Rosa Maria Di Salvatore
LE STAGIONI DEL CUORE
Guido Miano Editore, 2020
Recensione di
Maria Elena Mignosi Picone
In un
brillio di versi di cristallina limpidezza, la poetessa Rosa Maria Di Salvatore,
in questa silloge dal titolo “Le stagioni del cuore”, si sofferma su un periodo
della sua vita, non proprio felice, ma neanche triste per la verità, diciamo malinconico,
in cui la giovinezza è sfiorita, l’amore è scomparso, si avanza l’età, e si
affaccia una condizione diversa, la solitudine. “Nella dolcezza struggente di
un tiepido autunno / siamo respiro di vento”, “Umidi gli occhi di pianto”.
Però quella
di Rosa Maria Di Salvatore è una malinconia particolare. È una malinconia
soffusa di dolcezza in cui la stessa nostalgia ha sapore di bellezza. Così l’accarezzare
i ricordi del tempo passato le infonde nell’animo una sensazione di soavità ed
ella indugia sui ricordi fino a godere pienamente di questo sapore nuovo, quasi
un incanto, quasi una magia.
Ecco
qui sta la peculiarità della poetessa: l’anzianità, la solitudine, la nostalgia,
lungi dal farla cadere nella tristezza, diventano invece fonte di godimento. E
questa è una peculiarità speciale, non è di tutti, e richiede un animo
speciale, come è in effetti il suo, altrimenti non avrebbe potuto generare
versi così dolci e suggestivi.
E
altamente poetici. Infatti, a parte l’espressione formale che risulta
ineccepibile, però inoltre si avverte un brillio di armonia, di bellezza, che
fa dei suoi versi, alta poesia. Un esempio: “In questa sera immersa nella
quiete / respiro lieve il fiato delle stelle / carezza dolce un suono di
campane / nella penombra calma di memorie”.
Da
queste parole possiamo evidenziare un aspetto tutto suo personale che consiste
nella capacità di mettere in simbiosi quel che la circonda con l’interiorità del
suo animo: il fiato delle stelle è per lei respiro lieve, un suono di campane è
carezza dolce. E così è tra lei e la natura. Quest’ultima le trasmette
sensazioni e sentimenti quasi fosse una persona cara, e si uniscono insieme i
palpiti del creato e dell’essere umano. È una meraviglia: “Nell’ultima foglia
che cade / la malinconia di un’attesa / che non ha mai fine /…/ Poi, carezze di
vento / sui rami e sul mio viso…/ parla la natura e lenisce la mia ansia
dipinta / nei colori del tramonto”. Sempre riguardo alla natura ha espressioni
molto poetiche: “Petali d’azzurro… gocce di luce… stupore d’alba / e spuma di
rugiada”.
E come
il creato lenisce la sua ansia, così è il rifugio nei ricordi del tempo ormai trascorso,
che hanno lo stesso effetto di placarla: “…se ritorno con la mente a tempi / e
luoghi lontani / rimasti nitidi e dolci / testimoni silenti / di un mondo
interiore / hanno la soave bellezza / di un chiostro celato / di un antico
monastero”. E così “Si rifugia in essi lo spirito / e, complice il silenzio, /
vi trova la quiete / lentamente cercata”.
Dunque
“…nostalgiche ritornano memorie”, però esse sono per lei “folate di dolcezza”.
Quest’aspetto
della dolcezza nella nostalgia del passato appare rilevante specialmente nel
ritorno della poetessa alla casa paterna. “Immersi nei giorni dell’infanzia… quadri
e memorie / alle pareti del tempo”. E allora ella non rifugge anzi gode nel rimanervi:
“In quest’ora di mistero / dove si fondono presente e passato / voglio sostare”.
Il silenzio domina, “l’improvviso silenzio dell’assenza” e le affiora il sapore
dell’infanzia: “…c’è la dolcezza di attimi lieti / di voci argentine di allegre
risate / semplici giochi inventati”. E ancora: “ …nel cuore la dolcezza di un
lontano passato e l’allegria dell’ormai perduta giovinezza”, “…antiche
tenerezze / …momenti di gioia e di felicità. / E nel ricordo dei lontani giorni
/ di dolci emozioni / si riempie il cuore”, “Ritrovo intatto il dolce incanto
del passato”. Così “…il ritornarvi è balsamo gentile”. Sono in effetti momenti
magici carichi di ineffabile dolcezza.
Però non
finisce tutto qui, in un solitario vagheggiamento del passato: “Ma luce di
speranza. Langue nell’aria / un profumo di rose”. Non si esaurisce, infatti, in
se stessa la nostalgia, anche se dolce, ma si apre alla speranza. Una speranza
che, ricollegata alla primavera, la proietta verso le plaghe della
trascendenza, verso il cielo. Lì ha la certezza che si ricongiungerà alle persone
amate: “Vecchia casa / della mia infanzia / e della mia gioventù / che conservi
il ricordo del mio primo amore / a te ritorna il mio pensiero / e mi scalda il
cuore”, “…risento ancora l’eco dei tuoi passi / e il vento che sussurra nella
sera / porta il ricordo di giorni lontani”.
Ma è lassù che fiorisce la primavera e certa è la speranza di rivedere il suo amato: “Ma io lo so. C’incontreremo ancora / e insieme andremo mano nella mano / dove il sentiero è un fiorire di viole”.
Maria Elena Mignosi Picone
Rosa Maria Di Salvatore, Le stagioni del cuore, Guido Miano
Editore, Milano 2020, pp. 86; isbn 978-88-31497-18-3.
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