliminaEster