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giovedì 10 dicembre 2020

ROSSELLA CERNIGLIA LEGGE: "CROMIE" DI VINCENZA ARMINO, GUIDO MIANO EDITORE


Sentimenti ed emozioni minimali

nella poesia di Vincenza Armino

Cromie, titolo della nuova silloge di Vincenza Armino, ci immette da subito in un contesto di tessiture atomiche di esperienze e di emozioni che hanno luogo nella sua anima. Un microcosmo fatto di particelle fluttuanti, eteree ed incerte, indefinibili. Non è facile desumere dai versi da cosa prendano origine e verso dove navighino, a quale porto cerchino approdo. E davanti a noi si schiude uno scenario di totale indeterminatezza.

“Cromie” non è, per l’appunto, un termine che ci immette nella sostanza delle cose, non è riferibile al loro essere, al loro fondamento, ma a qualità variabili di esse. Ed infatti i versi ci appaiono vuoti di reale e concreto contenuto, e della realtà descrivono solo sfumature, piccole ombre o bagliori, aspetti particellari e minimali.

La versificazione scarna, e la tonalità apodittica di questo procedere, ci mettono innanzi a un tutto senza fine né inizio, senza perseguimento di obiettivi e direzioni. Un coacervo di vaganti particelle, piccoli embrioni dell’anima, piccoli conglomerati, ognuno dei quali sembra vivere per se stesso - quasi una monade senza finestre. Vi è completa astrazione dal contesto reale da cui l’esperienza emozionale scaturisce, e l’autrice si concentra solo sull’impressione recepita, e sull’interiore accumulo emotivo da questa prodotta. Il resto ci appare in ombra o come messo tra parentesi, o forse, volutamente non considerato.

Così, i versi cedono, in piccole gocce, in perle di minuscole costellazioni di percezioni, emozioni e sentimenti, gli istantanei guizzi dell’anima. Si tratta di essenze e concetti distillati a rappresentare momenti peculiari dell’interiorità, ma avulsi dal contesto reale da cui prendono vita, e pertanto, le immagini suggerite sono spesso stranianti, spesso prive di contiguità logica anche con altre immagini presenti nello stesso testo, e finiscono col dare, talora, l’impressione di passaggi artificiosi, arbitrari o appunto atomici, e a suggerire una fluttuante inconsistenza di eventi minimali senza tempo né spazio né memoria. I versi esprimono tali indefinite risonanze anche quando sembrano nominare entità concrete: “Solide gambe e / mani rugose. // Crepuscoli. // Sfumature. // Corvi neri e / notti stellate. // Linea d’ombra / tra il grano / e il cielo” (Desìo). Qui, quella che sembrerebbe una descrizione del mondo reale è in realtà la connotazione di un peculiare sentire. E come ha acutamente rilevato Nazario Pardini, nella sua attenta analisi del testo, sembrerebbe che l’autrice rivesta di un senso tutto interiore gli oggetti, facendone quasi una sorta di “correlativo oggettivo”, alla maniera montaliana.

Il linguaggio prende allora una nuova configurazione, si apre alla ricerca di nuove espressività, la struttura metrica si condensa, si fa ermetica, si ricama e si costituisce di ellissi, ora verbali, ora nominali, ora sintattiche. Talvolta, invece, è costruita in accumulo, con elencazioni dello stesso tipo: “Risuonava come / un aforisma, / una massima, / una battuta, / un monosillabo, / un colpo di gong. // Risuonava / spingendo dentro / il dilemma vitale” (Ritorno di fiamma). Ora, nelle due brevi strofe è ripetuto un unico stesso verbo, “risuonava”, accompagnato, nella prima, da una sequenza di sintagmi nominali - distribuiti nei cinque versi a seguire - che ci comunicano la modalità di questo “risuonava”. Mentre al verbo, identico nelle due strofe, non è attribuibile alcun soggetto. Il presente andamento lo ritroviamo in molti altri testi. Eccone un altro esempio del tutto simile al precedente: “Scendevano lente / e ricoprivano le cose / come sfumature calde / come bei colori. / Danzavano. / Erano / carezze di luce, / scarabocchi di pensieri, / contatti, / abbracci, / ragnatele invisibili. / Legami.” (Scendevano). Anche qui, ci imbattiamo in forme verbali del tutto prive di soggetto, il quale soltanto si specchia nella modalità in cui le azioni si compiono e nella sequenza di predicati nominali ad esso collegati. Un procedimento in funzione straniante e fortemente evocativa.

 Il discorso interiore, focalizzato sulla percezione, è quasi sempre espresso in terza persona, come se l’autrice ambisse al distacco dal proprio sé per un’osservazione più attenta e lucida del fenomeno interiore. In taluni casi, dunque, il soggetto mancante è riconducibile all’autrice del testo (che parla di sé in terza persona) e all’osservazione che su di sé conduce: “Cercava / nei grovigli / un suo sentiero. // Premeva la vita. // Riprovare, / si ripeteva. // Doveva // Poteva // In Alto, / la sua forza, / la voglia / di lottare” (Ferma). Così è in tanti altri testi, come Senza nome, Libera mente, La vide, Era lei, Visioni d’anima, 12 agosto, ecc.

 Quanto espresso comporta che l’intero percorso della silloge non è attraversato da tematiche dall’ampio respiro né aventi uno sviluppo organico, ma i temi sono appena accennati e sfuggenti. Tuttavia la parola appare non fortuita, e sembrerebbe, talvolta, frutto di una ricerca che ha alla base se tessa, come in un intento di costruzione di una sorta di collage verbale.

 Tuttavia, molti testi, all’interno della stessa silloge, mostrano una struttura meno rigida e densa; la loro stesura ci appare più articolata ed aperta, e la sintassi è, in linea di massima, rispettata, senza accumulazioni o ellissi ricorrenti. Non troviamo più la “parola-frase” - che altrove ricorre in pregnanti condensazioni di senso - e in buona sostanza, la forma ci appare più aderente ai canoni di una versificazione tradizionale: “Il rumore della risacca / saliva dalle scogliere. // La natura continuava il suo corso, / il mare / il suo andare eterno / e il tempo / il suo fluire”. Qui, la dimensione temporale costituisce l’elemento pregnante del testo, suggerito dal rumore del perpetuo infrangersi della risacca.

 La presente opera, è inserita nella collana Analisi Poetica Sovranazionale del terzo millennio, dell’Editore G. Miano, e le prefazioni al testo - a firma di Nazario Pardini e di Enzo Concardi - assimilano alcune sfaccettature di esso, l’uno alla specificità di taluni aspetti della poesia montaliana e di quella dell’americano Turner, e l’altro ad alcuni accenti della particolare anima dickinsoniana.


Rossella Cerniglia

 

 

Vincenza Armino, CROMIE, prefazioni di Enzo Concardi e Nazario Pardini, pp.104, Guido Miano Editore, Milano 2020, isbn 978-88-31497-36-7.

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