Dagli scaffali della biblioteca
di Nazario Pardini
Letto da Carmen Moscariello
Voci
dalle foglie di un libro
Carmen Moscariello, collaboratrice di Lèucade |
I poeti
riescono a tessere con aghi d’oro sciami di nidi, a costruirseli anche su punte
di abissi, a stringere in una mano gli amori, a posarli sul cuore a raccontarli
alle stelle che incantate ricoprono le parole con sciami di astri lucenti.
Sorprendente, come in versi a volte tristi, come li
ho riscontrati in alcune poesie di Nazario Pardini, soprattutto in quest’opera
recente, nonostante tutto la vita faccia
sentire tutta la sua bellezza e il suo incanto. “ Dagli scaffali della
biblioteca”, questo titolo molto oggettivo e pragmatico, diviene un centro di
grande creatività, Un musical Play, è una commedia
musicale ritmata, portata avanti
non solo dal Poeta, ma, con lui ci sono
i più grandi rappresentanti della cultura. Non manca nessun autore,
soprattutto a farla da padroni sono i poeti: c’è Leopardi, Saba, D’Annunzio, “il grande forgiatore/ di lessemi e
stilemi [1]
; dai libri, come da un palcoscenico esce il
meraviglioso sguardo di Pavese[2], l….Si udirono
chiacchiericci e frecciatina fra i componenti della biblioteca;/
Leopardi con Manzoni, Cardarelli/con Pavese, Catullo con D’Annunzio…e tutti
esprimevano pensieri/sul mondo e le vicende che toccavano/ la loro singolare
situazione.[3]
C’è anche il quaderno con le pagine aggrinzite
che chiede una favola al Poeta , un quaderno da riempire con una favola bella, purtroppo
non a lieto fine, poiché la morte ghermirà impietosa alcuni dei personaggi più
importanti e più cari alla vita del Poeta.[4] In pochi
versi Pardini raccoglie la propria vita e la semina su un prato pieno degli
odori del sacrificio e della terra del Padre, di una vita di campagna dove
l’amore è il grande sovrano. In molti passaggi l’opera vibra, è jazz con trombe e tromboni, dove il
contrabasso urla il suo dolore. Un dolore che sale dalla stiva e racconta al
mondo il sacrificio che la vita di un artista impone ad ogni attino. La
famiglia dei sassofoni, attacca un blues, per poi passare senza iato allo
spiritual. L’opera di Nazario non è un
gioco di teatro e di rappresentazioni, egli ci mette davanti a una grande lezione: i
libri sono, per un Artista come Lui, il pane quotidiano, nel senso più sacro: lo
sono per chi li scrive, ma anche per chi li legge. E un poeta in ogni libro
letto troverà una traccia di sé e in quelli
da Lui scritti c’è un seme da consegnare
al futuro. Nel suo grande cuore, Nazario Pardini ha tanti amici, egli ha la fortuna di
colloquiare con essi, formare con strumentazioni ardite e delicate un’ ensemble.
La Poesia poi fa in modo che un granello diventi impeto, passione: un poeta non
è mai solo, seppur canta la solitudine. In quest’opera, la vera protagonista è la vita che perfora le pagine dei libri ben allineati
nella biblioteca. Si colgono nella scrittura e nel racconto teatrale più
tecniche che vanno molto oltre la compilazione della storia e la struttura dei
versi. Tutti sappiamo ed esaltiamo la bellezza e la passione per il mondo
classico del Pisano, che sa portare la sua poesia su più toni, come ho già
detto, toni che si mescolano allo spiritual e, diventano all’interno di certe
strofe, crepuscolari, senza per questo perdere fascino. Un crepuscolarismo che
Lo avvicina a certi poeti fiamminghi o anche ai pittori Primitivi fiamminghi,
Egli è insuperabile nel creare icone o trittici. Della Poesia di Nazario Pardini,
mi piace pensare che essa è un autunno
con foglie arancioni , gialle oro, foglie color indaco che cadono lente come le notti e i giorni, gli
incontri e gli amori, la musica e la poesia. E’ struggente leggere i suoi versi,
essi che hanno anche la levità, la purezza e il rigore
di chi alla Poesia ha dedicato la vita.
La cosa sorprendente è che in questo crepuscolo, pari ai boulevard
parigini a fine agosto, con l’estate che finisce e l’autunno e l’inverno che
incalzano, converga il dolce colloquio delle foglie, quasi tutte
cadute, eppure esse non hanno perso il loro raccontarsi, il cantare storie di
nostalgie lontane, così intense che appaiono come vissute or ora. Così è la
Poesia di Pardini, così i suoi libri
stipati a migliaia nella sua grande biblioteca pisana. Quante volte, mi interrogo
sulla grandezza di certi poeti che sanno
creare il miracolo di un colloquio intenso ed eterno con le cose, non solo con
la natura o gli uomini , ma anche con gli oggetti. I libri di un poeta sono la
sua vita, il suo passato, il suo presente, il suo domani. Ma, il genio di
Nazario ha fatto si che in quest’opera, gli autori dei suoi libri, uscissero
dal silenzio delle pagine e creassero intensi colloqui con gli altri autori che
non sono spiriti parlanti, ma uomini in
carne ed ossa, che non hanno perso per niente la loro forza creativa , né i
loro caratteri hanno ceduto alla noia. A volte, si rinfaccia ai poeti il tedio, la vicinanza
scomoda con il dolore e la solitudine e si dimentica che con i loro versi, noi
voliamo verso un paradiso azzurro che rivela la divinità che è nell’uomo, è di
questa divinità che ci fanno dono. Mi chiedo che cosa può fare la Poesia? E’
lei che dà la vita? E’ possibile che sappia trasformarsi in sangue e cuore
palpitante? E’ questa la storia dei grandi Poeti? E Nazario Pardini lo è nella
sua gentilezza di uomo, nel suo ardore di Poeta, nelle sue circostanze
musicali, sempre presenti nella sua Poesia, anche quando non ne parla
espressamente. La sua arte tocca infiniti tasti dalla natura all’amore, dagli
stilemi della morte al candore della meravigliosa esperienza del vivere.
Carmen Moscariello
Nazario Pardini, “Dagli scaffali
della biblioteca”, prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano novembre
2020. Alcyone 2020.
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